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Autore: RadioPotter    06/12/2014    0 recensioni
Che cos'è davvero successo al quinto anno dei Malandrini, quando Severus Piton ha insultato Lily Evans? Questa è la versione di Kiralya.
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Lily Evans, Severus Piton
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Ambra - Kiralya

Era ormai quasi il tramonto, un tiepido tramonto di inizio estate, e sotto le fronde di quel dolcissimo salice le ombre e le luci dorate si rincorrevano come driadi. Camminava come soppesando ogni singolo passo, Severus Piton, i lunghi capelli neri d'inchiostro che colavano sul giovane, pallido viso imperlato di sudore. 

“Verrà” pensò, guardando l’orologio “Lo ha promesso stamani. Appena finito il G.U.F.O. verrà, sono solo in anticipo… in anticipo”

Mentre la mano destra ripose l’orologio, la sinistra tastò ancora una volta il taschino della giacca, sotto la tunica, controllandone il contenuto. 

Un respiro profondissimo, e scostandosi i capelli osservò il sole arancio che calava sempre di più sull’orizzonte, colorando di miele le antiche mura di Hogwarts… era uno spettacolo di rara bellezza, e non avrebbe potuto desiderare una cornice migliore, Severus.

Passi. Dietro di lui. 

Subito un altro respiro di emozione, e il cuore scalpitava come un cavallo imbizzarrito sotto lo stemma dei Serpeverde. Istintivamente la mano sinistra si posò ancora sul taschino, e il giovane mago voltò la testa.

No… non era lei. Il destino beffardo e malandrino aveva deciso di dedicare quella luce, quel momento, l’occasione calante come quel sole al tramonto, allo scenario peggiore che Severus potesse immaginare. James Potter, castani capelli arruffati e sorriso bastardo stampato in faccia, procedeva rapido verso di lui, seguito da pochi individui sghignazzanti come porci. 
Severus strinse i denti quasi fino a farsi del male. “No… non adesso” pensò. “Maledizione, non qui… non ora…”

“Ma guarda un po’ se non è il nostro amico Severus quello!” ragliò James con voce sprezzante, avvicinandosi. Avvicinandosi troppo. “Allora, Mocciosus? Ti va di scambiare due parole tra amici?”
Quel dorato sogno di tranquillità si era inesorabilmente deformato in un incubo di vorticanti luci beffarde che artigliavano, mordevano e annegavano il cuore del giovane Serpeverde… la testa gli girava.

“Potter…” sibilò; non vi era alcuna cattiveria nella sua voce, solo cocente disperazione. “Non voglio problemi. Non adesso… ti prego…”

“Oh, suvvia, suvvia” James incalzò: “Hai solo bisogno di scioglierti quanto basta!”

Una spinta secca, crudele, e Severus si ritrovò a terra, la tunica nera che gli copriva il volto. Tastò ancora il taschino, come a tentare di proteggere ciò che celava, e che per lui era così incredibilmente prezioso. E mentre le risate gli svolazzavano attorno come poltergeist, sentì una bacchetta sibilare. E una calda lacrima infuocargli la guancia. 

Era bravo, James Potter, con la bacchetta. Non ebbe difficoltà alcuna nel lanciare l’incantesimo che sollevò Severus da terra, facendolo levitare a circa due metri di altezza. Per il Principe Mezzosangue, il mondo intero si capovolse in un delirio di dolore, e bruciante umiliazione.

Ruotava, oscillava, sopra e sotto non significavano più nulla, mentre la sinistra cercava invano il taschino, nell’inutile tentativo di salvarne il contenuto. Parole confuse, schiamazzi che chiamavano altre risate, grida e urletti eccitati. 

“Avanti Mocciosus, volevo solo chiacchierare un po’! Non dirmi che ti metterai anche a pianger…”

“JAMES!” un urlo squarciò l’aria come una lama di vetro.

E improvvisamente Severus Piton smise di ondeggiare. Disorientato, nauseato, riconobbe la voce, la lama che aveva trafitto l’aria del tramonto. La voce di colei che aveva abitato l’attesa.

“SEI IMPAZZITO?!” si avvicinava, rapidamente “METTILO GIU’, SUBITO!”

Un coro di risate.

“Andiamo Lily, stavamo solo…” 

“METTILO GIU’!” Lily Evans tuonò ancora “E sparisci, James!”

Un’improvviso, strano mutamento nella voce di Potter. “Come desideri… andiamo ragazzi, salutate Mocciosus”.
Il destino opera in modi misteriosi, bizzarri e talvolta persino crudeli… e Severus iniziò a cadere. Erano solo due metri, eppure gli parve di cadere per sempre. Un ultimo, disperato tentativo di raggiungere il prezioso taschino. Ma non appena rovinò a terra percepì il lieve, quasi impercettibile suono di migliaia di minuscoli frammenti che sfregano e si contorcono tra loro. E quelle schegge raggiunsero il suo cuore impazzito, straziandolo crudelmente. 

“Severus!” una cascata di rame gli scivolò rapida accanto. Profumava d’autunno, Lily. “Stai bene? Oddio sanguini…”

Mentre sentiva un caldo, aspro rivolo di sangue inumidirgli le labbra e il mento, Severus Piton sfiorò ancora una volta, l’ultima, il taschino, incurante del dolore. Pezzi di qualunque cosa ci fosse dentro tintinnarono, come piangendo lievi, fragili singhiozzi.

La delicata mano di Lily Evans si posò sul suo braccio sinistro, e lo afferrò con dolcezza nel tentativo di aiutarlo a rialzarsi.

Ma un’esplosione frantumò l’aria.

“Non osare toccarmi!” urlò il giovane mago. Si mise in ginocchio, ricurvo come un serpente pronto a mordere, ad avvelenare. Con rabbia, si divincolò dalla mano della ragazza. 

Sollevò il volto, livido di umiliazione e lordo di furore, una cascata di sangue sulle labbra. Gli occhi, le cui nere iridi erano ormai annegate nelle lacrime, erano ridotti a fessure, come crepe su dura roccia. La sinistra artigliava spietata il taschino. 

“Non ho bisogno di te! Non ho bisogno di nessuno!” le parole sgorgavano dalla sua bocca incontrollate e pulsanti, come sangue da una ferita aperta. Violente, inarrestabili. 

“VATTENE! Tu… piccola, LURIDA MEZZOSANGUE!”

Il fato, crudele, volle scoccare queste frecce, estratte dalla faretra di un cuore attanagliato nel dolore, con l’arco della voce di un giovane innamorato. E come frecce, esse centrarono il bersaglio: l’anima gentile di una fanciulla. 

Mentre la piccola, affusolata mano cercò e raggiuse le sue labbra in un gesto di incredula delusione, i bellissimi occhi verdi di Lily si inondarono di lacrime. La ragazza si alzò quasi barcollando, e corse. Una corsa disperata che andò a confondersi nell’orizzonte vermiglio di un sole morente. Una fiamma perduta per sempre nel tramonto.

Severus Piton rimase in ginocchio per quella che sembrò un’eternità. Nella sua mente, l’indelebile immagine di quel verde così bello, così lacerato dal veleno e dal dolore. E nella sua mano, frammenti. 
Era riuscito a trovare quel pezzetto di rara ambra baltica nel cuore di Diagon Alley. Ricordò di averla pagata una cifra esorbitante, nonostante fosse ancora grezza, sporca e informe. Una scheggia della grandezza di una falange, ma al cui interno si celavano frammenti di piante antiche e bolle d’aria, testimoni di quella che per Severus era la magia più incredibile di ogni altra: il tempo. 

Aveva passato giorni a lucidarla, a darle una forma affusolata, e una delicata lucentezza.
Ma molto più tempo aveva passato a creare l’incantesimo che rendeva quell’oggetto speciale, e prezioso. L’incantesimo che riportasse alla vita quella gemma di un passato incredibilmente remoto. L’incantesimo che riportasse quelle minuscole bolle d’aria a muoversi, e a fluttuare nell’ambra, ed i frammenti vegetali ad agitarsi ancora, come accarezzati da una brezza perduta. 

Un’illusione, e un sogno, di vita. 

E ora, tutto ciò che rimaneva tra le sue dita erano i pezzi informi di ciò che era stato quel sogno. Nelle schegge, riusciva ancora a intravedere qualche incerta, tremante bollicina muoversi, per poi rimanere ancora, e per sempre, immobile. Era il suo cuore che giaceva in frantumi tra le sue mani di cera. 

Mentre l’ultima luce ambrata lo investiva come il raggio di un faro irraggiungibile, si alzò in piedi.
Tremò, mentre una nuova lacrima lo invadeva, ripulendolo dalla rabbia che, adesso, lasciava posto solamente al dolore, al rimpianto. 

Ricordò la lunga dedica che aveva scritto per Lily, e che aveva imparato a memoria nella speranza che quel sogno diventasse realtà.

“E’ un istante che ti dono, Lily” mormorò “un miraggio, un frammento d’illusione. Un desiderio, e un augurio, che ogni istante capace di colpire il tuo cuore gentile, ogni sguardo, ogni sorriso, possa essere congelato in un’antica lacrima del colore di questo tramonto, e possa rimanere con te fino alla fine del tempo… “

Ma lei non era lì. E il tempo, il tramonto, il mondo… era andato in frantumi per sempre.

Note: 
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