Film > Frozen - Il Regno di Ghiaccio
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Autore: Alexiel Mihawk    11/12/2014    5 recensioni
Hans ha imparato che le due grandi certezze della sua vita sono la morte e l’amore (e a volte anche la morte dell’amore, ma a questo preferisce non pensare). Ha imparato anche che Anna prima o poi ricorda sempre ogni cosa, e che, forse, questa volta sarà quella giusta, questa volta forse lo perdonerà.
[...]
«Ti amo, Anna. Ogni vita precedente l’ho vissuta con la consapevolezza che prima o poi ti avrei trovata, ti ho cercata sempre e a volte non ti ho trovata mai. Ma non era importante, perché sapevo che per quanto lontana tu fossi, per quanto distante, magari legata ad un altro, sapevo che ti avrei trovata e sapevo che avresti scelto me. Ma ora, ora non sono sicuro di volerti imporre questa scelta, perché è sinonimo di morte».

[Hans/Anna, Reincarnation!ModernAU, in cui Hans ha finalmente una seconda possibilità, ma più Anna si innamora di lui, più si ricorda del ciclo di reincarnazione e morte che li ha condotti a quel punto]
Genere: Angst, Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anna, Hans
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Spero per voi che siate più preparati di quanto non lo fossi io mentre scrivevo. Questo è il penultimo capitolo, il prossimo sarà assai breve e sarà l’epilogo. Ed è già stato scritto.
Prompt:
Frozen, Hans/Anna, when love is real, it finds a way (Avatar Roku)
 

 
 
6. It’s all about you
 

I need some more of you to take me over
I know I because I can’t calculate
How to respect you
How to start again
It's all about you
Athlete, Chances
 

Hans continua a stringerla sé, le sussurra parole di scusa tra i capelli e aspetta con pazienza (e con la morte nel cuore) che i sussulti e i gemiti spezzati di Anna si plachino. Le mani della ragazza sono strette attorno alle sue braccia, il viso affondato nell’incavo del collo; è così saldamente aggrappata a lui che è sicuro che gli rimarranno i segni delle unghie sulla pelle.
Quando finalmente riesce ad alzare lo sguardo gli occhi sono rossi e gonfi e la voce trema leggermente ad ogni parola.
«Da quanto tempo lo sapevi?»
Il viso del giovane si piega in una smorfia di dispiacere e colpa (soprattutto colpa).
«Dalla prima volta che ti ho visto».
Anna emette un gemito e si stringe più forte al suo corpo nudo.
«Se… Se deciderai che non vuoi più vedermi io capirò, ma prima-»
«Non volerti più vedere? Oh, Hans, non mi dire che per tutto questo tempo hai vissuto con l’ansia di vedermi andare via».
Il ragazzo annuisce piano, passandole le mani lungo schiena e lanciandole uno sguardo affranto.
«L’ho sempre saputo, Anna, ma non sono mai stato pronto a rinunciare a te».
Lei non sa cosa dire, o meglio, avrebbe così tante cose da comunicargli, da urlargli, da ammettere, così tante da riempirci un intero libro, ma quella dichiarazione la lascia in silenzio, la lascia più stordita di quanto già non sia e lui ne approfitta per riprendere il discorso.
«Dovremmo parlare ad Elsa, prima che succeda qualcosa di irrimediabile».
Prima che io ti veda di nuovo morire. Prima che io sia di nuovo costretto ad abbracciare il tuo corpo privo di vita.
«Domani» sussurra piano lei.
Sì, ci sarà tempo domani, le risposte possono attendere altre dodici ore, quella notte (quello che ne resta) rimane per loro, per abbracciarsi in un silenzio carico di significati, di parole non dette, di Ti amo pensati e mai espressi. Quella notte sperano entrambi che sia in grado di portare loro consiglio, di tendere un velo di oblio sui loro occhi stanchi e di trascinarli con sé in un mondo di sogni (e questa volta si augurano che nessuno dei due sprofondi tra gli incubi).
 
«Se non fosse stata una cosa importante Anna non ci avrebbe fatto venire fino qui».
«Smettila di cercare di difenderli, Punzie, e parcheggia. E ti prego, rallenta prima di entrare nel vialetto».
La ragazza sbuffa, indispettita dalla mancanza di fiducia della maggiore, non lo sa quante lezioni di guida sicura ha preso assieme a Flynn?
«Almeno in questa vita non è un pezzente» borbotta ancora Elsa, lanciando un’occhiata alla villetta in cui vive Hans.
«Oh, andiamo, quando mai lo è stato! Oh! Hai visto come è curato il prato?»
«Suona il campanello e finiamola, ti prego».
Ad aprire la porta è Anna, gli occhi sono ancora gonfi per il pianto della sera precedente ed entrambe le amiche capiscono al volo cosa sia successo.
«Lo hai ucciso e hai bisogno di aiuto per sbarazzarti del corpo?» domanda Elsa senza fare una piega.
«Aspetta, cosa? No! Certo che no, oh, insomma, entrate».
La casa è pulita e accogliente, una brezza leggera penetra dalle finestre aperte ed entrambe le ragazze rimangono piacevolmente colpite a quella vista, Anna le guida in salotto e le fa accomodare sul divano, ma di Hans nemmeno l’ombra.
«Scusa, ma lui dov’è?»
«In giardino, c’è un cortile sul retro. È lì da stamattina» la voce di Anna è stanca, stanca come nessuna delle due l’ha mai sentita e improvvisamente entrambe si rendono conto di quanto debba essere stato difficile per lei più che per chiunque altro.
Il ragazzo è seduto sui gradini di un piccolo portico, osserva l’erba verde e i cespugli di fiori bruciacchiati dal caldo sole estivo, il suo sguardo è malinconico e vuoto e se dovessero domandargli per quanto tempo è rimasto lì non saprebbe rispondere; si riscuote solo nel momento in cui ode voci sommesse provenire dal salotto, quando capisce che è giunto il tempo di avere delle risposte.
Entra in casa silenziosamente e si sofferma, per qualche minuto, a guardare le due ragazze che abbracciano Anna, una scena così familiare che quasi fa male al cuore.
«Oh, sei qua» borbotta Elsa lanciandogli un’occhiata di ghiaccio.
«Sai com’è, ci vivo!» risponde lui sedendosi su una delle poltrone e facendo segno alle ospiti di accomodarsi.
Anna gli si avvicina e, incurante del suo sguardo preoccupato, si siede sul bracciolo della poltrona; Hans vorrebbe trattenersi, ma non ci riesce, le passa un braccio lungo la vita e se la trascina sulle gambe, stringendola a sé. Potrebbe essere l’ultima volta che ne ha la possibilità.
«Elsa, io non capisco» mormora Anna a mezza voce «Cosa sta succedendo?»
«È cominciato tutto secoli, no, millenni fa, nell’era del mito» risponde Rapunzel al suo posto «Eri così giovane, all’epoca, e io ero la tua ancella, ricordi? Il mio nome a quel tempo era Photine. In ogni caso avvenne in Aulide, prima della partenza per la guerra di Troia».
Si interrompe per riprendere fiato e raccogliere le idee, quindi riprende a raccontare.
«Vi recaste assieme al tempio di Afrodite, consapevoli che presto la guerra vi avrebbe diviso; il sacrificio che faceste, beh, non era niente di eccezionale a dire la verità. Niente di diverso dal solito, da quello che tutti fanno. Ma durante la guerra tuo padre, Diomede, osò colpire la dea che, impossibilitata a prendersela con un protetto di Atena, riversò su di te la sua rabbia. Fece in modo che il suo pupillo, Paride, colpisse Iason con una freccia e lasciò il suo corpo sotto le mura della città».
«E allora come è possibile? Come mi spiegate tutto questo? Tutte le vite trascorse, tutte le vite insieme?» domanda Hans, che improvvisamente sente di ricordarsela fin troppo bene quella morte.
«Diomede, dopo la guerra, ottenne in qualche modo il perdono di Afrodite» ricomincia Rapunzel «Non so cosa accadde, nessuno di noi sa cosa ne fu di lui, ma conosco le leggende moderne, si parla di viaggi in Italia, di nuove città e nuovi templi; in ogni caso Afrodite si sentiva in colpa, accecata dall’odio era venuta meno alla promessa che vi aveva fatto il giorno del sacrificio e credette opportuno benedirvi a suo modo. Offrendovi la possibilità di incontrarvi ancora».
«E tu? Voi? Insomma, io sono sempre felice di avervi al mio fianco, ma non capisco come sia possibile» mormora Anna aggrottando la fronte.
«Io più che altro vorrei sapere perché continuiamo a morire e soprattutto vorrei capire come fermarlo».
«Credo che sia più opportuno che sia Elsa a raccontarvi questa parte» mormora la bionda scambiandosi uno sguardo di intesa con l’amica.
La maggiore sospira, si passa stancamente le mani sul volto e quando i suoi occhi tornano ad essere visibili sono carichi di energia e forza, e a guardarli bene vi si riflettono immagini lontane di un tempo oramai passato.
«Voi non ve lo ricordate, non potete ricordarvelo. A dire la verità nemmeno io ero presente in quel momento, mi fu raccontato da lei in seguito. Il sacrificio che voi faceste ad Afrodite non fu l’unico ad essere celebrato a quel tempo; fu tuo padre, Diomede, che, prima di partire per la guerra, si recò al tempio di Atena, là fece un giuramento. Promise alla Dea che sarebbe stato il suo braccio destro, sarebbe stato il più veloce e il più forte dei suoi guerrieri, promise che sarebbe stato come un fiume in piena, inarrestabile, implacabile, e promise anche che avrebbe vinto per lei ogni battaglia; in cambio di tutto questo le domandò una sola cosa, le chiese di proteggerti, di proteggerti sempre».
 
Elena cammina per le stanze del palazzo, coglie con la coda dell’occhio gli sguardi di disprezzo della servitù e sa perfettamente cosa stiano pensando. Lei è la donna, la donna che ha abbandonato la sua gente e suo marito per seguire un principe straniero, è la cagna che ha attirato su di loro ogni disgrazia, che ha portato la guerra e la morte a Troia; ovviamente nessuno osa dirglielo, nessuno osa insultare una figlia di Zeus, nessuno osa insultare la nuova moglie di Paride, la protetta del Re.
Elena cammina nella reggia deserta, mentre gli uomini sotto le mura combattono e muoiono, è stato il turno di Ettore il giorno prima e lei sente ancora nelle orecchie le urla strazianti di Andromaca mentre si lacera le vesti e si strappa i capelli; Paride è tornato indenne, ancora una volta. Lei lo sa il perché, dall’alto delle mura colpisce i nemici, senza avvicinarsi alla mischia, senza correre rischi: forse è meglio così.
Paride che quando la vede la stringe a sé con forza inaudita, i cui occhi brillano d’amore e desiderio, che quando le parla le sussurra all’orecchio per ricordarle che lei gli appartiene, ed Elena non è sicura di voler appartenere a qualcuno, ma la sua voce la fa rabbrividire e le annebbia la mente.
Paride che le dice che la ama e che la amerà per sempre. Sempre. Sempre è un lasso di tempo così lungo, ride lei, ma Paride ne è convinto, per sempre. E forse quello è l’unico momento in cui nella mente di Elena sfreccia un ricordo; il ricordo di un altro uomo, in un altro palazzo, in un'altra città, un uomo che accarezza il suo corpo nudo con amore e che le sussurra fedeltà e le promette amore eterno. Sempre. Ma è un attimo è Menelao non è che un ricordo lontano.
 
Sospira appena, prima di ricominciare.
«All’epoca dei fatti io ero a Troia, circondata da ori e lussi sfrenati, avevo Paride e, sinceramente, non mi serviva altro per essere felice. Mi sentivo la regina che ero nata per essere, trattata dal mondo come una degna figlia di Zeus; il resto non era importante, non mi importava della guerra, né dei caduti. Non credo, a quel tempo, di avere mai pensato, nemmeno una volta, a mio marito, a Menelao, che sapevo essere là per me, con la spada sguainata in mezzo al campo di battaglia. La mia, beh, la mia immagino sia stata una punizione di Atena, o forse una seconda opportunità, io non lo so. Quello che so è che, quando la guerra finì, tornai a Sparta e da quel giorno Paride non lo rividi mai più, non ci siamo incontrati in nessuna delle mie vite successive; immagino che sia il modo di Afrodite per ricordarmi quando il mio amore per lui fosse in realtà opera sua, per ricordarmi di avere amato e perduto l’uomo sbagliato, deludendo così chi mi amava davvero, ma poco importa ora. A Sparta ritrovai entrambe, sia te Anna, mia amica di infanzia, che Rapunzel, la tua fedele ancella; una notte, poco dopo il vostro arrivo, feci un sogno. Sognai le spiagge candide della Magna Grecia e due donne in piedi, ferme a fissarmi. La prima, le gambe lambite dalle onde del mare, vestita di stoffe leggere e con ghirlande tra i capelli, la riconobbi immediatamente: era Afrodite. La seconda, dritta e fiera nella sua armatura, ci misi più tempo a capire chi fosse, non l’avevo mai incontrata prima, ma quando parlò, oh, quando udii la sua voce compresi immediatamente che Atena era venuta a trovarmi in sogno. “Rinascerai” mi disse “Rinascerai e non sarai sola, proverai a te stessa e al mondo di essere una regina e in ogni vita, in virtù del tuo sangue, sarai sempre la più forte, la più vicina agli dei, ma bada. Il tuo compito è un altro, il tuo compito da adesso e per sempre sarà proteggere la figlia di Diomede, come io ho promesso a suo padre”. E così ho fatto, ho cessato di essere una principessa in pericolo e sono diventata una guerriera, ho messo da parte i sentimenti, le emozioni, l’amore che una volta ho provato per un uomo, ma non ho mai smesso di essere una regina».
 
Elena si desta di colpo, il lenzuolo sottile appiccicato al suo corpo sudato, i capelli scomposti, non sa per quale motivo, ma si rende conto di stare piangendo. Si alza con passo leggero e, senza aspettare le ancelle, indossa il primo chitone candido che riesce a trovare, dirigendosi poi, a passo spedito, verso le stanze di Hagne.
Ad attenderla, di fronte all’ingresso della stanza da letto, c’è Photine, gli occhi lucidi e i capelli in disordine e in lei Elena rivede sé stessa; le si avvicina senza però superarla né provare a varcare la soglia.
«Ho fatto un sogno» mormora piano la regina di Sparta «Riguardava Hagne»
«Anche io» replica piano l’ancella allungano una mano che la donna afferra prontamente «Non avevo mai visto un dio».
Elena non sa cosa dire, perché lei ha visto innumerevoli divinità camminare tra i mortali durante gli ultimi dieci anni, ma nessuna l’hai mai considerata degna della sua attenzione prima di quel momento.
«Mia regina, ritenete opportuno parlarne con lei?» domanda quindi Photine, lanciando uno sguardo preoccupato alla stanza in cui Hagne riposa.
«No, credo di no. Credo sia più saggio non farle sapere nulla riguardo al nostro compito» risponde Elena.
Si passa le mani sul volto: è tempo di crescere, anche per lei.
Quindi riprende a parlare e ora il suo tono è cambiato, è freddo e deciso, è più regale di quanto Photine non l’abbia mai vista: «Da questo momento la volontà degli dei è anche la nostra».
Quando la porta della stanza si apre ed entrano le due donne, Hagne non ha idea di cosa sia avvenuto, ma non ha importanza, perché non è sola, e questo è abbastanza per renderla felice.
 
Un silenzio di tomba regna nella sala, mentre fuori friniscono i grilli e il sole di mezzogiorno scalda l’asfalto grigio; Rapunzel si alza, raggiunge la cucina e porta un bicchiere di acqua fresca ad Elsa, che accetta con gratitudine prima di riprendere il suo racconto.
«Fu tuo padre, inavvertitamente, a scagliare su di voi la maledizione che a lungo vi siete portati dietro, ma non fu lui ad attivarla. Durante la guerra di Troia, combattendo sotto le mura, poco dopo avere colpito Afrodite, Diomede si trovò ad affrontare Ares stesso. Con grande scorno del dio riuscì a respingerlo, lo ferì al ventre così profondamente da indurlo a ritirarsi dalla battaglia e tornare sull’Olimpo. Inutile che io stia qui a parlarvi di quanto gli dei siano suscettibili, permalosi e vendicativi; in qualche modo, negli anni a venire Diomede si riappacificò con Afrodite, ma Ares, no Ares non era così semplice da gestire».
«Quindi è stato Ares a maledirci?» domanda Hans aggrottando la fronte.
«Sì e no. Fu Ares a scagliarvi contro la sua ira, questo è indubbio. Non poteva colpire direttamente Diomede senza scatenare le ire di Atena, e in parte anche di Afrodite, visto che tuo padre finì con l’aiutare Enea nella guerra contro i Rutuli. Atena sostiene che la sua furia aumentò ancora di più quando si rese conto che non poteva nemmeno toccare te, Anna, protetta da entrambe le dee. Ma ovviamente a tutto c’è una soluzione, e Ares trovò in Hans il suo cavallo di Troia».
«Se stai insinuando che io lo sapevo –»
«No, per quanto mi costi ammetterlo tu non hai colpe. Sei nato spartano, sei nato guerriero, la furia che ti scorre nel sangue è quella della battaglia, gli spiriti che ti guidano sono Phobos e Deimos e, per quanto ti sforzi, non puoi cambiare. Ci sono state vite tranquille, sì indubbiamente, ma la guerra era sempre lì, in agguato, sempre pronta a colpire e a trascinarti con sé e Ares aspettava solamente che tu scegliessi lei invece di Anna. Allora la sua maledizione si sarebbe avverata perché avresti scelto la morte anziché l’amore, la morte anziché la vita. E, a modo tuo, sei stato bravo, dico davvero, hai resistito per millenni, ma poi è arrivata Arendelle e non so cosa sia successo, non lo voglio nemmeno sapere; forse non ricordavi, o non ricordavi abbastanza, forse hai avuto un passato diverso e le tue scelte sono state dettate dalle esperienze che hai vissuto, fatto sta che hai ceduto e ogni cosa è andata in frantumi».
«In pratica stai dicendo che è colpa mia».
La voce di Hans è gelida e tagliente, così sferzante che Anna sente un brivido percorrerle la schiena.
«Dimmi come farlo smettere» il suoi occhi si inchiodano in quelli di Elsa, mentre il ragazzo si alza in piedi lasciando che sia Anna ad occupare la poltrona «Dimmi come spezzare questo circolo di morte, perché io non ne posso più. Sono disposto a fare qualsiasi cosa, qualsiasi cosa».
«Oh, Hans, se solo potessi fare qualcosa» esclama Rapunzel dispiaciuta, senza sapere quanto le sue parole suonino come la eco di una condanna a morte.
«Punz ha ragione, non ci puoi fare niente. Solo Anna può farlo».
«Cosa?! Io? Come?» domanda la ragazza frastornata.
«Devi perdonare Hans, Anna. Perdonare ogni suo errore dal profondo del cuore, sinceramente, devi essere in grado di guardare al passato e accettarlo come parte del vostro essere, come parte delle vostre vite».
Quando Elsa finisce di parlare, il silenzio invade nuovamente la casa e Hans si allontana senza dire nulla; torna in giardino, con la consapevolezza di essere ancora una volta inutile.
Non ci vuole molto perché Anna si riscuota dallo stupore che le ultime parole hanno suscitato in lei e lo segua; quando lo raggiunge lo vede appoggiato al porticato, una sigaretta in bocca e lo sguardo spento.
«È meglio se te ne vai, Anna» dice piano «Lo sai come funziona, prima che scatenassi questa cosa rischiavamo di morire solo in quelle vite in cui non ci trovavamo, ora che la maledizione pende su di noi, come una spada di Damocle, trovi la morte ogni volta che siamo vicini».
«Hans, ti prego. Non ho nessuna intenzione di andarmene».
«Per cento settantaquattro anni ho convissuto col senso di colpa. Ogni giorno della mia vita, di tutte le mie ultime vite, ho vissuto con questo peso sulle spalle. Un peso che mi schiaccia, mi opprime, mi toglie il respiro e, ogni volta che ti guardo, mi sento come se stessi affogando o come se stessi per affogare, perché vivo con la consapevolezza che prima o poi sparirai. Quindi ti prego, vai via ora, prima che io ti veda morire di nuovo, perché questa volta non sono sicuro che riuscirei a sopportarlo. Non più, non ora che so che sono stato io a scatenare tutto questo».
Anna si avvicina e gli prende una mano tra le proprie, mentre i suoi occhi azzurri luccicano di determinazione e amore.
«Ti ho odiato, Hans. Ti ho odiato così tanto e per così poco tempo quando eravamo a Londra. Ti ho odiato così intensamente e ti ho amato così profondamente a Leningrado e la morte e la guerra hanno consumato ogni parte di me, la rabbia era così nera e accecante che non ero in grado di liberarmene, ma, allo stesso tempo, non riuscivo a vivere quando tu eri lontano, quando tu non c’eri. E poi Berlino. Avrei voluto  scavalcare quel maledetto muro, avrei voluto urlartelo e ripetertelo mille volte, ma non ci sono riuscita e sono morta di nuovo, quindi lascia che te lo dica ora. Io ti perdono. Ti perdono Arendelle. Ti perdono di avere sbagliato, ti perdono di avere scelto altro oltre a me. Sei un essere umano Hans, quante volte pensi di dover chiedere scusa prima di essere perdonato, quante vite pensi di dover vivere senza mai sbagliare? Qualcosa è andato storto ad Arendelle, non ti ricordavi davvero di me, forse per un po’ hai creduto di farlo, ma non era così, e io… Io non avevo idea di chi tu fossi. Ti volevo, ti volevo disperatamente, ma non avevo idea di avessi di fronte. E sono stanca, oh, Hans, sono così stanca di-»
«Di morire? Lo so, Anna» mormora il giovane con le lacrime agli occhi.
«No, di vivere senza di te».
Hans lascia cadere la sigaretta per terra e abbraccia la ragazza di scatto stringendola a sé, mentre una lacrima gli scivola silenziosa lungo la guancia.
«Ti amo, Anna. Ogni vita precedente l’ho vissuta con la consapevolezza che prima o poi ti avrei trovata, ti ho cercata sempre e a volte non ti ho trovata mai. Ma non era importante, perché sapevo che per quanto lontana tu fossi, per quanto distante, magari legata ad un altro, sapevo che ti avrei trovata e sapevo che avresti scelto me. Ma ora, ora non sono sicuro di volerti imporre questa scelta, perché è sinonimo di morte».
«Non hai capito. Non mi sono innamorata di te tutte le volte per volere del destino, o del fato, non è mai stata un’imposizione, mi sono innamorata di te perché ti ho scelto. In ogni vita, a ogni bivio, io ho scelto te. E continuerò a farlo, in ogni vita futura, ogni mondo, in ogni versione della realtà, qualunque cosa tu faccia, qualunque azione tu compia, io sceglierò sempre te. E non è solo questo, Hans, voglio che tu ricordi che io ti perdono. Ti perdono tutto, ti perdono adesso e ti perdonerò sempre, quindi, ti prego, ti prego, non mandarmi via» la ragazza boccheggia rifiutandosi anche solo di ascoltare una verità troppo scomoda.
«Lo so, Anna. E sono sicuro che sia vero perché in questo momento le rose del giardino fioriscono alle tue spalle e vedo i colori così intensamente come non credo di averli mai visti nelle mie ultime vite. E so che dovessi rimanere nessuno dei due morirebbe, ma… Ma anche se tu sei riuscita a perdonarmi, io non riesco a perdonare me stesso. Mi dispiace, ma ogni volta che chiudo gli occhi ti vedo morire e se prima era difficile da tollerare, ora mi è impossibile. Perché so che è colpa mia, tutta quella morte, tutto quel dolore, me li porto dentro come un fardello e non so come lasciarlo andare».
«Hans, cosa stai dicendo?»
«Ti ho chiesto di vivere con me, Anna, ed ero sincero. Lo pensavo davvero e, per gli dei, lo desidero ancora, più di ogni altra cosa. E questa casa sarà anche casa tua, finché lo vorrai. Ma io non sarò qui».
«Aspetta, cosa?»
«Ti amo, ti amerò sempre, ma non posso stare con te. Non finché non avrò accettato quello che ho fatto, finché non avrò accettato me stesso e ognuna delle azioni che ho compiuto nelle mie vite passate. Tornerò, te lo prometto, tornerò da te, ma fino a quel momento, ti prego, cerca di capire».
Hans non sa bene quando abbia preso quella decisione, sa che l’idea si è formata nel mezzo del discorso di Elsa e nell’istante stesso in cui l’ha formulata ha capito che era la cosa giusta da fare. Forse non giusta per Anna, ma come può pensare di darle il meglio se lui stesso non è convinto di essere il meglio, se lui stesso non è convinto che ne valga la pena?
Un giorno tornerà e quel giorno saprà essere non solo l’uomo di cui Anna ha bisogno, ma anche l’uomo che Anna merita, forse, se sarà fortunato, riuscirà ad essere molto di più; ad essere qualcuno orgoglioso delle sue azioni e del suo passato, un uomo che ha sbagliato e ha imparato dai suoi errori, sfruttandoli per diventare migliore.
E non importa quanto tempo dovrà passare, perché, lui lo sa, Anna sarà lì. Ad aspettarlo.
 
Altrove.
«Sembra proprio, fratello, che tu abbia perso».
«Taci, Atena, lo vedo da solo che l’ho presa in culo» borbotta Ares indispettito.
«Oh consolati, tesoro, sai che Eros ha aperto un sexy shop? Vieni, ti ci porto, così ti distrai un po’».
«Ma come, te ne vai e li lasci così? Appesi a un filo?» domanda la dea della saggezza perplessa.
«Oh, ma non preoccuparti. Lo sai come si dice, no? Quando l’amore è vero, trova sempre un modo» risponde Afrodite, sorridendo divertita.
 
 
 
I do hope you will be able to find it in your heart to forgive me.
Hated leaving you like that. Wasn't the goodbye I had in mind.
Robert Frobisher, Cloud Atlas
 
 
Posso dirti che ogni volta che potrò scegliere, sceglierò sempre te.
Scrubs.
 
 
 
 
Note:
Ci siamo. Questo è il penultimo capitolo, ora manca solo l’epilogo.
Non credo di avere molto da dire a questo punto della storia; questo capitolo dovrebbe, spero, illuminare e rispondere a tutti i vostri dubbi e le vostre domande. Non me la sento di riapprofondire queste note con particolari note mitologiche, molti di voi avevano già intuito chi fossero le tre divinità nel capitolo quattro e quindi dirò solo che 1) Phobos e Deimos sono Paura e Terrore, figli di Ares, che di solito vanno in battaglia con lui 2) la lei a cui Elsa fa riferimento è Atena.
So che volevate qualcosa di diverso e mi dispiace che non sia stato così, sono state un paio di settimane mentalmente estenuanti e per qualche giorno ho pensato che non sarei mai stata in grado di finire questa storia, perché non so ancora come finisce perché ogni parola ha un significato particolare ai miei occhi e scriverlo è stato davvero strano, e boh, gente, alla fine ho deciso che il lieto fine rose e fiori non fa per me, e credo nemmeno per Anna e Hans. Cioè per Anna sì, ma questa non è una favola, non è Frozen, e qui volevo rimanere il più possibile ancorata alla realtà, e non mi sembrava giusto lasciare che questa relazione prendesse piede, andasse avanti, quando Hans ancora non era pronto per farlo.
L’ultima precisazione, si parla molto di Elsa qui, mai di Rapunzel, mi dispiace per quelli che avrebbero voluto vedere la sua relazione con Flynn maggiormente approfondita, ma non ho intenzione di farlo, sarebbe stato forzato spiegarlo e non avrebbe avuto senso nel capitolo, tuttavia ci sono numerosi accenni a Flynn nei capitoli precedenti, sentitevi liberi di interpretarli come meglio volete. Per quanto riguarda Elsa, ho cercato di giustificare i suoi poteri in Frozen e il suo essere personaggi particolarmente importanti storicamente (vedi Giovanna d’Arco) con il suo essere Elena, ovvero figlia di Zeus e quindi più vicina agli dei per discendenza e più potente dei normali mortali.
 
Per concludere, la frase di Afrodite ad Ares, su Eros che ha aperto un sexy shop, è un richiamo alle mie modern AU su Ade/Persefone, nonché una specie di, boh, anticipaspoiler del contenuto della prossima one shot che li vedrà protagonisti (much crossover, very reference, such selfpreach).
 
Una parte del discorso di Anna è ispirato a questa frase tratta dal libro The Chaos of Stars: “I didn't fall in love with you. I walked into love with you, with my eyes wide open, choosing to take every step along the way. I do believe in fate and destiny, but I also believe we are only fated to do the things that we'd choose anyway. And I'd choose you; in a hundred lifetimes, in a hundred worlds, in any version of reality, I'd find you and I'd choose you”
Quello che dice Afrodite: When love it's real it finds a way, è una citazione dell'Avatar Roku in Avatar the last airbender, la serie, ovviamente.






   
 
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