Poi, la notte
Mi chiama per nome Michail, ma io sento solo Notte, non il nome che lui dice.
“Due anni sono tanti, non lo so come ci si sente. Ma so cosa succede” dice
lui. Però non m’interessa che ha da dire. Lo guardo negli occhi, ma mai
abbastanza al centro, credo di non riuscirci. Perché non lo so. Mi leggerà
anche lui. O io leggerò lui. “Come stai?” quella dannata domanda. Come sto, e
prima come sto? Mi parla di qualcuno, un certo Schobel mi pare. Poi mi accorgo che sto dormendo. Da quanto? Quindi
era un sogno. Mi giro nel letto, mi fa male la schiena, dappertutto.
– Sono a casa? –.
Mi metto seduto. Ci sono delle ombre di là, una luce flebile ma non sento
parlare nessuno. Mi alzo e cammino in direzione delle ombre. Solo dopo mi
accorgo di essere nudo. “Notte. Desideri unirti con noi?” domanda una delle
ombre, ha l’aria di essere una donna. Sento dei sorrisetti, ridono di me? Sono due donne, chinate su un
uomo e di quello non riesco a mettere a fuoco la faccia. “Perché non ci
raggiungi?”quei sorrisi sciocchi non li sopporto. “Possiamo farci due
chiacchiere. Per così tanto tempo, c’è mancata la prigione fuori di qui” poi
dice: “Chiamami” capisco che non se ne farà niente. Così torno nella mia
camera, torno lì al buio. Costernato, fuori di me. – Chiamami –. So che non lo
farò. Come potrei? Quelle notti dietro le sbarre, quei pallidi ossuti demoni
con aghi sottili a ricamare la mia pelle.
La mia unica compagnia. Mi hanno
reso insensibile.
*
Se fossi stato lì, se fossi stato lì per più tempo.
L’acqua è fredda, ma mai abbastanza. Sono ubriaco. – Più di così si muore –
e rido, rido. Che ora è? Continuo a non ricordarmelo, e non penso a
nient’altro. Nient’altro. Quella ragnatela perfetta che ho guardato in sogno
poco prima, quant’era bella. La cosa più bella che mi è capitata negli ultimi
due anni. Quella sensazione nel guardarla, nell’accorgermene, lì nell’angolo.
Bianca pallida, quasi fluorescente. C’era un ragno, e ha cercato di
intrappolare un altro ragno. Un altro ragno nella sua bella tela. Due ragni
identici, con le zampe sottili. Quel ragno non era interessato alle farfalle,
ma a catturare un altro ragno. So che erano due maschi. Ma quella ragnatela,
quella mi ha commosso, ero incantato a contemplarlo, distogliere lo sguardo mi era impossibile. Mi era impossibile, finché ho aperto gli occhi.
Sono stato ipnotizzato da quella tela, ero io la farfalla per la quale
s’erano messi a combattere. – O forse è
soltanto il mio ego –. Così tanto tempo che sarei morto. Sarei rimasto lì
in eterno a fissarla. Quella bellezza.
Poi ci sono dei passi, li sento sotto l’acqua che scorre, scorre insieme al mio
sangue.
Solo dei passi.
Strafottuti passi. Quando mi
accorgo di Michail, è lì in piedi. Cosa dice lo capisco dopo. Sta parlando? Mi saltano
delle parole, non capisco niente. “Cosa intendi, morire?” mi domanda, è così
no? “Sei ubriaco, si sente l’odore da fuori la porta” e mi dice stronzate del
genere, e io rido di tanto in tanto, l’effetto dell’alcol. “Da quant’è che sei
a mollo, non la senti l’acqua gelata?” e “Ci hai fatto l’abitudine in carcere?”
domanda e io allora mi incazzo. Gli impreco contro qualcosa, qualcosa in
inglese, mi metto a parlare in inglese ora. Sono proprio matto. “Son of a bitch! So horrendous bitch”. Le parole precedono la mia mente.
“Se hai intenzione di crepare qui fammelo sapere” dice contrariato lui.
Cosa glie ne frega? L’acqua continua a scorrere. Lui chiude il rubinetto,
io lo apro. Sento la sua mano, la sua mano tra le mie gambe a cercare qualcosa.
Poi rido, o forse no, non ricordo. Dopo l’acqua inizia ad abbassarsi. Scende
giù e io continuo a dire: “No, no. Stammi lontano” continuo a ripeterlo come un
disco rotto. Così resto solo. Le parole di quando è andato non mi sono chiare,
forse le solite stronzate. Del resto posso badare a me, sono soltanto ubriaco.
Soltanto ubriaco.
Di quegli altri non ne ho bisogno
io.
Nessuno.
Cambiamento. Quell’uomo, me ne
ha forse parlato? Ma chissenefrega di chi è. Michail non si fa fottere. Quelle
sue gambe, e tutto il resto. Penso a lui come a una donna? No. Ma desidererei
stuprarlo. Per niente al mondo. Certo che non se ne farà niente. – Siamo amici,
no? –. Quei sogni poi, ombre, e le formiche. Mi hanno sempre fatto schifo le
formiche, non i ragni o nemmeno altro ma le formiche.
Così tante, e sempre enormi. Sempre che spuntano da qualche parte e cercano di
salirti addosso. “Sei proprio un masochista” sento dire Michail con delusione.
Ora è lui che ha qualche problema. Proprio lui. Lui è la tortura di se stesso,
sempre così a posto ma in fondo è un cinico. Lo sa anche bene e quanto gli
piace.
Però non gli do torto. “Se intendi morire non farlo di fronte a me” e cose del genere.
“Lascia stare” dico io. Quanti giorni sono passati? Settembre? Credo che
sia passato il mio compleanno. Ma che cazzo, il compleanno, quando mai ho
spento le candeline? Che strane idee che ho. “Lo sai che sono dalla tua parte,
ma tu non puoi abbandonarmi” fa lui. “Oggi ci ho parlato” aggiunge dopo.
“Me ne sbatto!” dico io. Con chiunque abbia parlato. “Lasciali stare” e mi
guarda senza speranze. Cosa pensa, che sono sempre io? Quello di prima magari.
Poi che altro c’è da dire? Basta, questo può capirlo. Puoi capirlo che sei
stato tu a farlo? Michail sei proprio
una testa di cazzo. Che assurdo gioco di parole senza tregua. Marie. Marie è
passata ieri credo. Un’amica, ha saputo di me tardi. Ma non ci sentiamo spesso.
Un’altra figura femminile in sottofondo. “Sono in ritardo, Notte, e sono qui solo per te”, sono io a fraintendere? “Perdonami”. Qui da perdonare non c’è
nessuno.
Parole inutili.
Malintesi.
Smettila ora, smettila Michail.
Poi mi baci sulla guancia. Sono anni che non ti sento così. Dopo tutte
quelle domande inutili sull’esistenza e la non
esistenza. Stammi bene e ci sentiamo, no, oggi no, questo non è uno di quei
giorni. Quegli occhi che non oso
guardare troppo. “Che ti prende?”, non lo so, ho bisogno di qualcosa, qualcosa
che non sia droga per soffocare. Ci sei tu per questo no? Noi siamo amici,
giusto, e allora fatti trattenere da questa mano. Ne abbiamo passate molte
insieme, e ora, ora non lo so più. Ora muoio.
Morirò dopo. Ma non te l’ho detto. Mi conosci bene tu, ma certe cose non si
possono neanche immaginare. Sempre di morte si tratta. Come un’ossessione.
Così, non ho mai iniziato niente io, neanche con te. Le persone che ho
conosciuto, sempre loro a protendersi. Mentre io, io con le buone intenzioni
nell’interazione. Così a pensare, come un’idiota. “Notte” mi sussurri sulle labbra. Come se il mio nome fosse
sconosciuto a me stesso. Dura poco quel
bacio. – Notte, lo sai che la tua
è disperazione? –. “Posso darti una mano, ma non io non sono uno di quelli” mi
dici. Ma per me fa lo stesso.
“Lo sai che per te farei qualsiasi cosa” le tue parole mi suonano, non lo so,
serene, sì, con un fondo di malinconia. Magari sono io l’unico patetico qui. Mi
dimentico di me, tanto ormai sono morto. Mi affanno sui tuoi pantaloni, e tu
fai lo stesso su di me. Le tue mani sono così gentili, sei sempre tu che mi
fotti. Così gentili, e stringono con rabbia. Così io non resisto. Le mie, le
mie sono così insicure. “Così, ti piace, ti piacciono le mie mani Notte?” mi domandi. “Sì, Michail” e
sento caldo, così caldo. Meglio di qualunque scopata del cazzo. Quand’è così
non c’è da parlare, niente da dire. Su e giù, su e giù. Chiudere gli occhi mi
farà perdere.
Poi finisce tutto, sempre troppo
presto. La mia mano è bagnata. Come la mia anima.
Dammi un altro bacio, darling.
Che stronzata. Sulla tua faccia da angelo cinico c’è la stanchezza di chi ha
peccato. Sarà così anche la mia di faccia. Così, eri così alcune sere, quando
hai scopato con quelle puttane. Quando anch’io me le sono fatte. Ma nei tuoi
occhi non ci ho mai guardato troppo a lungo. “Ora s’incazzerà Stampe” quell’altro stronzo di un
gesuita. “Dimmi perché m’hai assecondato?” domando incollerito e tu, prima di
aprire la porta: “Sei un paranoico. Ora basta, sono io, non mi riconosci.
Dimmi, chi credi che io sia?” ora la mia rabbia si legge sulla tua espressione.
“Quelle persone la pagheranno, anche se è troppo tardi. Siamo nella stessa
barca, facciamo di tutto per uscirne, se non puliti, con la coscienza a posto”.
Ma non posso crederci, perché ormai ho deciso.
Mi baci, e chiudi la porta dietro di te. Le mie parole non hanno senso
ormai. Quello che ho da dirti, è tardi, solo menzogne, stupidaggini. Neanche
l’immagine di te. Questa decisione l’ho presa da tempo, forse capirai. Così, ci
metterò poco. Soltanto un colpo. Basta con la filosofia. Niente messaggi, non ho nulla da dire. Per chi poi? Michail sa già le mie ragioni e tutti
gli altri, loro che la pensassero un po’ come gli pare. Quanto ho odiato tutto.
Mi torna in mente quando ero lì a guardare formiche enormi e nere, frutto della
mia immaginazione, tutte dentro la vasca,
lì con le loro zanne. Continuai a guardarle e, paralizzato dal disgusto.
Camminarmi tutte addosso. Una più grande dell’altra. “Unisciti a noi, Notte” sento ancora quella voce femminile. Quella del sogno.
Le mie ferite nessuno le curerà. Sono già in cancrena. Ne sono quasi
felice. Come un folle che ha ragione, pronto a crepare per quella ragione.
Soltanto un colpo, e poi buonanotte.
Così finisce.