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Autore: REDRUMILLA_    07/12/2014    2 recensioni
Montmartre, Francia.
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Louis è uno scrittore fermo all'epoca del Simbolismo francese che sente di vivere la vita di un altro. Crede più nei fenomeni atmosferici che in se stesso e passa il tempo in silenzio a scrivere miriadi di poesie senza un titolo consono.
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Harry è uno studente d'Arte, vive della sua pittura e crede nel paragone che fa fra se stesso e un onda. Egli viveva la sua vita senza paura di sbattere su di uno scoglio, farsi male. Perché sarebbe rinato ancora più forte e pronto a schiantarsi un’altra volta. E' un ragazzo con i piedi ben piantati per terra, insomma.
Due persone così diverse riusciranno mai a trovare un punto in comune? E se fosse proprio lo stesso senso di libertà a metterli d'accordo?
La risposta è ovviamente chiara a tutti ma, leggere non costa nulla!
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[Writer!Louis] [Painter!Harry] [Mini-Long, AU, Niente Side Paring] SUCCESSIVAMENTE ROSSA!
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi, Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Sensation -ACT. 1


2000, anno di cambiamenti, anno di innovazioni, scoperte scientifiche, misteriosi ritrovamenti alieni, metodi di fecondazione assistita, tumori curati e cuori impiantati, auto a pochi passi dal volare, Miley Cyrus e il suo twerk, il matrimonio di Elton John, in poche parole: l'innovazione.
Erano proprio questi aspetti, materiali e melliflui, aspetti capaci di rivoluzionare un'epoca una popolazione, a insospettire e assillare i pensieri del nostro poeta, nonché protagonista Louis William Tomlinson.
Erano le tecnologie incalzanti e la superficialità che lo destavano dei suoi sogni notturni e lo portavano ad alzare lo sguardo al cielo. Perché, testualmente da suoi scritti:


"se io, con la mia inadeguatezza e
Se il mondo, con la sua superficialità
Riescono a influenzare la terra, allora
Il limpido calore del cielo con il suo risvegliarsi mattutino  
è padrone certo incontrastato del vasto impero stellare.
E se non posso bearmi del dolce scorrere del tempo terrestre, o cielo permettimi di essere un tuo abitante."


Tutto era cambiato, mutato, ma il cielo era rimasto sempre lo stesso, li fermo a guardarlo. Di lui poteva fidarsi.
Quindi il lento scorrere della vita dello sconsiderato ragazzo dai capelli castani, poteva solo svolgersi nei suoi più fervidi pensieri e più magistrali scritti, nelle sue linee e assonanze sballati, i suoi titoli confusionari e nel suo fissare il cielo, aspettando qualcosa, qualcosa che lo risvegli dal suo torpore, dal suo " male di vivere".
Parigi, quel giorno di aprile era assolutamente perfetta, d’ispirazione per qualsiasi scrittore ma non per il giovane. I pensieri di un londinese scappato dalla monotonia erano diversi, erano qualcosa poco confutabile all'indiscussa ammirazione verso quella terra. Perché Louis viveva si a Parigi, ma in una Parigi diversa, in una Parigi un po' più antica, ottocentesca per l'esattezza. Insieme a uomini baffuti, donne pudiche e tanta, tanta tradizione. Trascorreva il tempo nel bar della capitale sorseggiando assenzio e parlando della sua poetica con i poeti del momento come Baudelaire, Mallarmè, VERLAINE.
Se fosse seriamente vissuto in quell’epoca avrebbe sicuramente vestito i panni di un piccolo Rimbaud spaventato.
Di un ragazzo troppo giovane per lottare con i pensieri che ogni giorno facevano capolino nella sua testa e lo portano a dubitare di tutto e di tutti, tranne che di se stesso.
Dubitare di una realtà troppo cruda e senza possibilità di ripresa, per lui che sperava solo di trovare un po’ di pace nel suo vagare.
Qualcuno che lo capisse. Oh si, Louis sarebbe assolutamente stato la rincarnazione di Arthur Rimbaud, astista dal talento prepotente e fuori dal comune. Un genio tormentato, assolutamente insoddisfatto.
E Louis era felice di pensare alla somiglianza con egli, se non fosse per la sua, a parere del castano, pessima scelta di condividere la vita con un insulso scrittore come Verlaine.
Il melenso vecchio che tanto elogiava la bellezza dell’amante e al tempo stesso le fattezze morbide della moglie.
Un uomo con i piedi cosi radicati al suolo da non permettere al ragazzo di poter spiccare il volo, in sua compagnia. Era solo una zavorra che Rimbaud si portava dietro perché c’era cascato.
Era cascato nella peggiore trappola mai inventata, anche detta Amore.
Si era ripromesso, il giovane Louis, che non si sarebbe mai fatto abbindolare da parole come “Sei la mia vita, non lasciarmi mai.”  Non avrebbe mai risposto alla fatidica affermazione “Ti amo” se non con un secco rifiuto.
L’amore faceva male, ti portava a prendere decisioni dettate dal cuore, e il suo cuore non poteva permettersi di vacillare. Lui sapeva chi era e quindi anche che non c’era nessuno al mondo che avrebbe potuto capirlo, era solo.
Ma se da una parte camminare per le strade di Parigi era deprimente se non vi era nessuno con cui condividerla, dall’altra era fiero di ammettere che mia nessuno avrebbe potuto, o saputo amare e apprezzare la sua persona.
Essere soli e odiare era assolutamente più facile che innamorarsi. Come dicevano gli inglesi quando si innamorano: “Falling in Love”. Perché dire che si “Cade” quando l’amore, per detta di tutti, è qualcosa di magnifico?
Forse, chi aveva coniato quel termine sapeva; sapeva che il resto del mondo stava sbagliando.
Amare è soffrire, e lui riusciva benissimo a soffrire senza amare.
Perché la sua vita, la sua decisione di immergersi in un mondo fantastico, un mondo passato, lo portava inesorabilmente ad una vita solitaria. E tutti sono a conoscenza che l’essere umano ha bisogno di qualcuno al suo fianco per vivere.
Sceglieva di essere solo e soffriva per questo, non desiderava amare, ma aveva bisogno di qualcuno che lo capisse. Si era trasferito a Parigi per vivere la sua vita e non lo stava facendo affatto.
Quindi Louis stava realmente vivendo la sua vita, o quella di un lontano poeta maledetto?
Continuava a farsi queste domande, mentre passeggiava e sognava che al posto di quel maledettissimo negozio di computer vi fosse una lavatrice a gettoni, e che la ragazza dai lunghi capelli corvini fosse promessa sposa all’uomo con le cuffie dall’aspetto trascurato, che quelle rumorose e maledette auto fossero carro—

“Dannazione” si lasciò scappare mentre all’improvviso andò a sbattere contro un cavalletto logoro e sporco di pittura secca.

Si chinò per raccoglierlo con fare assente, per poter tornare ad ammirare il cielo immobile sopra la sua testa.
Ma quando, sollevandosi da terra, vedendo che sopra di lui non vi era un azzurro accecante ma degli occhi a fissarlo, altrettanto ammalianti, barcollò.
Perché il ragazzo bassino non era pronto per la visione di quell’individuo, e di certo non lo sarebbe stato mai.

“Grazie.” Disse la figura slanciata che si era posta fra lui e la sua musa. E Louis si maledisse per non avere fra le mani il suo diario perché quello che i suoi occhi stavano vedendo doveva assolutamente essere impresso in una delle sue pagine. Indelebilmente.

Aveva dei lunghi capelli ricci che gli ricadevano sulle spalle, selvaggi e una fascia a bloccarli, color azzurro scuro. Le sue guance erano rosse e mostravano delle fossette che Louis, per la prima volta nella sua vita, dovette definire con un termine che assolutamente non si addiceva alla sua persona; erano adorabili. Quelle piccole rientranze coronavano alla perfezione il sorriso radioso che mostrava i suoi candidi e squadrati denti bianchi.
E infine quei dannati cosi, quei fari verdi che lo fissavano, non lo lasciavano respirare regolarmente. Annaspava per portare un po’ di aria alla bocca.
Maledetto spilungone tutto curve e dall’aria stucchevolmente perfetta, smetti di torturarmi.
Pensò, mentre cercava di mettere in fila cinque parole e tirar fuori un qualsiasi rumore dalla sua bocca impastata.

“Pr-rego, scusi se mi sono scontrato con il suo cavalletto, è stata una spiacevole svista.” Cercò di ricomporsi.

Il ragazzo dagli occhi smeraldo si mise a ridere, riponendo l’aggeggio al suo posto e portandosi le mani alla pancia.

“Parli in maniera strana.” Disse quindi, tappandosi la bocca per cercare di frenare la risata cristallina.

E Louis sperò vivamente che quel tentativo fallisse, non era assolutamente pronto a disintossicarsene.
Aspetta solo un altro attimo per fare in modo che mi ricordi, e che non dimentichi, il suono della tua felicità.

“E per me” tornò serio “Non è assolutamente stata spiacevole.”

In un attimo il cuore di Louis si fermò. Si rese immediatamente conto di quello che stava succedendo.
Cos’era quello, un batticuore? Mio dio, non dirmi che quelle erano le famose “farfalle nello stomaco”, è disgustoso.
Quel ragazzo affascinante mi sta facendo delle avance?

No, doveva assolutamente liberarsi di quel forte dolore alla bocca dello stomaco, doveva andarsene il più lontano possibile da quei sentimenti che lo sconosciuto stava sprigionando in lui.
L’amore è per i deboli, ma soprattutto è per i vivi.
Lui non stava vivendo, la sua vita non poteva avere luogo, lui non era fatto per quell’epoca, per quell’assurdo e frivolo sentimento quale l’amore.
Era solo un ombra di qualcosa che era già esistito, di passato, era morto e non riusciva a farsene una ragione.
Era nato morto? Come era possibile?
Mai si era sentito a suo agio da quando era nato. Alla sua comunione non volle un cellulare ma una macchina da scrivere e sua mamma, non trovandola nei negozi, si ritrovò a spulciare nei mercatini dell’usato alla ricerca dell’oggetto che solo suo figlio, fra tutti i ragazzini, desiderava sopra tutto.
Quando cominciò ad andare a scuola e gli venivano assegnate delle ricerche, invece di usare un pratico computer, passata la giornata nella biblioteca della scuola da solo, mentre spulciava logori libri dimenticati da anni e fissava i suoi compagni di classe ridere alla sue spalle.
Non aveva mai avuto un vero amico, mai una vera fidanzata oppure un confidente.
Gli unici veri amici che avevano erano di carta, con parole nere impresse sopra.
I suoi genitori avevano abbandonato l’idea di capirlo e quando, quel giorno d’estate di ormai un anno fa, aveva espresso il desiderio di andarsene in Francia non avevano potuto che acconsentire. E quando lo videro con uno zaino in spalla, pronto a varcare la soglia di quella casa che lo aveva tenuto prigioniero per anni, furono felici. Felici poiché capirono che mai suo figlio avrebbe potuto vivere la sua vita in quel luogo. E tristi perché, mentre si chiudeva la porta alle spalle, l’espressione frustrata non aveva lasciato il suo viso; a dimostrare che, a prescindere dal luogo, non avrebbe vissuto mai.

E’ per questo che “Uhm, devo proprio andare adesso.” Disse Louis rompendo il silenzio, guardando il  ragazzo riccio con fare minaccioso, mentre recuperava la sua borsa caduta a terra.
Devo andare lontano, lontano da quegli occhi..

Se non fosse per quella mano sporca di pittura verde che lo stava trattenendo per la giacca adesso sarebbe già dall’altra parte della Senna.
Il ragazzo aveva gli occhi fissi su di lui, senza paura di affrontare il suo sguardo adirato.
Senza timore alcuno.
Ma Louis ne aveva, ne aveva così tanto che bastava a colmare la mancanza dell’altro.
Quindi mentre la sua mano era ancora fissa sulla sua logora giacca di cotone, sbagliò ancora.
Scelse ancora le la reclusione e l'infelicità.
Fuggì da lui. Fuggì dalla felicità, che mai aveva conosciuto. Di cui si era privato personalmente in tutti quegli anni.
Strattonò la mano che lo teneva fermo e si allontanò correndo. Perché Louis aveva paura della novità, paura dell'ignoto. Tutto quello che sapeva della sua vita lo doveva alle poesie e al suo idolatrare Rimbaud, ma qualcosa gli mancava. Qualcosa c’era che lo differenziava dal suo omonimo poeta, non aveva coraggio. Perché la sua vita non gli aveva mai richiesto di averlo.
Coraggio di dire al ragazzo di andare a bere qualcosa, se poteva baciarlo fino a svenire o poteva leggergli le miriadi di poesie che aveva scritto in una sola giornata, con impresso nella mente il ricordo del suo viso, delle sue mani, di lui. Di quel riccio che aveva, probabilmente  inconsapevolmente ad entrambe le parti, portato via il gelido cuore di Louis.
 
A lui non era concesso di amare, ma per la prima volta, mentre si portava la coperta sulle spalle, il suo ultimo pensiero non andò come di consueto al cielo, proprio no.
 
 



Erano le tre ormai passate da un pezzo e uno stanco ragazzo, con un altezza sopra la media, stava percorrendo le strette strade di Montmartre in tutta fretta. Era appena tornato da un corso durato quattro ore durante le quali l’unica cosa che era riuscito a disegnare erano delle alte, increspate, onde blu.
L’insegnate, il signor Sanchez, era stato abbastanza stupito dalla disattenzione dello studente, nonché migliore del suo corso.
Ma cosa poteva farci il giovane Harold Paul Styles se non riusciva a eliminare dalla sua testa le immagini di un ragazzo bassino, sugli 1.71, scompigliato e assolutamente adorabile?
Ricordava benissimo la sua sciarpa rossa legata al collo, per ripararlo dal gelido vento autunnale e quel naso rosso che vi spuntava da sopra.
Avrebbe assolutamente potuto dipingere con esattezza il suo volto, nei minimi dettagli, se solo non vi fossero a disturbarlo due piccoli occhi affusolati da gatto, a catalizzare la sua attenzione.
Non era mai stato un ragazzo molto introspettivo, aveva sempre preferito agire d’impulso, senza pensarci troppo su.
Forse era per quello che quel giorno, su quella tela, quel maledettissimo mare blu, somigliava così tanto agli occhi del giovane ragazzo scompigliato.
E forse era proprio per quello che, non ci pensò molto mentre si incamminava per la strada dove si erano scontrati il giorno prima.
E non si fece sicuramente alcuna domanda quando, pochi metri dopo, lo vide li, seduto su di una panchina, con gli occhi chiusi, una smorfia sulle labbra e la solita sciarpa a coprirgli il collo.
Harry non si faceva mai problemi, se c’era da fare qualcosa la faceva. Come quando la madre gli chiese se l’avrebbe seguita in Inghilterra o se preferisse rimanere in Francia.
Tempo due minuti e sua madre era sparita e lo aveva lasciato, a soli 18 anni, a dover fare i conti con una casa da mantenere e un gatto da accudire.
La Francia era il luogo dove era nato e cresciuto e, anche dopo l’abbandono da parte del padre e il trasferimento per problemi economici della madre, era rimasto li. Con una borsa di studio per la scuola d’arte di Montmartre e, se proprio aveva bisogno di qualche soldo non si faceva problemi a guadagnarne facendo ritratti per le strade della sua città.
Poteva considerarsi un giovane artista in erba, con modesto talento, una tetto sopra la testa e tanta voglia di vivere.
Non aveva mai desiderato altro, si sentiva bene in quell’esatto modo.
O meglio, non desiderava altro prima di vedere lui.
Lo stesso ragazzo del giorno prima, accucciato su se stesso, solo. Non poteva sopportare di vederlo così solitario e invisibile agli occhi degli altri.
Avrebbe tanto voluto andare li, cauto, e sussurrargli all’orecchio che qualcuno l’aveva notato, qualcuno l’aveva capito e sempre lo stesso qualcuno era deciso a non lasciarlo andare.
Ma era assolutamente troppo spregiudicato come comportamento, se non addirittura da stalker…
Ma come suo solito, mentre il pensiero si faceva spazio nella parte razionale della sua testa, si stava già muovendo piano, quasi in punta di piedi, e senza nessun pretesto specifico o parola, si stava sedendo accanto al suo corpo abbandonato.
Aspettando che quei piccoli zaffiri si soffermassero di nuovo su di lui, come onde disperate che si infrangono sugli scogli per cercare conforto.
 

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Il sapore di pane penetrava nelle narici di Louis prepotentemente, mentre il suono di un aggraziato violino cullava il suo attimo di meditazione.
Due ragazze stavano usando quell’aggeggio infernale, anche detto “cellulare”, per fotografarsi con facce assolutamente discutibili.
Un uomo sulla sessantina giaceva in un angolo, indisturbato, mentre si scolava la sua quinta birra della giornata. Una fiumana incredibile di turisti appestava la via dove lui era seduto e, come se gli occhi non bastassero per ricordare, avevano perennemente in mano la loro macchina fotografica, per immortalare per sempre, in un inutile nastro, quello che i loro occhi avevano già assimilato.
Quando torneranno dalla vacanza mostreranno le miriadi di foto scattate ai poveri amici rimasti a casa che, alla cinquantesima, se ne usciranno annoiati con la domanda: “Allora, vi siete divertiti?” solo per depistare i fotografi provetti e spingerli quindi a interrompere quella visione straziante.
Perché non capiscono che la bellezza di una città non può essere rappresentata tramite un filtro di vetro? Invece che continuare a stare con gli occhi fissi in quegli aggeggi del futuro, perché non alzare gli occhi ed ammirare quello che a prima vista è invisibile all’uomo?
Come la giovane bambina che corre insieme alla madre, nel suo delizioso cappotto rosso, con in mano un enorme gelato, mentre cerca di non inciampare nelle rocce di cui è ricoperto il suolo.
Per fortuna prima le cose non erano così.
La cittadina di Montmartre era il quadro di un qualcosa che era stato assolutamente perfetto e poi malauguratamente rovinato.
Si ricordava tutte le immagini che aveva visto sui libri di storia, si ricordava le classiche raffigurazioni  in bianco e nero dove uomini col berretto sorseggiavano un caffè in un bar lungo una stretta stradina in salita. O un'altra dove due donne ballavano sulle piazza mentre una fisarmonica le accompagnava armoniosamente.
Oppure la sua preferita in assoluto. Quella foto rovinata dove vi era una lunga fila di artisti di strada, che senza vergogna, occupava un intero sentiero, con personaggi eleganti che si fermavano per elogiare un artista oppure per farsi ritrarre nel nuovo abito appena comprato nella boutique all’angolo.

 “Dal cielo plumbeo scrosciava
tambureggiando la pioggia
tra alberi discinti allineati
nelle larghe piazze
tra panchine vuote.
 
Pochi passi per i viali
nei pub tra luci sommesse
traboccanti boccali
a dar vita all’asfalto fari abbaglianti. 
Era triste Montmartre

grugni mesti di pittori
miraggio di volto ritratto  
colori trasudati da mani stanche
di avventore attesa incessante
sul bohémien pioveva speranza.
Quella sera a Montmartre…
accostata al gruppo
si agitavano i miei sensi
lo sguardo si posava
sui dipinti per terra sparsi
un bohémien asserì al passante
…eh, hai fatto soldi tu…
Montmartre…
 
domani pioverà sole sui colori,
tempo nuovo, tanti avventori.”
 
Stava leggendo questa poesia, strappata da un libro in biblioteca e riposta accuratamente nel suo diario, quando sentì che qualcuno si era seduto accanto a lui.
La pioggia leggera che iniziò a cadere sui suoi capelli, unita alla sua meteoropatia, gli urlava di andare in un'altra panchina, dove sarebbe potuto stare solo lui e i suoi pensieri.
Il cielo, facendo piovere, aveva sicuramente capito che qualcosa non andava. E lui credeva assolutamente che il tempo fosse come una specie di premonizione.
Louis oggi non è giornata, diceva.
E probabilmente aveva del tutto ragione poiché, mentre si voltava per valutare se valesse la pena spostarsi, notò che due occhi verdi familiari lo stavano fissando timorosi.
La pioggia Louis, il cielo ti sta dicendo che devi andare lontano da lui. Ricordi?

“Sono Harry Paul Styles e mi scuso se ti ho dato fastidio ieri, non volevo..”  sussurrò il riccio.

“Non preoccuparti, sono io quello sbadato. E non sono nemmeno un tipo molto socievole.”

Cercò di apparire spavaldo Louis, ingoiando la saliva per rimuovere il groppo alla gola che tentava di strozzarlo.

“Oh, quello l’avevo intuito!” rispose “Posso chiederti come ti chiami?”

“Non mi sembra il caso, non sono qui per fare amicizia.” Le gocce di pioggia tamburellavano sui suoi jeans scuri come a comunicargli di scappare, velocemente, ancora una volta.

“Sei per caso uno scrittore?” Disse Harry, così diceva di chiamarsi, mentre osservava attento il diario che aveva fra le mani.

“Diciamo che scrivo qualcosa.” Si sbrigò a rispondere per mettere velocemente fine a quella scomoda discussione.

Le labbra socchiuse del riccio, rosse probabilmente dal freddo, erano come delle calamite che mantenevano le sue gambe fisse alla panchina, impedendogli qualsiasi mossa di allontanamento.
La pioggia, PIOVE, è un brutto segno, SCAPPA!

“Ora dovrei andare.. scusa.”

Harry lo fissò adirato, increspando le labbra “Ancora? Cristo ragazzo! Hai qualcosa che non va? Non mordo mica!”

“Mi chiamo Louis William Tomlinson, ho 21 e sono di origini inglesi.” Sputò il castano “Adesso che ho risposto alla tua domanda posso andare?”.

Perché si ostinava a cercare un dialogo con Louis? Nessuno ci aveva provato con così tanta determinazione. Nessuno si era mai soffermato per cercare di capirlo o per abbattere la barriera che tanto si era sforzato ad alzare fra lui e il resto del mondo.
Perche questo ragazzo non era come tutti gli altri? Perché non capiva che portava pioggia?
Harry era la pioggia, e la pioggia non porta mai nulla di buono.
Durante un giorno di pioggia il suo libro preferito cadde a terra e si bagno irrimediabilmente.
Mentre diluviava Louis venne investito da un auto, all’età di 12 anni, e ne portava ancora i segni.
E durante una forte grandine suo padre fu ricoverato in urgenza all’ospedale per un attacco di cuore.
Senza contare che, a soli due giorni di distanza da quell’avvenimento, morì circondato da nubi nere e pozzanghere grosse come piscine.

“Adesso che so il tuo nome Louis, sarei curioso di sapere cosa c’è che non va.”
E’ una parola Harry. Sarebbe più semplice chiedermi cosa c’è che va.

“Piove.” Disse solo.

“Quindi hai problemi con la pioggia? A me piace.”

Quel ragazzo era assolutamente pazzo per amare quelle fastidiose gocce che non smettevano di ticchettare sugli indumenti ormai fradici.
Mi domando perché sono ancora qui ad ascoltarlo, sono ormai zuppo.

“Non ho problemi con la pioggia, ho problemi con te”.
Dannazione, come faceva a capire che non avevo assolutamente la forza di oppormi a lui e neanche un briciolo di amor proprio per avvicinarmelo?

“Tieni.” Aggiunse Harry avvicinando al ragazzo un piccolo ombrello color arcobaleno.

Quel povero ragazzo voleva regalargli il suo ombrello quando Louis lo aveva trattato così male. Non si meritava assolutamente il trattamento che il castano gli stava riservando.

“Ti sacrifichi sempre per tutte le persone che incontri per strada?” continuò il ragazzo dagli occhi azzurri, fissandolo.

“No, solo per le persone che trovo meritevoli di tale gesto!”

Louis rise.
Aspetta, COSA?

“Volevo solo parlare come te, per farti sentire a tuo agio!” rispose allora il riccio, ridendo di gusto assieme al castano.
Sto ridendo, in un giorno di pioggia, parlando con un ragazzo che ho appena conosciuto e di cui non so assolutamente nulla.
CHE IL CIELO MI FULMINI.

“Harry Paul Styles, grazie dell’offerta ma non mi merito il tuo aiuto. Tienilo pure tu, io sono abituato a bagnarmi.” Rispose, strofinandosi i capelli bagnati con la mano e cercando di rilassare i muscoli facciali.
E’ una bugia bella e buona, non lascio mai la mia casa quando piove!

“Ho capito, vorrà dire che dovrò accompagnarti a casa, sono un gentiluomo io! Non posso abbandonare una signora nel momento del bisogno. Mi sentirei diminuito!”

E fu un attimo.
Abbassò per pochi attimi tutte le sue difese e lo fece.
Louis si alzò velocemente, aprì il pacchiano ombrellino e lo avvicinò al molesto ragazzo, sorridendo appena.
Il riccio ne approfittò al volo e, stringendosi al corpo dell’altro, non smise un attimo di sorridere soddisfatto.
E Louis se ne fregò se pioveva, se i lampi che avevano iniziato a manifestarsi nel cielo urlavano di fermarsi, di fare dietrofront e tornare sui suoi solitari passi. Se ne fregò di tutto, tranne delle spalle possenti del ragazzo alto al suo fianco che si facevano sempre più vicine alle sue.


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Harry aveva appena accompagnato il ragazzo a casa, l’aveva salutato con la mano mentre lui correva oltre il cancello, infilava le chiavi nella serratura e non si voltava nemmeno una volta a guardarlo.
Aveva scoperto che era praticamente un genio, il migliore del suo corso all’università, che aveva finito con 3 anni di anticipo dando tutti gli esami in 2 anni anziché in 5.
Si era laureato in lettere e, un mese dopo, era partito per la patria del suo movimento poetico e artistico preferito: Il Simbolismo.
Il riccio aveva studiato quella corrente ma non ne ricordava pressoché nulla. Rammentava che, in quell’epoca vi erano dei strani poeti, mentori del movimento, che venivano chiamati “I poeti maledetti” e mentre il più grande se ne stava accanto a lui, con quell’aria sofferta e lo sguardo assente, poté constatare che il ragazzo minuto avrebbe potuto benissimo farne parte.
Dal suo accento non propriamente francese si notava che non era originario di li, e a detta sua, veniva da un paesino detto Doncaster, in Inghilterra.
Progettò di andarlo a trovare in una giornata di sole, facendo irruzione nella sua casa con un pacco di ciambelle e del caffè caldo.
Ma il tutto divenne più difficile del previsto. A quanto pare qualcuno non voleva che si incontrassero visto e considerato che, in 5 giorni dalla loro ultima chiacchierata, non aveva smesso un attimo di piovere.
Il sesto giorno, quando Harry si svegliò e, stiracchiandosi si diresse verso la finestra, fu sorpreso nel vedere che non il cielo aveva deciso di dargli un attimo di tregua.
Quindi senza pensarci molto su, prese i primi vestiti che gli capitavano a tiro, il suo blocchetto degli schizzi, la sua borsa di pelle rovinata, e si incamminò verso scuola mentre vagava col pensiero a quando avrebbe potuto di nuovo bearsi della vista del dolce Louis.
Mentre tutti, per le strette vie al sapore di cioccolato, indossavano il cappotto pesante e una spessa sciarpa di lana, il riccio si sentiva assolutamente al caldo con un leggero giubbotto di pelle nera e una camicia a quadri nera e rossa a coprirgli il petto.
Arrivò appena in tempo in aula e, sedendosi accanto al compagno di corso Niall Horan, decise che quel giorno avrebbe dato il meglio di se.

E probabilmente il suo buon umore era così palpabile che il suo caro amico biondo non mancò a farglielo notare “Ehi Styles! Ieri serata selvaggia?”

Harry sorrise, si aspettava un commento del genere, anche se sperava non arrivasse. Come gli avrebbe spiegato che aveva quasi perso la testa per un ragazzo di cui sapeva poco e niente (e probabilmente con qualche problema serio irrisolto.)?

“Macchè Niall! Sono andato a letto ad un ora assolutamente improponibile!” sorrise quindi, sperando che l’altro non avesse molta voglia di indagare sulla sua “inspiegabile” felicità improvvisa.
“Tu che vai a letto presto è un evento da ricordare, garçon*” si sorprese il biondo, aprendo lo zaino ed estraendo i suoi pennelli accompagnati da una tavolozza di legno visibilmente usata.

 
“Beh, sai che trovo dormire una perdita di tempo! Le cose più belle succedono di notte, lo sai!”

Ed effettivamente era così.
Harry era capace di passare un intero giorno, 24 ore di fila, senza chiudere un occhio, senza concedersi neanche un sonnellino. Quando doveva consegnare dei lavori passata anche weekend interi alzato, cercando l’ispirazione fuori dalla finestra. Un lampione fulminato era stato il suo ultimo “capolavoro”.
Capolavoro o no, un 30 se l’era meritato.
Trovava dormire una negazione ai magnifici scenari che si aprivano appena le tenebre calavano e i più sciocchi andavano a dormire. Adorava inoltre fare delle lunghe passeggiate nel parco vicino a casa, dopo mezzanotte, e contava accuratamente quanti barboni quella sera avevano trovato piacevole una dormita al chiaro di luna.
Si sedeva sulla sua altalena di fiducia e sognava di essere un artista di successo con un enorme attico nel centro di Parigi, affacciato direttamente sulla Torre Eiffel!
Rideva della sua sciocca immaginazione e si faceva cullare dal leggero dondolare e dal cigolio tipico di quel ferro vecchio. Ma a Harry andava bene così. Nessuna serata in discoteca avrebbe potuto dargli una simile scarica di energia, niente.
Se non, doveva ammetterlo, due piccoli zaffiri preziosi.
Forse il motivo per cui quel ragazzo l’aveva affascinato sin da subito erano i suoi affusolati occhi accusatori. Somigliavano davvero tanto ad un mare dalle onde alte e pericolose.
E il riccio amava le cose che gli ricordavano la cosa che più amava, il mare.
Quell’infinito pezzo di acqua che non faceva altro che mutare, ad ogni corrente, ogni soffio di vento un po’ più forte del normale.
Non aveva paura di schiantarsi contro la riva o infrangersi negli scogli, l’onda selvaggia non si faceva di certo questi problemi, proprio no.
E Harry era una di quest’ultime.
Egli viveva la sua vita senza paura, senza paura di sbattere su di uno scoglio, farsi male. Perché sarebbe rinato ancora più forte e pronto a schiantarsi un’altra volta.

“Si, ma ora per piacere non iniziare con la tua stupida metafora sulle onde perché potrei dar di fuori!” parlò un po’ troppo forte, superando il brusio degli altri alunni nella stanza che lo guardarono con fare accusatorio.

“Ragazzi dovevo! Stava per farmi ancora una volta quella stupida metafora sull’ONDA!” I volti che prima apparivano scocciati si addolcirono e alcuni risolini alleggerirono la situazione. Si sentirono dei piccoli commenti di sottofondo che Harry, con un’alzata di spalle, valutò come superflui.
D'altronde non riuscivano a comprendere la complessità della cosa, ma andava bene così. Lui avrebbe esposto i suoi lavori in una galleria assurdamente enorme e famosa, mentre loro sarebbero stati troppi occupati a  lucidargli le sue scarpe costose per notarlo. 
Il professore entrò in aula richiamandoli all’attenzione e annunciando che quel giorno avrebbero avuto disegno dal vivo con un modello che avrebbe posato per loro.
La cosa, doveva ammetterlo Harry, non gli dispiaceva affatto, non aveva mia nascosto la sua preferenza per il sesso maschile (Anche se, in caso di siccità, anche le donne avrebbero fatto al caso suo).
Ma rivalutò assolutamente il suo ultimo pensiero sul sesso femminile quando, vestito di tutto punto, si presentò un Louis imbarazzato al centro della stanza.

“Louis!” Urlò il riccio senza valutare se quello fosse un intervento pertinente alla situazione. Fu sollevato nel vedere che le guance del castano si tinsero di rosso e si sforzarono di aprire la strada ad un sorriso a trentadue denti.

Anche quella volta Harry, quando tutti i ragazzi nella stanza si voltarono verso il riccio e ricominciarono a bisbigliare, valutò il tutto superfluo.


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E’ stato un assoluto sbaglio.
Pensò Louis mentre tornava verso casa dopo aver parlato con l’insegnante del corso d’arte, un uomo che parlava assolutamente troppo e, a suo modesto parere, solo per far prendere aria alla bocca.
Non adorava la gente che si sprecava in chiacchiere, soprattutto perché l’ultima volta che aveva intrattenuto una conversazione era stata quando ancora viveva a Doncaster e la vicina si sentiva in obbligo di assillarlo con i suoi problemi.
Il sole quel giorno splendeva sulla sua testa, incoraggiante, mente camminava per le strade dell’assolata ma comunque gelida periferia di Parigi.
Si sentiva in maniera netta l’odore di salsedine che emetteva la Senna, a pochi metri dal castano, stordendolo appena.

Facciamo un respiro profondo e analizziamo a fondo il perché mi trovo in questa situazione:
1) Ho bisogno di soldi, l’eredità di mio padre sta finendo e, o riesco a vendere qualche poesia, o finisco per strada.

2) NON ERO ASSOLUTAMENTE A CONOSCENZA DEL FATTO CHE QUELLA FOSSE L’UNIVERSITA’ DI HARRY, LO GIURO.
3) Sono malato. Il Louis di qualche giorno fa non avrebbe mai fatto una cosa così imbarazzante come posare per 80 euro in una stanza piena di gente a fissarlo.
4) …..Ok, avevo intuito fosse l’università di Harry.
 Andrò li, poserò alla meno peggio e me ne tornerò nella mia dimora con il portafogli meno vuoto.

I giorni che avevano seguito questa immatura decisione furono un susseguirsi di poesie incompiute dal titolo monotematico, la riduzione quasi totale del contatto con il mondo esterno, quasi fosse una preparazione psicologica a quel giorno e un intero lavandino stracolmo di piatti da lavare.
Quel giorno si alzò presto come al solito, ormai in automatico, guardò verso la finestra rigorosamente sempre aperta e si diresse allo specchio in bagno.
Lavò i suoi denti e, mentre la sua immagine veniva riflettuta migliaia e migliaia di volte nello specchio maledisse la sua mancanza di igiene tenuta in quei giorni.
Aveva dei capelli assurdi, erano come impazziti e, ritti sulla testa, puntavano dappertutto fuorché dove dovevano.
Entro velocemente nella vasca da bagno e, passandosi la spugna sul corpo esile, si lavò il più velocemente possibile.
Asciugò i capelli con un asciugamano e cercò di indossare dei vestiti decorosi, visto che comunque non voleva essere ritratto nelle sue solite giacche bucate sui gomiti e con i bottoni scuciti.
Sarebbe stato un Louis William Tomlinson meno confuso esteriormente e avrebbe potuto anche fingere di esserlo anche un po’ meno interiormente.
La pioggia che aveva seguito la chiacchierata con Harry era stata come una punizione per la sua audacia. Cosa sarebbe successo se si fossero rivisti di nuovo e il riccio l’avesse inviato a uscire a bere qualcosa? Non conosceva niente di quella città, se non la storia, tutte le poesie scritte col pensiero rivolto alla sua unicità, e tutti i caffè antichi. Ma non sapeva assolutamente come passare il tempo a Montmartre se non leggendo libri di fronte alla Senna.
No. E se Harry decidesse di chiedergli il numero di telefono? Lui non ha mai posseduto un telefono. Non ha mai chiamato nessuno in vita sua e non ha la minima idea di come funzionino quei cosi.
Ma poi di cosa avrebbero parlato dopo che gli argomenti: “Come va? Raccontami di te? Ecc..” erano finiti? Sarebbe stato molto divertente intrattenere Harry con una interessante sua poesia, del tutto pessimistica e prima di umorismo. Oppure avrebbero potuto chiacchierare della loro reciproca passione per la tradizione. O.. avrebbero potuto passare la giornata in biblioteca, muti, a guardarsi nelle palle degli occhi.
E’ stata una pessima idea, mi sono staccato dalla rotta che era stata disegnata per me e questo è quello che mi merito
I giorni che scorsi aveva pensato continuamente allo sbaglio commesso, mentre la pioggia non cessava di battere nelle sue finestre e a infastidire la pianta grassa che vi era sul balcone.
Il risultato fu un Louis emotivamente sempre più instabile ed una pianta grassa da ricomprare.
Infatti quel giorno, il fatidico giorno della sua fine, il sole non se lo sarebbe mai aspettato. Immaginava di dirigersi verso la scuola con un imbarcazione a remi, o sottoforma di fantasma dopo che un fulmine l’aveva colpito in testa, uccidendolo.
Questo acuto sarcasmo era una premunizione, adesso ne aveva la certezza, stava diventando pazzo.
Il non avere contatti con nessuno l’aveva reso soltanto asociale, un solo ragazzo l’aveva trasformato in un maniaco, pazzo psicopatico. Si stava avvicinando sempre di più alla figura del suo omonimo poeta e non sapeva se esserne contento o rinchiudersi in un manicomio.
La strada per l’università fu breve e, se si scordava per un attimo il vociare delle ragazzine a ricreazione, poteva anche essere considerata come una passeggiata piacevole.
Varcò, dopo soli venti minuti di cammino, la grande porta che lo separava dalla più grande figuraccia di sempre.
Pensò che lo faceva solo per i soldi e per un po’ di amor proprio (che non aveva mai avuto) e, senza star troppo a piangere sul latte versato, bussò alla porta dell’aula che era segnata sul cartoncino spiegazzato che teneva gelosamente in mano, stringendolo eccessivamente.

“Avanti” la voce del rumoroso professore lo portò a muovere l’ultimo passo verso la porta, alzare la mano e muovere la maniglia. Entrando notò che era una classe assolutamente insulsa; le pareti erano di un bianco quasi accecante, il soffitto, con evidenti crepe e anch’esso bianco, gridava aiuto.

Si fissò le scarpe per quelli che parvero secoli, almeno finché una voce lo fece mettere in allerta. Una mano sventolava nella sua direzione, e non poteva che essere Harry che chiamava il suo nome.
Vi prego, chiunque sia in ascolto in questo momento.. potrebbe chiamare uno stregone per rimuovere queste maledette falene che si agitano nel mio stomaco?
Cercò invano di non sorridere ma era un atto così inusuale per lui che non sapeva come le sua labbra potessero assumere una posizione del genere e quindi di conseguenza come farle tornare al loro naturale torpore gli era sconosciuto.

“Oh, sono contento che vi conosciate già! Lui è Louis e oggi vi eserciterete in un disegno con i colori ad olio che trovate infondo alla stanza. Per chi non avesse dimestichezza con questa tecnica o se si sente particolarmente ispirato a usare un’altra tecnica, si senta libero di sperimentare!”

Detto questo, la massa di ragazzi seduti diligentemente nelle sedie si alzarono e corsero ad accaparrarsi i colori migliori, mentre un solo ragazzo pensò fosse meglio fissare Louis che fare un buon lavoro.
Harry non aveva smesso per un attimo di fissarlo, con quei suoi enormi occhi indagatori, chiedendosi probabilmente cosa ci facesse il castano nella sua aula.
Ma non sembrò per niente contrariato nel vederlo sedersi nella sedia al centro della stanza, prendere un libro dal tavolo e abbassare lo sguardo su esso.
Le successive quattro ore di lezione passarono con un Harry immobile a fissare il volto affusolato del castano, colpito violentemente dai raggi solari che portavano una parte del suo volto a dissolversi nell’oscurità.
E, mentre tutti gli altri consegnavano una sua gigantografia in tanti stili diversi sul tavolo a pochi metri da lui, il riccio non aveva ancora posato nessun colore sulla sua tela, nessuna riga aveva rotto la monotonia di quella superficie bianca.

E Louis, in quel momento, non negò di esserne più che compiaciuto.
 
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Ehi, spero con questa storia di avervi un po' ricordato l'aria che si respira quando si passeggia per quella magnifica periferia! Perchè io ho AMATO la Francia alla follia!
Era da un anno, credo, che volevo scrivere questa fanfic! Da quando ero a scuola e sognavo di scappare lontano, mentre studiavo il mio movimento letterario preferito, che penso abbiate capito di quale sto parlando x°D
Non so se la cosa sia riuscita o no e mi rendo conto che ho un altra storia incompiuta che dovrei finire ma.. sono come Harry e boh, vado a momenti! Oggi mi va di scrivere, domani no..e così discorrendo..
So che non è niente di che questa storia e se mi mettessi in testa di correggerla..dovrei praticamente riscriverla da capo! E' solo che..non lo so. MI PIACE L'IDEA DEI LARRY PARIGINI, OVIA!
Quindi spero apprezziate la mia discutibile MiniLong e...ci vediamo presto con la 2/4?, ancora non lo so x°D

BYEEEEE e grazie se avrete il piacere di recensire..sapere che il mio lavoro è apprezzato/disprezzato da qualcuno..mi fa sempre piacere! :3

(Ok, so che a Montmartre non c’è assolutamente la Senna e nessuna scuola famosa d’ARTE ma, capitevi. Ci stava con la trama!)
(PPPPPPS.: ovviamente la prima orrida poesia l’ho scritta io. Io non scrivo poesie e non so scriverle at all! Quindi non giudicatela, percepitene solo il senso..)
 
*quella parola in francese era tipo per fare uno slang da ragazzi francesi..ma non credo funzioni molto xD Comunque significa RAGAZZO!

 
  
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