Ambra - Kiralya
Era
ormai quasi il tramonto, un tiepido tramonto di inizio
estate, e sotto le fronde di quel dolcissimo salice le ombre e le luci
dorate
si rincorrevano come driadi. Camminava come soppesando ogni singolo
passo,
Severus Piton, i lunghi capelli neri d'inchiostro che colavano sul
giovane,
pallido viso imperlato di sudore.
“Verrà”
pensò, guardando l’orologio “Lo ha
promesso stamani.
Appena finito il G.U.F.O. verrà, sono solo in
anticipo… in anticipo”
Mentre
la mano destra ripose l’orologio, la sinistra
tastò
ancora una volta il taschino della giacca, sotto la tunica,
controllandone il
contenuto.
Un
respiro profondissimo, e scostandosi i capelli osservò il
sole arancio che calava sempre di più
sull’orizzonte, colorando di miele le
antiche mura di Hogwarts… era uno spettacolo di rara
bellezza, e non avrebbe
potuto desiderare una cornice migliore, Severus.
Passi.
Dietro di lui.
Subito
un altro respiro di emozione, e il cuore scalpitava
come un cavallo imbizzarrito sotto lo stemma dei Serpeverde.
Istintivamente la mano
sinistra si posò ancora sul taschino, e il giovane mago
voltò la testa.
No…
non era lei. Il destino beffardo e malandrino aveva
deciso di dedicare quella luce, quel momento, l’occasione
calante come quel
sole al tramonto, allo scenario peggiore che Severus potesse
immaginare. James
Potter, castani capelli arruffati e sorriso bastardo stampato in
faccia,
procedeva rapido verso di lui, seguito da pochi individui sghignazzanti
come
porci.
Severus
strinse i denti quasi fino a farsi del
male. “No… non adesso” pensò.
“Maledizione, non qui… non
ora…”
“Ma
guarda un po’ se non è il nostro amico Severus
quello!”
ragliò James con voce sprezzante, avvicinandosi.
Avvicinandosi troppo. “Allora,
Mocciosus? Ti va di scambiare due
parole tra amici?”
Quel
dorato sogno di tranquillità si era
inesorabilmente deformato in un incubo di vorticanti luci beffarde che
artigliavano, mordevano e annegavano il cuore del giovane
Serpeverde… la testa
gli girava.
“Potter…”
sibilò; non vi era alcuna cattiveria nella sua
voce, solo cocente disperazione. “Non voglio problemi. Non
adesso… ti prego…”
“Oh,
suvvia, suvvia” James incalzò: “Hai solo
bisogno di
scioglierti quanto basta!”
Una
spinta secca, crudele, e Severus si ritrovò a terra, la
tunica nera che gli copriva il volto. Tastò ancora il
taschino, come a tentare
di proteggere ciò che celava, e che per lui era
così incredibilmente prezioso.
E mentre le risate gli svolazzavano attorno come poltergeist,
sentì una bacchetta sibilare. E una calda lacrima
infuocargli la guancia.
Era
bravo, James Potter, con la bacchetta. Non ebbe
difficoltà alcuna nel lanciare l’incantesimo che
sollevò Severus da terra,
facendolo levitare a circa due metri di altezza. Per il Principe
Mezzosangue,
il mondo intero si capovolse in un delirio di dolore, e bruciante
umiliazione.
Ruotava,
oscillava, sopra e sotto non significavano più
nulla, mentre la sinistra cercava invano il taschino,
nell’inutile tentativo di
salvarne il contenuto. Parole confuse, schiamazzi che chiamavano altre
risate,
grida e urletti eccitati.
“Avanti
Mocciosus,
volevo solo chiacchierare un po’! Non dirmi che ti metterai
anche a pianger…”
“JAMES!”
un urlo squarciò l’aria come una lama di vetro.
E
improvvisamente Severus Piton smise di ondeggiare.
Disorientato, nauseato, riconobbe la voce, la lama che aveva trafitto
l’aria
del tramonto. La voce di colei che aveva abitato l’attesa.
“SEI
IMPAZZITO?!” si avvicinava, rapidamente “METTILO
GIU’,
SUBITO!”
Un
coro di risate.
“Andiamo
Lily, stavamo solo…”
“METTILO
GIU’!” Lily Evans tuonò ancora
“E sparisci, James!”
Un’improvviso,
strano mutamento nella voce di Potter. “Come
desideri… andiamo ragazzi, salutate Mocciosus”.
Il
destino opera in modi misteriosi, bizzarri e
talvolta persino crudeli… e Severus iniziò a
cadere. Erano solo due metri,
eppure gli parve di cadere per sempre. Un ultimo, disperato tentativo
di
raggiungere il prezioso taschino. Ma non appena rovinò a
terra percepì il
lieve, quasi impercettibile suono di migliaia di minuscoli frammenti
che
sfregano e si contorcono tra loro. E quelle schegge raggiunsero il suo
cuore
impazzito, straziandolo crudelmente.
“Severus!”
una cascata di rame gli scivolò rapida accanto.
Profumava d’autunno, Lily. “Stai bene? Oddio
sanguini…”
Mentre
sentiva un caldo, aspro rivolo di sangue inumidirgli
le labbra e il mento, Severus Piton sfiorò ancora una volta,
l’ultima, il
taschino, incurante del dolore. Pezzi di qualunque cosa ci fosse dentro
tintinnarono, come piangendo lievi, fragili singhiozzi.
La
delicata mano di Lily Evans si posò sul suo braccio
sinistro, e lo afferrò con dolcezza nel tentativo di
aiutarlo a rialzarsi.
Ma
un’esplosione frantumò l’aria.
“Non
osare toccarmi!” urlò il giovane mago. Si mise in
ginocchio, ricurvo come un serpente pronto a mordere, ad avvelenare.
Con
rabbia, si divincolò dalla mano della ragazza.
Sollevò
il volto, livido di umiliazione e lordo di furore,
una cascata di sangue sulle labbra. Gli occhi, le cui nere iridi erano
ormai
annegate nelle lacrime, erano ridotti a fessure, come crepe su dura
roccia. La
sinistra artigliava spietata il taschino.
“Non
ho bisogno di te! Non ho bisogno di nessuno!” le parole
sgorgavano dalla sua bocca incontrollate e pulsanti, come sangue da una
ferita
aperta. Violente, inarrestabili.
“VATTENE!
Tu… piccola, LURIDA MEZZOSANGUE!”
Il
fato, crudele, volle scoccare queste frecce, estratte
dalla faretra di un cuore attanagliato nel dolore, con l’arco
della voce di un
giovane innamorato. E come frecce, esse centrarono il bersaglio:
l’anima
gentile di una fanciulla.
Mentre
la piccola, affusolata mano cercò e raggiuse le sue
labbra in un gesto di incredula delusione, i bellissimi occhi verdi di
Lily si
inondarono di lacrime. La ragazza si alzò quasi barcollando,
e corse. Una corsa
disperata che andò a confondersi nell’orizzonte
vermiglio di un sole morente.
Una fiamma perduta per sempre nel tramonto.
Severus
Piton rimase in ginocchio per quella che sembrò
un’eternità. Nella sua mente,
l’indelebile immagine di quel verde così bello,
così lacerato dal veleno e dal dolore. E nella sua mano,
frammenti.
Era
riuscito a trovare quel pezzetto di rara
ambra baltica nel cuore di Diagon Alley. Ricordò di averla
pagata una cifra
esorbitante, nonostante fosse ancora grezza, sporca e informe. Una
scheggia
della grandezza di una falange, ma al cui interno si celavano frammenti
di
piante antiche e bolle d’aria, testimoni di quella che per
Severus era la magia
più incredibile di ogni altra: il tempo.
Aveva
passato giorni a lucidarla, a darle una forma
affusolata, e una delicata lucentezza.
Ma
molto più tempo aveva passato a creare
l’incantesimo che rendeva quell’oggetto speciale, e
prezioso. L’incantesimo che
riportasse alla vita quella gemma di un passato incredibilmente remoto.
L’incantesimo che riportasse quelle minuscole bolle
d’aria a muoversi, e a fluttuare
nell’ambra, ed i frammenti vegetali ad agitarsi ancora, come
accarezzati da una
brezza perduta.
Un’illusione,
e un sogno, di vita.
E
ora, tutto ciò che rimaneva tra le sue dita erano i pezzi
informi di ciò che era stato quel sogno. Nelle schegge,
riusciva ancora a
intravedere qualche incerta, tremante bollicina muoversi, per poi
rimanere
ancora, e per sempre, immobile. Era il suo cuore che giaceva in
frantumi tra le
sue mani di cera.
Mentre
l’ultima luce ambrata lo investiva come il raggio di
un faro irraggiungibile, si alzò in piedi.
Tremò,
mentre una nuova lacrima lo invadeva,
ripulendolo dalla rabbia che, adesso, lasciava posto solamente al
dolore, al
rimpianto.
Ricordò
la lunga dedica che aveva scritto per Lily, e che
aveva imparato a memoria nella speranza che quel sogno diventasse
realtà.
“E’
un istante che ti dono, Lily” mormorò
“un miraggio, un
frammento d’illusione. Un desiderio, e un augurio, che ogni
istante capace di
colpire il tuo cuore gentile, ogni sguardo, ogni sorriso, possa essere
congelato
in un’antica lacrima del colore di questo tramonto, e possa
rimanere con te
fino alla fine del tempo… “
Ma lei non era lì. E il tempo, il tramonto, il mondo… era andato in frantumi per sempre.
Note:
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