IO
NON SONO SOLA!
Percorro
il lungo corridoio del reparto dove verrò visitata, tenendo
tra le mani una
pesante sacca con dentro numerosi referti medici e cartelle cliniche:
sono
tutti i referti e tutte le cartelle che partono dall’agosto
del 1988, da quando,
a pochi giorni dalla mia nascita, è iniziata la mia maratona
negli ospedali.
Mia
madre osservandomi nella culla, si accorse che avevo delle piccole
crisi,
dei piccoli tremori durante il sonno.
Non
poteva essere per freddo perché eravamo in piena estate.
Già
dai primi controlli medici nella mia città, i dottori
dissero ai miei genitori
che saremmo dovuti andare al Centro-Nord per sapere cosa avessi, ed
è cosi che
anno dopo anno, a volte anche due o tre volte nell’arco dello
stesso anno,
abbiamo percorso centinaia di chilometri, girato decine di ospedali,
consultato
chissà quanti dottori fino ad oggi, oggi che ho
vent’anni.
Da
vent’anni convivo con una malattia rara, genetica, che per
ora non si può ne
curare, ne prevenire, che è ancora poco conosciuta, e che mi
comporta tanti
piccoli problemi e una piccolissima, quasi impercettibile imperfezione
ad una
gamba.
Grazie
a Dio però, mi permette di vivere comunque una vita
normalissima, come tutte le
persone sane, all’apparenza infatti, sembro perfettamente
sana.
Ora
che sono adulta, non mi pesa quasi più, anche se ogni tanto
mi sento sempre un
pò diversa dagli altri.
Quando
ero bambina invece era diverso.
Tantissime
volte sono stata presa in giro per quegli occhialini che portavo
già alle
scuole materne; tante
volte sono stata oggetto di screzi per non avere una postura perfetta
ai piedi,
per non avere equilibrio e per essere un pò goffa.
Quante
volte mi sono sentita dire d’esser brutta con tutte quelle
macchioline
caffelatte, tipiche della mia malattia…
Quanti
anni trascorsi in centri di fisioterapia, di pomeriggio, a ripetere
ogni giorno
gli stessi, medesimi esercizi…
Quante
“calzature ortopediche” e plantari ho dovuto
portare, per avere una postura
corretta, e correggere o quanto meno frenare i miei problemi
ortopedici… La
mia infanzia l’ho trascorsa anche così.
A
volte, passare i pomeriggi liberi dalla fisioterapia a studiare con le
mie
poche amiche mi faceva stare veramente bene.
Oppure,
anche se ero sola a casa mia, anche un programma o un cartone animato
alla TV
mi facevano distrarre, e provavo ad immaginare di essere amica della
protagonista, oppure, provavo ad immedesimarmi nella storia, come fanno
tutti i
bambini con i loro idoli. Poteva
sembrare stupido, e per molti che non capivano niente, lo era, ma a me
faceva
stare bene.
Gli
ospedali non mi fanno più paura ormai.
Non
ho mai avuto paure degli aghi, ormai sono troppo abituata ai prelievi
di sangue.
Per
anni mi sono sentita sola, e ho avuto sempre paura di non essere
accettata
dagli altri, di non essere alla loro altezza.
Poche
persone sono a conoscenza di tutta la mia storia, quelle poche persone
di cui
mi sono sempre fidata e che mi sono state sempre vicino, malattia o
meno.
Da
quando non sono più una bambina, ho fatto di tutto per
essere uguale alle mie
coetanee: diete
su consiglio medico, trucco, tacchi (nei limiti del possibile), capelli
curati,
lenti a contatto…
Col
tempo però, ho imparato a non dar retta a cosa dice o pensa
la gente, perché
l’importante è piacere prima di tutto a me stessa.
Partendo
da questo presupposto, sentendomi diversa dagli altri, ho cercato di
valorizzare me stessa, per dimostrare a tutti, ma anche a me
personalmente, che
non avevo e che non ho niente in meno rispetto a chi mi sta intorno.
Mi
sono buttata a capofitto nello studio, dandogli sempre molta importanza
durante
tutta la mia carriera scolastica, fino alla fine del liceo, e
continuando
all’università, impegnandomi a fondo per poter
raggiungere presto il mio sogno
di lavorare con i bambini piccoli. Vedere
i miei sforzi ricompensati con i buoni voti, mi ha sempre dato la
spinta per
continuare, confermando il fatto che in fondo, anche se sono
“malata”, ragiono
e agisco come le persone normali.
In
tutti questi anni, sono stata a contatto negli ospedali con tante
malattie, con
casi clinici a volte disperati, senza speranza, con malattie che non
permetteranno
mai una vita normale come la mia. E’
proprio vero che solo chi ha sofferto può capire chi sta
male. A
volte ci sono persone che guardano a chi è meno fortunato di
loro con pietà, a
volte con disprezzo e derisione.
Anche
Sono
una ragazza di Chiesa e non mi vergogno a dirlo, anzi, proprio per
quello che
ho visto in vent’anni in tutti quegli ospedali, dovrei
ringraziare il Signore
in ginocchio per come sono, per avere si qualche problema, ma per
vivere la mia
vita come una persona sana. C’è
stato persino chi rideva del fatto che sono credente e praticante.
Crescendo,
è stato anche a contatto con gli altri che ho capito, che in
fondo, anche se ho
questa patologia, posso considerarmi fortunata. Quando
mi lascio prendere dallo sconforto, la mia famiglia, le mie
più care amiche,
cui racconto tutto e le persone che sono a conoscenza della mia
situazione
clinica, mi dicono sempre che non devo mollare e non devo considerarmi
inferiore a nessuno.
-Una
ragazza che all’università riesce a preparare un
esame in due settimane e a
prendere 30 e lode, è da considerarsi perfettamente sana-,
La
mia migliore amica, Ami, studia Medicina, e mi dice sempre che vuole
specializzarsi in pediatria, o intraprendere un Dottorato, per studiare
e
ricercare, soluzioni e cure a malattie rare e innocue come la mia, fino
ad
arrivare ai casi più atroci, che lei sa, io conosco bene.
Quando
ci siamo iscritte all’università, o meglio, quando
mi ha costretta ad
iscrivermi perché crede fermamente in me, al contrario mio,
che tendo comunque
e sempre a sottovalutarmi, mi ha chiesto il perché non
avessi scelto medicina:
amando i bimbi piccoli, avrei potuto specializzarmi in pediatria o
ginecologia
e ostetricia.
-Anche
se ormai gli ospedali non mi fanno più alcun effetto,
preferisco lavorarci come
puericultrice o lavorare in comunità infantili, amica mia.
Tu dovresti saperlo
visto che hai intrapreso questo iter, starai a contatto con casi non
sempre
piacevoli. Bisogna essere freddi e professionali in questo mestiere, e
io un pò
per carattere, un pò perché come sai ci sono
dentro, fredda non potrò essere
mai con nessuno…-
-Hai
ragione… Sei una ragazza d’oro… Vedrai
che sarai una bravissima maestra. Mi
raccomando però: tra tre anni, alla tua laurea, voglio
assistere in prima fila,
e voglio essere l’invitata d’onore alla tua festa!
Ti voglio bene, ricordatelo
sempre!-
Dolce
amica mia… Anche io le voglio un bene dell’anima.
Ci
conosciamo da una vita, dall’asilo.
Da
quando facemmo amicizia, in quella stanzetta piena di giochi, vicino
quel
piccolo tavolino ottagonale, verde con tante sedioline attorno dello
stesso
colore, non ci siamo più lasciate.
Immersa
in questi ricordi, tenendo stretta al petto la sacca con dentro
“la mia
storia”, mi siedo su una sedia vicino la parete, di fronte
l’ufficio
dell’ennesimo dottore che mi visiterà, poggio la
sacca a terra, vicino le mie
gambe e prendo dalla mia borsa un libro:
“La
letteratura per
l’infanzia attraverso i secoli: origini e sviluppi”.
Studiando
la lezione del giorno prima ingannerò l’attesa, e
magari penserò ad altro, in
fondo, amo questa materia.
L’infermiera
mi chiama quasi subito, e la seguo all’istante, prendendo i
referti e riponendo
il libro in borsa.
Finita
la visita, mi dicono che per gli altri controlli dovrò
intraprendere un altro
day hospital, in data da destinarsi.
Ora
che sono maggiorenne, non posso più ricoverarmi al solito
centro e devo fare
qualche day hospital prima di intraprendere una nuova avventura in un
nuovo,
ennesimo centro specializzato.
Il
dottore mi dice che a giudicare da questa prima visita, tutto procede
bene, e
tra qualche giorno avrò i risultati delle analisi.
Esco
dall’ufficio e mi dirigo verso il parcheggio, dove mi sta
aspettando, tornato
dal lavoro, mio padre, per andare a casa e pranzare insieme.
-Visto
che procede tutto bene piccola?- mi dice
-Si,
non ti preoccupare, non me ne faccio più un problema da
anni, e lo sai bene…-
-Appunto,
ricordati sempre che sei una ragazza normalissima, con tante buone
qualità e
che non sei sola, noi, ti vogliamo bene!-
Sorrido,
poggio la testa al finestrino e sospiro, poi penso, senza
però fare partecipe
mio padre dei miei pensieri:
“Hai ragione papà, ma in fondo all’anima nutro sempre un pò paura. Paura di non essere accettata per questa patologia che pochi conoscono, e paura che se un giorno sarò mamma, i miei figli dovranno passare il calvario che ho passato io… Però hai ragione anche nel dire che non sono sola. Grazie a Dio posso contare su una famiglia meravigliosa e sull’amicizia di persone che anche se sono poche, sono vere e so che non mi tradirebbero mai! Si, io non sono sola!”
Ciao
a tutte.
Perdonatemi
se subentro con questa piccola storia, anche se in corso
c’è ancora “IL NOSTRO
DESTINO E’ PERFETTO”.
La stesura
del nuovo capitolo procede, ma questi sono giorni un pò
particolari per me, e
ho sentito il bisogno di mettere nero su bianco il mio stato
d’animo.
Prometto,
tenendo conto anche dell’università, di aggiornare
quanto prima possibile, “IL
NOSTRO DESTINO E’ PERFETTO”. Grazie a
quanti leggeranno e commenteranno.
Vi voglio bene
tutte.
A presto
Luciadom