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Autore: Horrorealumna    05/12/2014    0 recensioni
Ed io sapevo di essere una “predestinata”. Chiamatela intuizione, o perfino stupida convinzione di piccola sognatrice qual’ero. Pensavo di essere destinata a grandi cose e sotto i sorrisetti e le poesie recitate a memoria davanti alle famiglie che venivano a trovarci, dietro la stanza pulita e i lunghi capelli sempre in ordine, le visite ai templi e chiese, diventavo pian piano l’incubo più grande dei miei compagni.
Genere: Dark, Drammatico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti, Yuno Gasai
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti
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◊ Di come l'eterna Seconda venne al mondo
ed ebbe un nome ◊

 
 
Della mia infanzia non conservo molte memorie, e la maggior parte di queste – o di quello che rimane – è offuscata da ben altri pensieri. Penso di essere cresciuta come una normalissima ragazza, o forse il solo desiderio di qualcosa del genere ha preso il sopravvento sui miei pensieri, dandomi l’impressione di sapere cosa mi sia capitato durante i primi miei anni di vita.
Ricordo solo un palazzo grigio.
Un orfanotrofio e una foto, oramai priva di colori, piena di graffi e coperta di polvere. Nacqui là, una notte stellata di Novembre; di mia madre non ricordo il viso, l’odore, la voce... nulla. Mio padre non é mai esistito, non era là quando venni alla luce. E lei, la mamma, era forse troppo giovane; non poteva tenermi, o forse qualcosa glielo stava impedendo.
Probabilmente c’era qualcosa di più importante, più urgente... io ero la seconda priorità.
Perché non mi uccise, allora?
 
Lei mi battezzò col nome che ancora porto e mi abbandonò quella stessa notte, in fasce, sull'uscio di quell'orfanotrofio, tra bambini urlanti e tutrici. Quella tortura... quattro anni passati a cercare sempre e inconsapevolmente di apparire la più pulita, la più ordinata, la più bella e amabile, più ubbidiente e rispettosa bambina dell’istituto, nella speranza di essere finalmente accettata in qualche altra famiglia. Una casa, una nuova mamma e un papà. Era il sogno di tutti noi, e ognuno faceva del suo meglio per non perdere di vista questo obiettivo.
Dicevano fossi bella e brava, quei giorni.
 
Ed io sapevo di essere una “predestinata”. Chiamatela intuizione, o perfino stupida convinzione di piccola sognatrice qual’ero. Pensavo di essere destinata a grandi cose e sotto i sorrisetti e le poesie recitate a memoria davanti alle famiglie che venivano a trovarci, dietro la stanza pulita e i lunghi capelli sempre in ordine, le visite ai templi il primo dell'anno - e persino alle chiese, diventavo pian piano l’incubo più grande dei miei compagni.
Ero molto difficile da soddisfare, la compagnia non mi piaceva; adoravo il silenzio e leggere i miei libri di fiabe in pace, sola. Giocavo coi miei “amici” a malapena, non mi facevo coinvolgere nelle loro rocambolesche e sporche corse in cortile, nel fango delle frequenti piogge autunnali; odiavo le bambole delle mie coetanee, più volte mi capitò di decapitarle quando loro non c’erano e mi divertiva vederle piangere e cercare in lungo e largo per l’intero orfanotrofio la testa del loro prezioso giocattolo.
La stanza in cui passavo la maggior parte del tempo era la mia piccola camera da letto, che dividevo con una bambina poco più grande di me. Non ricordo il suo nome, non mi era mai interessato neanche allora. Questa adorava giocare con delle sue bambole di pezza, le faceva raccogliere attorno ad un basso tavolino bianco e faceva finta di offrire loro del buonissimo e caldo the inglese; lei invece sedeva su una poltroncina, proprio accanto ai balocchi, e ogni pomeriggio, sfinita, usava addormentarsi là. Odiavo tutto quel suo trambusto, odiavo i suoi giocattoli, odiavo vederla ammirata dalle famiglie e coccolata dalle tutrici per la sua bellezza e vivacità. Dovevo aver avuto tre anni quando la brillante idea di versare colla liquida sui suoi bei capelli mentre dormiva mi passò per la testa... avreste dovuto vederla, urlare e piangere come mai prima di quel momento, quando scoprì che le tutrici avrebbero dovuto tagliarglieli quasi completamente!
Naturalmente nessuno sospettò di me. E come potevano? Non ero un angioletto? Apparivo così perfetta, che solo pochi avrebbe avuto il solo mero coraggio di indicarmi come colpevole dell’accaduto.
 
La mia nascita fu una maledizione.
Ma sono abbastanza felice di essere qui, dopotutto. Ero la “predestinata” alla grandezza, il primo posto doveva essere il mio. In tutto. A me piaceva così.
Cominciai ad abituarmi all’idea di essere speciale, la numero uno, quando una tutrice - quasi quattro anni dopo la mia nascita, mi annunciò che una famiglia abbastanza importante, nella città vicina, Sakurami, era intenzionata a adottarmi. Il mio obiettivo e più grande sogno sembrava essersi avverato: ero diventata desiderabile, adorata e amata. Forse avrei trovato finalmente la pace; il solo pensiero di lasciare quell'orfanotrofio, dopotutto, mi riempiva il cuore di gioia: tra tutti quei bambini e bambine, volevano scegliere me. Me.
 
Questa coppia mi sembrò così pacata e tranquilla, quando li vidi dopo l’annuncio, che quasi dimenticai ogni mia marachella o stupido fastidio arrecato agli altri bambini dell’istituto. Mi fecero domande, io risposi col sorriso e con timidi cenni del capo, li ascoltai attentamente e capii: erano loro i miei nuovi genitori, la mia famiglia.
 
Mi portarono via da quell’orfanotrofio; mi accolsero in casa, mi mostrarono che avevano una cameretta solo per me, arredata alla perfezione, uno spazio in cui poter leggere, in futuro studiare, e giocare. Lui si chiamava Ushio, lei era Saika.
Io divenni Yuno Gasai, figlia adottiva dei due più ricchi e importanti banchieri della città. Finalmente, la prima. 



 
   
 
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