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Autore: Eje    05/11/2008    3 recensioni
Firenze 1420, culla pulsante dell’arte Italiana.
Filippo e Donato. Architetto e scultore.
Due grandi maestri di questo tempo, promotori di una nuova concezione artistica che rivoluzionerà il mondo.
Ma anche due semplici uomini, uniti da affetto, passioni comuni e idee contrastanti.
Una piccola, vera storia sui padri del Rinascimento.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Rinascimento
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Note iniziali:
Il racconto è ambientato attorno al 1420, i fatti e i personaggi menzionati hanno tutti una valenza storico-artistica.
L’episodio di cui scrivo è riportato puntigliosamente dal Vasari ne “Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti”.
Io mi sono limitata a romanzare -per così dire- un avvenimento già, probabilmente, rielaborato dal Vasari stesso tramite credenze e storie popolari.
Ho cercato di interpretare i personaggi tramite caratteristiche deducibili dalle loro opere e dagli scritti storici che li riguardano, ma anche secondo personalissime idee; sperando vivamente che nessuno di loro si rivolti nella tomba.















“Quando con dotta mano alla scultura
già fecer molti, or sol Donato ha fatto:
renduto ha vita a’ marmi, affetto et atto:
che più, se non parlar, può dar natura?”


Paolo Uccello







UMANITA'


















Incrociò le braccia al petto, aspettando.
Vedeva il suo viso farsi un poco più scuro, poi sottrarsi all’ombra. Socchiudere e aprire gli occhi, avvicinandosi di più alla parete.
Aspettò ancora, guardandolo muoversi e corrugare la fronte.
Ormai il sorriso gli era morto sulle labbra e le lodi congetturate, in cui aveva sperato, erano un illusione tanto lontana da sembrare mai esistita.
Trasse un nuovo, lungo sospiro; ma Filippo sembrò non accorgersene minimamente.
Poteva vedere i riflessi di luce stagliarsi nei suoi occhi, perfettamente di fronte ai raggi che penetravano dalle finestre, illuminandoli; mentre al loro fianco, le figure rigide delle Storie del Gaddi, scivolavano nell’oscurità.
Era mattino presto; alla fine aveva deciso di venire solo dopo diversi giorni dall’inaugurazione perché, aveva detto, in quel periodo doveva sbrigare troppo lavoro per permettersi distrazioni di alcun tipo.
L’uomo più giovane sospirò ancora, muovendo qualche passo in avanti verso l’interno della cappella e fu allora che Filippo si voltò. Lo sguardo lievemente torvo, come era suo solito, la fronte alta ancora aggrottata.
Portò la mano destra ad accarezzare il mento, poggiando il gomito alla sinistra, mentre la bocca si piegava in un vago sorriso.
Stava per dire qualcosa. Già si potevano intuire le prime sillabe incrinare l’aria, ma prima di dischiudere la bocca avrebbe atteso ancora qualche istante.
Nonostante sapesse esattamente cosa dire, come dirlo, avrebbe fatto aspettare ancora un poco, per il semplice e irresistibile gusto di farlo trepidare. Lasciando che la sua tensione si concentrasse in un unico istante.
Poi la sua voce rimbombò improvvisa per tutta la navata, sino ad essere inghiottita dalle pareti e disperdersi oltre le crociere.
- Che legno hai usato?-
- Pioppo invecchiato.-
Di nuovo silenzio. E il solito sorriso.
- È che mi pare quasi che tu abbia messo in croce un contadino…-
Donato serrò i denti trattenendo il fiato.
Si disse che avrebbe dovuto immaginare le parole di Filippo ed evitare di imbrogliarsi immaginando una lode che non sarebbe mai arrivata; ma era frustrante non aspettarsi mai complimenti da lui.
- Egli fra tutti gli uomini fu, certamente, il più delicato. Perfetto ed elegante in ogni parte, non così massiccio… -
- Questo lo so anch’io, volevo solo che il modello antico che ci sforziamo di apprendere ed applicare quadrasse con qualcosa di più vero, coi volti della gente…- Spiegò Donatello, tentando di mantenere la voce ferma.
- Un Cristo non deve avere nulla da spartire con il popolo, se non la salvezza e la parola di Dio....-
-Il Cristo era uomo!- Precisò lo scultore con foga, stupito quasi, che Filippo non accennasse a una verità così sostanziale.
-Ma anche molto di più e tu non puoi scolpirgli il volto di un agricolo. Se occorre dargli membra che siano degne almeno! Come hai detto dovevi fabbricare un legno che avesse in se la perfezione dell’ antico; non si può trovare questo tra la gente comune…-
- A me pare il contrario. Spesso mi capita di scovare tra la povera gente, appunto, la struttura morale, il sentimento più concreto della vita, la virtus stessa degli antichi…-
- Io non trovo né virtù, né coronamento nel tuo Cristo.-
Ecco. Il colpo finale.
Una grazia che l'architetto concedeva volentieri, evitandogli disumane agonie. Magari, rifletté Donato, si aspettava anche un ringraziamento, per questa sua incommensurabile pietà.
- Eppure dicono che dopo la Nunziata sia il mio lavoro migliore…- Nonostante i suoi sforzi la voce suonò delusa, impercettibilmente rotta.
- Chi lo ha detto?-
- Nanni e Jacopo della Quercia, Lorenzo soprattutto…-
L’architetto inarcò un sopracciglio. – Non mi stupisco più di tanto del loro giudizio… Ma Lorenzo, quasi mi delude e più di te forse…-
– Oh, avanti! Abbi un po’ di rispetto almeno nei loro confronti! -
- Io parlo solo liberamente. Non sei stato tu, forse, a domandare il mio giudizio?-
- Certo. Non sono un bambino, posso portare ed intendere i giudizi, così come le critiche altrui; ma le tue mi appaiono solo distruttive…- Le ultime parole si fecero più acute.
- A quanto pare, però, quelle fattive del tuo Maestro Lorenzo non hanno dato molti frutti, caro Donato…-
Molte cose si riversavano in quella frase, forse il suo stesso orgoglio di artista più volte minato. Un incomprensione parziale di una genialità quasi scontata.
Sentimenti che, ora, non potevano che trovare sfogo sull’ uomo che gli stava davanti, allievo dell’ artista che era stato suo pari, solo perché i tempi non erano abbastanza maturi.
-Sei un egocentrico oneroso!…Se è la sensibilità dello scultore per la morbidezza delle membra che professi, perché non mostri un po’ di quella sensibilità nelle tue parole?-
- Vuoi forse che non ti esprima il mio pensiero Donato? - Domandò l'altro con aria stanca.
- Sai bene che non è quello! Ma vorrei sapere cosa centra ora Lorenzo…-
- Sempre tuo insegnante è stato! -
- Ma mio è il Cristo, la croce, le membra. Non del Ghiberti, ma mie!- Detestava che, per Filippo, le sue ipotetiche mancanze dovessero per forza riflettersi nell'opera del Maestro.
- Ed allora apparterrà solo a te lo sbaglio! Sia! Prenditi tu anche la sua colpa se lo desideri! Prenditi pure tutte le mie parole al suo posto, ma sappi, allora, che ancora molte devo dirtene! -
- Che Dio perdoni il mio tono nella sua Casa, ma ora vaneggi Filippo! Devi parlare a me, non a Lorenzo Ghiberti che in questa storia proprio non ha parte! E poi solo del Cristo voglio che tu mi faccia peso!-
Trasse un sospiro calmandosi un poco, tornando a scrutare il legno. Sforzandosi, come sperava facesse il compagno, di lasciare scivolar via gli altri pensieri.
La luce che lentamente si faceva più intensa, sembrava tramutarsi al contatto con il Crocifisso in una sostanza fisica, una realtà dello spazio; il presente stesso.
- D’accordo, potrò darti ragione sulle mie parole, ma non sul Cristo! Quindi lascia che te lo dica: hai ancora una lunga strada da fare e se è vero che ti aspettavi una mia lode, come mi è parso dai tuoi discorsi, sei stato un ingenuo e solo perché ignorante non voglio definirti!-
Donato tacque, ascoltando fino all’ultimo anche l’eco della sua frase. Ora non c’era Lorenzo.
- Mi giudichi un incompetente?-
- Più competente di altri…-
- Tra quelli ne salvi qualcuno?-
- Nessuno. Nessuno tranne te. -
Lo scultore si lasciò cadere su una panca, sospirando.
Chiuse gli occhi qualche istante, per poi puntare lo sguardo dal suo Cristo al viso del compagno sotto il tramezzo. Credette che Filippo stesse fissano le colonne alle sue spalle, i fini capitelli intarsiati che così tante volte gli avevano fatto rimpiangere il loro viaggio a Roma; ma quando si protese in avanti si accorse che guardava lui.
Ora era l’architetto ad aspettare una sua parola.
Ma Donato osservava più le persone che le statue e poté leggere nel suo sguardo la stessa attesa sfibrante che sopportava lui ogni giorno, senza che chi si dimostrava più interessato alle pietre ed ai marmi se ne desse pena.
- Ti ritieni superiore a tutti, invero Filippo? Ma credo che se fosse facile giudicare quanto fare, allora il mio Cristo ti parrebbe come tale…-
- E tu, Donato? Vuoi o no il mio parere? -
- Volevo un parere, ma tu non hai solo giudicato il mio Cristo, ma le mie stesse mani di scultore, la mia testa di uomo, il mio amatissimo Maestro e tutti gli altri. Non dici solo ciò che dovrebbe essere il tuo umile parere, valuti intransigente, come se il tuo giudizio fosse inconfutabile. Misuri ogni cosa come solo…Fidia o Lisippo o gli antichi, forse, potrebbe avere l’ardire di fare! –
Si interruppe un attimo, obbligandosi a trovare di nuovo un tono calmo. - Se tanto ti senti superiore a noi, a me, perché non prendi del legno e non provi a farne uno tu?-
Calò un nuovo silenzio. Filippo a quelle parole sembrò guardarlo sorpreso; ma fu solo per una frazione di secondo. Subito riscoprì il suo sorriso accennato e non disse più niente.







In quei mesi iniziava a far caldo. Il sole picchiava forte e anche il lavoro più leggero pareva divenire infinito.
Erano usciti tardi traditi dall’afa, Filippo non sembrava avere mai il tempo per una pausa, ma Donato aveva insistito perché lo accompagnasse al Mercato Vecchio e lui, stranamente, aveva accettato di buon grado.
Firenze gremiva di gente, in piazza del Duomo il cantiere per le porte del Battistero sembrava attirare ancora più curiosi. E loro stonarono quasi nel passarvi davanti senza indugiare un solo attimo.
Donato avrebbe voluto fermarsi a salutare Lorenzo, ma sapeva bene che se lo avesse fatto non si sarebbero schiodati da lì facilmente. Ricordava ancora le discussioni per i progetti della cupola di S. Maria tra il suo maestro e Filippo, così come ricordava la sua espressione seccata di fronte ai bassorilievi dorati della porta del battistero.
Lui stesso non condivideva particolarmente le soluzioni prese dal Maestro, ma non ne avrebbe mai criticato apertamente il lavoro. O, perlomeno, non l'avrebbe fatto in modo offensivo.
Il problema, nell'opera di Lorenzo, era sostanzialmente il rilievo. Aveva parti troppo sporgenti, che captavano la luce trasmettendola verso il fondo; dove dilagava nello scenario dipinto d’oro perdendosi in troppi bagliori, smorzando le profondità delle figure.
Sarebbe stato più appropriato rispettare il piano. Offrire una spazialità più vasta e profonda, magari tramite un segno tanto incisivo da opporsi come un solco d’ombra alla luce.
Queste idee Filippo, le approvava pienamente, anzi, sarebbe stato più corretto dire che era lui a condividere le teorie dell’architetto.
Le sue speculazioni sulla prospettiva ottica lo impressionavano a dir poco; ciononostante vi erano pensieri che Donato non poteva spartire con il compagno. L' antipatia nei confronti del Ghiberti e ancora di più quelle critiche disfattiste che sapevano distruggere le certezze altrui, di cui loro discussione in Santa Croce era un chiaro esempio.
Al contrario di Filippo, invece, il Ghiberti era un uomo mite e ponderato, che non aveva mai mostrato alcun sentimento negativo nei confronti di nessuno, tanto meno in quelli dell'architetto.
Per questo Donatello si sentiva fiducioso; antipatia o meno, i due avrebbero dovuto collaborare per forza di cose, avendo ricevuto l’appalto congiunto per la cupola del Duomo.
Scrollò le spalle, cercando di concentrarsi su altro. Quella mattinata non sembrava predisposta a troppi pensieri.
Il sole si stagliava in un cielo limpido, di un azzurro prezioso, proiettando ombre colorate sul fronte di Santa Maria. Sulla facciata, la pietra Serena e i tipici disegni geometrici che si ripetevano matematicamente, godevano di toni inusuali conferiti dalla luce.
Mentre camminavano lungo le rive dell’Arno, lo scultore iniziò quasi a stupirsi dell’aria piacevolmente serena dell’altro. Filippo non era certo il tipo da compiacersi per una passeggiata tra la folla del mercato.
- Come mai sei così rilassato? C’è qualcosa che ancora non so? – Chiese sorridendo il più giovane.
- No, nulla di nuovo… Tu piuttosto, perché così curioso?-
Donatello alzò le spalle fingendo indifferenza. – Non sono curioso, solo sorpreso...-
- Allora sorprenditi in pace, ma vediamo di non attardarci troppo, posso anche essere rilassato, ma ho dei limiti.-
- Oh, lo so bene…- ridacchiò l’uomo, avvicinandosi ad un banco posto agli angoli della strada.
Filippo sorrise a sua volta, accertandosi però, che l'altro non se ne accorgesse.
Sicuramente, Donato, aveva un talento ineguagliabile nel riuscire a captare le intenzioni altrui. Era dotato di un umanità invidiabile, interagiva con gli altri mettendoli a loro completo agio e sapeva ascoltare.
Non solo le parole, ma anche ciò che si preferiva non dire. La sofferenza, le angosce, ed ancora di più i sogni. Si insinuava dolcemente nei pensieri sciogliendo nodi che apparivano intricatissimi; dopodichè era pronto a confortare, sfoderando una sensibilità disarmante. Si poteva tranquillamente dire che possedesse tutte quelle doti che a lui erano state precluse.
Questi suoi pensieri, però, vennero interrotti bruscamente all'ombra di Palazzo Vecchio.
Una voce squillante li accolse con entusiasmo. Ed anche senza alzare lo sguardo verso un sorriso fin troppo disarmante, Filippo ne riconobbe il proprietario.
Michelozzo aveva il grembiule sporco di polvere di marmo e gli occhi più luminosi del solito.
Non era allievo di Donatello, eppure si fermava spesso alla sua bottega intrattenendosi con tutti.
Troppo furbo e chiassoso per piacere a Filippo aveva trovato in Donato un punto di riferimento.
- Ho buone notizie Maestro! – esordì eccitato, rivolgendosi allo scultore.
- Buon giorno a te Michelozzo...-
- Ah, perdonatemi, a volte mi scordo delle buone maniere... Maestro, Ser, buon giorno.- Si affrettò a salutare entrambi, arrossendo della propria dimenticanza.
- A cosa dobbiamo tutta questa intraprendenza?- Chiese l'architetto seccato.
- Cosimo il Vecchio è tornato!-
- I funerali del Coscia sono terminati, dunque?-
- Così pare. E sicuramente per il Maestro Donato è buona cosa!-
- Ed immagino anche per te se ti servi di un tale entusiasmo.- Filippo aveva la tendenza a frenare ogni moto di allegria di quel ragazzo. Tuttavia, questi, non sembrò risentirne.
- É per il Maestro che vi è certezza, Ser. Il Vecchio De Medici era molto amico di Giovanni del Coscia e come sapete, da quando il concilio Costanziese lo ebbe deposto dal pontificato non era visto di buon acchito a Roma. Sembrerebbe, quindi, che Cosimo abbia deciso la sua sepoltura in Firenze...-
- Ebbene?- Domandò alla fine Filippo con aria irritata.
- Vuole che sia il Maestro ad occuparsi del morto di bronzo dorato e delle altre statue da ornamento...-
Lo scultore sorrise appena, improvvisamente tutto gli era più chiaro. – Le cose stanno così, dunque... E tu Michelozzo, speri di ottenere qualcosa da me?-
- In realtà credevo che potreste suggerirgli anche un altro nome...-
- Potrei, certo... Ma dovrei sapere quale nome...-
Michelozzo alzò lo sguardo con aria stucchevole ed abbassò d'istinto il tono di voce. - Beh, ecco... Non c'è bisogno che vi dica quanto vi sarei riconoscente se voi mi concedereste l'onore di lavorare al vostro fianco... Ovviamente mi rimetterei al vostro giudizio!- Sottolineò con un sorriso.
- Io mi limito a giudicare solo ciò che è mio, ragazzo, ma se proprio desidererai una mia opinione non te la negherò.-
- State dicendo che vi ho convinto?!- Il giovane artista lo guardò più che speranzoso e Donatello fece un cenno di assenso col capo.
Filippo storse la bocca, disgustato; quel ragazzo era un ruffiano che cercava in tutti i modi di entrare nelle grazie dello scultore più anziano. E lui sapeva quanto Donato fosse sensibile a quel visetto gioviale e ai troppi sorrisi. Senza contare la sua particolare attenzione per i ragazzi giovani e di bell'aspetto.
Si lasciò sfuggire un sospiro infastidito, che fu abbastanza per attirare l'attenzione su di se.
- Ho visto, Ser, che il Ghiberti ha ottenuto l'allocazione della terza porta battesimale…- Osò Michelozzo con aria innocente, sforzandosi di non studiare troppo sfacciatamente le reazioni di Filippo.
In risposta ebbe una sorta di grugnito e un occhiata torva, eppure più sconsiderato che coraggioso, continuò.
- Mi pareva di aver capito, però, che fosse impegnato con voi nel progetto di Santa Maria...-
L'interpellato lo fulminò con lo sguardo, non nascondendo la chiara intenzione di incenerirlo; ma Donatello fu più veloce di lui ad intervenire.
- Lavorano ancora al progetto e si dedicano anche ad altri impegni. Separatamente. - Si affrettò a precisare.
Calò un breve silenzio; Michelozzo, con aria dubbiosa, spostò lo sguardo sul più vecchio. Ma quando fu li per aggiungere qualcosa, l’architetto prese parola al suo posto.
- Ragazzo – iniziò con aria grave, dando a Donatello tutti i motivi per preoccuparsi. - Capisco la tua sete di curiosità, ma il sottoscritto, al contrario di altri, non è tipo da prendere in simpatia un ragazzino... E ora scusaci, io e il tuo “Maestro” qui, abbiamo molto da fare. - Scandì gelido, lanciando occhiate significative allo scultore che lo fissava allibito.
Due minuti dopo stavano camminando spediti verso il mercato; Filippo in testa e Donato dietro che lo seguiva a stento, impegnato più che mai a non farsi travolgere dalla folla.
Quando si furono allontanati abbastanza e la gente iniziò a diminuire, lo scultore riuscì ad afferrare per un braccio il compagno e a farlo rallentare. - Sei forse impazzito Filippo?! Si può sapere che ti è saltato in mente?!-
- Non ne potevo più di starlo ad ascoltare! -
Donato lo guardò ditraverso.– Non è un buon motivo per essere scortesi! Non godi di buona fama per questi tuoi modi impossibili, sai? -
Filippo sbuffò – Non mi importa nulla di cosa pensa la gente... Prima mi hai detto che oggi paio di buon umore, non vorrai che me lo lasci guastare da quel ragazzino! E poi mi è venuta fame...-
- Di solito non ti accorgi nemmeno di quando si fa sera ed ora, improvvisamente, sei attento al tuo appetito. -
- Potresti fermarti da me per il pranzo...- propose Filippo ignorandolo, mentre si avvicinava ad un mercante.
Comprò del formaggio e della frutta sotto lo sguardo sospettoso del più giovane.
-Quando eravamo a Roma ti dimenticavi addirittura di mangiare e qui in Firenze, a meno che non veniamo io o Leon Battista a farti compagnia, fai lo stesso... Oggi, invece, ti metti addirittura a comprarne?!-
Senza prestargli attenzione, l'architetto pagò per poi continuare a trascinarlo verso casa. E Donato, nonostante fosse ormai abituato ai suoi modi, si ritrovò a pensare che, qualche volta, un po’ di normale interazione non gli sarebbe dispiaciuta.
Avevano caratteri molto diversi, l'architetto sapeva perdersi di continuo, tra proporzioni impeccabili e progetti d’aria.
Lui si lasciava trasportare dall’ estasiante materialità del mondo. Viveva dei contatti con le persone, delle parole, dei gesti.
Eppure, mentre camminavano per Firenze insieme, tutto sembrava perfetto. In modo così assoluto da illudere potesse durare per sempre.
- Maledizione! Ho dimenticato i disegni!-
Quando l'altro interruppe il silenzio, a Donato parve di esserselo immaginato. Non ricordava neanche sforzandosi che avesse mai scordato uno dei suoi preziosissimi progetti.
- Sicuro di sentirti bene?... Dove li hai lasciati?-
L'architetto fece una smorfia, stropicciandosi gli occhi. – Da Leon Battista, credo... Ma devo andare a prenderli assolutamente!- Precisò in tono tragico.
- Beh, andiamo allora. Ti accompagno. -
- No, no... Tu avviati pure verso casa, io ti raggiungerò tra poco. - Più che un invito parve un imposizione.
E Donatello non ebbe il tempo di farglielo notare che l'altro era già sparito tra la folla.
Stordito da quel comportamento, rimase qualche secondo immobile. Il grembiule con il cibo stretto tra le mani e un sopracciglio inarcato.
Che, davvero, Filippo non si sentisse bene? Era difficile che avesse cambi d'umore così repentini, ed era ancora più difficile che scordasse qualcosa. Ma, infondo, era sempre stato un persona imprevedibile.
Sin dal loro primo incontro, quando lui era appena ragazzino, non aveva fatto altro che sorprenderlo in ogni modo.
All' epoca il compagno, partecipava al concorso per l’appalto delle formelle per la prima porta del battistero, così come Lorenzo. Entrambi, poco più che ventenni, erano tra i più giovani partecipanti fra nomi già illustri.
Pioveva a dirotto quel giorno.
Per lungo tempo, assieme agli altri allievi del Ghiberti, Donato aveva atteso, sotto il tendone della piazza, il verdetto del concorso.
Il soggetto da interpretare era la classica iconografia del Sacrificio di Isacco per mano del padre Abramo, atto a testare la fedeltà di quest’ ultimo nella parola del Signore che, al momento del immolazione del giovane, invia un angelo affinché fermi Abramo e ne riconosca la piena devozione.
Donatello aveva solo quindici anni e la sua visione dell’arte ruotava intensamente attorno ai lavori del giovane Maestro. Ma di fronte alla formella di Filippo era rimasto totalmente colpito.
L’intero mondo che si era edificato nella sua mente ebbe un crollo per dare origine a una visone totalmente nuova. Lo spazio, nella formella, era stato dissolto lasciando il posto al vuoto da cui prendeva corpo un universo nuovo fatto di corpi, gesti, lacrime.
Gli atti delle figure scolpite erano simultanei e sembravano fondersi in un unico moto. Il dramma, pur partendo dal nulla, era subito colmato senza lasciare respiro.
Questo aveva visto Donato all’epoca, in ciò che ora, sapeva definire “prospettiva”.
Le formelle dei due giovani artisti, vennero poste ad un estenuante esame e più volte si tentò di trovare un univocità di giudizio.
Ma nonostante quello spazio innaturale, che era pensato come la dimensione stessa dell’agire storico. Nonostante l’urto di quelle tre volontà, così ben scolpite; nonostante la lunga indecisione; Firenze non seppe darlo vincitore.
E Donato, quel giorno, si era avvicinato timidamente ad un artista sotto la pioggia, che incurante dell’acqua sul capo, fissava ancora le due storie.
Il Ghiberti si era complimentato con Filippo, così come ogni singolo uomo aveva fatto, ma a lui non importavano le lodi. Era cosciente e voleva essere cosciente di una sola cosa: la propria parziale sconfitta. Firenze non aveva saputo preferire la sua arte già perfetta, a qualcosa di più senile, qualcosa che osasse meno. E questo solo perché non era ancora pronta per guardare avanti.
Dopo quel giorno Donato si era involontariamente fatto spingere dalle onde che animavano Filippo. Entrando a far parte del suo mondo di perfezioni numeriche e regole ritmiche, ma anche del suo animo così appassionato. Insieme avevano affrontato, l’anno successivo, un lungo viaggio a Roma ed erano divenuti sempre più inseparabili. Inseparabili.
Chissà se anche l'architetto avrebbe usato lo stesso termine?
Ritrovandosi a sorridere di quei ricordi, si rese conto di essere arrivato di fronte alla porta di casa.
Filippo lavorava a qualsiasi ora del giorno o della notte quindi, per garantire un illuminazione il più duratura possibile, le stanze dello studio erano situate in alto, al termine di una lunga scalinata.
A fatica, tenendo stretto il grembiule tra le mani, lo scultore salì le scale, sino ad arrivare all’ ingresso.
Doveva esserci aperto a giudicare dalla luce che trapelava dalla porta socchiusa. Con una spinta della spalla spalancò la porta.
E fu allora che lo vide.
Ben illuminato da due ceri, appoggiato alla parete della sala d’ingresso; un Crocifisso di legno, finito minuziosamente in ogni parte.
Le membra sembravano essersi accordate tra loro tanto era la perfezione dell’insieme; dando vita ad una proporzione unica ed ideale. Era dotato di un coronamento unico ed impeccabile, un armonia tale da lasciare senza fiato.
Il volto contratto, ma austero, il lineamenti fini, rifiniti principescamente gli conferivano una sacralità trascendentale.
Tanta fu la sorpresa che lasciò cadere a terra il grembiule. La frutta si sparse sul pavimento, ma lui continuò a fissare il Cristo.
Non sentì nemmeno la porta aprirsi e Filippo risalire le scale.
Questi, vedendo il pranzo sul pavimento e l’espressione sconcertata sul viso del compagno, non poté fare a meno di ridacchiare.
- Che disegno è il tuo Donato?! Che cosa mangeremo se hai lasciato che tutto ti cadesse a terra?!-
Lo scultore si voltò, lentamente.
Ora gli era tutto chiaro.
Filippo, per quei mesi, non era più tornato sulla questione perché deciso a spiegargli le proprie ragioni concretamente. Il pranzo, i disegni dimenticati erano stati tutti pretesti per farlo andare a casa solo, in modo che vedesse il Crocifisso senza alcun preavviso.
-Credo, per oggi, di aver avuto la mia parte. A quanto pare a te è concesso fare Cristi e a me contadini...- sospirò Donatello con voce tremante.
Aveva difronte ciò che mai sarebbe riuscito a riprodurre, la perfezione stessa incarnata in un corpo.
Quel uomo che si delineava sulla croce, altro non poteva che stare in croce, altri non poteva essere che Cristo, non un pastore o un bracciante, neanche un uomo forse, solamente Cristo.
L'architetto si avvicinò quasi con tenerezza. - Tu ne hai solo una visione diversa...-
- Questo cambia ogni cosa...-
-Sai Donato, quando lo scolpivo ho pensato solo a un Cristo, alla croce che doveva inchiodarlo ed ho applicato le proporzioni perché si armonizzasse con essa...- sussurrò l'altro carezzandogli i capelli.
-Vedo. Hai creato un semi-Dio, fatto per portare una croce, talmente perfetto da sembrare più reale del mio che era ispirato ad un uomo in carne ed ossa...-
- Donato, io capisco i tuoi lavori, la tua sensibilità per ciò che caratterizza l’essere umano, ma non è ciò che desidero rappresentare io... Era questo a cui pensavo quando criticai il tuo legno. -
Senza smettere di parlare Filippo gli si accostò di più, cingendolo con un braccio; mentre insieme guardavano il Crocifisso.
- L’ho immaginato, si, ed ora capisco... I tuoi pensieri, i tuoi occhi, guardano regole vigorose e perfezioni inconfutabili. Per questo a te è dato di ritrarre ciò che di più divino sta in Cristo, nei Santi e negli Apostoli, ciò che di più etereo ed imponente si può vedere nelle chiese e nei templi. Ma io, che non ho occhi che per l’umanità, per i sorrisi, le parole, i dolori, non farò altro che scolpire questa; mostrando per prima cosa in un Cristo, il volto di un uomo. -







FINE



Dedicato a Donato di Niccolò di Betto Bardi, detto Donatello.
Al suo inestimabile ed umano genio.



















Bibliografia: A. Vasari : “ Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti ”
G. C. Argan : “ Storia dell’arte Italiana”
L. H. Heydenreich : “ Il Primo Rinascimento”









Note finali:

“Che disegno è il tuo Donato? Che cosa mangeremo se hai lasciato che tutto ti cadesse a terra?” e ancora “Credo, per oggi, di aver avuto la mia parte Filippo… a quanto pare a te è concesso fare Cristi e a me contadini ”
Sono state riportate fedelmente e senza alcuna modifica da “Le vite”.

Il concorso a cui si accenna e la gara tra scultori del 1401, indetta dall’Arte dei Mercanti di Calmala, per l’appalto della decorazione dei battenti della porta settentrionale del battistero di Santa Maria del Fiore a Firenze.

Gli artisti nominati, oltre a Ser Filippo Brunelleschi e Donatello, sono, nell’ordine in cui vengono menzionati:

Taddeo Gaddi, pittore e scultore Giottesco di epoca duecentesca.

Nanni di Banco, scultore Fiorentino; con lui Donatello si occupò delle statue per la chiesa fiorentina di Orsanmichele.

Jacopo della Quercia, scultore e pittore tardo-gotico.

Lorenzo Ghiberti, scultore ed architetto Fiorentino, scolpì tutte e tre le porte del battistero di Firenze, la porta meridionale venne poi definita da Michelangiolo del “Paradiso”. Un anno dopo l’ambientazione del racconto abbandonò la costruzione della cupola di S. Maria, che venne affidata al solo Brunelleschi.

Giotto, famosissimo artista gotico di cui, data la fama, non credo ci sia bisogno di dire nulla.

Michelozzo Michelozzi, scultore ed architetto Fiorentino, scolpì, effettivamente, con Donatello alcune statue decorative per la tomba di Giovanni Coscia, situata poi, nel battistero; trasmise e adottò gli insegnamenti e lo stile dello scultore.

Cosimo De Medici detto “il Vecchio”, a capo di una della famiglie più influenti di Firenze, precursore del mecenatismo.

Giovanni Coscia, Papa Giovanni XXIII, definito dopo il concilio di Costanza “l’Antipapa”.

Leon Battista Alberti, architetto Fiorentino, trascrisse le regole prospettiche del Brunelleschi componendo i due trattati chiave del Rinascimento: il “ De Readificatoria” e il “De Pictura”.
  
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