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Autore: Nocturnia    05/12/2014    6 recensioni
"Gli incubi sono del tutto normali." le spiega con pazienza la psichiatra del BSAA "Vie di fuga per il nostro inconscio martoriato. Sono comuni dopo esperienze traumatiche come la tua."
"Non sono incubi." mastica Jill, lo sguardo fisso in quello della dottoressa.
"Cosa sono, allora?"
"Ricordi."
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Albert Wesker, Chris Redfield, Excella Gionne, Jill Valentine, Leon Scott Kennedy
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: Albert Wesker, Chris Redfield, Jill Valentine, Leon Kennedy e tutti gli altri personaggi appartengono a Shinji Mikami, alla Capcom e a chi detiene i diritti sull'opera. Questa storia è stata scritta per puro diletto personale, pertanto non ha alcun fine lucrativo. Nessun copyright si ritiene leso. L’intreccio qui descritto rappresenta invece copyright dell'autrice (Nocturnia) e non ne è ammessa la citazione altrove, a meno che non sia autorizzata dalla stessa tramite permesso scritto.

"So what if you can see the darkest side of me?

No one would ever change this animal I have become."
- Three Days Grace -



Paranoia



"Gli incubi sono del tutto normali." le spiega con pazienza la psichiatra del BSAA "Vie di fuga per il nostro inconscio martoriato. Sono comuni dopo esperienze traumatiche come la tua."
"Non sono incubi." mastica Jill, lo sguardo fisso in quello della dottoressa.
"Cosa sono, allora?"
"Ricordi."
"Ne vuoi parlare?"

No.

"Non posso."
"Perché non puoi?"

Lui non vuole.

"Jill..."
"La seduta è finita. A domani, dottoressa Roach."
Il silenzio ha la sua voce.

****

"Sei ridicola."
Jill gocciola sangue e memorie, le dita ancora contratte ad artiglio sul petto.
"Sei patetica."
Lo specchio si frantuma ai suoi piedi, riflessi di una donna che non conosce più.
"Sei debole."
"Piantala." sibila al silenzio "Smettila."
Un risata.
"Fermami, allora."
Jill scatta in avanti, montante destro, sinistro, destro e palmo aperto sotto al mento - il cervello subisce una concussione e vi è una momentanea perdita di coscienza.
"Lenta."
Il fiato le viene strappato dai polmoni, un ginocchio a colpirla direttamente nel diaframma e un gomito e farle saltare qualche dente.
"Noiosa."
Ricarica Jill, gridando al buio tutta la sua rabbia.
"Un fallimento su tutta la linea."

Crash.

La finestra si spalanca davanti a lei, schegge di vetro a ferirle il volto e gli occhi.
"Come ai vecchi tempi, eh Jill?"
La sua risata la seguirà fino all'Inferno.

****

"Come è successo?" chiede Chris, distogliendo lo sguardo da quello completamente assente di Jill "Come diavolo ha fatto a saltare giù dal trentacinquesimo piano e a sopravvivere?"
Il paramedico che è giunto per primo sulla scena si stringe nelle spalle, picchiettando con la matita sulla cartella che tiene davanti al petto.
"Non lo sappiamo, agente Redfield. L'agente Valentine era a terra quando siamo arrivati, perfettamente illesa, e continuava a gridare di smetterla."
Chris aggrotta le sopracciglia, contraendo le dita.
"Con chi parlava?"
Simon (così si chiama il paramedico) si scrolla un'altra volta nelle spalle, chiudendo con uno scatto secco la cartella clinica.
"Apparentemente con nessuno, agente Redfield, ma la dottoressa Roach ci ha detto l'agente Valentine è ancora in terapia e che è instabile, per cui non mi sorprenderebbe un caso di allucinazioni."
Chris si volta, cercando in quegli occhi azzurri una risposta, ma Jill è immobile, una statua pallida e così simile a...

No.

I suoi capelli bianchi hanno la stessa consistenza di quelli di uno spettro.

****

"Dovremmo parlarne, Jill."
"Ho imparato il valore del silenzio, dottoressa Roach."
"Un silenzio imposto con la violenza."

"Ho forse detto che potevi replicare, Valentine?"

"Che cosa ti è successo in Africa, Jill?"
"Tutto."
"Raccontamelo."

"E lei è... ?"
"La tua nuova guardia del corpo, Excella."

"Non capirebbe. Nessuno di voi lo farebbe."
"Mettimi alla prova. Datti una possibilità."

"Sai parlare?" le chiede Excella, studiandola.
Jill annuisce, gli occhi fissi in quelli di Wesker.
"Bene; potresti tornarmi utile."

"Non c'è limite all'orrore, dottoressa Roach. I mostri generano altri mostri e il buio solo terrori che divorano ogni moralità."
"Dovevi sopravvivere; chiunque altro avrebbe fatto lo stesso."

"Tre metri a destra, Valentine."
Jill scatta in avanti, le gambe che fendono l'aria e la polvere.
"Primo obiettivo."
La testa dell'uomo esplode come un frutto marcio.
"A sinistra, un metro e mezzo."
Le dita affondano nella gola della donna e le sfilano la trachea, un suono liquido e grottesco a fare da contrappunto al suo respiro.
"Dietro di te."
Jill si volta, un buco nero in mezzo agli occhi e la libertà a pochi passi - basta solo farsi sparare. Basta solo morire.
"Valentine."
Jill evita il colpo e gli sfonda il petto.
"Brava ragazza."
Vivere ha ora il suo nome.

"Non posso."
"Non stai facendo progressi, Jill."

Il suo corpo si proietta contro la porta d'acciaio, ammaccandola.
Wesker carica il colpo successivo, il braccio di Jill che si spezza sotto la pressione.
Digrigna i denti Jill, il tallone a scontrarsi con il suo mento e la mano sana a cercargli gli occhi.
Ruota all'indietro Wesker e Jill ne approfitta, le gambe attorno al suo collo e le cosce a premere fino a fargli mancare il fiato.

Crack.

Sono di nuovo in posizione entrambi, Jill con un braccio lungo il fianco e Wesker perfettamente immobile.
"Stai facendo progressi." le dice "Mi hai quasi rotto un polso."
Jill ride senza alcuna allegria.

"Mi dispiace."
"Non devi. La paura è una reazione perfettamente normale. Nascondendola - tacciandola - si crede anche d'incatenarla, ma non è così. Liberatene Jill, buttala fuori. Che prenda un nome e un volto."

"Mi credi patetica, vero?"
Silenzio.
"Hai il permesso di parlare."
Jill inclina la testa verso sinistra, un gesto che Excella trova terribilmente somigliante a quello di un uccellino morente.
"Cos'altro puoi fare quando un uomo del genere ti offre il mondo, uhm? Rifiutare?"
Jill insiste nel suo silenzio, osservando Excella.
"Lascia perdere; tanto è inutile."
"Scappare."
Excella la soppesa da dietro gli occhiali scuri, alzando un sopracciglio.
"Come, scusa?"
"Scappare. Quando un uomo come Albert Wesker ti offre il mondo, l'unica via è scappare."
Excella stringe le labbra, non soddisfatta dalla risposta.
"Credo che ci voglia più P30..." mormora, uscendo dalla stanza "Non dovresti avere certi pensieri."
Jill non la rivedrà mai più.

"Certe cose non sono fatte per essere condivise, dottoressa."
"Jill..."

Brava ragazza.

****

Ci sono abitudini che lo spaventano ancora, che gli ricordano che per tre anni ha pianto davanti a una tomba vuota, mentre lei era ancora là fuori, con lui.
"Vuoi una cioccolata con marshmallow?" le chiede, provando a sorridere.
Jill compie il centesimo piegamento, flettendosi poi con una leggera rotazione su se stessa e mettendosi in posizione seduta.
"No, grazie." mormora, passandosi un asciugamano sul collo umido "Non mi va."
Chris sospira, chinandosi fino a raggiungere la sua stessa altezza.
"Sicura?"
"Non amo ripetermi, Chris."
"Come Paganini?" tenta di sdrammatizzare Redfield, cercandole le dita, ormai sempre fredde e distanti.
"Se devi ripeterti hai due opzioni davanti a te: o la tua voce è troppo debole, oppure chi dovrebbe eseguire i tuoi ordini non ti teme abbastanza. In entrambi i casi, la colpa è solo tua."
Chris sbatte le palpebre, ritirandosi di colpo.
Jill si porta entrambe le mani alla bocca, sorpresa.
Quelle parole scivolano tra di loro come una lama.

****

"Dormi ancora male, Jill?"
"Ogni tanto."

Bugiarda.

"Ti va di parlarne?"
"Non molto."
La Roach annuisce, scrivendo qualcosa sul suo taccuino.
"Cosa vedi in questi sogni, Jill?"

Ombre.

"Quello che ho fatto."
"E cosa hai fatto?"

L'eccitazione del sangue e quella perversa sensazione d'essere potente - invincibile.

"Cose di cui non vado fiera."
"Non eri in te, Jill."

Il collo del bambino pende inerte, squarciato come una corda sfilacciata.

"Il mio corpo forse no, ma la mia mente..."

La donna grida, ma Jill non la sente - non davvero - e nasconde una risata crudele quando vede la paura nei suoi occhi.

"Senza consapevolezza non c'è autentica comprensione. Senza comprensione, non c'è perdono, Jill."

"Dearheart."

"Jill."

Il cielo si tinge di rosso.

****

Jill ricorda tutto, ogni più piccolo particolare.
Ricorda mattine lattiginose e albe spente.
Ricorda notti passate a farsi spaccare le ossa e il P30 che le corrodeva la gola, l'impianto di Wesker che si era aggrappato come un parassita alle sue costole e ai suoi muscoli.
Ricorda Excella e il suo pesante accento italiano, l'odore costoso dell'ambizione e quello putrescente dell'amore.
Ricorda gli allenamenti estenuanti, il suo corpo diventare un'arma e l'orribile déjà vu di tempi troppo lontani per essere nominati.
Ricorda che in guerra Wesker si esibiva spesso in un gioco di gambe troppo veloce per essere fermato, a volte persino colto - danzava con la Morte e imponeva il suo passo, sfondando regole e vite; colpisci prima il ginocchio, poi la fossa iliaca, il plesso solare e infine testa, la vittima un grumo di sangue e carne.
Ricorda e...

"Perché lo fai?"
"Perché l'umanità non merita di sopravvivere; non tutta, almeno."
"Non puoi decidere della vita d'innocenti."
"Innocenti è una parola grossa per un'umanità che compie ogni giorno un passo in più verso l'abisso."
"Ma lo sei anche tu."
Wesker aveva sollevato gli occhi dal plico di fogli che stava esaminando, irritato.
"Cosa?"
"Un uomo."
Wesker si era lasciato sfuggire un suono sordo, quasi un latrato represso.
"Non sono più umano da molto tempo, Valentine."
"Eppure ancora odi. Ancora provi rabbia, desiderio di vendetta, brama di potere."
Wesker si era concentrato sul viso di Jill, pallido e stanco.
"Io sono un dio."
Jill aveva sorriso tristemente, osservando il sangue fluire lento nella sacca al suo fianco.
"Un dio molto umano, Wesker."
"Il potere...."
"Il potere può essere sconfitto solo da altro potere. Ma che senso c'è in tutto questo se poi il potere divora se stesso?" conclude Jill per lui, posando lo sguardo sull'Uruboros che sorveglia le prime fiale di virus.
"Il potere rende liberi. Il potere concede la vittoria. Attraverso la vittoria sono finalmente padrone del mio destino."
"Star Wars? Ti ci vedo come Sith." ribatte Jill, ma Wesker pare non cogliere alcuna citazione.
"L'umanità si è cullata nella sua debolezza per troppo tempo. Non sto distruggendo il mondo, Valentine; lo sto salvando."
Jill cerca gli occhi di Wesker e vi legge una sincerità così assoluta che, per un attimo, è tentata di credergli.

"Ancora sveglia?"
Jill sorride suo malgrado.

****

La sua voce ha sempre avuto un'inflessione particolare, un tono strascicato e che vibrava sulle ultime sillabe - un ruggito malcelato.
Quando perdeva la pazienza (e accadeva più spesso di quanto si potesse pensare) non urlava, ma calcava con più forza sulle sillabe centrali di una parola e gli occhi viravano a un rosso cupo, quasi sanguinassero.
Digrignava i denti e la pupilla si stringeva fino a diventare una fessura in mezzo a tutto quel rosso, una crepa nerastra e nella quale affogavi senza alcuna speranza.

"I mostri escono di notte, com'è giusto che sia. Non appartengo più al sole."
Un leggero fruscio alle sue spalle.
"Hai sempre detto un mucchio di scemenze."
"Hai sempre saputo come renderti insopportabile."
"Stiamo forse conversando, Valentine?"
Jill emette una risatina sfiatata, asciutta.
"Non posso più rimanere con Chris."
"Un inutile spreco di tempo."
"Non voglio far loro del male."
"Allora non farlo."
"Non so se... "
"Se puoi? Se vuoi?"
Vederlo le strappa ogni briciolo di sanità rimasta.

****

"Mi hanno detto della tua crisi, Jill."
Silenzio.
"Jill, guardami."

"Guardami, Valentine. Guardami."

"Non ne voglio parlare."
La Roach sospira e Jill è sicura di leggervi una punta d'esasperazione nella sua espressione contrita.
"Se continui così non potrò mai firmare i documenti per la tua riammissione nella squadra BSAA. Cielo, Jill; non credo di poterlo fare nemmeno se migliori all'improvviso dopo tutto quello che ho saputo."

"Ti odio."
"Ne sono sicuro."

"Allora non lo faccia."
"Non vuoi tornare dai tuo compagni? Da Chris?"

"Non tornerò mai a casa."
"No."
"Quello che mi aspetta è tutto qui, in questo laboratorio."
"Sì."
"Perché?"
"Perché mi sei utile."
"Hai già il mio sangue."
"Non quello di Chris."
"E quando l'avrai? Morirò? Mi lascerai finalmente libera di morire?"
"No."
Jill aveva pianto per l'ultima volta.

"Non posso."
"È ancora lui che te lo chiede?"
"Lui non chiede; lui ordina."
"È morto, Jill."

Gli aveva tagliato la gola.
Gli aveva piantato l'asticella degli occhiali nel collo, aprendolo da parte a parte, approfittando di un momento di distrazione - le stava sistemando l'impianto per il P30 sul petto.
Wesker era caduto a terra senza un suono, il sangue gocciolarle lungo il mento e sulle labbra.
Aveva quasi raggiunto l'uscita del laboratorio quando un crack sospetto le aveva fatto cedere la gamba, la rotula schizzarle fuori dal ginocchio come una pallina da golf.
"Sei sempre stata una spina nel fianco, Valentine." le dice, la ferita ora solo una pallida cicatrice rosata "Ma apprezzo il tuo sciocco coraggio."
"Fottiti."
Il calcio che le aveva assestato era stato sufficiente a farle perdere conoscenza per altri tre giorni.

"Non può morire. Io ci ho provato. Non muore. Non muore mai." sibila, e spezza i braccioli della poltrona.
"Lo hai visto, Jill. Lo hai visto soffocare nella lava. Hai visto la sua testa esplodere mentre Sheva e Chris lo colpivano. Tu l'hai visto."

"Puoi morire?"
Wesker le aveva regalato un'occhiata annoiata, distogliendosi appena dal suo laptop.
"Può forse morire Dio?"
"Se la gente smette di crederci, sì."
Wesker aveva alzato un sopracciglio, una piega derisoria stendergli gli angoli della bocca.
"Ma io sono in carne e ossa. Come puoi smettere di credere in ciò che vedi?"
Jill si era seduta al suo fianco in silenzio.

"Non è morto."
La penna della Roach si abbassa e scrive qualcosa - probabilmente la sua estromissione dal BSAA.
Le sue dita sulla nuca non smettono un secondo di stringere.

****

"Sto impazzendo."
"Forse."
"Perché mi perseguiti?"
"Pensavo fossimo una squadra."
La tazza si frantuma contro il muro, macchiandolo di caffè.
"Tu mi hai reso quella che sono. Tu mi ha distrutto. Tu mi ha reso questa... questa cosa spezzata e inutilizzabile."
"Sbagliato. Io ti ho resa migliore; più forte, più veloce, più..."
"Simile a te."
Il telefono di Jill comincia a squillare.

****

C'è qualcosa che non va, Chris ne è sicuro.
Corre su per le scale del condominio di Jill, il sudore una patina gelida lungo la schiena.
La porta del suo appartamento è sulla sinistra e Chris la sfonda con un calcio, pistola in pugno e disperazione negli occhi.
Il suo cuore manca un battito.

****

"Questa è nostra ultima seduta. Ne sei consapevole, Jill?"
"Sì."
"Ho consigliato per te un'ottima struttura nel Maine. Sono sicura che lì potranno aiutarti."
Jill sorride, ma c'è qualcosa d'inquietante nel modo in cui contrae le labbra - una smorfia che Chris avrebbe riconosciuto tra mille.
"Ne sono certa."
"Jill... lo vedi ancora?"
"Sempre."
La dottoressa Roach si schiarisce la gola, inclinandosi in avanti.
"E dov'è adesso?"
"Dietro di lei."
La Roach annuisce, trattenendosi dallo spostarsi.
"E cosa fa?"
Il sorriso di Jill diventa un tetro snudar di denti.

****

Chris si appoggia allo stipite della porta per non crollare, gli occhi di Leon che non lo lasciano un attimo.
"Non può essere." mormora, passandosi una mano sul viso tirato "Jill non lo farebbe mai."
"C'era solo lei nella stanza con la dottoressa Roach, e tutti noi abbiamo visto cosa ha fatto al suo appartamento."
Chris annuisce debolmente, ricordando le tende strappate, gli specchi frantumati e tutti quei mobili rotti, nel centro della stanza lei.

"Jill... che cosa hai fatto?"
Gli dà le spalle ed è nuda - l'impianto per il P30 che le corre lungo tutta la schiena come un filo argentato.
"Vattene, Chris."
Redfield abbassa la pistola, avvicinandosi.
"No. No, Jill, non lo farò."
Jill china il capo, i capelli candidi che le scendono sulle spalle come un sudario.
"Ti ucciderà."
Chris si avvicina ulteriormente, sfiorandole un braccio.
"Chi?"
Jill si volta di scatto e i suoi occhi non sono mai stati così vivi - così folli.
"Wesker."

"È una ricercata, adesso."
"Non è stata colpa sua."
Leon sospira, stirando il collo per allentare la tensione.
"Lo diciamo da quando è tornata dall'Africa, ma la verità è che il Governo voleva la sua testa molto prima."
Chris bercia una bestemmia, chiudendo la mano a pugno fino a far sbiancare le nocche.
"Il P30... "
Leon gli stringe il polso il una morsa quasi dolorosa.
"Possiamo raccontarci quello che vogliamo, Chris, ma Jill non è mai tornata veramente dal Kijuju."
Chris si chiede quanto altro ancora dovrà perdere per colpa di Wesker.

****

"Mi è sempre piaciuta la notte. Racconta di una pace che il giorno non è in grado di regalare."
Wesker la fissa senza alcuna emozione, gli occhi socchiusi e il profilo rilassato.
"Cosa farò adesso?"
Jill mastica una ciambella, osservandolo in tralice.
"Nessuna idea?"
"Nessuna che ti piaccia." le ribatte Wesker, la pupilla verticale da gatto che si contrae quando un paio di fanali illuminano il loro tavolo.
"Sarò sul telegiornale nazionale per domani mattina."
Wesker annuisce, il suo caffè che va raffreddandosi.
"Il BSAA non mi darà tregua."
"Ovviamente."
Jill finisce il suo frullato in silenzio, studiandolo.
"Sei solo il parto deviato della mia immaginazione, vero?"
"Dipende."
"Non sei reale."
"Abbiamo già percorso questa strada, Jill."
"Dovresti bere il tuo caffè."
"Non ne ho bisogno. Sono un Tyrant. Sono immortale. Dio non beve caffè."
Jill sorride senza alcuna allegria, toccandosi distrattamente il petto.
"Brucia ancora."
"E lo farà sempre."
Tamburella con le dita sulla superficie in legno Wesker, mostrando un'espressione annoiata e arrogante allo stesso tempo.
"È tempo di andare, dearheart."
Jill lascia i soldi sotto il menù e si alza, incamminandosi dietro di lui - a tre passi di distanza, come in Africa. Sulle orme di un passato che non vuole lasciarla andare: che non può.
"Dove andiamo?"
Wesker sorride e non dice nulla.

****


La gente del posto la ricorda come 'il Messaggero', ma a lei piace definirsi diversamente.
L'hanno accolta con orrore e paura, un fantasma che torna a camminare tra i vivi.
È l'ombra del diavolo senza occhi, la sua mano adunca e impietosa.
È una donna dai capelli bianchi come il lino e il sorriso vuoto, una bruja.
È una storia che viene raccontata attorno ai fuochi, una sfida per i ragazzi dei villaggi che vogliono diventare uomini - un terrore che spreme le viscere e la mente.
Jill osserva la luna e non si fa più domande, lasciandosi scivolare in quella vita per quello che è.

Dearheart.

Una mano le sfiora le spalle - fredda.

È tempo di andare.

Incede ancora sulle ultime sillabe e le parole gli rotolano sulla lingua, prendendo sfumature pesanti e piene.

È tempo di trovare la pace.

Jill si alza e riprende a camminare.



Note dell'autore: 'dearheart' è come Wesker chiama Claire nel gioco, una presa in giro più che altro, un modo finto morbido d'avvicinarsi alla propria preda. Ho voluto usarlo anche con Jill perché ho come l'impressione che sia una prerogativa del personaggio apostrofare con termini simili le proprie vittime. D'altronde, Dio è un sadico con senso dell'umorismo, no?


   
 
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