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Autore: fireslight    05/12/2014    2 recensioni
L'uomo le aveva rimosso le catene e fasciato i polsi con più delicatezza di quanto lei non si sarebbe mai aspettata.
Poi, lentamente − quasi temesse un suo allontanamento, o un gesto di rifiuto − le aveva posato il proprio mantello sulle spalle esili, coprendola interamente alla vista di chiunque, tranne che allo sguardo fiero e indagatore dei suoi occhi.
[..]
«Potrei rimanere con voi, mia lady.»
«Rimanere con me. In qualità di..?»
«Marito.» la voce roca dell’uomo alle sue spalle, ed il suo respiro caldo sul collo − quand’è che si era avvicinato così tanto? − le avevano procurato brividi che non avrebbe potuto ignorare.

[Orys Baratheon/Argella Durrendon♥][War of Conquest][Pre-GameOfThrones]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Red comet would have shone of blood'
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A light spark in the storm.

 
                                                                                                     


La tempesta infuriava nella notte, mentre tuoni e fulmini si abbattevano sulla rocca a strapiombo sul mare, e la luce dei lampi illuminava come fosse giorno i corridoi di Capo Tempesta. Argella osservava quelle medesime onde infrangersi sulle alte scogliere, quando il castellano della fortezza venne a dirle che i suoi vassalli erano radunati nella sala grande, in attesa di ordini.
Dirigendosi a passi misurati verso la sala, aveva pensato che la corona di suo padre le avrebbe potuto donato conforto.
Le spesse porte in legno erano state aperte e la regina della tempesta osservava disappunto e scetticismo sui volti dei nobili, ma nonostante ciò − ed almeno per il momento − aveva deciso di ignorarli.
«Combatteremo.» aveva detto, giurando solennemente a sé stessa che se i Targaryen avessero voluto le sue terre − e la fortezza di suo padre − allora non avrebbero trovato altre che ceneri e rovine fumanti, «..fino alla morte, se sarà necessario. Finchè il sangue di ogni nostro soldato non sarà stato impiegato per sconfiggere i draghi.»
Il silenzio era stato l’unico a risponderle, e allora la strana consapevolezza di perdita le si era palesata contro, − non della sua guerra, piuttosto quella di fiducia − ad averle fatto temere di non aver fatto abbastanza per la sua gente.
 
 
Stava dormendo, quando vennero a prenderla.
Argella si era ritrovata agonizzante e con la schiena poggiata alle pietre fredde che costituivano le sue stanze, i lunghi capelli scuri sulle spalle e solo una leggera veste di lino addosso, poiché aveva confidato che l’abbraccio delle coperte potesse dissipare il freddo interiore che l’aveva pervasa alcune ore prima.
I traditori l’avevano trascinata contro la sua volontà sino ai cortili della fortezza, gettandole addosso uno sporco mantello scuro, ordinando a mezza voce di indossarlo poiché la notte, a Capo Tempesta, calavano i venti del Nord. Argella, il furore che traspariva sul volto, gli occhi accessi di rabbia − e delusione − che mandavano lampi, si era stoicamente rifiutata di fare un altro passo in avanti.
Fuori pioveva e l’ennesima tempesta si abbatteva sulla rocca, eppure, ancora quasi del tutto svestita, resisteva − così come suo padre aveva resistito alla furia dei draghi, rimanendone schiacciato −.
«Andiamo, mia regina. Sarà più facile se obbedirai.»
Lo schiocco sordo dello schiaffo era stato appena udibile fra lo scroscio dei tuoni, e prima che avesse potuto avanzare la minima protesta, due uomini le avevano stretto forte le braccia, talmente forte che la regina della tempesta s’era sentita mancare per un istante. Lentamente, le porte di Capo Tempesta erano state aperte − lei che le aveva sbarrate con le sue stesse mani, volendo salvare la sua gente, metterla al sicuro fra le mura poderose della fortezza −.
Senza che avesse potuto fermarsi a lottare, l’avevano spinta ad uscire dai porticati e il morso gelido dell’acqua le aveva ormai temprato le pelle nuda delle braccia, i capelli umidi sciolti sul petto e sulla schiena, il tessuto leggero della veste che le aderiva fastidiosamente al corpo.
«Non intendo procedere oltre.» aveva urlato fra tuoni e fulmini, divincolandosi; tuttavia, le sue parole erano rimaste atone, perdute nel fragore della tempesta della quale era stata figlia.
«Camminate.» il ringhio sordo dei traditori, voci che non avrebbe voluto sentire.
Il terreno impervio le faceva sanguinare i piedi, le radici le ferivano le gambe, strappando il tessuto ormai sporco della veste; quando, volendo opporre la sua forza a quella degli uomini che la circondavano, aveva cominciato a correre indietro all’improvviso, le sue mani erano state bloccate da pesanti catene di ferro. Il dolore ai polsi era atroce, così come la vista del sangue che divorandole la pelle, macchiava le braccia spossate dal freddo.
Da lontano, Argella vedeva i suoi nemici, gli uomini mandati dal re Targaryen perché conquistassero le sue terre.
D’un tratto, ogni cosa le era stata chiara.
La sua vita, per quella dei traditori.
Inorridiva, la regina della tempesta, eppure, scortata in catene di fronte la tenda più grande dell’accampamento, conservava la medesima dignità ed il furore di un padre morto, − del quale, nonostante tutto, serbava il più dolce ricordo −.
Aveva scosso un lembo di uno dei mantelli dei suoi aguzzini, guardandolo fisso negli occhi.
«Riportami a Capo Tempesta..» Argella scorgeva di fronte ai suoi occhi freddi come i ghiacci del Nord «..e avrai salva la vita, giuro sulla tomba di mio padre, che avrai salva la vita.»
«Troppo tardi, mia regina. Avreste dovuto pensarvi prima, o volevate che la fortezza facesse la stessa fine di Harrenhal?»
 
 
Il freddo pungeva fastidiosamente, così come la pioggia che lenta e inesorabile, la inzuppava da capo a piedi − come quando era bambina, ed amava la sensazione dell’acqua sulla pelle, correndo per i cortili del suo castello − facendola sentire fuori posto, una voragine di terrore represso e vergogna che non poteva essere colmata in alcun modo.
Il drappello di uomini si era momentaneamente chiuso davanti a lei, impedendole di vedere con chi i traditori stessero parlando.
Poi, immersa in quei lugubri pensieri, quasi non si era accorta delle catene legate ai polsi che, strattonate, l’avevano costretta a farsi avanti, nella speranza di evitarsi ulteriori torture ai polsi insanguinati.
Le gambe le avevano ceduto, ed Argella si era ritrovata tra la terra resa fango dalla pioggia e le radici che le graffiavano ancora la pelle nuda delle braccia − come se di sofferenze non ne avesse già viste e provate molte.
Quando aveva alzato lo sguardo − gli occhi di suo padre furenti, l’espressione sfigurata di vergogna e rabbia cocente −, la regina della tempesta aveva scorto fra le nebbie della pioggia la sagoma alta e possente di uomo.
«Come richiesto.»
I traditori avevano pronunciato parole di scherno, in minima parte di asservimento verso il nemico.
«Vi avevo chiesto di persuadere la vostra regina alla resa, non di portarmi una delle sue ancelle.»
Argella sentiva la risate degli uomini alle sue spalle, le catene tirare bruscamente in modo da farle alzare il busto ricurvo sulla schiena a causa del ferro ai polsi, e in seguito, gli occhi insolitamente chiari della sagoma indistinta posarsi sulla sua figura.
Non aveva fiatato, eppure la sua coscienza urlava parole di condanna, di resa interiore − perché anche per la tempesta giunge il sole, per lei, la sua fine −.
L’uomo che aveva parlato per secondo le si era inginocchiato di fronte, piegando il capo di lato come per risolvere un enigma piuttosto complicato, ed aveva osservato le sue vesti ormai lacere e sporche; se solo ne avesse avuto la forza si sarebbe ribellata, eppure, a volte ricordava che non vi era vergogna tanto nella resa quanto nell’accettarla passivamente. Se avrebbe dovuto arrendersi, prima avrebbe lottato.
«Ma infatti, è lei.»
Uno degli uomini che l’avevano svegliata nel mezzo della notte per condurla fin lì, era stato il castellano della fortezza quando suo padre era ancora vivo. Un uomo che aveva conosciuto e rispettato sin da bambina, e che adesso l’aveva tradita miseramente, solo per aver salva la vita, per la codardia dimostrata nel rifiuto di combattere per la libertà.
Lo sconosciuto le si era avvicinato e lei, istintivamente, si era fatta indietro.
Quasi non prestandole attenzione, le aveva rimosso le catene e chiamato un maestro, le aveva fasciato i polsi con più delicatezza di quanto Argella non si sarebbe mai aspettata.
«Il mio nome è Orys Baratheon.» aveva sussurrato, il tono basso e misurato di chi non era abituato alle gentilezze.
Conosceva quel nome. L’uomo che le stava di fronte era il fratello bastardo del signore dei draghi, ed uno dei suoi generali più fidati e capaci. Improvvisamente, la regina della tempesta aveva assecondato l’istinto della repulsione verso chi sentiva come estraneo ed usurpatore del proprio titolo, e della propria libertà.
«Argella Durrendon.»
«Volete che li faccia uccidere?»
Gli occhi dell’uomo si erano alzati impercettibilmente sui traditori alle sue spalle, facendo un cenno silenzioso alle guardie disposte nei pressi dell’enorme tenda di prepararsi ad ogni eventualità.
«Risponderanno del loro tradimento a me.»
Argella tremava di freddo sotto la pioggia, e lentamente − quasi temesse un suo allontanamento, o un gesto di rifiuto − Orys le aveva posato il proprio mantello sulle spalle esili, coprendola interamente alla vista di chiunque, tranne che allo sguardo fiero e indagatore dei suoi occhi.
L’aveva aiutata ad alzarsi da terra e sorreggendola, l’aveva condotta all’interno della propria tenda.
Alcuni attimi dopo, Argella aveva sentito le urla dei traditori innalzarsi sino al cielo nuvoloso simili a raccapriccianti tuoni, alla stregua di un’ultima richiesta di aiuto ormai ignorata.


                                                                                                  


Orys Baratheon aveva comandato che fosse curata nei migliori modi, che le fosse concesso un bagno caldo, abiti puliti e del cibo.
Tuttavia, lei temeva che quell’innata gentilezza altro non fosse che un modo per assicurarsi la sua benevolenza e probabilmente, così era. Eppure non le importava più di tanto il motivo, piuttosto il fatto di non essere più sotto la tempesta che ormai da ore assediava la regione come in una battaglia impossibile da vincere.
«Capo Tempesta ha aperto le sue porte..»
La voce di Baratheon l’aveva spaventata per poco, in seguito Argella lo aveva fissato con serietà, − con l’ombra di un furore mai del tutto domato negli occhi −.
«.. eppure ho ordinato che il mio esercito non vi entrasse ancora.»
«Se avessi avuto la possibilità di agire diversamente, questo non sarebbe successo.»
Il calore del fuoco nel braciere al centro della tenda riscaldava il suo corpo, ma il freddo della sconfitta pervadeva il suo animo quasi dolorosamente; Argella era rimasta ritta in piedi, immobile come una statua.
L’uomo aveva fatto alcuni passi verso la sua figura, e quando lo aveva sentito dietro di sé sfiorarle un braccio − impercettibilmente, quasi non volesse spezzarla − aveva chiuso gli occhi, lasciando che un senso di torpore le avvolgesse le ossa, sino ai muscoli.
«Sedetevi.»
Aveva obbedito, tuttavia senza prestare attenzione più di tanto ai propri movimenti, né allo sguardo di Orys Baratheon che non osava abbandonare il suo viso. Sembrava quasi che fosse attirato verso di lei da qualcosa di primordiale e inconcepibile, come se potessero davvero andare oltre il ruolo che gli avvenimenti avevano loro imposto.
Orys le aveva versato una coppa di vino che lei non aveva neanche minimamente guardato, concentrata invece a rimirare le alte fiamme nel braciere alle spalle dell’uomo.
«Il vino non è di vostro gradimento, a quanto pare.»
«Non ho sete.»
«Non avete mangiato niente. Avrete fame.»
Argella aveva alzato lo sguardo su di lui, accorgendosi per la prima volta di quanto i loro occhi fossero simili, eppure non riusciva a vederlo diversamente, − se non come il vincitore al quale lei, da vittima, era stata consegnata. Quel pensiero aveva il potere di farla sentire sporca, e a disagio con sé stessa.
«Non ho fame, né sete. E risparmiatevi i convenevoli, non ho bisogno della vostra pietà.»
Un sorriso aveva solcato il volto dell’uomo, − una smorfia che, tuttavia, non era di scherno.
«Sapete..» aveva cominciato, versandosi del vino e vuotando la coppa in un unico sorso, «.. ho conosciuto un uomo, pochi giorni fa, per certi versi simili a voi. Un uomo coraggioso oltre ogni dire, certamente.»
La regina della tempesta lo ascoltava, eppure non voleva davvero stare a sentire le sue parole, né tantomeno la sua voce.
«Un uomo con i vostri stessi occhi determinati ed orgogliosi.»
Orys Baratheon si era sporto sul tavolo attorno al quale erano seduti, lo sguardo acceso di qualcosa che lei aveva classificato come malcelato rispetto per l’uomo del quale stava parlando; Argella ricordava dei giorni seguenti la morte di suo padre.
Argilac Durrendon era perito in battaglia contro l’esercito di Baratheon pochi giorni prima che questi si accampasse a ridosso delle mura di Capo Tempesta. Quando i suoi esploratori lo avevano trovato morto, − una spada a trafiggergli le viscere − lei aveva comandato che fosse rivestito della sua armatura, sepolto con la sua arma in un punto della fortezza in cui nessuno sarebbe andato a disturbare il suo sonno.
Adesso, tutto le appariva chiaro.
«Non osate parlare di mio padre.»
«Vostro padre..» nel tono controllato dell’uomo poteva scorgere il desiderio di espiare la sua colpa, «.. è morto con onore.»
Quella consapevolezza le aveva tolto il fiato dai polmoni, facendole provare la necessità di incamerare aria più di quanto i suoi organi non potessero fare. Il dolore, a quel punto, era troppo da sopportare.
Era rimasta in silenzio, osservando le fiamme nel braciere, quasi ipnotizzata dai loro movimenti flessuosi.
«Mia lady, arrendetevi, e Capo Tempesta non sarà distrutta. Arrendetevi, e continuerete a governare le vostre terre in nome di..»
«Di un estraneo venuto da Essos, certo. Aegon il Conquistatore, conosco il suo nome.»
«Aegon è l’unico vero re dei Sette Regni, e prima lo accetterete, meglio sarà per voi.»
Argella non lo guardava, preferendo isolarsi nella propria corazza di finta indifferenza.
«Aegon vi sta offrendo un’opportunità.»
«Aegon non è qui.»
Orys aveva sospirato, sorpreso di quanta determinazione lei potesse mostrare. Eppure, si era detto che incarnava perfettamente lo spirito del padre defunto. Aveva il suo stesso carattere, il medesimo orgoglio.
«Per quanto mi riguarda..» aveva ripreso la regina della tempesta, senza dargli il tempo di ribattere «.. siete voi che mi state offrendo una resa pacifica.»
Cominciava a comprendere dove volesse andare a parare e l’idea, più che renderlo scettico − come il pensiero di quanti e quali matrimoni la regina Rhaenys avesse pensato per lui al fine di unire il dominio dei Targaryen a questa o quella casata, − lo rendeva curioso.
E la curiosità sin da che ne avesse memoria, era uno dei suoi difetti.
«Le cose non cambiano, mia signora. Aegon mi ha dato l’autorità per venire fin qui, per portargli la fedeltà di Capo Tempesta.»
Argella si era alzata di scatto, fermandosi a pochi passi dalla sua figura alta e slanciata presso l’elaborato braciere, fissandolo intensamente.
«Aegon non è qui.» aveva ribadito, ed Orys aveva avuto l’impressione che i suoi occhi azzurri potessero leggergli sin dentro l’anima. Tutto di quella donna lo intrigava, come nulla era mai riuscito a fare. Orys non era mai stato il ritratto della fedeltà nei confronti di una donna, né della responsabilità, piuttosto la sua fama ed il temperamento fiero lo precedevano.
Argella Durrendon, tuttavia, sembrava il tipo di donna che ispirava fiducia ed una sfida all’altezza delle sue aspettative. Orys avrebbe voluto imparare a comprenderla sino in fondo, a starle accanto senza pretendere nulla in cambio.
Che quella donna lo stesse cambiando, o che fosse destinata ad essere solo una delle sue tante conquiste, questo non poteva essere stabilito così, dall’oggi al domani.
«Potrei rimanere con voi, mia lady. Ed assicurare che Aegon rispetti le sue condizioni..» aveva detto, senza comprendere davvero fin dove si fosse spinto, «.. e le vostre, se ne avete.»
Argella si era voltata di scatto, nuovamente, osservandolo come se non potesse credere alle sue parole e contemporaneamente, analizzandone il significato.
«Rimanere con me.» quella, più che una domanda, era l’affermazione che Orys attendeva, «In qualità di..?»
«Marito.» la voce roca dell’uomo alle sue spalle, ed il suo respiro caldo sul collo − quand’è che si era avvicinato così tanto? − le avevano procurato brividi che non avrebbe potuto ignorare, e l’idea non la disgustava come all’inizio; aveva ucciso suo padre, le aveva tolto la libertà, quasi distrutto Capo Tempesta; tuttavia Argella sentiva di potersi fidare di Orys Baratheon come se l’avesse sempre conosciuto.
«Marito.»
Orys l’aveva sentita masticare ogni lettera della parola in questione, come se dovesse semplicemente abituarsi all’idea.
«E il vostro re ve lo concederebbe?»
Lui aveva sorriso, sino a giungere davanti la sagoma minuta della donna, osservandola attentamente negli occhi così simili ai suoi.
«Ne sarebbe entusiasta.»       
Argella aveva sorriso − debolmente, forse scettica al pensiero di un matrimonio imminente − eppure Orys aveva potuto scorgere nell’espressione del suo volto un sincero sollievo, una fiducia che nessuna donna aveva mai riposto in lui, come se a dispetto della guerra, entrambi potessero essere d’accordo su un’idea così immediata e imprevista.
 
Avrebbero imparato a rispettarsi, a convivere insieme, eppure − nel profondo, non era un pensiero da esprimere ad alta voce, almeno per ora − Orys sperava che lei avrebbe potuto concedergli di amarla.
 
 
 
 
 
 






Note dell'autrice.
Dunque, ammetto di aver cominciato a shippare questa coppia da tempo, eppure dopo aver letto la parte in questione sul loro incontro, ne sono rimasta colpita ed ho voluto immaginare con questa shot, il loro primo incontro a Capo Tempesta. Credo che Argella fosse una donna di quelle assolutamete badass e che Orys avesse così trovato pane per i suoi denti in quanto a testardaggine, fierezza e determinazione. Che poi, io Orys Baratheon me lo immagino così (
http://oi61.tinypic.com/23ll75g.jpg
) e non come raffigurato sull'enciclopedia di zio Martino (?).
Questa è la seconda storia scritta nel periodo pre e durante la Conquista di Aegon I Targaryen e delle sue sorelle, region per cui, in base a contesti, situazioni ed ispirazione, ci saranno altre shot che faranno quindi parte di una raccolta.
Alla prossima, spero vi sia piaciuta e che vogliate farmi sapere cosa ne pensate (e di averveli fatti shippare anche a voi, aw
), alla prossima,
fireslight.

 
 
 

 
  
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