Tredicesimo capitolo – Amore
22 Novembre 2001
“Il tacchino,
Edward! Il
tacchino!” Bella urlò con il canovaccio in mano ed
il grembiule stretto in vita, indicando con la mano coperta da un guanto il
fumo che usciva dal forno.
“Non è colpa mia!”
“Non è colpa tua?”
Con il coltello che aveva nell’altra mano si
allontanò dal bancone, avvicinandosi a lui. “E di chi credi che
sia, Edward? Io tagliavo le verdure, e tu dovevi controllare il tacchino.
Semplice. Elementare!”
“E’ stato il
forno!” Fece quegli occhi da cagnolino ferito, sporgendo anche il labbro
inferiore di fuori.
“Il forno?” Intanto lei era rossa
dalla testa ai piedi, ancora con il coltello da cucina in mano. “Dobbiamo
soltanto ringraziare Esme che ha preso le bambine.
Perché noi preparassimo il pranzo in tutta tranquillità. E bene, Edward. Tua madre per una volta
ha accettato di passare il Ringraziamento qui, ed è la prima volta che
non cucina. Credi che possa fare brutta figura? Saremo più di dieci, a
pranzo. E il tacchino è bruciato! Che giorno del Ringraziamento sarebbe,
senza tacchino?”
Intanto Edward aveva
tirato fuori il tacchino dal forno, posandolo sul tavolo.
“Okay. Calma, tesoro.” Tolse
delicatamente il coltello dalla sua mano, che ora puntava anche
involontariamente contro di lui. Strinse anche l’altra mano,
avvicinandola cautamente. “Ora respira lentamente.
Non andrà nulla a puttane. Il tacchino ha fatto soltanto un po’ di
fumo, e non è andato perso.” Si
beccò un’occhiataccia da parte di Bella, ma posandole un dito
sulle labbra la fece tacere prima che iniziasse a scaricarsi. “E’ quasi tutto pronto per il pranzo. E mia
madre è felicissima di venire qui, e stare con
noi e le sue nipotine. Mangerebbe anche del take away
per il Ringraziamento, per la sua famiglia.” Lei
sospirò, voltandosi e appoggiando la schiena sul bancone.
“E’
la tua famiglia, Edward. Non ho mai passato il Ringraziamento dai Cullen,
ma soltanto da mio padre a Forks. Non sono abituata
alle grandi cose, come preparare il tacchino o le verdure
arrosto. Ma Alice mi raccontava sempre cose
splendide. Che Esme è una cuoca perfetta, e
che non l’avrebbe scambiata per nessun motivo al mondo. Voglio che oggi
vada bene. Voglio un Ringraziamento degno di casa Cullen.” Edward le accarezzò i capelli, mettendo una
ciocca che le era scivolata dal fermaglio dietro l’orecchio. “Ma si
da al caso che non sarà un bel Ringraziamento,
se non ti prendi cura delle tue mansioni!” Lo ammonì, puntandole
un dito contro.
“Tu hai bisogno di
rilassarti.”
“Sto benissimo
così, Edward.” Fece per scansarsi, ma se dietro c’era il
bancone che la fermava, davanti c’era quell’uomo splendido che
glielo impediva.
“Non credo proprio, tesoro.”
“Edward, sono le
undici.” Disse, sperando di convincerlo a lasciarla.
“Hai
ragione.” Anche lui guardò l’orologio a muro, constatandolo con ovvietà. “Per questo
arriveranno tutti alle dodici e trenta. Fra un’ora e mezza.”
“E il tacchino non
c’è p-” Non finì di lamentarsi, perché i suoi
fianchi furono stretti da una morsa e dopo poco si
ritrovò seduta sul bancone.
“Ora, ti rilassi.”
“Edw-” Fu interrotta da una lunga scia
di baci che partirono dalla mandibola, fino ad arrivare alle clavicole.
“Shh.”
“La cen-”
“Tesoro,
è il pranzo.
Non una cena.” Lo maledisse mentalmente, sia per quella mancanza che per tutto quello che le stava facendo provare.
“Le bam-” Questa volta furono le
labbra di Edward a coprire quella frase, con un bacio lento e bagnato.
“Un’ora
e mezza, piccola.
Abbiamo un’ora e mezza.” Intanto la mano si era posata sulla coscia
di Bella, passando da sopra e jeans e sotto quel grembiule con Babbo Natale,
scivolando sempre più su. Bella sospirò,
alzando gli occhi al cielo. Ma anche se tutti stavano
per arrivare e non avevano poi tutto questo tempo per cucinare di nuovo il
tacchino, non poteva arrendersi a quei baci. Contorse le braccia fino alla
schiena, slacciando con un unico movimento il grembiule e buttandolo per terra.
“Venti
minuti. Non di
più.” Annunciò, sfilando la maglia a Edward, subito dopo
raggiunta da tutti gli altri vestiti.
“Me ne dai soltanto venti?” Bella soffocò una
risata, incrociando le gambe dietro la schiena di Edward, facendosi trasportare
fino al divano.
“Ne abbiamo a
disposizione soltanto venti.” Precisò.
“Un’ora e
mezza, Isabella.”
“Venti
minuti, Edward.
Soltanto Venti.” Ma quando lui entrò
dentro di lei, sentendo quei gemiti che ormai avevano imparato a memoria,
capirono entrambi che quei venti minuti non sarebbero mai bastati.
“Mutandine!”
Edward le lanciò a Bella, mentre lei si rivestiva di corsa. Avevano
deciso di rimettere il tacchino mezzo bruciato nel forno, riscaldandolo. Quelle
belle verdure tagliate perfettamente erano diventate di forme assurde, tagliate
successivamente male e velocemente.
“Erano venti
minuti, Edward!”
“Sono sempre venti
minuti, per te.” Le passò davanti per dirigersi in bagno, ma solo
dopo averle lasciato un bacio sulla fronte. Intanto Bella indispettita, ma con
il sorriso sulle labbra finì di preparare quel tavolo in meno di un
minuto, saltando quando suonarono al campanello. Nemmeno si specchiò, e
quando aprì la porta trovò James a Laurent.
La salutarono
allegramente: il primo con un bacio sulla guancia, mentre il secondo con una
lieve strizzatina sul sedere.
“Hai la camicia all’incontrario, tesoro.” Le sussurrò
nell’orecchio Laurent, sulle labbra un sorriso
malizioso. Lei diventò rossa dalla testa ai piedi, ma non fece in tempo
a chiudere che sentì le urla di Emma a Mia.
“Mi manca da morire
non vederle tutti i giorni, ma cavolo, sto
sudando.” Bella allargò gli occhi, perché non aveva mai
sentito Carlisle parare in quel modo così
aperto.
“Ti capisco.”
Sorrise, abbracciandolo leggermente. “E buon Ringraziamento.”
“Grazie,
Bella.” Esme arrivò un attimo dopo, con in braccio Mia.
“Ciao
tesoro.” La salutò posandole un bacio sulla guancia, mente lei
tendeva le braccia per farsi prendere. “Dove sei stata?”
“Ci hanno poltato a Centa Pak.”
Ora Bella capiva perché Carlisle era
così stralunato e sudato. Sicuramente aveva dovuto rincorrerle per tutta
la mattinata.
“Ti sei
divertita?”
“Mi tivelto
più con tio
Edward. Lui mi accliapa
sempre.” Disse, puntando il dito contro lo zio che era appena uscito dal
bagno e stava parlando con James.
“Hey.” Si avvicinò dopo aver salutato Emma,
prendendo in braccio la più piccola della casa.
“Mi
tei mancato
tanto.” Strinse le braccia intorno al suo collo, e Edward ricambiò
con il sorriso sulle labbra.
“Il
tacchino.” Sussurrò lui a Bella, indicando la cucina. Era ancora
in forno, e la avvertì prima di beccarsi un’altra strigliata.
Anche se poi fare pace non gli sarebbe dispiaciuto
così tanto.
“Vado a
controllarlo.” Bella passò una mano sulla testa di Mia, facendola
scivolare poi sulla schiena di Edward, allontanandosi.
Ma non le sfuggirono le ultime parole che lui le rivolse.
“Grazie, amore.”
“E’ tutto
buonissimo, Bella.” Rivolse uno sguardo di gratitudine ad
Esme, che stava finendo di mangiare un pezzo della
torta di zucca. Almeno quella era una cosa che le era riuscita particolarmente
bene.
“Grazie.”
Sorrise, e allungò le mani perché proprio in quel momento Leah le stava passando il neonato.
“Hey.” Bella abbassò la voce, avvolse Ronald
ancora di più nella sua copertina e iniziò a cullarlo.
“Non capisco
perché in braccio a te non piange.” Sbuffò Jacob, con le
sue grandi occhiaie che gli incorniciavano il volto stanchissimo.
“Perché sono
una zia perfetta.”
“Non è velo.” Si intromise
Mia, continuando a staccare pezzi di zucca dalla torta mangiandoseli.
“Come no?”
Ormai erano tutti in silenzio, pronti ad ascoltare quello che aveva da dire.
“Ieri avevo un ‘ncubo, tono
venuta nella tua cemela
ma non c’eli.”
La fulminò con lo sguardo, ma era più offesa che triste.
“Questo
perché sta sempre in camera di zio Edward. Esce sempre con tutto il collo
rosso. E stamattina aveva tutti quei lividi.” Disse con ovvietà
Emma questa volta, mentre il silenzio in quella sala era diventato tombale.
“Tu e tio Edward
fate la lotta?”
“No, tesoro.”
Disse Edward.
“Perché non
riprendi tuo figlio?” Disse Bella.
“Bambine, giochiamo
al gioco dell’oca?” Disse Esme.
“Forse vado a
prendere una boccata d’aria.” Disse Carlisle.
“Io lo sapevo che
c’era qualcosa sotto.” Disse Jacob.
“Finalmente fate bunga bunga.”
Disse James.
“Io lo
sapevo!” Disse Laurent.
Parlarono tutti
contemporaneamente, procurando un caos degno di una famiglia così
rumorosa.
Poco dopo gli uomini
sparirono nel giardino con vari bicchieri di whisky e sigarette, Angela si era
accomodata sul divano allattando entrambi i gemelli, e Bella si era chiusa in
cucina, sommersa dalle stoviglie sporche.
“Ti serve una
mano?” La pentola le cadde nel lavandino, procurando un rumore
fastidioso.
“No, grazie Esme.”
“Tu lavi ed io
asciugo.” Le sembrava più un ordine che una richiesta, ma sempre
con quel suo dolce tono di voce.
“Perfetto.”
Rimasero in silenzio, e quando le stoviglie pulite diventarono più di
quelle sporche, la signora Cullen decise di parlare.
“E’
seria?”
Bella valutò
attentamente la sua risposta, perché sapeva che avrebbe avuto un peso
grave.
“Sì.”
“Bella.” Non
disse nulla, ma lei chiuse l’acqua e si voltò.
“Sì?”
“Non so cosa stia accadendo
tra te e Edward, ma è ovvio che c’è
del tenero. E sono felicissima per voi. Ho sempre creduto che sareste finiti
insieme, prima o poi. Ma le
cose erano diverse. Prima potevate pensare soltanto a voi stessi, e se fosse
andate male, non avreste avuto nessuna ripercussione, almeno non che
riguardasse anche esterni. Ma ora avete le bambine. E
se le cose tra te e Edward non andassero bene, loro ne risentiranno per sempre.
E questo non deve accadere. Non ora che stanno superando pian piano quello che
è accaduto. Non possono permettersi di perdervi. Di
perdere anche solo uno di voi.”
“Questo non
accadrà, Esme.” Bella si tolse i guanti,
allungando le mani pulite verso le sue. “Emma e Mia
saranno sempre in primo piano. Io e Edward
credevamo di aver fatto le cose per bene e di nascosto, ma quelle ne sanno una
più del diavolo. Volevamo dirglielo con calma. Ma
già lo sanno. Io e Edward siamo delle persone
mature, ma la nostra storia non inciderà sulle loro vite. Te lo
prometto.” Spiegò, stringendo per tutto il tempo
le mani fra le sue.
“Lo ami?” La
domanda arrivò impetuosa.
“Io…”
“Bella, lo
ami?”
“Sì. Lo amo.” Esme
le rivolse quel sorriso dolce, per poi abbracciarla.
“Edward
ne ha passate tante, Bella. Tu puoi fargli solo che bene. Lo vedo dal suo sguardo. Prima
pensava soltanto al lavoro, e alle donne che trovava di rado. Ora sorride con
te, e con le bambine. Siete la sua famiglia.” Gli occhi di Bella
diventarono lucidi, mentre ricambiava l’abbraccio di Esme.
“Grazie, Esme.”
“Grazie
a te, tesoro. E
diglielo. Il prima possibile. Lui deve saperlo, Bella.” Non si chiese come facesse a sapere
che Edward non sapeva, ma rimase in
silenzio. Ma glielo avrebbe detto. Gli avrebbe detto
che lo amava come mai aveva amato un uomo, e che erano
una famiglia. Loro due, con le bambine. Che avrebbe passato il resto della vita
con lui, che si sarebbe presa cura di tutti e tre. Lo avrebbe fatto il prima
possibile, perché aveva bisogno di sapere che Edward era lì,
pronto a cominciare qualcosa di nuovo con lei.