Agosto
A un passo dal nulla, alla fine di un amore a senso unico e un percorso che, invece, ha previsto infinite vie di realizzazione – e fallimento –, ti rendi conto di ciò che hai perso, solitamente.
Io, a un passo dal nulla, riesco solo a scorgere il tuo sorriso, ciò che ancora posso ambire ad avere solo per me.
L’egoismo è rimasta l’unica pecca in grado di ripagarmi ed è per questo che oggi sei qui: perché sono individualista, ma tu non te ne curi. Mi convinceresti che è il mondo a essere marcio, quando sono io ad aver avvelenato anche il tuo, per mesi. Per anni.
Eppure non mi guardi con stanca curiosità, con superiorità o condanna, quando sei al mio fianco, bensì con abnegazione: respingi la tua stessa essenza, Hinata, per poter cogliere la mia.
Non sai che la luce che vedi in me è solo il vago riverbero della tua?
La finestra è spalancata, il sole produce un frastuono luminoso intermezzato dal sottile turbamento delle cicale, che ottura le orecchie, e la sala di consultazione è vuota.
Le tue dita fremono dalla voglia di sfiorare la pergamena del manoscritto – il mio pretesto per rivederti, in piena estate –, ma si trattengono, chiuse a pugno, sulle cosce. Sorrido ancora nel notare il guanto bianco di cotone che ti ho prestato: le nostre due mani – la tua destra e la mia sinistra – formano un paio; basta già questo a fare di noi una coppia?
«Pensavo avessi dato l'esame di Paleografia l’anno scorso».
Ricordi bene; come mentirti?
«Desideravo mostrarti questo», confesso, sfogliando il codice trecentesco con il guanto sterile. Mi fermo a metà del tomo e ti indico la splendida I miniata in ricco oro, lapislazzuli e porpora.
«Un drago!» esclami meravigliata, dimenticando improvvisamente la regola del silenzio – tua e della biblioteca civica.
Un anno fa, degli occhi che amavo si erano chiusi con indifferenza, di fronte a questa scoperta paleografica.
È così pacchiano!, aveva mormorato la bocca che baciavo. Non capisco cosa ci trovi di tanto interessante: stupidi disegnini medievali intorno a un capolettera. Quei perditempo avrebbero potuto escogitare una cura contro la peste, al posto di decorare libri che i più non sapevano nemmeno leggere!
E io le avevo dato ragione, riponendo il manoscritto e osservandola studiare il suo manuale di Gray, con quelle illustrazioni anatomiche inquietanti e veritiere, per niente abbozzate con il minimo lavoro di fantasia.
«Non ho mai visto qualcosa di tanto elaborato e sfarzoso», sussurri tu, oggi, toccando con ossequio il sottile vello conciato e vergato con perizia amanuense.
«Nemmeno io». Ma i miei occhi sono sul tuo volto, non sull’immagine; vorrebbero scorgere ciò che ti gravita nella testa e farsi strada fino al tuo cuore. Lì troverei me stesso.
«Grazie», mi sorridi, incantata.
Finalmente ne ho la certezza: tu non sei lei, non sei nessun altro. Il nulla è lontano, quando diventi improvvisamente il mio tutto.
Io, a un passo dal nulla, riesco solo a scorgere il tuo sorriso, ciò che ancora posso ambire ad avere solo per me.
L’egoismo è rimasta l’unica pecca in grado di ripagarmi ed è per questo che oggi sei qui: perché sono individualista, ma tu non te ne curi. Mi convinceresti che è il mondo a essere marcio, quando sono io ad aver avvelenato anche il tuo, per mesi. Per anni.
Eppure non mi guardi con stanca curiosità, con superiorità o condanna, quando sei al mio fianco, bensì con abnegazione: respingi la tua stessa essenza, Hinata, per poter cogliere la mia.
Non sai che la luce che vedi in me è solo il vago riverbero della tua?
La finestra è spalancata, il sole produce un frastuono luminoso intermezzato dal sottile turbamento delle cicale, che ottura le orecchie, e la sala di consultazione è vuota.
Le tue dita fremono dalla voglia di sfiorare la pergamena del manoscritto – il mio pretesto per rivederti, in piena estate –, ma si trattengono, chiuse a pugno, sulle cosce. Sorrido ancora nel notare il guanto bianco di cotone che ti ho prestato: le nostre due mani – la tua destra e la mia sinistra – formano un paio; basta già questo a fare di noi una coppia?
«Pensavo avessi dato l'esame di Paleografia l’anno scorso».
Ricordi bene; come mentirti?
«Desideravo mostrarti questo», confesso, sfogliando il codice trecentesco con il guanto sterile. Mi fermo a metà del tomo e ti indico la splendida I miniata in ricco oro, lapislazzuli e porpora.
«Un drago!» esclami meravigliata, dimenticando improvvisamente la regola del silenzio – tua e della biblioteca civica.
Un anno fa, degli occhi che amavo si erano chiusi con indifferenza, di fronte a questa scoperta paleografica.
È così pacchiano!, aveva mormorato la bocca che baciavo. Non capisco cosa ci trovi di tanto interessante: stupidi disegnini medievali intorno a un capolettera. Quei perditempo avrebbero potuto escogitare una cura contro la peste, al posto di decorare libri che i più non sapevano nemmeno leggere!
E io le avevo dato ragione, riponendo il manoscritto e osservandola studiare il suo manuale di Gray, con quelle illustrazioni anatomiche inquietanti e veritiere, per niente abbozzate con il minimo lavoro di fantasia.
«Non ho mai visto qualcosa di tanto elaborato e sfarzoso», sussurri tu, oggi, toccando con ossequio il sottile vello conciato e vergato con perizia amanuense.
«Nemmeno io». Ma i miei occhi sono sul tuo volto, non sull’immagine; vorrebbero scorgere ciò che ti gravita nella testa e farsi strada fino al tuo cuore. Lì troverei me stesso.
«Grazie», mi sorridi, incantata.
Finalmente ne ho la certezza: tu non sei lei, non sei nessun altro. Il nulla è lontano, quando diventi improvvisamente il mio tutto.
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Non voglio più che tu imbeva il tuo pennino di lacrime, se intenderai scrivere di me.
Non voglio più che tu imbeva il tuo pennino di lacrime, se intenderai scrivere di me.