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Autore: Elric_Kyoudai    03/11/2008    8 recensioni
Al percepì, nella voce del fratello, una totale assenza di… tono. Era come asettica, quasi uscisse da un guscio di metallo – non un’armatura in cui era imprigionata un’anima, ma un contenitore, una lattina. Ne usciva un insieme di suoni modulati ma totalmente estranei, freddi. Un collettivo di parole che parevano pronunciate da un computer, non da una persona – non da un fratello che dovrebbe usare solo toni dolci, o perlomeno umani. (Un pizzico - ma quasi invisibile - di Elricest, Emo!Psycho!Ed)
Genere: Dark, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Alphonse Elric, Edward Elric
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Zan zan zan.

Questo è l'ultimo capitolo.*tolgono cappelli dalla testa per rispettare un minuto di silenzio*

... Ma don't worry, be happy!*O* Ci sarà anche l'epilogo, insomma è_é! E quindi voi non verrete qua ad ucciderci con delle grandi mannaie vero?ç_ç *fanno occhi cucciolosi*.

Insomma, siamo strafelici di come Miedo sia piaciuta. E vi ringraziao tutti quanti dal profondo del cuore. Grazie, grazie, grazie!*w*

E ora, let's respond ai comment!

Red Robin: No no, niente incesto qua XD Cioé forse un po' - ma insomma, da due maniache non puoi aspettarti niente di diverso. Comunque non avere paura XD Qua l'incesto rasenta lo zero assoluto, Edo è solo ossessionato da Al. Un "po' più" del solito.*smirk* Comunque sì, qui Edo è allegramente bipolare xD<3

Damaris: Gwa, pensare che ti riportiamo alla mente King è amore çOç! Grazie mille per il commento stupendo, ci fai gonfiare d'orgoglio e amore çOç Purtroppo qua scarso aMMMore, però insomma, abbiam compensato da altri fronti, no?XD

Liris: DEVE far paura!*__* *risate diaboliche qua* Qua scoprirai misteriosi arcani...çOç! *si guardano intorno e scappano* visto che siamo ormai alla fine è_é

FIghtClub: Grazie XD!

Elmeren Kun: Edo è talmente preso dalla paura che Al scappi che è disposto a tutto pur di farlo restare lì con lui. Infatti del dolore che provoca al fratellino non ne prende assolutamente nota XD L'importante è che lui stia a casa col suo niisan.ù_ù Siamo contente che sia stata apprezzata, Edo è tutto merito di Mika ;_;!*ammira la sua donnina*

Chibisimo: eccoci eccoci çOç *coccola* Qua pronte, sei contenta?*^* Abbiam avuto dei *piacevoli*ammicca** contrattempi, ma ora siamo qui è_é! E sì, hai preso i nomi e i... ruoli XD Grazie mille ancora *w*

Shiba96: Edo rende perché è guidato da manine d'oro çOç<3 Grazie mille per tutti i complimentiii >///<

Saku: XD Tranzolla, è qua e non scappa è_é! Grazie mille tata *w*

 

E ora, visto il grande successo, sono aperte le donazioni alla "Salviamo il piccolo Alphonse da questo amore fraterno", l'indirizzo a cui mandare i soldi è Al-*viene trascinata via dalla sua donna ;A;!!!!*

 

Let's start xDDD

 

 

 

 

Stava sdraiato sul letto, il braccio contro la fronte e il respiro affannoso.

Non aveva fatto altro che trattenere le grida per tutta la notte - prima mentre suo fratello lo curava, poi per il dolore pulsante, concentrato sul taglio, sul bozzo che si era venuto a formare nella sua gamba. Si sentiva come se avesse mille aghi infilzati, mentre la sua pelle aveva un colore poco piacevole. Mugugnava, mordendosi le labbra.

Appena aveva fatto giorno, Edward gli aveva dato un bacio sulla fronte, sorridendogli.

"Vado a fare la spesa, tu non muoverti, ok?" gli aveva detto sorridendo, felice che quella volta non avrebbe tentato di scappare.

E ora era lì, solo, con una gamba rotta e un macigno sul cuore.

 

Edward camminava a passo svelto, nervoso, mentre non riusciva a smettere di torturarsi – le dita, le unghie, gli abiti. Non riusciva a svuotare la mente, in circolo aveva troppa adrenalina per rimanere tranquillo. Ogni minimo rumore acuiva la sua tensione, mentre si avvicinava al centro del paesino. Forse, immergersi nella folla – quasi come annegare – lo avrebbe distratto. Sussurrava, tra i denti, monosillabi incomprensibili, fissando in basso la strada che calpestava con mirata forza, quando andò a sbattere, goffamente, contro una persona.

“Ohi, fai atten- Fullmetal?"

Contrariato alzò lo sguardo, incontrando l'unica persona che non avrebbe voluto vedere né in quel momento, né mai.

Roy Mustang lo guardava dall'alto dei suoi infiniti centimetri in più, sogghignando felicemente per l'arrivo del diversivo.

"Che ci fai qua?"

“Le interessa davvero? Non credo.”

Qualsiasi traccia di affettata gentilezza, o perlomeno educazione,con cui aveva forzatamente imparato ad impastare la voce – imposizione di Al, dopo la trasmutazione ben riuscita –, era scomparsa totalmente, per lasciare spazio unicamente all’acido e all’odio.

Cosa faceva lì? Lo credeva, in verità, in viaggio verso Alphonse. Di sicuro erano riusciti a mettersi d’accordo, in quale modo, e quell’uomo detestabile sarebbe riuscito a salvarlo, no?  Era forse in ritardo?

“Potrei chiederle la stessa cosa.”

"Fullmetal."

Roy alzò il ghigno, assieme alle buste della spesa che aveva in mano.

"Cosa vuoi che faccia qui, a quest'ora? - domandò, palesando la risposta ovvia. - Hai il cervello atrofizzato?"

“Non potevo immaginare che lei sapesse fare qualcosa di utile alla società come questo.”

L’irritazione che gli provocava era mille volte superiore a quella solita.

Doveva distrarlo? Il piano suo e di Alphonse era quello di tenerlo lì più a lungo possibile, in modo che il fratellino scappasse? Ah, avrebbe fallito di certo. Con quella gamba, non sarebbe andato da nessuna parte, mai.

Gli sfuggì un sorriso sghembo, strano, che strideva enormemente nel suo viso.

E Mustang lo notò, stranito.

Certo, secondo lui il Fullmetal non c'era mai stato tanto con la testa - cioé, nel modo meno crudele del termine.  Ma aveva qualcosa di strano. Proprio a pelle. Gli occhi erano stanchi, appesantiti dalle borse, eppure con quel barlume che li rendeva spaventosamente vivi. Forse anche troppo.

"E' utile al mio stomaco, direi. Tu che ci fai qua da solo?"

Non fare il finto tonto, idiota di un Mustang.

“Alphonse non sta tanto bene. Sono venuto a prendergli qualcosa per farlo stare meglio.”

Una bugia talmente gelida, ma pronunciata con un’affettazione talmente sottile da farla apparire reale.

Non riusciva a non risultargli particolarmente odioso e irritante, quell’uomo. Il sopracciglio alzato, la forma delle labbra, persino la postura del corpo semi immobile.

Ti sei aggrappato ad un’ancora così fallimentare, Alphonse, piuttosto che stare con me?

"Ma... come, sta ancora male?"

Sapeva che Al aveva ancora qualche problema con il suo nuovo corpo - nonostante di tempo ne fosse abbondantemente passato. Ma erano passati giorni (settimane?) da quando lo aveva sentito al telefono.

... gli venne in mente che l'ultima volta che lo aveva sentito la linea era improvvisamente caduta. Ma lasciò correre il pensiero, pensando a un semplice guasto.

"Ma di preciso cos'ha? Influenza?"

Ingenuità.

Il taisa continuò a fissarlo, sperando di capire qualcosa di più di ciò che veniva fuori dalle labbra dell'alchimista d'acciaio.

“Non riesce ad alzarsi dal letto, letteralmente. Si può togliere dalle scatole, ora che mi ha fatto il terzo grado, e farmi passare? Alphonse mi aspetta.”

Un tono irritato, e una strana inflessione nel pronunciare il nome del fratello.

E poi, da quando lo chiamava per nome intero?

"Scusa se voglio sapere come sta Al."

E perché sentire lui, quell’uomo detestabile, abbreviare il suo nome aumentava la sua rabbia?

Si scostò di lato, lasciandogli la strada sgombra - trafficata da decine di persone.

"Se non mi dici cos'ha allora verrò a trovarlo..."

Lo sapeva, maledizione, lo sapeva!!

“No.”

Fu un monosillabo di un’ira incontenibile, sottile e stridente, che trapanò il cervello di Roy.

“Sarebbe inutile.”

"Non dovresti decidere per lui. Se non può alzarsi dal letto, sai che noia."

Tentò di dissimulare, vedendolo trattenere qualcosa più forte di lui.

Non riusciva ad essere convinto delle sue parole. Avevano una punta troppo evidente di fastidio.

Come se stesse ipotizzando chissà quale danno alle sue spalle.

“Sì che decido io per lui, sono suo fratello maggiore. Non ha bisogno di visite, soprattutto delle sue. Si toglie, ora?”

Edward, pugni chiusi in tasca, si stava sforzando enormemente per non saltargli al collo e morderlo come una fiera impazzita.

"Ok, ok..."

L’adulto indietreggiò di qualche passo, ridendo in maniera irritante, almeno all'orecchio del maggiore degli Elric. Poggiò una busta a terra, sventolando in aria una mano - come ad accomodare le sue inutili e (più del solito) sgarbate richieste.

"Comunque verrò comunque, almeno per un salutino."

Riacchiappò la busta, sollevando un sopracciglio e tentando l'impossibile.

"Potrei venire ora, no? Un salutino rap-"

“Ho detto di no, in quale lingua glielo devo dire per farglielo capire?!”

Come un fiume in piena, la furia di Ed si svuotò addosso all’uomo che si trovava davanti.

“Alphonse non ha bisogno che lei gli faccia un inutile saluto, ha solo bisogno di riposo e delle MIE cure, di lei non ha assolutamente bisogno!!”

Non ha bisogno di nessuno che non sia io.

Roy Mustang non poter fare altro che alzare un sopracciglio e alzare le spalle.

"Come ti pare." rispose, deciso a non continuare la conversazione. Strinse la presa intorno alla plastica delle buste, voltandosi per dargli le spalle.

"Allora ciao, Fullmetal Tappo. Salutamelo tu."

“Nemmeno per sogno.”, sibilò quello, con astio e odio. Lo osservò per un attimo andarsene in una direzione opposta a casa sua.

Lo stava prendendo in giro, credendolo di gabbarlo così – si sarebbe diretto verso Al appena avesse girato lo sguardo da un’altra parte?

Le congetture, tutti quei macchinosi pensieri, gli procurarono un mal di testa atroce. Decise che sarebbe stato meglio tornarsene a casa – in fondo, stava male sia dentro che fuori quelle quattro mura. Delle due, era di certo migliore sorvegliare il fratellino.

Stava male, in fondo, no?

 

Entrò in casa con gesti secchi e nervosi. Buttò le chiavi a terra, noncurante della loro sorte. Un silenzio ingombrante circolava per le stanze, impregnando le pareti. Non c’era traccia di vita.

“Alphonse? Alphonse? Dove sei?!”

E poi, sentì debole un sospiro, uno sforzo, un rumore di qualcosa che si scontrava con l'acqua del gabinetto.

Sicuramente Alphonse non gli avrebbe risposto, in quel momento. Stringeva e rilassava le dita sulla tazza del water, mentre il suo stomaco ballerino premeva per buttare fuori ogni cosa dentro di sé - possibilmente anche lo stomaco e tutto il resto.

Edward, con un moto di amore fraterno ricomparso da chissà dove, si fiondò in bagno.

“Alphonse, che diavolo hai?!” domandò istericamente, come se non fosse già abbastanza evidente.

Quello non rispose, scosso da un altro conato. Sentiva la gola bruciargli, mentre l'acido risaliva su per l'esofago. Ormai si era svuotato di tutto - anche se imperterrito lo stomaco continuava a comandargli di rimettere l'anima.

Il maggiore, improvvisamente, si sentiva confortato e tranquillo. Era ancora lì, nessuno era venuto a prenderlo. Si sentì battere forte il cuore di gioia.

“Sei ancora qui, ancora mio…”, bisbigliò, raggiante, impossibilitato  a contenere tutto. Senza il minimo sentore dell’immenso dolore fisico e mentale dell’altro, privato di qualsiasi empatia, quasi fosse stata succhiata via in un colpo solo.

Alphonse respirò pesantemente, cercando di recuperare il controllo di sé.  Era tutto un bruciore, un dolore intenso che pulsava nella gamba, e che dal petto percorreva gola, cuore, polmoni. Anima.

Non ebbe il coraggio di voltarsi e guardare il viso di suo fratello. Aveva troppa paura di vedere un mostro, e di perdere ogni ultima immagine di quello che Ed era una volta. Sì limitò ad ansimare, senza staccare gli occhi dalla tazza del water - l'odore rancido del vomito che impregnava la stanza.

“Ti porto qualcosa? Asciugamani, da bere, un’aspirina?”

La voce di Edward usciva meccanica dalla voce, affettata e affabile come quella di un’infermiera. Altrettanto falsa, di plastica.

“Del the?”

Al non rispose, portandosi le mani allo stomaco - una smorfia di dolore sul suo viso pallido e sudato. Voleva un letto, un ospedale, qualcuno che lo tirasse fuori da quell'inferno creato da suo fratello.

"N-niisan..." provò a chiamarlo, nell'inutile tentativo di riportarlo indietro.

“Sì tesoro?”

Il suo sorriso, la sua voce, erano pesanti e soffocanti come lo sporco più lordo, più penetrante ed osceno.

"Niisan..." ripeté, sentendo un nodo farsi sempre più stretto alla gola, mentre quasi involontariamente si aggrappava a un suo braccio, senza sapere più che fare. Era arrivato al limite. Lui, la sua mente, il suo corpo. Voleva semplicemente smettere di stare lì.

“Una camomilla?”

Sembrava in un mondo a parte, staccato da Al, che vedeva esteticamente sofferente da un vetro limpidissimo, da cui non riusciva a comprendere il dolore.

“Non so cosa poterti dare, altrimenti, per il vomito…

Non fosse mai che chiamasse Winry o zia Pinako. Loro? Fuori dai loro affari!

Alphonse poggiò al testa sulla sua spalla, in un misto di singhiozzi e lacrime. Scosse la testa,più per esasperazione che per rispondere alle domande di Edward.   Non ce la faccio più, non ce la faccio più, non ce la faccio più.    

“Vuoi che ti porti a letto, Alphonse? Sei tanto stanco?”

Paterno, dolce, terrificante. Più lo trattava teneramente, più le carni di Al s’irrigidivano, rendendolo un blocco di marmo.

Rimase appeso alle sue vesti, senza dire più una parola.

La voce di quello che doveva essere il suo niisan sembrava ormai quella di un estraneo - meccanica come quella di una bambola.

Quel nodo alla gola che diventava sempre più stretto.

Lo prese in braccio, leggero come una sposina

“Stai tanto male, vero, Al? Povero tesoro mio…

Gli baciò la fronte, caldo.

Rapido, lo portò nella loro camera, quella che dividevano da quando Al respirava nuovamente (Niichan, niichan, dopo tutto il tempo che sei stato quell’ammasso di metallo, ora dobbiamo goderci la vicinanza, eh! È importante!”) come una sposina, appoggiandolo delicatamente sul letto.  Tornò giù in cucina, estremamente celere nel preparare la camomilla e ugualmente veloce a portargliela. Il suo fratellino stava così male, era un suo dovere essere rapido ed efficiente per farlo stare meglio possibile.

Alphonse alzò le iridi verso il maggiore - un profondo solco sotto gli occhi denotava mancato sonno da ormai giorni, un po' per il dolore, un po' per la paura. Sentiva la voce di Edward ovattata, lontana, mentre la testa gli doleva, e un pensiero martellante lo colpiva insistentemente.

Doveva scappare, subito.

Guardò la tazza fumante, sentendo l'odore fastidioso entrargli nelle narici - provocandogli ancora un moto continuo nel suo stomaco, la bile ormai stanca di fare su e giù per l'esofago.

Edward, dimentico di ogni facilità con cui riusciva a comprendere il fratello, soffiò più volte sul liquido bollente – non avrebbe mai voluto che si scottasse, naturalmente – per poi portargli la tazza alle labbra secche e screpolate.

“Attento, ch’è ancora caldo…

In un’altra situazione, sarebbe risultato rassicurante e protettivo come un genitore col figlio più piccolo con un’influenza pazzesca. Ora, appariva solo enormemente inquietante.

Il minore dischiuse un poco le labbra, lasciando che la bevanda scivolasse più lungo il suo collo piuttosto che dentro la bocca.

Scappare, scappare, scappare...

Stringeva convulsamente le mani sul materasso, gocce calde di camomilla che colavano fino al petto.

Mettersi in salvo fuggire reagire.

E poi bam, cocci a terra e liquido caldo sul viso di Edward. Alphonse racimolò tutte le sue forze, spingendolo lontano dal letto e lasciandosi scivolare a terra, strisciando come un verme alla ricerca di un appiglio per rimettersi in piedi.

Scappa, scappa, scappa.

L’altro lanciò un urlo, e una bolla iniziò a formarsi sulla guancia, poco sotto l’occhio. Le pupille si ridussero a due minuscoli puntini, mentre afferrava Al per una caviglia – la gamba sana, la gamba malata, non aveva importanza. Se stava fuggendo, si meritava di soffrire cento volte di più.

“Che cazzo credevi di fare, eh?!”

"Lasciami! - urlò, quasi isterico, mentre tentava invano di calciarlo - LASCIAMI!"

Allungò le mani verso quella del fratello, affondandovi le unghie.

“Perché dovrei, eh?! Così te ne potrai andare come vorrai?! Non credo proprio!!”

Egli gli gridava contro con tutto il fiato che aveva nei polmoni, rendendosi più spaventoso che in tutte le altre occasioni. I nervi per poco non spaccavano la pelle, le vene pulsavano d’ira pura, le membra tremavano impercettibilmente.

"Lasciami stare!!"

Premeva più forte sulle sue carni, mentre con l'altra mano andava ad afferrare un coccio della tazza.

E poi, stavolta fu Ed ad urlare di dolore, mentre la ceramica bianca gli penetrava nella mano sana. Cominciò a gridare come una bestia martoriata, tenendosi la ferita che macchiava l’automail fin dentro i più piccoli circuiti.

Ferito da suo fratello? Era forse un incubo, quello?

“Al, come hai potuto…?”

Ma lui ignorò ogni sua parola, lasciandolo urlante e imprecante dietro di sé. Si aggrappò con forza alla porta, tirandosi in piedi per poi saltellare sulla gamba sana - poggiando a momenti l'altra, ancora pulsante di dolore. Doveva scappare, urlare, invocare aiuto prima che fosse troppo tardi. Ancora il coccio sanguinante in mano.

Ed riuscì, misteriosamente, a calmarsi. Rimase per un po’ col fiatone, con la ferita sgocciolante, e un sorriso strano, storto, si aprì sul suo volto. (bizzarro, per quanto esso fosse malato, non strideva in alcun modo col suo viso)

Più lo fissava, più gli diveniva lampante, chiaro, limpido: suo fratello stava dando di matto. Era l’unica spiegazione per averlo ferito! E poi era giustificato, con quella brutta frattura della gamba, in molti avrebbero reagito così.

Intanto, Alphonse cercava la via di fuga più semplice, poggiato al muro e saltando verso l'ingresso. Si spaventò, pensando a ciò che aveva appena fatto. Mai in tutta la sua vita avrebbe neanche sognato di fare del male al suo adorato fratello, e invece ora...

Scosse la testa, allontanando quel barlume di senso di colpa. Se non fosse scappato, probabilmente non sarebbe stato mai più capace di provare niente. E sicuramente non per insensibilità.

“Al, Al, stai tranquillo, tranquillo…

Lentamente Edward muoveva passi quasi timidi verso suo fratello. Sorrideva, come ad un cagnolino impaurito.

Era sicuramente come pensava lui! Tutto quello stress – e poi, quel pensiero assurdo di andarsene via… lo avevano fatto uscire di senno. Certo! Era tutto così tremendamente plausibile!

"Non... - allungò la mano, tenendo stretto tra le sue dita il coccio insanguinato (la mano che, ballerina, tremava) - Non ti avvicinare!"

Probabilmente Edward aveva ragione, in un certo senso. Non lo era ancora, ma una sola altra ora in casa con lui, e Alphonse non sarebbe più uscito sano di mente da quella casa.

Di scatto, quest’ultimo balzò su Al. Lo prese tra le braccia, in una morsa che nella sua testa era tenera e piena d’amore, ma che in realtà era talmente costringente da impedire ogni movimento di Alphonse.

“Su, su, tranquillo…

Gli accarezzava i capelli, socchiudendo gli occhi, cullandolo. Cominciò ad agitarsi tra le sue braccia, Al, nel disperato tentativo di liberarsi. Ma da quando ormai era tornato ad essere un corpo di sangue e carne, aveva perso ogni vantaggio fisico nei confronti di Edward. E si sentiva inerme.

"Lasciami!" tentò di liberarsi, mentre il coccio bianco e rosso tentava disperatamente di affondare nel braccio sano del fratello.

Ssh, ssh, andrà tutto bene…

Ci credeva fermamente, nelle proprie parole.

Stava male, era evidente. E l’unica cosa che serviva al suo adorato fratello era non fuggire da lì.

Gli carezzò il capo e le guance con la mano umana, tentando di trasmettergli più calore possibile.

“Devi stare per sempre con me, Alphonse…

Mentre l’altra mano, lenta, inesorabile, andò a stringere il collo. Fredde, gelate, fortissime.

Se avesse dormito per sempre, sarebbe stato bene, no?

Gli occhi di Alphonse si alzarono, terrorizzati, mentre le sue mani schizzavano a quel braccio d'acciaio. Sentiva l'aria mancargli, le gambe che si agitavano, sperando di liberarsi da quella stretta. Inutilmente. Sentiva le farfalle allo stomaco, e la testa girava vorticosamente - la nausea pressante premergli contro la gola, l'aria che chiedeva di entrare dalle sue narici, la vista che si annebbiava, la paura che lo possedeva. Emise un urlo soffocato, mentre la sua stretta già si allentava e quella di Edward si faceva sempre più forte.

Più forte più forte più forte.

Non si rendeva minimamente conto di ciò che stava accadendo.

Il respiro di Al che si faceva all’inizio più isterico e poi sempre più rarefatto; le gambe che lentamente smettevano di muoversi, il petto che non andava più su e giù.

Aveva capito, finalmente, che non c’era altro posto più sicuro che casa sua, protetto dal suo fratellone.

Un largo sorriso si aprì nel volto di Ed. Seguitava a cullarlo.

“Starai sempre così bene, qui…

Le sue parole erano lontane nelle sue orecchie. Riusciva a malapena a distinguerle, mentre i suoi occhi si facevano pesanti, le sue membra si rilassavano - pronte a irrigidirsi di nuovo.

Per sempre.

  
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