Storie originali > Romantico
Ricorda la storia  |      
Autore: FRAMAR    06/12/2014    44 recensioni
Storia scritta per Onda1965 in occasione del suo compleanno. Auguri Milly.
-----
Sono un insegnante di scuola media e dedico il mio tempo libero agli altri, come volontario infermiere in una clinica privata. In questo momento sto aiutando due ex alunni: Tommy (19 anni) che sta morendo per colpa di un male e Mirko (18 anni) che sta morendo a causa di se stesso.
Genere: Malinconico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
"Ho due persone, che io chiamo madrine, che devo ringraziare se oggi sono qui. Mi hanno incoraggiato, sostenuto, aiutato. Di una di esse ho la fortuna di conoscerne la data di nascita. E’ a lei che dedico questo racconto: Milly, auguri e buon compleanno. Non sapevo che regalo farti. Spero che questo racconto ti possa piacere. L’ho scritto con il cuore e con affetto. Grazie di tutto.
Si tratta di una storia vera, i cui fatti sono successi quando ero ancora studente. L’ho tirato fuori dal cassetto e rimodernizzato adattandolo così ai nostri giorni. E’ il primo racconto completo che scrivo. Fatemi sapere come lo avete trovato. Grazie."


IO E TE PER ALTRI GIORNI
 

Ho due professioni: insegnante alle medie e infermiere, diplomato anni fa e nel tempo libero, facendo volontariato presso una clinica privata diretta da un professore amico mio.

La prima di queste professioni mi dà da vivere e la seconda mi aiuta a vivere secondo quei principi di amore e fratellanza che dovrebbero unire tutti gli uomini. Come insegnante impegno interamente il mio cuore al bene dei miei allievi perché vorrei fare di loro uomini solidi in virtù morali e preparati ad affrontare degnamente la vita. Da tutte e due le professioni traggo esperienze meravigliose che mi fanno meditare molto e mi aiutano, forse, a diventare una persona più buona.

Di una di queste mie giornate, appunto, voglio parlare. E’ una di quelle che io non dimenticherò facilmente perché ho terribilmente sofferto e follemente gioito.
Alle ore 13 avevo salutato i miei allievi vicino al cancello della scuola e poi in macchina, via verso casa.

Ero stanco e quel giorno avrei tanto desiderato riposarmi: in ospedale sarei potuto andare… che so … verso sera, oppure non andarci affatto.

“Sciagurato, incosciente” mi dissi subito, quasi a fugare i miei pensieri. “E il povero Tommy? Te lo sei dimenticato? O credi che ha tanto tempo poverino da aspettarti fino a quando, avrai voglia di andare da lui? A casa, una bella doccia, una buona colazione e … via da Tommy e di corsa”.

La decisione era presa e la stanchezza scomparsa. Quando poi mi sono visto allo specchio mi venne spontaneamente un pensiero: “Signor infermiere oggi sei molto pallido, hai bisogno di riposare, perciò in ospedale ci andrai quando sarai meno stanco”.

Mi guardai ancora allo specchio e tra me e la mia immagine riflessa vidi Tommy, il piccolo dolce, amorevole Tommy!

Ma chi era Tommy che occupava tanta parte del mio cuore? Oh lui era una creatura meravigliosa, fatta di amore, comprensione. La sua pelle era diafana, eterea, sembrava un esserino fatto tutto per il cielo. Aveva un brutto male, il peggiore dei mali, che fa soffrire crudelmente, ma lui Tommy, non si lamentava mai. Più crudele era il male e più dolce era il suo sorriso: solo lo sguardo, talvolta, comprimeva tutta la crudeltà del male che lo divorava inesorabilmente.

Quando lo guardavo nel suo lettino della clinica, un’altra immagine vi si sovrapponeva e lo vedevo seduto nel primo banco della classe, tutto luce, capelli biondo come l’oro, due pezzettini di cielo per occhi e un sorriso sempre limpido sulle labbra. L’ho visto crescere come una pianta rara, poi dopo le medie, lo persi di vista. Ma un triste giorno me lo ritrovo in quel letto … e con una diagnosi … da condanna a morte!

Era stata una tremenda giornata: molti incidenti e quindi medicature, trasfusioni, corse avanti e indietro, su e giù, rivedere la fasciatura a questo perché gli faceva molto male, a quello ci voleva un calmante, l’altro chiedeva da bere …

Fra tutti i ricoverati quello che soffriva di più e si lamentava di meno era proprio Tommy. Durante una piccola pausa che io e il primario ci concedevamo per sorbire una tazza di caffè cominciai a parlare di lui.

“Non so se domani lo ritroverai vivo. E’ solo un alito e nulla più”.

Queste cose io le sapevo, ma lo stesso le parole del professore mi sembrarono molto crudeli: Tommy era stato un dei miei alunni più cari, gli volevo un mucchio di bene e il professore lo sapeva perciò aveva avuto per lui cure particolarissime: eppure mi disse che sarebbe morto presto. Perché doveva morire? Era tanto giovane Tommy e amava tanto la vita!

Mi sentii stanco, stroncato di colpo: non mi sentivo più nemmeno in grado di pensare. Dovevo ad ogni costo andare a casa, cercare di riposare davvero, altrimenti la via della clinica e quella della scuola mi sarebbero state interdette dal mio medico. Scesi a fatica, respiravo a stento. Tommy nel baciarmi quella sera mi disse: “Lei sta male. Abbia cura della sua salute perché è preziosa. Deve fare ancora tanto del bene”.

Del bene eh, Tommy? Ma che cosa posso fare ormai più per te, piccolo mio tesoro? Ero giunto intanto nel vicoletto dietro la clinica dove parcheggiavo di solito la macchina. Era una stradina cieca, senza abitazioni, perciò tranquilla e io ne avevo fatto il mio garage perché non davo fastidio a nessuno e nemmeno ne ricevevo. Ma nella penombra, davanti allo sportello della mia macchina, vidi un ragazzo.

“Mi occorre del denaro, tanto denaro, perciò se le è cara la vita me lo dia subito. Badi che non scherzo!” mi disse tutto d’un fiato, e fece per prendermi il portafoglio dalla tasca di dietro dei miei pantaloni.

“E’ un ragazzo, è solo e mi da del lei. Non può essere un ladro”. Pensai. Mi sentii improvvisamente pieno di forza e con mossa rapida gli afferrai il braccio, torcendoglielo violentemente. Un flebile e tonfo: in pochi secondi. Ero sconvolto, solo, ma non volevo allontanarmi per chiedere aiuto. Dovevo far tutto da me perché avevo capito che quel ragazzo aveva bisogno di aiuto … di quale natura e in quale misura non lo sapevo, ma sentivo che dovevo agire subito e da solo.

Presi la torcia elettrica dalla macchina e la puntai sul viso dello sconosciuto. “Cazzo. Speriamo che io mi sbagli”. Quel viso lo conoscevo! Oh, se lo conoscevo. Ma non volevo ammetterlo assolutamente.

Gli occhi senza espressione vagavano nel vuoto, poi, con un filo di voce implorò: “Non mi denunci, signore, la prego, la prego!”

“Denunciarti? E come potrei? Tu sei malato! Tu hai bisogno di cure”, gli dissi liberandogli la fronte dai capelli bagnati di sudore. “Ma ti prego, alzati e siediti in macchina. Qui non viene nessuno, ma non si sa mai”.

Lo aiutai al alzarsi e sentii che tremava. Si buttò, più che sedersi, sul sedile e io, dopo averlo aiutato con fatica a mettersi a posto, misi in marcia la macchina e mi avviai verso casa.

“Mi porta in questura? Mi consegna alla polizia, vero?

“No Mirko, no”, gli risposi “ma devi fare tutto quello che ti dirò. Ti voglio e ti devo salvare, però solo i miei sforzi non basteranno: ho bisogno della tua collaborazione altrimenti per te è finita, ragazzo mio! E non darmi del lei”.

“Va bene, lo so che per me è finita ormai, ma preferisco essere stroncato da una pallottola che finire in un ospedale psichiatrico.”

A casa lo feci sdraiare sul divano letto pregandolo di rilassarsi e cercare di riposare: dopo avremmo parlato sul da farsi. Una volta chiusa la camera pensai di chiamare al cellulare il mio professore per consigliarmi con lui poichè solo di lui mi potevo fidare. Dopo la conversazione telefonica ero più tranquillo. Il professore mi aveva dato tutte le istruzioni per le prime cure promettendomi di passare da casa mia il giorno dopo, prima di andare in clinica, per dargli un’occhiata.

Sono stato sempre scrupoloso e zelante nell’espletamento delle mie mansioni, ma quella sera, per Mirko, promisi a me stesso di esserlo a un grado superiore. Il giorno dopo telefonai alla direzione didattica dicendo che non sarei andato a scuola per motivi di famiglia, così avrei potuto occuparmi di Mirko. Bisognava che io sapessi tutto di questo disgraziato ragazzo prima che arrivasse il professore, perciò appena fu in ordine entrai in argomento:

“Mirko, tu sei stato uno dei miei più affezionati allievi ti conosco da quando avevi undici anni: hai fatto con me le tre classi delle medie e durante quei tre anni sei ricorso sempre a me quando avevi bisogno di consigli o eri in difficoltà. Poi  ci siamo persi di vista come con Tommy… mi domandi chi è Tommy? Era anche lui un mio allievo, come te, ora sta per morire … come te … però con una differenza: lui sta morendo perché lo vuole il suo male, tu invece stai morendo perché lo vuoi tu. Che cosa è successo, Mirko? Come puoi,  a cuor leggero distruggere la tua vita? Chi ti ha ridotto  così?”.

 “Mia madre”. Questa risposta fredda, tagliente era una accusa. Lo sentii ansimare.

“Se ti fa male, Mirko, possiamo rimandare il nostro discorso” dissi vedendolo soffrire tanto.

“No devo dirti tutto e subito. Forse dopo mi sentirò liberato da un sentimento che mi stringe il cuore: l’odio! Si, io odio mia madre perché devo a lei tutte le mie disgrazie. Maledetto quel giorno ancora tredicenne che le avevo confessato i miei sentimenti: mi piacevano i ragazzi maschi. In quel momento avevo bisogno del suo amore e non me lo ha dato! Avevo bisogno della sua parola e del suo consiglio e mi ha risposto “arrangiati”. Cercavo disperatamente un colloquio con mia madre e lo ha evitato. “Arrangiati”. Questo sapeva dire sempre, arrangiarsi a tredici anni … non ci potevo credere! Eppure l’ho amata tanto, non sai quanto ho desiderato una sua carezza, un suo bacio. Niente! Una volta … ero tanto malato e la pregai di passarmi la mano sulla fronte. Mi rispose che non aveva tempo per svenevolezze. Tutte le mamme passano nottate e nottate accanto al figlio ammalato, per la mia erano svenevolezze passare la mano soltanto sulla fronte che mi bruciava dalla febbre. Quando guarii la sentivo sempre più lontana e distaccata e un giorno le domandai perché non mi volesse bene. Mi rispose con tanta rabbia nella voce, che per colpa mia la sua vita era cambiata. Lei amava vivere, divertirsi e io invece l’avevo costretta a una vita di rinunce da quando ero nato. Le dissi che non ero io il responsabile della mia nascita, ma lei più aspra, più cattiva. “Sei stato caparbio e prepotente anche in quello, comunque anche se a malavoglia ti stavo sopportando, e poi? Ti dice nulla la parola gay? Quello ha fatto travasare il vaso. Un figlio non voluto, non amato … anche gay? Ma ora devi lasciarmi in pace. Vattene!”.
“Dove devo andare? Ho appena sedici anni … studio ancora … Aspetta che trovi prima un lavoro che mi permetta di vivere, o devo andare a rubare?” Le risposi.
“Fai quello che vuoi, tanti alla tua età si arrangiano. Fallo anche tu e poi visto che ti piace il cazzo puoi fare sempre marchette”.
Era una decisione irrevocabile, quindi non feci altro che andare via, con la disperazione nel cuore e senza un soldo in tasca.
Una madre cerca il figlio per ricondurlo a casa, magari a calci nel culo, la mia non mi cercò mai, perché mi aveva mandato via proprio lei. Che cosa dovevo fare? Trovai lavoro, ma guadagnavo tanto poco che, pur mangiando alla meglio una volta al giorno, non riuscivo a pagare la stanza. Cominciai a fare debiti e debiti, feci cattive amicizie e così cominciai a scendere precipitosamente la china … chi per dimenticare un dolore si ubriaca, io cominciai a prendere la droga perché me la davano gratis. Già , gratis! Il tranello l’ho capito dopo : prima te la danno gratis per farti abituare, poi te la fanno pagare, costringendoti a fare le cose più basse e spregevoli per procurarti il denaro occorrente. Tu non sai a quali meschinità, anche a prostituirsi e a fare le cose più schifose, una volta il proprietario di un grosso negozio, mi ha pagato per farmi i bisogni addosso, in poche parole mi ha cagato sopra, e poi mi ha pisciato in bocca. Che schifo, ma la droga era più importante per me. Per quella maledettissima droga, quante paure e quante umiliazioni … credimi, nelle situazioni più luride, più schifose in cui spesso mi sono trovato, ho desiderato fortemente avere mia madre faccia a faccia: l’avrei presa per un braccio e l’avrei trascinata a viva forza nel covo dei traviati, di quelli che hanno dato l’addio alla vita, a ogni più sacro ideale e le avrei gridato: “Guardale bene tutte queste larve! Ognuno di essi si chiama Mirko, la cui madre non ha saputo compiere miracoli d’amore! Ancora uno sguardo, mamma, imprimili nei tuoi occhi e poi vai a vivere pure la tua vita, vai a divertirti, se puoi”.

Un singhiozzo gli serrò la gola.

“No. Mirko, no. Stai calmo, ti prego! Lascia invece che ti faccia una domanda. Perché non sei venuto da me? Ero il tuo confidente, se ricordo bene”.

“Sapessi quante volte ho pensato a te, ma me n’è mancato sempre il coraggio. E’ stata così precipitosa la caduta che solo il pensiero di presentarmi a te mi faceva rabbrividire”.

“Ieri sera invece hai deciso. Che cosa ti ha condotto fino a me”.

“Quando si sta per affogare, si impara a nuotare, anche se l’acqua fa paura, io devo pagare un grosso debito altrimenti mi fanno fuori e quella a cui devo tanto denaro è gente che non dice una cosa tanto per dire. Allora mi sono deciso di ricorrere a te sono venuto ad aspettarti all’uscita della clinica, ma come ti vedo perdo il coraggio e vado via. Sono tre sere che lotto per trovare la forza di avvicinarmi a te e parlare. Finalmente ieri sera mezzo paralizzato dalla vergogna, mi sono piazzato davanti alla tua macchina e ho iniziato il mio discorso alla maniera brava: “I soldi o la vita”. Vedi, come ogni mio pensiero, ogni mia decisione è una forma che scavo per precipitarvi dentro. Non ho più dignità, più amor proprio. Oh, basta, basta. Questo verme non merita nemmeno la tua pietà, perciò telefona alla polizia e facciamola finita. Mi dispiace solo di averti dato un’amara delusione. Perdonami”.

Ansimava forte e aveva delle contrazioni facciali e capii che l’effetto delle iniezioni che gli avevo fatto stava per finire.

“Mirko”, gli dissi, passandogli  amorevolmente una mano sulla fronte. “Io ti aiuterò. Il tuo debito sarà pagato subito. Tu andrai nella clinica privata del mio professore e di là uscirai guarito e liberato da tutte le brutture che ti hanno fatto tanto soffrire. Per il resto, chiederò aiuto a un mio amico. Potresti lavorare con lui nella sua azienda, e non ti mancheranno pane e affetto”.
Trillò il campanello della porta. Corsi ad aprire. Il professore entrò scuro in viso e si diresse verso la camera che gli indicai. Non ci volle molto per capire a che punto di intossicazione era quello straccio di ragazzo. Lo visitò scrupolosamente, gli fece alcune domande, poi rivolgendosi a me: “Bene”, disse, “occupiamoci di lui, ora!”.

“Tommy?” domandai con voce tremante.

“Tommy non ha più bisogno di noi”.
 
Erano passate tre settimane dal ricovero e ora Mirko cominciava a stare meglio. Io gli sono rimasto sempre vicino, tranne il mattino impegnato a scuola. Il primario, amico mio, mi aveva permesso di stargli accanto, anche di notte. Ormai tra volontariato e Mirko, era diventata la mia nuova casa.

Non è stato facile il periodo di disintossicazione. Quante volte l’ho preso e tenuto in braccio, come un bimbo bisognoso di conforto e nel periodo di grande depressione l’ho dovuto abbracciare e la notte tenerlo per mano. Ora tutto è finito, ha un viso bello, sereno, pulito. Occhi lucidi e splendenti, è un’altra persona.

Appena entro in stanza lui mi sorride. E’ seduto sul letto. Scende e comincia a venirmi incontro.

“Grazie, per tutto quello che mi hai fatto. Ti sarò riconoscente per sempre”.

“Lo sai oggi ti mandano a casa”.

“Casa … quale casa… io non ho una casa”. Il suo viso improvvisamente si era fatto cupo.

“Vieni a casa mia … la “nostra” casa.

Il suo viso ha ripreso subito il colorito iniziale.

“Sei disposto a darmi i consigli e avere un continuo dialogo con me?”

“Ma certo, tutte le volte che ne hai bisogno io sarò li con te”.

“Non ho mai avuto una carezza e neppure un bacio”.

“Sono disposto a farlo”.

“E quando mi sento male, mi curerai? Passerai la notte al mio fianco, toccandomi la fronte per vedere se ho la febbre?”.

“Non ti lascerò solo”.

Si stava avvicinando sempre di più …  ormai era a mezzo metro da me.

“E soprattutto ho bisogno di amore. Mai nessuno mi ha amato… Ti amo.

Il suo viso ormai era a pochi centimetri dal mio. Mi ha baciato.

“Da quando?”.

“Da sempre. Quando avevo tredici anni ho detto a mia madre che mi piacevano i maschi, in realtà eri tu che mi piacevi, ma eri troppo grande”.

“Mi sei stato sempre simpatico e quando ti accarezzavo mettendo la mano sulla tua testa, mi venivano i brividi. Eri troppo piccolo”.

“Ora siamo grandi. Ora possiamo  stare insieme”.

“Ma non sono ancora troppo grande per te? Forse staresti meglio con uno più giovane”.

“Ho bisogno di uno che mi protegga. Sono troppo fragile di carattere. Ho paura di ricadere nel mondo della droga. Ho bisogno di un uomo vero. Tu sei quello giusto”.

“Guarda che sono severo”.

“Bene, ho bisogno di regole, ho vissuto una vita disordinata”.

“Senti, se amo qualcuno, divento geloso e possessivo”.

“Sono contento perché voglio essere solo tuo, coccolato”.

“Lo sai se dovessimo dormire insieme, ti avverto io russo”.

“Non ti preoccupare, sarà musica per le mie orecchie”.

E’ partito un altro bacio, questa volta più lungo e profondo.

“Sappi però che non sono pulito, me ne hanno fatti di tutti i colori. Ho avuto perfino i condilomi.

Ho dovuto sopportare delle bruciature sia al pisello che al  buchino di dietro”.

“Non importa, ora sei pulito”.

“Avrei voluto darti la mia verginità”.

“Non importa, ora mi darai il tuo cuore”.

“Si quello non l’ho mai dato a nessuno. Fammi tuo, ti darò tutto: il cuore e tutto il mio corpo”.

“E allora proviamo a stare insieme. Io e te per altri giorni. Tanti altri, tanti altri e tanti altri giorni ancora, finchè non ti stuferai di me”.

“… allora per sempre”.
 
   
 
Leggi le 44 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: FRAMAR