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Autore: EchelonShanimal    07/12/2014    0 recensioni
"Che buffo, cercano di rassicurarmi, e mentre parlano colgo la loro angoscia, la loro preoccupazione e vorrei essere io a rassicurare loro. Perchè io so cosa è successo. Era tutto vero."
Genere: Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Incompiuta
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PREMESSA: Salve, questa è la mia prima fiction, ed è completamente inventata da me. Non so esattamente cosa scrivere, quindi mi limiterò a chiedervi di commentare con consigli costruttivi, spero che la storia vi piaccia e se trovate qualche errore, perdonatemi! Shanimal- 1 Dicembre 2014                     Ci ho provato.                        Non ci sono riuscita. Adesso tutti intorno a me dicono che è stato solo il frutto della mia immaginazione. Che non ero pazza, che capita... Anche se di solito succede solo ai bambini quando devono adattarsi ad un nuovo ambiente. Che buffo, cercano di rassicurarmi, e mentre parlano colgo la loro angoscia, la loro preoccupazione e vorrei essere io a rassicurare loro. Perchè io so cosa è successo. Era tutto vero.                                                                                                  S. Shane stava tornando a casa, il solito vicolo scuro, altri 10 metri e sarebbe giunta alla sua porta. Era freddo, anzi, freddissimo, affrettò il passo, impaziente. Appena varcata l'entrata il puzzo di marcio e di alcool la investì e le provocò dei conati. Un pezzo rock da due soldi veniva pompato dalle casse dello stereo mal ridotto, suo padre -altro conato mentre pensava al futuro imminente- giaceva sulla poltrona scucita in più punti, la cintura dei jeans logori slacciata, la camicia da boscaiolo lurida e puzzolente era aperta a mostrare l'indecenza del suo corpo reso deforme dalla birra e chissà cos'altro.  In una mano, sporca di polvere scura -carbone?- teneva una bottiglia avvolta in un cartoccio, identico a tutti gli altri sparsi per tutta la casa; nell'altra una sigaretta di dubbia provenienza. L'uomo alzò lo sguardo verso la ragazza che era rimasta impietrita di fronte allo scempio, non che non fosse la norma, ma in quel momento aveva paura, paura di quello che l'uomo-che era suo padre- le avrebbe fatto questa volta. La guardò, di nuovo. 《Lurida puttanella, dove sei stata eh? Ti ammazzo se provi a non tornare, hai capito? Domani mattina niente scuola! Oggi hai perso 5 clienti! Cinque! T'ammazzo!》 L'uomo fece per alzarsi, ci riuscì, ma era troppo ubriaco e ricadde sulla poltrona, la ragazza piena di rabbia e paura corse verso le scale, arrivata in cima,  girò a destra e si chiuse a chiave nella sua stanza.  Le mani presero a tremare sempre più forte, gli occhi a bruciare: quello era l'inferno, ogni volta provava quel bruciore nel petto, che la divorava. Ogni volta dopo essersi calmata apriva il cassetto del comò situato a sinistra del grande letto, prendeva la lametta, in ginocchio, si scopriva il polso sinistro e le cicatrici delle volte precedenti la facevano spaventare, ma durava solo per una frazione di secondo, affondava il piccolo e affilato pezzo di metallo sulla pelle scura  -possibilmente in un punto senza segni, anche se ormai era difficile- e lo muoveva sulla pelle come a formare graffi di un animale: "Il mio gatto ieri era un po' nervoso" nessuno ci credeva a scuola, quando era ancora una principiante, ma erano solo due segnetti:            probabilmente avrebbe smesso prima o poi. Poi? Alla fine erano aumentati, non indossava più magliette a maniche corte, né abiti aderenti, non sorrideva più. E tutti smisero di parlarle, niente di personale, è che era strana, depressa, troppo magra, o comunque nessuno la vedeva mai mangiare, avevano paura che fosse contagioso, avevano paura forse, che avrebbe azzannato chiunque, senza distinzioni.      Con il braccio ancora sanguinante e le lacrime che sgorgavano dagli occhi, Shane si trascinò nel letto,  avrebbe voluto soffocare tra i cuscini, morire. Non ci riusciva da sola, e non aveva le palle per appiccarsi o respirare gas, era una codarda, si disse,  chiuse gli occhi, con la speranza di non risvegliarsi il mattino dopo. SHANE. Il mattino arrivò presto, troppo presto. Mi alzai in fretta e mi vestii -anche se tra un po' mi sarei dovuta svestire- aprii la porta, titubante e con le mani che mi tremavano, il puzzo della sera prima mi invase subito le narici, mentre arricciavo il naso sentii delle risate dal piano di sotto, risate di due uomini, un brivido mi salì lungo la schiena e il primo impulso fu quello di darsela a gambe e rinchiudersi dentro la stanza. Mi appoggiai alla ringhiera di legno per andare avanti, con un'espressione rassegnata, i miei occhi tradivano terrore e dolore. 《Dov'è la mia rosa del mattino? La mia piccola bambina?》 Gracchió mio padre con voce roca, scesi i gradini, rassegnata, con lentezza. 《Allora Joe, non ti sembra fantastica?》disse, rivolto all'uomo sconosciuto, era alto, di bell'aspetto, curato non giovane, ma neanche vecchio, i capelli mogano sembravano morbidi, e la barba ispida ma ordinata era rigata da qualche pelo bianco, nulla di grave. Lo sconosciuto che doveva essere Joe, sorrise, guardandomi stralunato. Si girò verso mio padre e gli diede una mazzetta con tutte banconote da 100$. Strabuzzai gli occhi: mio padre oltre a pagare l'affitto e comprare alcolici scadenti, non mi dava nulla. Se mangiava, lo faceva fuori. E se io non fossi stata così folle-o forse astuta?- da fregarmi centoni ogni volta che crollava, probabilmente sarei morta di fame. Rubavo soldi, perché mi spettavano e perché mi servivano per mangiare, gli altri li risparmiavo: volevo scappare, ancora non l'avevo fatto perché non sapevo dove andare e non avevo nessuno. 《Bene, tesoro accompagna il cliente di sopra》 Mi sforzai di mantenere la calma, e precedetti Joe, sulle scale e poi nella mia stanza. Chiusa la porta alle sue spalle, mi strappò con violenza il vestito, mi gettò sul letto, chiusi gli occhi con forza, strizzandoli, rigida come il ghiaccio, cercando di tapparmi le orecchie mentalmente. Lo sconosciuto-Joe si era già tolto mutande e pantaloni, mi strappò gli slip, allargó le mie gambe e si infilò dentro di me, prepotente, rude, con violenza. Il ritmo accelleró, sembrava divertirsi, io gridavo, cercando di non pensare a ciò che stava succedendo, dopo qualche minuto cessò tutto, si sfiló da me, sentì il rumore della sua zip e subito dopo la porta chiudersi. Era da un anno che succedevano quelle cose, ora avevo 16 anni, sarei dovuta essere abituata, e invece ogni volta, rimanevo distesa, con gli occhi chiusi nauseata da me stessa, inerme, come una statua. La settimana successiva e quella dopo ancora procedette allo stesso modo, con lo stesso dolore, in due settimane, avevo aggiunto 2.400 dollari al mio già consistente bottino, dalla prossima settimana avrei aumentato a 300 dollari al giorno. E poi mi sarebbe servito solo un piano.
   
 
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