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Autore: Harrys_bravery    09/12/2014    18 recensioni
In cui Louis è un punk che possiede un negozio di tatuaggi ed Harry un figlio di fiori che gestisce una sala da tè. Per ironia della sorte, i due locali si trovano l'uno affianco all'altro. Quindi cosa succederebbe se Louis sfidasse Harry a fare il punk, e quest'ultimo invece provasse a fare di lui un figlio dei fiori? Si sa che i punk e gli hippie si odiano... O forse no?
Dal testo:
“Sareste una bella coppia, voi due. Harry sa metterti a tacere”. Louis ghignò a quelle parole, per poi affermare “Se avessi voluto Barbie fata dei fiori come fidanzata sarei rimasto etero”; detto ciò, fece dietro front e si incamminò verso il suo negozio.
Punk!Louis; Flowerchild!Harry
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson, Un po' tutti
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
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Angolo Autrice


Tremate perchè Harrys_bravery è tornata! Ciao a tutti, come promesso eccoci qui (anche prima delle vacanze di Natale) con una Os fresca fresca di pubblicazione. Ormai sapete quanto io ami ciarlare quindi cominciamo subito! Come avrete intuito, ho scelto di scrivere la Punk!Louis aggiungendo come bonus flowerchild!Harry. Molti degli eventi narrati nella storia sono deliberatamente ispirati alla realtà (ovviamente modificata da me in persona in chiave Larry). Vi avverto sin da subito che la storia è incentrata unicamente su Harry e Louis, ci sono solo piccole menzioni di Zayn e Liam mentre Niall è... particolare. Spero che mi vogliate ancora bene dopo questa Os, perchè ho fatto qualcosa di davvero strano al nostro Horan ahahah. Il 16 di questo mese questo Account compie il suo primo anno di vita, e io vorrei ringraziare tutti voi che mi seguite, leggete, recensite e mi supportate in qualsiasi modo. Con tristezza, vi dico che sono off-limits causa studio fino a Febbraio. Non voglio promettervi niente ma pensavo di ritagliarmi un po' di spazio per una Family!Au che mostrasse il Natale in casa Stylinson, una cosina semplice e davvero senza pretese. Ci proverò, altrimenti ci sentiremo dopo il consueto mese. Che altro aggiungere se non buona lettura e davvero tanti baci!
La vostra Harrys_bravery.

 

Two lumps of sugar and tea


C’è una traversa di Carnaby Street, una delle più famose zone di Londra, in cui negozietti di ogni sorta si trovano uno affianco all’ altro. Non seguono uno schema preciso, si susseguono semplicemente come le lampadine multicolore che si usano per gli alberi di natale: chi lo sa se quella che segue la rossa si illuminerà di blu, o di verde? Forse di giallo? Allo stesso modo, non è raro trovare negozi di animali affianco a ristorantini con divieto d’ingresso per i cani, acquari vicino a pescherie e negozi di vinile affianco al nuovissimo Apple Store . Non è quindi difficile, in un contesto del genere, trovare negozi completamente agli opposti mischiati in un’ accozzaglia di idee… Come un negozio di tatuaggi adiacente ad una sala da tè per esempio. Meglio ancora se gestiti rispettivamente da un punk ed un figlio dei fiori.
 
 
Louis Tomlinson, classe 91, non era mai stato quello che comunemente si definisce un bravo ragazzo. Media statura, corpo piccolo e formoso, due perforanti occhi color ghiaccio di cui quello destro adornato da un piercing sul sopracciglio. Perfino il suo sorriso bianco e perfetto poteva apparire inquietante e sospetto. Louis era punk, inguaribilmente punk. Certo, aveva abbandonato la matita nera e lo smalto del medesimo colore (si odiava anche solo per averli provati ugh) e ci aveva dato un taglio anche con le tinte dopo quel rosso fuoco che aveva dovuto sopportare per mesi prima di riuscire a coprirlo. Adesso, col suo colore di capelli naturale e i suoi occhi puliti, si limita a mostrare la sua anima da “Incazzato dentro”, come il suo migliore amico Zayn l’ha definito, con un paio di piercing e innumerevoli tatuaggi a costellargli il corpo. L’idea di aprire quel negozietto di tatuaggi non era stata nemmeno sua, ma quando il bel mulatto (altrimenti noto come Zayn Malik) lo aveva proposto, Louis gli aveva subito rubato l’idea dicendogli “Accontentati della tua esposizione d’arte Zaynie e dai!” . Mai avrebbe immaginato che quello che reputava a tutti gli effetti la personificazione del suo estro punkettaro potesse essere affiancato da una sala da tè. Una sala da tè. Vicino ad un negozio di tatuaggi. Louis aveva seriamente bisogno di parlare con qualcuno al comune.
 
 
Harry Styles, invece, un metro e ottanta di pura goffaggine e disequilibrio, dai lunghi capelli castani e gli occhi verdi come i più bei prati primaverili non era mai stato un vero e proprio figlio dei fiori. Certo, aveva una passione per la musica hipster e adorava gli skinny jeans e qualsiasi cosa avesse le frange (stivaletti inclusi), ma la sua trasformazione era avvenuta solo dopo la rottura con il suo fidanzato storico. Nick Grimshaw, infatti, non faceva che spedirgli mazzi di fiori su mazzi di fiori e anziché guardarli appassire tristemente, Harry aveva pensato bene di imparare ad intrecciarli e metterseli tra i capelli. La sua personalità era delicata come il bocciolo di una rosa e bastava il primo freddo invernale per farlo crollare. Per questo aveva aperto una sala da tè, e per questo non accettava in alcun modo che dovesse condividere la via con un fottuto negozio di tatuaggi.
 
 
Quando Louis sentì la porta cigolare, si diresse verso l’ ingresso già pronto ad inforcare i suoi guanti in lattice e marchiare in modo indelebile la pelle di qualcuno. Si bloccò sulla soglia quando vide una signora in carrozzella con una crocchia bionda in testa, che dall’ attaccatura scemava in un candido bianco. Le rughe le scavavano le guance paffute e gli occhi azzurri erano socchiusi, quasi non riuscisse a vedere bene e si stesse sforzando. “Posso aiutarla?” chiese Louis formale, non gli era mai capitato di tatuare una vecchietta. Forse avrebbe dovuto chiederle una foto a tatuaggio finito per poi appenderla al muro come prova dell’ impresa. “Oh, Harry caro dovresti aprire le finestre. C’è un odore stantio di polvere” biascicò la signora con un marcato accento irlandese. Il ragazzo sbuffò sonoramente; “Non sono il caro Harry signora. Sono Louis e lei è nel mio negozio di tatuaggi”. “Oh buon cielo!” la vecchina sobbalzò dalla sedia a rotelle, mettendosi una mano sul seno ormai floscio; “Mi stai dicendo che non sono nella sala da tè?”. “Sì” annuì il liscio sbuffando, già doveva condividere l’isolato con quella specie di casa di Barbie gigante, ma adesso fare entrare le clienti nel suo negozio era troppo. “Senti, quant’ è il costo di uno di quei cosi che fai tu con l’inchiostro?” Louis strabuzzò gli occhi, credendo di non aver capito bene; “Può ripetere scusi?”. “Ho sempre voluto tatuarmi una targhetta sul sedere che dice Made in Ireland” rivelò l’anziana signora, aprendo un borsello rosa a pois per controllare che avesse denaro a sufficienza. Louis sbuffò e afferrò i manici della sedia a rotelle spingendo la signora fuori dal suo negozio; “Che stai facendo ragazzino?” starnazzò lei scandalizzata. “La sto portando alla sala da tè” spiegò il liscio. Harry poteva sentire lo stridio delle ruote della carrozzina di una delle sue clienti abituali sin dall’ angolo precedente. “Tu, figliolo” stava dicendo l’anziana signora, “Hai un pessimo senso degli affari!”. Harry aprì la porta della sua dolce e accogliente sala da tè e “Buon pomeriggio Signora Horan”. Rimase allibito, però, nel vedere che la sedia a rotelle veniva spinta da niente poco di meno che Louis Tomlinson. La coroncina di giunchi bianchi e gialli che era intrecciata ai suoi capelli gli cadde su un occhio per la sorpresa. “Oh! Harry caro, ciao” cinguettò la vecchina cambiando improvvisamente tono, Louis la guardò accigliato e poi sbuffò mettendo i manici della carrozzina tra le mani del riccio. “Questo ragazzo ha appena rifiutato di lavorare per me” proruppe la Signora Horan indignata; “Ma davvero?” domandò Harry con un sorriso accondiscendente stampato in volto. Aveva una striscia di cioccolato sul volto, forse stava preparando qualche dolce, ma comunque Louis non aveva nessuna intenzione di dirlo e dubitava che, cieca com’era, la donna se ne sarebbe accorta. “Gli ho chiesto un tatuaggio e ha rifiutato!”; il riccio si finse scandalizzato e “Cosa? Come ti sei permesso mandrillo di un Louis Tomlinson?”. Il più grande alzò gli occhi al cielo, davvero era esasperato. “Non ho intenzione di tatuare il sedere rugoso di-” “Quando ero giovane, signorino” interruppe la donna gesticolando e muovendo la sua borsetta per aria, “Quando ero giovane mi allenavo salendo cento volte le scale! Avevo un culo come quello di Kim Kardashian, ma cosa vuoi saperne tu piccolo insolente”. Harry scoppiò a ridere mentre Louis si imbronciava ed incrociava le braccia al petto. Certo di carino era carino quell’ Harry Styles: le sue fossette si sposavano perfettamente con i fiorellini che portava tra i capelli e le sue mani erano sempre calde perché continuamente impegnate a mettere e togliere qualcosa dal forno. Louis lo sapeva perché una volta si erano stretti la mano, quando ancora credevano di poter andare d’accordo. “Si calmi Signora Horan, sono sicuro che il ragazzo non sia ancora pronto per lei. Deve ancora fare esperienza sa com’è…” il maggiore stava quasi per ribattere che lui di strada ne aveva fatta fin troppa ma poi si fermò perché… Stava davvero discutendo con un cazzo di figlio dei fiori ed una vecchia irlandese su due ruote? Quando lo vide ammutolire, la donna sorrise soddisfatta e gli disse “Sareste una bella coppia, voi due. Harry sa metterti a tacere”. Louis ghignò a quelle parole, per poi affermare “Se avessi voluto Barbie fata dei fiori come fidanzata sarei rimasto etero”; detto ciò, fece dietro front e si incamminò verso il suo negozio.
 
 
“Sì te lo giuro, Liam. Certo che non l’ ho richiamato. Dico sei impazzito?” Harry stava chiacchierando con il suo migliore amico, il cellulare incastrato tra la spalla e la guancia mentre con la mano cercava le chiavi per aprire il suo negozietto. Era un posto semplicemente adorabile. I tavolini erano in legno color panna e tutti i dettagli si sposavano perfettamente con quel tono ed un caldo color rosa. C’erano tante varietà di tè e tutti i tipi di deliziosi pasticcini e torte che Harry stesso si dilettava a preparare. Una volta aperta la porta, l’odore confortevole di biscotti e colonia da anziane signore gli invase le narici. Sorrise, mentre continuava a spiegare a Liam di come “No, non ho intenzione di rimettermi con Nick, né tantomeno di ringraziarlo per i fiori. Non mi interessa se è buona educazione, Lee”. Quando sentì il tintinnio delicato della porta che si apre, salutò l’amico in fretta e riattaccò. “Styles” la voce acuta e perennemente arrabbiata del suo vicino di strada lo fece voltare. Louis si perse un po’ ad ammirarlo, suo malgrado, stretto in un lungo cappotto nero con una bella sciarpa su cui erano ricamate delle foglie autunnali. Ma non era neanche quella la parte che l’aveva colpito di più. I capelli. I riccioli di Harry erano tirati indietro in una piccola coda scomposta ed era così voluminosa e… batuffolosa che a Louis ricordava la coda di un coniglietto. E, oh Signore, non era entrato nemmeno da due secondi e già si stava rammollendo. Il più piccolo lo guardò confuso per poi notare il mazzo di ranuncoli rosa che teneva per le mani. “Un fattorino mi ha dato questi, ma hanno sbagliato. Perché ho letto il bigliettino e pare che questo Grimmy ti ami ancora”; la privacy non era mai stato il suo punto forte, deve ammetterlo. Un lamento mal celato scappò alle labbra del riccio, prima di prendere il mazzo e soppesare l’idea di creare una coroncina anche per quel giorno. “Allora? Non si ringrazia?” chiese il più grande con il sopracciglio bucato inarcato, guardandosi intorno in quella casa delle bambole di dimensioni umane. Perfino il vassoio in legno rosa, ew. “Oh, sì. Grazie Louis” rispose mentre già cominciava a togliere la carta che ricopriva i fiori; “Ehi ma che fai?” domandò scettico il liscio. “Ci faccio una coroncina” Harry scrollò le spalle come se la risposta fosse ovvia e Louis fosse un vero tonto. “Aspetta… Mi stai dicendo che tutte quelle che indossi sono offerte da questo Grimmy? Che per inciso ti ama ancora?”; il riccio annuì, sorridendogli. Era la prima conversazione civile che avevano da un po’ in realtà. L’ultima volta, durante il periodo di Halloween avevano litigato perché le decorazioni della vetrina di Louis spaventavano troppo le sue clienti e a Pasqua, invece, l’ idea di far vestire Liam da coniglietto gigante e rosa aveva mandato il punk fuori dai gangheri. “Che posso dire? Ho fatto tanti errori in passato e alcuni di questi ancora mi mandano i fiori” fece Harry, raggiungendo il bancone. Prese un muffin e lo mise nella carta, mentre Louis si sedeva mettendo i piedi sul tavolino. “Sei strano” biascicò, mentre dalla sua nuova posizione studiava la terra incrostata sotto le suole delle sue Vans nere. “Questo è per ringraziarti dei fiori” gli disse Harry, porgendogli il sacchetto. Il maggiore lo accettò come se tutto gli fosse dovuto e non fosse solo una gentilezza quella dell’ altro. “Sarà meglio che sia al cioccolato” sbuffò abbassando i piedi dal tavolo. Era sempre così scontroso, faceva parte della sua indole e non poteva certo retrocedere davanti ad un paio di fossette allettanti. Non si sarebbe fatto fregare. Si alzò per ritornare al suo negozio, ma una volta sulla porta gli venne in mente qualcosa e si rigirò; “Oh!” richiamò l’attenzione di Harry, già tutto intento ad intrecciare gli steli dei ranuncoli, “Se mi arrivano altri fiori al negozio, sarò costretto a spaccare la faccia a questo Grimqualcosa”. Il riccio gli sorrise, limitandosi a fare ciao con la mano.
 
 
Louis non aveva mai bestemmiato così tanto in vita sua. Forse solo quando sua madre aveva preso il suo telefono senza permesso e aveva trovato un video di lui che fumava erba. Forse. Forse invece questa giornata era decisamente al primo posto perché pioveva a dirotto e lui aveva spezzato la chiave del negozio nella serratura. Il fabbro non sarebbe riuscito a raggiungere la zona prima di un’ ora visto il tempaccio e lui se ne stava acquattato come un micetto bisognoso sotto la pensilina per ripararsi dall’ acqua. No cioè, come una tigre, una tigre feroce e in gabbia e, oh cazzo, era il peggiore punk del mondo, davvero. Quando sentì il ticchettio di stivaletti di camoscio sull’ asfalto sollevò la testa. La frangia umida si era appiccicata agli occhi ma rimase quasi folgorato dallo spettacolo che si ritrovava davanti. Harry, con tanto di ombrello in mano, aveva i capelli stretti in due treccine e, intrecciate insieme alle ciocche ricce, c’erano delle piccole margheritine bianche. “Che fai qui fuori?” chiese scettico il più alto. Louis sbuffò sonoramente; “Ringrazio la madre terra per l’acqua che anche oggi ci ha donato” mugugnò alzandosi da terra. I suoi jeans erano fradici dalle ginocchia in giù. “Sul serio?”; “Diavolo no, Harry. Certo che no. Solo voi fottuti figli dei fiori fate queste stronzate” si strinse al riccio sotto l’ ombrello e con il mento puntò il suo negozio. E se ne sarebbe pentito, questo lo sapeva bene. Perché quella sottospecie di meringa gigante anche conosciuta come sala da tè era praticamente stata progettata per purificarlo di tutta la rabbia e la mascolinità, trasformandolo in una fatina dei fiori. Proprio come Harry. Il riccio non attese spiegazioni e aprì la porta, facendo entrare l’inaspettato ospite. Louis era praticamente nelle condizioni di un cane randagio in giro sotto il diluvio universale, com’ era possibile che il più giovane invece apparisse fresco e profumato come un fiore di campo? “Perché stai aprendo poi?” buttò lì risentito, perché apparentemente questo ragazzo era una spanna sopra di lui in tutto; “Nessuna delle tue vecchie verrà qui con questo tempo”. “La Signora Horan verrà” rispose Harry, noncurante del tono o delle parole poco delicate usate per descrivere la sua clientela, “La Signora Horan viene sempre”. “È in carrozzina e fuori piove. Come farà a venire?” mugugnò togliendosi la giacca e aggiustandosi i capelli umidicci; “È una specie di Transormers. Vedrai che arriverà”. Il liscio si perse un attimo ad immaginare la signora trasformarsi in una macchina pronta a combattere prima di scuotere la testa e darsi dello stupido. Harry, intanto si era messo un grembiule ed era corso dietro al bancone per darsi da fare. “Era buono lo sai?” disse Louis di punto in bianco, mentre si sedeva sull’ isola affianco agli espositori per guardare il riccio impastare farine e uova in un miscuglio dall’ aria soffice; “Cosa?”. Il maggiore sollevò gli occhi al cielo, quel ragazzo era così sbadato e ingenuo e stupido e bello. Perché tutto gli si poteva dire ma non che non fosse bello, non che ogni fiore tra i suoi capelli perdeva qualsiasi luminosità se paragonato agli occhi suoi. “Il muffin” bisbigliò, osservando interessato il lavoro del più piccolo; “Oh grazie Lou”. E ok. Di bello era bello, ma se avesse usato un’ altra volta un soprannome del genere gli avrebbe tagliato la lingua. Lui non era Lou. Lui era Louis Tomlinson ed era un punk, uno duro, uno tutto d’un pezzo. E questo, molto spesso, quando era con Harry lo dimenticava. “Non hai mai impastato?” domandò il più piccolo accorgendosi del suo sguardo curioso; il ragazzo dagli occhi blu fece cenno di no con la testa. “Vuoi provare?” propose con un sorriso tutto zucchero e fossette. Il sopracciglio adornato dal piercing di Louis si inarcò, “Dovrei mettere le mani lì dentro?”. Harry ridacchiò; “Sai, Lou per essere un punk sei parecchio reginetta”. Al maggiore quasi andò di traverso la saliva, il soprannome poteva anche sopportarlo ma quello no. “Ma cosa vuoi saperne tu, mh? Sei solo un hippie da quattro soldi” sbottò irato; il giovane si scostò un ricciolo ribelle sfuggito alle trecce col dorso della mano per poi ridacchiare “Almeno ho il coraggio di toccare un uovo”. E adesso basta. “Ci credo, tutto quello che devi fare è servire dei dolcetti a delle vecchie mezze cieche e con le papille gustative fuori uso. Anche io saprei mandare avanti questo posto” scese dall’ isola per enfatizzare il concetto e con un ampio gesto del braccio coinvolse l’ intera saletta. “Non dire sciocchezze, Lou” lo redarguì Harry, dolce e pacato come sempre. “Credi che non sia in grado di farlo? Bè tu non riusciresti a passare un solo giorno nei miei panni” sbottò; “Devi solo fare dei disegni con un ago” ridacchiò il più piccolo, e mentre scuoteva il capo una margherita scivolò dall’ intreccio complicato di steli e capelli. “Scommettiamo. Io provo ad essere, ugh, un figlio dei fiori e tu un punk e vediamo chi si arrende prima”; a Louis pareva davvero l’idea del secolo. Non credeva che Harry avrebbe resistito un solo minuto in compagnia della sua discografia completa dei Led Zeppelin. “Ci sto” il riccio gli porse la mano infarinata e il maggiore lo guardò con sdegno; “Come se avessi fatto” biascicò. Proprio in quel momento la porta si aprì e la Signora Horan fece il suo ingresso nella sala da tè, asciutta come se non stesse piovendo nemmeno un po’. “Oh Harry caro, visto che tempaccio?” sussurrò con una mano sul petto e il solito borsello a pois stretto sotto al braccio. Louis la guardò allibito e il più piccolo si limitò a sogghignare; “Questo è uno punto per me, Lou”.
 
 
I punk e gli hippie sono sempre stati agli antipodi. Era questo ciò che pensava Louis, e ne era anche parecchio convinto. Per questo avrebbe fatto perdere a quel figlio dei fiori da strapazzo la voglia di mettersi contro uno come lui. Uno tosto. Si aggiustò il piercing allo specchio e dopo aver messo in mostra tutti i suoi tatuaggi con una canottiera piuttosto larga, si diresse verso il negozio. Camminava con aria spavalda, quasi con la voglia di cancellare quel sorriso dalle labbra impertinenti di Harry. Quelle labbra che avrebbe volentieri sperimentato intorno al suo cazzo. Ecco, lo stava facendo di nuovo. Quel ragazzo lo rammolliva. “Andiamo Styles” disse sbattendo la porta della sala da tè. Il riccio sobbalzò e lo guardò accigliato. Una coroncina fine di gelsomini lillà intorno al capo. “Andiamo dove?” domandò scettico; “Ti sei già scordato della nostra scommessa? Ti faccio vedere che significa essere punk”. “La Signora Horan sarà qui a momenti, non posso andarmene” Louis sbuffò. “Quella vecchia inizia davvero a starmi sul-” “Vecchia ci sarà tua nonna!” interruppe la voce arrocchita della signora in questione. “Sei un ragazzo insolente e scortese, lo sai?” disse avvicinandosi. Si fermò con la carrozzina ad un passo da lui ed annusò un po’ l’aria; “E puzzi anche”. Harry ridacchiò, mentre sfornava dei biscotti dall’ aria piuttosto croccante. “Per oggi sarai un perfetto figlio dei fiori” commentò il riccio, avvicinandosi a Louis e pizzicandogli una guancia. Il maggiore gli schiaffeggiò il dorso della mano e protestò quando Harry si sfilò la coroncina di gelsomini per metterla intorno al capo dell’ altro. “Così, Lou. Da bravo” gli sussurrò sfacciato nell’ orecchio e il maggiore quasi tremò sotto quel fiato caldo. “Io li ho visti i veri figli dei fiori” biascicò l’anziana signora Horan spingendosi la dentiera contro le gengive, “Ma davvero?” domandò Harry affascinato. E Louis si fermò a pensare che Harry davvero non poteva esistere. Era così irreale. Aveva a che fare quotidianamente con anziane signore troppo sole a cui lui porgeva l’orecchio per sapere la loro esperienza o più semplicemente per fargli da compagnia. “Non è vero giovanotto?” domandò improvvisamente la Signora Horan; “Oh sì certo!” biascicò Louis, e solo quando vide le guance di Harry farsi un po’ più rosse si domandò cosa avesse appena confermato. “Siamo d’accordo allora. Non potrai fidanzarti con lui finché non avrai la mia benedizione” blaterò la vecchia signora mentre spingeva la sua sedia dietro ad un tavolino; “E portami del tè al lampone adesso”. “Scusala” bisbigliò il riccio al suo orecchio, e il maggiore si limitò a seguirlo dietro il bancone. “Allora, Styles” prese la parola, rubandogli il grembiule. Gli andava diverse taglie più grande e non copriva granché visto che la maggior parte del suo petto restava scoperta; “Cosa si fa da queste parti per lavorare?”. Con un colpo di fianchi, Harry lo spinse lontano dal bancone per poi dire “Dobbiamo preparare una torta, e la Signora Horan ci farà da giudice”. “Cosa? Questo è giocare sporco” si lamentò perché quella signora lo odiava palesemente e lui non avrebbe mai ottenuto il suo consenso; “Guarda che ti sento, ragazzino” si lamentò la donna sollevando il suo borsello a pois per aria. “Invece sarà imparziale, non è vero Signora Horan?” domandò Harry con tanto di fossette; “Sì, ero campionessa di arte marziale”, “Ecco, appunto” biascicò il riccio. Louis si masticò il labbro inferiore per non rispondere a tono alla vecchina che pareva sentire solo lui e quando il più piccolo prese due uova, gli rubò da sotto al naso la farina e cominciò a versarla sul banco. Gliel’ avrebbe fatta vedere lui, al figlio dei fiori e pure alla vecchia. “Devi fare una specie di montagnola” lo istruì Harry, mentre con un elastico si tirava indietro il ciuffo. Il più grande ridacchiò perché quella era la pettinatura che vedeva sempre sui barboncini, o i cani con le tutine rosa. Dopo aver disposto la farina nel modo che riteneva più appropriato, si voltò in cerca di un consenso, mentre un fiore gli ricadeva sull’ occhio e stupida coroncina di fiori. Stupida scommessa e stupido bellissimo Harry. Il ragazzo ruppe le uova e si piazzò dietro di lui. Era più alto, quasi una spanna sopra Louis, per questo riusciva benissimo a vedere l’impasto, nonostante la figura impacciata del ragazzo dagli occhi blu. E che occhi, aggiunse mentalmente. “Adesso impastiamo” sussurrò piegandosi lievemente in avanti e prendendogli le mani. Il liscio mise il broncio a pensare che avrebbe dovuto toccare quella poltiglia e “Devo proprio?” bisbigliò per non farsi sentire dalla Signora Horan che sembrava essersi appisolata. Quel labbruccio, Harry gliel’ avrebbe volentieri cancellato a suon di baci, ma sapeva come fosse Louis: sarebbe scappato dinnanzi ad un contatto del genere. Si limitò per tanto ad annuire e guidarlo, mani nelle mani. Quelle grandi del riccio ricoprivano le sue più piccole e affusolate interamente, e quando le sue dita si piegarono incastrandosi con le sue, il punk ebbe l’impressione che le loro mani fossero nate per combaciare. E si stava comportando in modo assurdo, ma con il corpo asciutto e tonico di Harry premuto contro il suo  e il suo fiato caldo a infrangersi sulla sua nuca non riusciva propriamente a pensare, grazie mille. “Stendilo e poi ripiegalo” gli suggerì intanto il più giovane; “Come un tentacolo” biascicò la Signora Hiran nel sonno, mentre il suo lieve russare riempiva la stanza. I due ragazzi ridacchiarono e Louis si lasciò andare con le spalle contro il petto di Harry. Sembrava un posto così accogliente, il suoi bicipiti erano sodi e forti. Oh mio Dio, quella maison rosa confetto l’avrebbe fatto sciogliere. Lo sapeva. “Non sei male” disse il più piccolo guardando il lavoro appena finito: le mani di entrambi erano sporche di impasto ed erano appiccicose. Louis si voltò per guardarlo, gli occhi luminosi ed un sorriso da fare invidia a chiunque. “Neanche tu” si lasciò sfuggire, ad una spanna dalle sue labbra. La Signora Horan tossì improvvisamente nel sonno ed Harry sobbalzò. “Parlavo dell’ impasto” disse poi con un sorriso tenue; “Oh, certo. L’impasto. Anche io” si affrettò a mentire il liscio.
 
 
Louis aveva il naso praticamente appiccicato al forno. Aveva visto l’impasto crescere centimetro dopo centimetro e raggiungere un colore dorato particolarmente invitante. Si sentiva stranamente soddisfatto di sé, come quando faceva un bel tatuaggio e forse era proprio quello che provava Harry dopo ogni sfornata. Il riccio in questione, intanto stava riempiendo tre tazze di tè al lampone mentre la Signora Horan russava placida in sottofondo. “Il tuo forno è guasto” sbuffò il liscio, sfilandosi la coroncina di fiori e posandola sul bancone; “Nah, io credo sia perfetto” rispose il più piccolo rimettendogliela sul capo. Al primo accenno di lamento da parte di Louis, sollevò il dito indice e disse: “Un giorno da figlio dei fiori. Erano questi i patti”. E il punk sbuffò, ma non protestò. “Cosa fai di solito mentre aspetti che cuocia?” chiese accomodandosi nuovamente sul bancone, punzecchiando con il pollice e il medio alcuni petali che gli ricadevano sulla frangia. “Faccio altro, o di solito sto alla porta: accolgo le signore che non ce la fanno da sole. Ma il più delle volte ti guardo lavorare” Louis fu sorpreso da quell’ affermazione perché lui, di essere osservato, non se n’era mai accorto. “Sei uno stalker o cosa?” lo prese in giro. “Il tuo lavoro mi affascina” bisbigliò invece Harry facendosi più vicino, fino a posizionarsi tra le gambe aperte e penzolanti dell’ altro; “Tu hai l’aria sempre concentrata quando fai un tatuaggi e ti nasce una rughetta proprio qui” con il dito tracciò lievemente il solco tra le sue sopracciglia. E forse si stava esponendo troppo, forse Louis l’avrebbe presa male e l’avrebbe perfino denunciato. Invece il maggiore si limitò a sorridere e rivelargli “A me piace quando hai il naso sporco di farina. Lo fai spesso, sai?” e premette l’ indice contro il naso a patata di Harry. Ridacchiarono sommessamente finché il drin del timer non li fece sobbalzare, la Signora Horan  si svegliò di soprassalto sbraitando qualcosa sul suo tè. Harry sorrise inforcando i guanti da forno e prendendo la torta, perché era esattamente come gli aveva detto Liam un giorno: lui e Louis si cercavano. Anche se inconsciamente, anche se solo per discutere, anche con una scusa. Si cercavano e forse si erano trovati una volta per tutte. Dispose il dolce sul vassoio e poi lo porse al maggiore; “Alla Signora Horan piacerai di più se le porti il tè” bisbigliò. Perché da quando il suo obiettivo era piacere ad una vecchia pazza che voleva un tatuaggio sul fondoschiena? “È un po’ eccentrica” continuò il riccio, spingendolo verso la donna in questione, “Ma per me è molto importante la sua approvazione”. E non si sbagliava nel dire che Harry stesse sottintendendo qualcosa vero? Deglutì a vuoto e s’incamminò verso la signora in carrozzina. “Finalmente, ragazzo” borbottò lei inacidita, ma non disse altro quando Louis posò il vassoio e Harry li raggiunse per sedersi al tavolo. “Allora Signora Horan, com’è stata la sua giornata ieri?” domandò il più piccolo affabile, mentre il liscio già portava la sua tazza di tè alle labbra. “Sono stata al circolo del poker. Erano tutte mezze calzette!” a Louis quasi andò di traverso il liquido ambrato quando lo sentì. “Lei gioca a poker?” chiese riluttante; “Certo, a cosa dovrei giocare? A briscola? Ci giocherà tua nonna” brontolò irata lisciandosi le pieghe del vestito pervinca. Il punk storse il naso, ma non disse niente solo perché Harry gli aveva fatto un sorriso mite. “Ho fatto parapendio la scorsa settimana, sono ancora tutta dolorante”, e questo non era possibile. “Lei mi sta prendendo in giro” affermò Louis, questa volta incurante del piccolo calcio che il riccio gli aveva dato sotto il tavolo; “Se credi che me ne starò a casa a cucirti maglioni di lana ti sbagli, giovanotto”. Il maggiore decise allora di mordersi la lingua e non dire altro, ascoltando dell’ ultima gara di rafting sulle rapide, e osservando lo sguardo luminoso di Harry quando parlava con la signora. “Questo dolce  è ottimo. Stavolta ti sei superato, caro” sentenziò una volta finita l’intera fetta; “L’ho preparato io!” fece il liscio tutto orgoglioso, e Harry lo guardò di sottecchi, il verde brillante dei suoi occhi sfilacciato dalle sue ciglia scure. “Tu non mi piaci, e se farai stare male il mio caro ragazzo ti farò vedere cosa ho imparato al corso di Kick-boxing” detto ciò, la signora spinse le  ruote della sua sedia a rotelle e si diresse verso l’uscita. Harry rise fino alle lacrime del volto scioccato del maggiore, fino a doversi tenere la pancia con le mani, ed era un suono così bello, che Louis avrebbe voluto ascoltarlo per sempre.
 
 
Harry era completamente sdraiato sul suo lettino da tatuatore, una gamba penzolante e la t-shirt bianca che si era sollevata lievemente lasciando intravedere la sottile striscia di pelle perlacea sulla linea dei boxer. Niente coroncina di fiori quel giorno, Louis glielo aveva proibito. “Dovresti ripassarmi questo un giorno o l’altro” disse rompendo il silenzio, sollevandosi la maglietta fin sopra lo stomaco e mostrando una farfalla enorme. Il liscio strabuzzò gli occhi, non che fosse sorpreso, di tatuaggi il più piccolo ne aveva tanti ed anche a vista ma… Un insetto? Storse il naso in segno di disappunto. “Ehi! Tu hai un uccello grasso sul braccio” lo prese in giro il riccio. Il maggiore sbuffò ma si limitò a controllare i cataloghi senza degnarlo di ulteriori attenzioni. Harry allora lasciò penzolare la testa fuori dal lettino e l’occhio gli cadde sulle perfette scarpe di tela di Louis: bianche ed immacolate. “Lou!” si lamentò come un bimbo in cerca di cure, “Posso disegnarti le scarpe? Sono troppo sterili così”. Il maggiore sollevò gli occhi per l’ennesima volta dal catalogo e gli lanciò uno sguardo severo; “Starai in silenzio per cinque minuti se te lo lascio fare?”. Harry annuì, i suoi ricci sballottolati qua e là e allora l’altro si tolse le scarpe e gliele lanciò. Non era esattamente questo quello che aveva progettato per far provare al minore l’ebbrezza di essere un tatuatore punk, uno cazzuto. Ma, ahimè, doveva prima sbrigare quella questione sul nuovo inchiostro da ordinare e poi avrebbe pensato al resto. Harry parve felice come un bimbo nel ricevere le scarpe, e si munì di pennarello nero indelebile sedendosi al centro del lettino come un indiano. “Niente fiorellini o ti spezzo le dita” mugugnò Louis, il volto di nuovo sepolto tra quelle pagine oleose; “Agli ordini!”. Dopo un quarto d’ora abbondante, il tatuatore aveva stabilito quale dei tanti inchiostri ordinare al suo fornitore e si voltò solo per trovare un Harry Styles con tanto di lingua fuori per la concentrazione che tracciava linee sicure sulle sue scarpe di tela. “Tempo scaduto, Styles. Vediamo cosa hai combinato” il riccio gli sorrise gioioso, mostrandogli il retro della scarpa, dove aveva disegnato un teschio e degli omini stilizzati, mentre sulla parte frontale c’era una faccina. Era piuttosto rudimentale in realtà, due crocette ed una curva sottile ma gli piaceva. E Louis era istintivo, quindi non ci pensò due volte a far smontare il ragazzo dal lettino per prendere il suo posto e mettergli in mano tutta una serie di quelli che Harry rinominò aggeggi. “Che stai facendo?” chiese una volta seduto affianco al lettino con una macchinetta da tatuaggi in mano; “Tatuamela” disse ovvio il punk. “Cosa?” fece il minore allibito, e si lasciò scappare dalle mani quell’ oggetto sputa inchiostro a forma di pistola; “La faccina. Dai Haz, ti avevo detto che avresti provato a stare nei miei panni per un giorno. Quindi fallo”. Harry lo guardò come se fosse stupido, “Non so da dove cominciare, Lou” biascicò in imbarazzo le gote rosse e le mani tremanti. Il maggiore prese in mano la situazione, si fece tracciare uno schizzo a penna sull’ avambraccio per poi invitarlo ad usare la macchinetta. “Se ti faccio male…” cominciò prima che la risata sprezzante dell’ altro lo interrompesse; “Haz, hai idea di quanti tatuaggi io abbia?”. Il primo tratto fu piuttosto tremolante, ma man mano che Harry prendeva confidenza, la sua faccina era sempre più definita. “Ho finito! Ce l’ ho fatta!” esultò spingendosi verso il lettino e abbracciando il liscio; “Sei stato bravo” si complimentò Louis lasciandogli una carezza distratta tra i capelli. Quando entrambi si resero conto della situazione in cui si erano cacciati, si staccarono come scottati. Un rossore delicato imperlava le guance del minore; “E questo è quello che fanno gli uomini duri”. E mai frase sembrò più sarcastica.
 
 
Provare l’uno il lavoro dell’ altro non aveva aiutato i ragazzi a comprendere quanto, in realtà, seppur appartenenti a due categorie così diverse loro fossero affini. Erano ancora bloccati nel voler dimostrare qualcosa che forse non erano, a combattere una battaglia che forse era di qualcun altro. Eppure, né Harry né tantomeno Louis avevano intenzione di seppellire l’ascia di guerra. Il maggiore aveva organizzato una cena in un locale particolare quella sera che, testuali parole, “Ti farà capire cosa fanno i ragazzi come me”. Il riccio in realtà si stava più domandando se dovesse considerare quegli incontri degli appuntamenti, oppure delle semplici uscite tra amici (nonostante fosse abbastanza certo che un amico non dovrebbe masturbarsi pensando ad un altro amico, ma). Quando una modesta macchina scura frenò davanti ai suoi piedi coperti da stivaletti in camoscio, Harry sollevò il capo incontrando lo sguardo turchino di Louis dietro il finestrino. Quella sera, la coroncina era di fiori finti in carta colorata e di tutte le tonalità dell’ arcobaleno. Louis sorrise prima di “Ciao principessina” salutare; il minore si limitò ad allacciare la cintura di sicurezza e sporsi per posargli un bacio timido sulla guancia. “Credevo ti saresti arrabbiato” biascicò il liscio inserendo la prima e partendo; “Mi piace in realtà. Suona così regale”. Louis scoppiò a ridere e passò il resto del tragitto in auto a chiamarlo in tutte le varianti possibili del termine principessa. Quando parcheggiò, Harry schiacciò il naso sul finestrino per vedere in che tipo di locale fossero: sembrava un pub abbastanza rumoroso. Il suo fiato caldo lasciò uno strato di condensa sul vetro, e con il polpastrello ci disegnò un fiorellino, per non discostarsi dalla linea Barbie a primavera. Già. “Dove siamo?” chiese il più piccolo stringendosi nella giacca e affiancando Louis; “Questo posto è tipo… La quint’essenza dei punk! Non puoi non provarlo” biascicò spingendo la porta ed entrando. “Provare cosa?” domandò ingenuamente Harry, e quando lo raggiunse nel locale, il più grande si limitò ad ammiccare e dire “Quello”. Un toro meccanico se ne stava al centro della stanza, dei faretti lo colpivano e il tessuto nero della sella brillava. Era circondato da tappetini rossi e c’era già la fila per provarlo. “Non esiste, Lou” impose irremovibile. “Oh andiamo!” lo spronò Louis spingendogli i fianchi con i propri, “Sono sicuro che te la cavi a cavalcare” il suo tono si fece malizioso. Ed Harry non se l’era sognato l’ occhiolino del maggiore vero? Il liscio avanzò lasciandolo lì e dopo aver battuto il pugno ad alcuni ragazzi che lo salutavano calorosi, si posizionò sulla sella. Sollevò un braccio come lo sbruffone spavaldo che era e cominciò ad agitare i fianchi cercando di rimanere in equilibrio su quell’ ammasso di circuiti impazziti. Harry lo guardava ammaliato, le sue gambe toniche che si stringevano intorno al dorso del toro e i capelli che venivano scompigliati dai movimenti. Era semplicemente perfetto ed eccitante. Oltremodo eccitante. Quando il toro terminò la sua corsa, Louis si alzò fiero di non essere caduto ed invitò il riccio a prendere il suo posto. Harry scosse il capo ma qualcuno dietro di lui lo spinse. Non si accorse nemmeno di qualcuno che lo tirava su, ma fece appena in tempo a supplicare il liscio di non lasciarlo su quel… Coso da solo. “Ti prego, Lou. Non scendere. Insieme, lo facciamo insieme” e poteva davvero dire no a quegli occhioni verdi velati d’eccitazione e spavento allo stesso momento? Louis lo fece posizionare davanti a lui, mentre il suo petto aderiva alla schiena possente di Harry. Un coro di fischi si sollevò dal pubblico e un paio di amici del punk fecero anche dei gesti espliciti che misero il riccio in imbarazzo. Non appena il toro cominciò a muoversi, il minore fece un urletto poco virile e cercò di acchiapparsi al suo collo. La bestia girava veloce su se stessa e rimanere in equilibrio era sempre più complesso, se non impossibile per qualcuno come Harry che aveva già notevoli problemi anche solo nel camminare. Fu all’ennesimo scossone, e alla spinta in avanti che inevitabilmente il petto di Louis gli inflisse, che non resse più. Il suo busto si sporse in avanti, spalmandosi lungo il collo del toro in una perfetta posizione a novanta gradi. I fischi e gli schiamazzi si fecero sempre più forti, mentre scossone dopo scossone, Louis e Harry non facevano che emulare un atto sessuale davanti a tutti. E quello sfregarsi continuo di jeans e pelli troppo accaldate fece eccitare il maggiore, che ben presto si ritrovò con un bozzolo tra le gambe. Andare su quel maledetto toro non era mai stato così piacevole, se si aggiunge la vista del sedere sodo e snello di Harry piegato per lui e per il suo piacere. Non appena il giro finì, il riccio rotolò a terra, sbattendo su un materasso e perdendo la sua preziosa coroncina multicolore. “Questa me le paghi” articolò a stento alzandosi, ma traballando un po’. Louis ridacchiò e lo spinse verso il bancone, artigliando l’indice e il medio ai passanti dei suoi jeans per garantirgli l’equilibrio. “Tieni” gli disse porgendogli la coroncina di fiori, e Harry sbuffò e con un gesto meccanico la prese posandosela poi sulla patta dei pantaloni. Il cerchio perfetto e colorato circondava alla ben e meglio l’erezione costretta negli skinny di Harry. “Non dire una parola. È stato terribile” il riccio nascose il volto tra le mani grandi; “Sì, vedo che non ti è piaciuto affatto” commentò sarcastico il punk, indicando il cavallo stretto dei suoi pantaloni. Era particolarmente malizioso quella sera, se lo voleva provocare era un gioco a cui potevano giocare entrambi. Soprattutto se Harry, dalla sua, aveva l’esperienza di toccarsi con la voglia di venire sul volto del liscio, fino a macchiare il piercing sul sopracciglio. “Anche tu ti sei annoiato parecchio” commentò facendo scivolare languida una mano sulla patta dei pantaloni dell’ altro. Louis ridacchiò salvo poi rimanere completamente senza fiato quando Harry chinò il capo sino a raggiungere il suo orecchio e “Posso farti un pompino, Lou?”. Lo stava davvero chiedendo? Dio, se non si trovassero in un cazzo di pub l’avrebbe fatto mettere in ginocchio seduta stante. “Che sfacciato, Styles” borbottò mettendosi poi in punta di piedi e rubandogli la coroncina di fiori dalla testa per posarla sulla sua; “Io credo che prima dovresti baciarmi, non trovi piccola principessa?”. E forse il riccio si stava innamorando di quel soprannome, non che lo avrebbe ammesso. Nossignore. Nessuno seppe chi aveva cominciato quel contatto, forse entrambi, fatto sta che pochi secondi dopo si stavano baciando come se la loro intera vita dipendesse da quello. Il maggiore aveva posato delicato un palmo sulla guancia di Harry, mentre quest’ultimo aveva immerso la mano nei lisci e sottili capelli del punk, giocherellando con i fiorellini della corona. Dopo un esasperante muoversi di labbra su labbra, Louis spinse la lingua sui denti del riccio, ottenendo così l’accesso alla sua bocca. L’alito di Harry era fresco e dolce, la sua lingua si intrecciava abile con quella dell’ altro e il più grande non poté trattenersi dal pensare a come sarebbe quella stessa lingua in un altro posto. Quando si staccarono, il più piccolo sorrideva contento con tanto di fossette ai lati delle guance e le labbra gonfie e rosse. Louis gli lasciò un buffetto sul naso per poi rivelare “Sei piuttosto sfacciato per essere un figlio dei fiori”; “E tu sei troppo dolce per essere un punk” ribatté serio Harry, rituffandosi sulle  sue labbra.
 
 
Louis sbuffò l’ennesima volta prima di gettare i due fiori sul bancone della sala da tè di Harry. “Non ci riesco. Queste cose da fata della primavera non fanno per me” si lamentò mettendo su un broncio adorabile. Il riccio non resistette e si chinò per baciarlo via; “Non è difficile se ti impegni, Lou” miagolò in risposta, strisciando il naso nell’ incavo del collo del più basso. E forse il punto era questo, Louis non voleva impegnarsi, non voleva imparare a fare delle stupide coroncine di fiori solo perché il suo quasi ragazzo era un hippie e doveva ricambiare la sfida del toro meccanico. “Ma poi” chiese serio, ricordandosi improvvisamente di qualcosa, “Questi fiori continua a mandarteli quel Grimmy?”. Harry biascicò uno “Mhmh” strascicato mentre, seduto dov’era sul bancone con Louis in piedi difronte a lui, sbaciucchiava il suo collo. “No, Haz. Staccati” lo riprese il punk, “Voglio che smetta”. “Oh in bocca al lupo, Lou” sbottò seccato il riccio allontanandosi; “Sto provando da mesi a farlo smettere”. “Dammi il suo indirizzo” sbottò incrociando le braccia sul petto; “Uh, il mio fidanzato punk e rissoso si fa rispettare” lo canzonò il riccio, senza accorgersi che implicitamente aveva appena detto che i due fossero impegnati. Louis lo baciò di slancio, immergendo le mani nei suoi capelli disordinati e tirando giù quella coroncina che era ormai il segno di una vita che ad Harry apparteneva più, il segno di un ragazzo che ad Harry non apparteneva più. “Hai detto fidanzato” mormorò sulle sue labbra gongolante; “Certo, cosa credi che regali pompini ai conoscenti?” il più piccolo gli schiaffeggiò giocosamente la spalla. “Non credere di riuscire a farmi cambiare discorso” tornò serio Louis. Le gambe di Harry penzolavano lì dov’ era seduto sul bancone e la sua occhiata da cucciolo lo faceva sembrare un piccolo cagnolino scodinzolante. “Non attacca” lo rimproverò il punk, “Voglio il suo indirizzo. Gli metterò dei petardi sotto casa”. Harry rise accarezzandogli il petto, “Ma lo sai che mi piaci proprio tanto quando fai il geloso?” sussurrò scendendo dal bancone e posando un fugace bacio a stampo sulle labbra imbronciate di Louis. La sua mano enorme si posò sul petto e scivolò insieme a lui quando pian piano si inginocchiò davanti a lui dietro il bancone, in maniera che fosse completamente nascosto sia dall’ ingresso che dall’ interno della sala da tè. “Haz” mormorò il più grande con un tono già arrendevole, mentre se ne stava in piedi dietro al banco, come fosse pronto ad accogliere la clientela. Il riccio gli slacciò la cintura per poi far calare i jeans neri del suo (a quanto pare) fidanzato fino alle cosce. Sorrise, quando il più grande incatenò lo sguardo col suo mentre mellifluo e sinuoso gli abbassava i boxer. Louis gli massaggiò il capelli dolcemente, mentre Harry cominciava a pompare con la mano la mezza erezione del compagno. Quando il punk divenne impaziente, lo spinse lievemente verso il suo inguine, ed Harry accolse l’invito senza farsi pregare. Dischiuse le labbra prendendo il membro duro di Louis nell’ antro caldo e accogliente che era la sua bocca. Succhiò in modo audace, come fosse il leccalecca del suo gusto preferito, mentre l’ altro lo incoraggiava spingendo la sua testa verso il suo pene. “Oh sì tesoro. Così bravo” mormorò in preda all’estasi più totale, mentre sentiva il suo cazzo indurirsi man mano che la lingua di Harry si arricciava intorno al glande. Era ad un passo dal venire, quando il tintinnio della porta che preannuncia l’ingresso di qualcuno riecheggiò nella stanza. Harry si staccò solo per ridacchiare un attimo, mentre si puliva col dorso della mano la saliva mista a liquido preseminale che gli era colata sul mento. Louis poteva venire solo a quella vista. Non perse tempo, il piccolo hippie, e inglobò di nuovo l’erezione del maggiore, come se non ci fosse stata nessuna interruzione. “Giovanotto” lo salutò la voce arrocchita della Signora Horan, mentre spingeva la sua carrozzina nella sala da tè. “S-salve Signor- ah” biascicò, tirando i ricci del fidanzato, tentando di farlo allontanare, invano. “Harry non c’è?” chiese l’anziana insospettita dall’ assenza del suo pupillo. Proprio in quel momento, il ragazzo fece un affondo e la punta di Louis riuscì a toccare il retro della sua gola. Un gemito mal trattenuto gli scappò dalle labbra, mentre la Signora Horan lo guardava storto e il minore ridacchiava con fiatate calde intorno alla sua erezione. “È uscito un attimo” riuscì a dire infine, inspirando bruscamente e mordendosi il labbro inferiore con i denti per trattenere gli ansimi di piacere. “Quando torna?” chiese inquisitoria la donna, guardandolo sempre più sospettosa. Harry inglobò di nuovo tutta l’erezione di Louis, facendo poi il percorso a ritroso e soffermandosi a succhiare la punta, a leccargliela e fargli sentire la lieve presenza dei suoi denti; “Sono… Mmh. Sono sicuro che stia per venire” articolò in risposta, indirizzandola più al suo fidanzato che alla signora. Harry ridacchiò scendendo a baciargli i testicoli, ed era troppo. Louis aveva il basso ventre in fiamme ma non voleva eiaculare davanti ad una vecchia guardona, scusa tanto. “Tornerò più tardi” borbottò la Signora Horan per poi dirigersi verso la porta con la sua sedia a rotelle. Il punk tirò un sospiro di sollievo, prima che il respiro gli si mozzasse completamente: il più piccolo aveva ripreso a leccare tutta la sua lunghezza. “Bè, allora io vado. Ciao Louis” disse la signora ormai sulla porta, ma prima di chiudersela alle spalle aggiunse “E ciao anche a te, Harry”. Fu in quel momento che il più grande venne, mentre il riccio ingoiava il suo sperma da brava principessina. “Mi ucciderai” sussurrò dopo aver ripreso fiato, tirandolo su per baciarlo. Percepì il suo sapore attraverso la lingua del ragazzo e gli stava quasi per tornare duro. Harry ridacchiò, prima di riprendere i due fiori abbandonati sul bancone e dire “E adesso torna ad intrecciare gli steli, Tomlinson”.
 
 
Era passato circa un mese da quando Louis e Harry avevano intrapreso la loro relazione, ma questo non li aveva fermati dal propinarsi  sfide a vicenda per mostrare quanto dura fosse la vita di un punk, e quanto amorevole potesse essere invece quella di un hippie. Il liscio aveva sfidato il fidanzato a farsi un piercing, e anche se Harry non aveva accettato, era riuscito a trovare un modo per farsi perdonare. Il più piccolo, invece, gli aveva proposto di legarsi ad un albero “Per entrare in simbiosi con la natura”, ma l’unica cosa a cui restarono legati per tutta la sera fu il letto. Louis aveva anche provato a ricevere la benedizione della Signora Horan portandole una torta oppure regalandole un foulard a pois in tema con il suo borsello, ma lei gli aveva schiacciato il dolce tra i capelli e si era soffiata il naso nel foulard. Era una caso perso, già.
 
 
Harry gli stava preparando del tè. Erano nel suo negozietto ed era ancora presto, quindi stavano  approfittando di quella calma e tranquillità prima di doversi separare per tornare ognuno al proprio lavoro. “Stavo pensando” cominciò il riccio con apparente aria di noncuranza, “Perché hai aperto un negozio di tatuaggi?”. Louis scrollò le spalle raggiungendolo e abbracciandolo da dietro, fino ad immergere il naso tra i suoi ricci soffici e profumati. “È l’unica cosa che so fare, credo. Quindi mi sono detto perché no?” spiegò per poi lasciargli un bacio dolce sulle labbra quando il suo fidanzato gli porse la tazza di tè fumante. Si diressero verso uno dei tanti tavolini e si sedettero l’uno di fronte all’ altro con le gambe che si intrecciavano sotto la superficie legnosa del tavolo. “Tu?” gli chiese quando il primo sorso di tè gli riscaldò la gola e lo stomaco; “Posso rispondere io?” domandò l’ormai conosciuta e arrocchita voce della Signora Horan. Harry si alzò veloce dal tavolo per accoglierla e spingere la carrozzina fino a quello dov’erano seduti lui e il punk. Louis fece cenno di sì con la testa e allora la signora aprì il borsello a pois tirandone fuori una fotografia un po’ ingiallita di una donna anziana in un completo lavanda con tanto di cappellino a coprirle i capelli di un bianco candido. “Lei è Claire. È sempre stata la mia migliore amica, in un certo senso lo è ancora. Il suo sogno più grande è sempre stato quello di aprire una sala da tè, ma la vita non sempre va come vogliamo caro il mio ragazzaccio” e Louis ridacchiò perché aveva ormai cominciato a considerarlo un nomignolo. Era così preso dal racconto, che nemmeno si accorse degli occhi lucidi di Harry o di come la sua mascella si era fatta più tesa. “Una malattia se l’ è portata via troppo presto, e non è mei riuscita a realizzare il suo sogno. Ma qualcuno lo ha fatto per lei” aggiunse l’ultima frase sussurrando, quasi fosse un segreto, e il riccio le sorrise di rimando. “Non capisco. Cosa ha a che fare la signora Claire con Harry?” , l’anziana aprì la bocca per rispondere ma il riccio la precedette: “Era mia nonna”. Oh. Oh. Improvvisamente Louis si sentì in colpa per tutti i nomignoli poco carini che aveva affibbiato al negozietto accanto al suo. Si sporse per stringere le mani del suo fidanzato e “È stato un gesto bellissimo da parte tua” rivelargli con lo sguardo innamorato. “Lei mi ha insegnato tutto ciò che so fare in cucina, dovevo sdebitarmi in qualche modo” fece spallucce. Il punk s’ infischiò della presenza della Signora Horan, del fatto che ci fosse un tavolino di mezzo e si lasciò prendere dall’ impulsività come faceva sempre. Quindi, nel tempo di un battito di ciglia, le loro labbra erano incollate, mentre l’anziana fischiava in approvazione; “Sono tanto fiero di te” sussurrò Louis non appena si staccarono. “Stai guadagnando punti, ragazzino” disse la Signora Horan, e improvvisamente il maggiore comprese anche perché l’approvazione di quella donna fosse tanto importante per Harry. Fu proprio in quel momento che decise di impegnarsi, non solo per fare un piacere al suo fidanzato, ma perché lui stesso voleva piacere alla signora. Ed Harry Styles gli aveva completamente fottuto il cervello se Louis aveva deciso di impegnarsi per ottenere la simpatia di un’ anziana. “E comunque” s’intromise la Signora Horan manco fosse stata interpellata, “Smettetela di mostrare quanto punk e figli dei fiori siano diversi. Provate a cercare le cose in comune” sentenziò. “Oh e tu” continuò indicando Louis, “Non avevi un negozio di pitture rupestri o una cosa simile da aprire?”.
 
 
Louis aveva già chiuso il negozio, e anche Harry aveva girato il cartello davanti alla porta in modo che recitasse “Chiuso”, ma nonostante ciò, i due ragazzi se ne stavano nella sala da tè. “Perché questo broncio?” domandò il riccio dando un buffetto sulle labbra increspate in una smorfia del suo ragazzo; Louis si lamentò e gli lanciò un’occhiata infuocata. “Sto pensando a come avere la benedizione della Signora Horan” confessò tornando a mordicchiarsi il labbro inferiore. Harry lo raggiunse e si sedette comodamente sulle sue gambe, come se i restanti dieci tavoli con altrettante sedie non fossero poi così allettanti, e torto non aveva perché il maggiore cominciò ad accarezzargli i capelli. “Potresti cominciare a seguire il suo consiglio e scervellarti su cosa i punk e gli hippie abbiano in comune” propose Harry, facendo quasi le fusa per tutte le attenzioni che il più grande gli stava dedicando. “Tipo?” domandò Louis, le labbra di nuovo increspate; “I tatuaggi” azzardò il più giovane. “Decisamente non la musica” commentò il liscio, fiero dei suoi gruppi altamente hardcore. Poi parve illuminarsi “C’è qualcosa” disse felice e costrinse Harry a sollevarsi dal suo grembo. Frugò nelle sue tasche e poi estrasse una bustina trasparente con dentro qualche grammo di erba. La sventolò sotto il naso del fidanzato, e quando quello si protese per afferrarla l’allontanò, schiacciandogli un bacio sulle labbra. “Questa è decisamente in comune” esultò soddisfatto e Harry non trovò il coraggio di dirgli che non era propriamente a quello che la Signora Horan si riferiva. Quando il liscio aprì la bustina, il suo fidanzato lo guardò storto; “Non avrai intenzione di fumarla vero?”. “Oh andiamo! Come se tu e i tuoi amichetti hippie non abbiate mai fumato” borbottò il maggiore indignato; “Ma che hai capito, Lou?” ridacchiò Harry, che effettivamente ad alcune feste si era divertito a darci dentro col fumo. “Perché fumarla, se puoi cucinarla?” bisbigliò languido nel suo orecchio e poi gli sottrasse il sacchetto. Louis parve elettrizzato all’ idea e si diresse dietro al bancone seguendo il suo fidanzato. Harry gli diede direttive precise su come rompere le uova o disporre la farina, mentre lui metteva a bagnomaria una tavoletta intera di cioccolata. “Ci sballeremo mangiando dei Brownie” gongolò contento il punk, per poi sculacciare Harry che gli passò davanti per prendere la frusta; “È esattamente per questo che ti amo”. Il più piccolo si fermò. Non mosse più un passo, né controllò se il cioccolato fosse sciolto. Si immobilizzò semplicemente perché Louis non era ancora fatto, vero? Quindi lo amava e basta. Lo amava da sobrio, da persona razionale. “Tutto ok?” chiese il punk preoccupato; “Io… Sì. Tu, cioè noi… M-mi ami?” domandò con una punta di isteria evidente nella voce. “Oh cielo, Haz” rise Louis avvicinandoglisi e prendendogli il viso tra le mani, “Tanto” bisbigliò sulle sue labbra prima di premervi un bacio delicato. “Wow. Si cioè, grandioso” biascicò riportandosi una ciocca liscia dietro l’ orecchio, le guance rosse e gli occhi brillanti. “Ti amo anche io. E ora posso dirtelo perché ho pensato tante volte a come fare, ma tu hai detto che dopo un orgasmo non vale e allora…” stava straparlando, lo faceva spesso quando era emozionato o nervoso. Louis gli scoppiò a ridere in faccia e allora Harry prese un bel respiro, si calmò e disse “Ti amo”. Si scambiarono un altro bacio veloce prima di tornare ai loro pasticcini speciali. Il riccio versò tutto il cioccolato in una coppa e Louis ci sparse dentro l’erba, osservando come il suo ragazzo la mischiasse abile usando una frusta. Disposero i rettangolini su una teglia e poi infornarono. Bastò il primo morso per sentire i sensi affievolirsi e la presa sulla realtà diminuire. Il sapore del cioccolato rendeva tutto ancora più dolce, dolce come gli occhi sgranati di Harry che masticava a bocca aperta ormai dimentico delle buone maniere. Arrivati al terzo brownie, erano entrambi inevitabilmente su un altro pianeta. “Ma sai la cosa buffa?” chiese Harry mentre rideva, “A me nemmeno piace il tè” e Louis rise come se fosse la cosa più divertente di sempre. “Mi sto sballando per provare a convincere una vecchia che ti amo. Voleva pure un tatuaggio sul culo” urlò il più grande schiacciandosi sul petto del suo fidanzato, mentre quest’ultimo sghignazzava sputacchiando briciole qua e là. “Ma vuoi sapere il colmo?” chiese improvvisamente il liscio, e il più piccolo annuì, “Mi sono innamorato di un cazzo di figlio dei fiori”.
 
 
“Dove stiamo andando, Harry caro?” chiese la Signora Horan che bendata, lasciava che il ragazzo le spingesse la carrozzina. “Vedrà. É una sorpresa” le rispose affabile come sempre. L’anziana signora poté percepire una porta aprirsi e le ruote della sua sedia a rotelle sobbalzare. Non avevano camminato poi così lontano dalla sala da tè quindi non potevano che trovarsi in un luogo… La benda le fu tolta e si ritrovò di fronte un Louis tutto sorridente con i guanti in lattice e la macchinetta per i tatuaggi in mano. La signora lo guardò stranita e lui si premurò di rispondere alla domanda non ancora formulata, “Sto cercando di guadagnare il suo appoggio e la sua amicizia. Quindi cosa ne dice di una bella targhetta sul sedere con su scritto made in Ireland?”. La Signora Horan scoppiò a ridere e si commosse un po’, asciugandosi qualche lacrimuccia con un fazzoletto ricamato estratto dalla consueta borsetta a pois. “Tu ci sai proprio fare, ragazzaccio” commentò con un sorriso e il punk quasi sentì le campane suonare a festa quando “Credo che tu sia perfetto per il mio caro Harry” rivelò la donna. Il riccio batté le mani entusiasta per poi avvicinarsi al suo finalmente riconosciuto fidanzato e baciargli dolcemente le labbra. Louis gli scombinò i capelli, storcendo il naso per l’ennesima coroncina con dei fiori freschi. Inarrestabile questo Grimmy, ugh. “Le diamo una mano per sollevarsi e mettersi sul lettino” si premurò Louis, ma la donna schiacciò malamente la sua mano. “So fare da sola cosa credi?” sbottò seccata, alzandosi dalla sedia a rotelle e scrocchiandosi in modo macabro le vertebre. Il tutto sotto lo sguardo impassibile di Harry e quello scioccato del liscio. Quando la donna si sentì troppo osservata, lo fissò e rise della sua espressione sconvolta. “No, aspetta. Tu credevi che io..?” disse indicando la sedia a rotelle, e poi scoppiò a ridere. “Sei proprio un ragazzaccio sprovveduto”.
 
 
“Buongiorno amore” salutò Harry vivace entrando nel negozio di tatuaggi di Louis. Il maggiore se ne stava con la testa posata sul tavolo e l’aria di chi crede che quel giorno non sia affatto buono. “Ti ho portato la colazione” continuò il riccio avvicinandosi e costringendolo a sollevare la testa. “Ciao tesoro” lo salutò il punk e poi gli diede un bacio affettuoso. Era così assonnato e preso da una sorta di pessimismo cosmico che quasi non si accorse di un importante cambiamento. Si drizzò come un cagnolino che sente un odore particolarmente appetitoso e si soffermò ad osservare quella bellezza da censura che era il suo fidanzato. Gli occhi verdi ancora leggermente appannati dal sonno, i boccoli castani che gli incorniciavano il viso quasi sfiorando le spalle, liberi. Liberi da qualsiasi tipo di coroncina di fiori. “Amore… I tuoi capelli” bisbigliò senza fiato. “Ti piacciono?” sorrise il più piccolo scuotendoli un po’, “Oggi niente fiori” aggiunse allegro. “Davvero?” Louis era così felice che avrebbe potuto toccare il cielo con un dito. “A quanto pare la Signora Horan ha fatto dei graffiti piuttosto… Uhm, espliciti per così dire sul portone di Nick ed eccoci qui. Niente più fiori, niente più Grimmy. Solo io e te”. Il liscio si avvicinò alle sue labbra attratto come un’ ape dal miele e bisbigliò un “Solo io e te” prima di baciarlo. Le loro labbra si mossero in sincrono, come ormai avevano imparato a fare da un paio di mesi, ma questa volta Louis poteva stringere i riccioli di Harry, tirarli ed accarezzarli quanto voleva. “Ti amo” sussurrò il riccio, e il più grande sorrise, si mise in punta di piedi e lo baciò ancora. “Ti amo anch’io”.
 
 
C’è una traversa di Carnaby Street, una delle più famose zone di Londra, in cui negozietti di ogni sorta si trovano uno affianco all’ altro. Non seguono uno schema preciso, si susseguono semplicemente come le lampadine multicolore che si usano per gli alberi di natale: chi lo sa se quella che segue la rossa si illuminerà di blu, o di verde? Forse di giallo? Allo stesso modo, non è raro trovare negozi di animali affianco a ristorantini con divieto d’ingresso per i cani, acquari vicino a pescherie e negozi di vinile affianco al nuovissimo Apple Store . Non è quindi difficile, in un contesto del genere, trovare negozi completamente agli opposti mischiati in un’ accozzaglia di idee… Come un negozio di tatuaggi adiacente ad una sala da tè per esempio. Meglio ancora se gestiti rispettivamente da un punk ed un figlio dei fiori. Non è raro, però, trovare quello stesso punk e quello stesso figlio dei fiori accoccolati nella sala tè oppure a sbaciucchiarsi sul lettino del negozio di tatuaggi. In barba alle etichette, già.
 
 
FINE.
 
  
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