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Autore: Subutai Khan    12/12/2014    2 recensioni
Qualche tempo fa ho trovato in giro una PR su Dangan Ronpa... particolare, diciamo. Maggiori informazioni all'interno.
Questo è il frutto dell'ispirazione che mi ha colpito in faccia come una martellata.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti
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Voglio morire.
...
Non credevo sarei mai arrivata al punto di pensare una frase del genere. Non era da me, prima. Prima avrei scacciato con forza e forse persino con rabbia qualunque pensiero così negativo, così cupo, così completamente privo di speranza.
Eh. Speranza. A Naegi piaceva riempirsi la bocca con quella parola. Ne aveva motivo, non sto dicendo che la usasse a sproposito. Tutt’altro.
Lui è stato il faro della nostra sanità mentale finché ha potuto. Finché non è stato catturato e usato come cavia, esattamente come tutti gli altri. E come me, ovviamente.
Mi piacerebbe potermi considerare diversa, speciale. Quella maledetta pazza psicopatica di Junko Enoshima non è della stessa idea.
La mia vita, la mia vera vita... è finita sei giorni fa. Al momento respiro e ogni mia funzione corporea, se si esclude quel piccolo particolare, è efficiente e non dà segni di cedimento. Sì, era chiaro che parlavo in via metaforica.

Prima non credevo all’opinione secondo la quale esiste qualcosa di peggiore della morte. Mi sembrava così insulsa. Ho sempre pensato che la morte porti all’oblio, al nulla più totale e divorante che possa non esistere. No ok, scherzavo. Niente arrampicate filosofiche, non sono proprio dell’umore.
Ringrazio anzi per essere abbastanza in grado di formulare pensieri complessi e sensati, oggi. Forse è la prima volta che mi capita da quando sono qui.
Esperimenti. Non siamo altro che esperimenti per lei. Piccoli topini squittenti, sfuggenti e che danno un sacco di soddisfazioni quando cominci a incidere la loro pelle per le tue turpi perversioni.
Confermo che voglio morire. Sopravvivere in questo sottospecie di modo mi disgusta e state pur tranquilli che, se potessi, non esiterei a prendere uno qualunque degli attrezzi per ficcarmelo in gola. È vero, potrei non arrivare a tanto e mi basterebbe ingoiare la lingua o, se proprio volessi fare la scenata, prendere a testate la gabbia fino a procurarmi un bel trauma cranico rimanendo per terra a crepare dissanguata... ma non ne ho il coraggio. Una parte di me non riesce a lasciarsi andare del tutto e continua a volere un miracolo, perché nella situazione in cui ci troviamo niente di meno di un miracolo può anche solo credere di essere sufficiente.
E pure in quel caso, se questo miracolo arrivasse... cosa ci rimarrebbe? Che razza di vita potrebbe condurre un freak show come il nostro?
Mi immagino la scena: esplode una bomba che, non mi si chieda come, uccide solo Enoshima e i suoi lacchè lasciandoci completamente illesi e con una via di fuga aperta. Ci affanniamo per scappare, quelli che ne sono in grado persino felici dello sviluppo, e apriamo il portellone dell’accademia.
Poi... poi cosa? Un circo, non vedo altre possibilità.
“Venghino siore e siori, venghino! Nuovi abomini per il vostro sollazzo di pubblico pagante! Aoi Asahina, la ragazza-sirenetta! Mondo Oowada, la risposta giapponese a Electro della Marvel Comics! Yasuhiro Hagakure, la trasposizione in chiave moderna di Medusa! Celestia Ludenberg, il Joker dei poveri! Esseri deformi per tutti i gusti e le età, senza eccezioni! Non si concedono rimborsi e il sacchetto per il vomito ve lo dovete portare da casa”.
Io non sarei sul cartellone, di certo. Ci sono soggetti -è proprio il caso di dirlo- più bizzarri e maggiormente capaci di attirare i bambini. D’altronde chi può spaventarsi oltre un certo limite di fronte a una ragazza...
...a una ragazza...
...con gli occhi sulle mani e le orbite oculari cave?
No no, ehi... fermo...
SBLORGH.
Wow, mi mancava giusto rimettere al solo pensiero di cosa sono diventata.
SBLORGH.
...non avevo chiesto il bis.
Fantastico. Sono riuscita a chiudermi in un angolo tutta da sola. Poi mi si viene a chiedere perché penso al suicidio.
Cerco di pulirmi la bocca con la manica del camice. Era l’ultima cosa di cui avevo bisogno.
No, aspetta. Ci ho ripensato.
Continuo a voler farla finita con questa ridicola sembianza di vita. Ma, prima di piantarmi un cacciavite nel cuore o qualunque sia il sistema per cui opterò, desidero torcere il collo della nostra aguzzina. O versarle addosso della benzina, darle fuoco e vederla bruciare come una sigaretta. O prenderla a bastonate fino a deformarle la faccia.
Il come è superfluo.
Deve pagare. Pagare. Pagare. Pagarepagarepagarepagarepagarepagare.
Ecco, sulla mia capacità di formulare pensieri coerenti forse sono stata un po’ troppo ottimista.
Comunque. Ha distrutto la mia e le esistenze di tutti i nostri compagni per... per cosa? Per il suo sollazzo personale? Per noia? Per una distortissima curiosità scientifica alla Mengele, del tipo “vediamo cosa succede se tiro questo muscolo”?
Qualunque sia il motivo, e neanche mi interessa realmente saperlo, non accetto di morire prima di essermi presa la mia patetica, inutile, vuota rivincita. In quanto scherzo della natura non posso ambire a niente di più elevato, dopotutto.
In realtà con me ci è ancora andata relativamente leggera, e so che pare assurdo. Nel mio particolare caso l’ha messa molto sul psicologico e pochi possono rivaleggiare in questo ambito. Perché non tutti si portavano dietro delle mani devastate da ustioni di secondo e terzo grado che ti sei procurata da ragazzina mentre seguivi un caso. Non tutti possono vantarsi di aver passato ogni minuto della propria giornata con addosso dei guanti perché non volevano ricordare, perché erano terrorizzati dal costante rimarco dei propri errori, perché sarebbero stati immediatamente resi dei paria sociali solo in base a quelle ferite.
Ora invece sono costretta ad esporle, e la cosa tragica è che non sono più il mio maggior motivo di vergogna e dolore. Adesso non posso guardarle neanche volendo, data la... peculiare nuova posizione dei miei occhi. Oh sì, sono perfettamente funzionanti.
Se fossi più stabile dal punto di vista emotivo adesso mi sarei già lanciata in una lunga disamina sul come la loro attuale ubicazione abbia intaccato la mia percezione delle profondità, di come la cosa potrebbe essere sfruttabile a mio vantaggio se possibile e bla bla bla. Le cose che vi aspettereste dalla vecchia Kyouko.
Insulterò la vostra intelligenza ribadendo che quella Kyouko è morta sotto i ferri di Enoshima. A fine intervento avanzava un’anima alla dottoressa e lei non si è fatta problemi nel non trovarla di nessuna utilità per i suoi giochetti da piccolo chirurgo fuori di testa, buttandola senza tante cerimonie nel cestino della spazzatura.
Ovvietà, ovvietà. Lo so, per intercessione di qualche kami misericordioso oggi riesco a comprenderlo. Abbiate pietà di un povero relitto e del suo unico giorno fausto, su. Domani sarò quasi di sicuro tornata a quello che ormai è diventato il mio solito tran tran, cioè dondolarmi con le braccia attorno alle ginocchia mormorando frasi sconnesse sulla felicità, la realizzazione personale e tutto quanto. Sogni infranti, aspirazioni frustrate e rimpianti come se piovessero.
Urgh. Meglio evitare il lirismo, non ne sono capace. Non intendo sfruttare questi pochi momenti di lucidità perdendomi in voli pindarici. Non ho neanche modo di scriverli sulla carta igienica e farli leggere a chi occuperà questo buco dopo di me.
Il fatto è che non posso fare comunque niente. Non abbiamo la minima possibilità di andarcene da questo sotterraneo trasformato in sala operatoria. Se anche fosse ho delineato in maniera penso realistica le prospettive che ci si aprono davanti.
Raziocinio, torna a trovarmi dopo questa puntata e fuga. Da una parte preferirei rimanessi lontano mille chilometri da me, perché se ci sei mi aiuti solo a comprendere quant’è profonda la fossa in cui sono precipitata... ma d’altra parte sei sempre stato il mio migliore alleato, nella vita e sul lavoro, e nonostante i gorgoglii e i versi mi mancheresti. Soffrirei nell’averti accanto, chiaro, ma sarebbe meglio di vegetare in preda a istinti primordiali senza controllo. Si tratta solo di una forma differente di supplizio, alla fine.
Credeteci. Mi sono pisciata addosso innumerevoli volte, ho urlato e strepitato come un’animale, mi sono data a impulsi che la vecchia me avrebbe bollato come indegni di un essere umano.
Cosa che ho palesemente smesso di essere da sei giorni.
No, ti prego. Rimani. Sei l’unica cosa che mi separa da un lombrico. Non mi interessa se porti con te consapevolezza, presenza di sé, spirito. Sei ciò che mi lascia la... tsk, la speranza di poter ricavare qualcosa di meritevole dalla mia carcassa d’esistenza. O, se proprio mi tocca, di poter morire nella piena coscienza di me stessa. Magra consolazione, ma meglio di nulla.
Ho deciso: lotterò. Non so come e non so perché, visto che non nutro nessuna prospettiva di futuro con il corpo straziato che mi ritrovo, ma lotterò. Fosse anche solo per non dare a Enoshima la soddisfazione della vittoria definitiva e inappellabile che sarebbe il lasciarsi andare del tutto.
Mi alzo, la gabbia è nonostante tutto abbastanza alta da permettermi di restare eretta, e quando sono a mezzo metro dalla porta le do un calcio. E un altro. E un altro. La cosa non passa inosservata e Ikusaba, la fidata assistente, si avvicina.
Poveretta, mi fa pena. L’altro ieri ha cercato di farci scappare, immagino schifata dagli esperimenti della sorella. Come premio è stata catturata, usata a sua volta come cavia e infine sottoposta a un gran bel lavaggio del cervello che l’ha resa ubbidiente e asservita al cento per cento. Questo è il premio che attende chi si oppone a tutta questa atrocità.
“...”. Non può parlare da quando la bocca le è stata cucita con del grezzo spago, forse come sfregio per il tradimento.
In questa grande sala comune siamo tutti fenomeni da baraccone.
“Chiama Enoshima”.
“...”. Penso volesse intendere un semplice “ok”.
Attendo un paio di minuti.
Poi eccola, la persona che più odio al mondo. Ghigna mentre con una mano si sfiora lieve la cicatrice sul collo. È talmente squilibrata da aver probabilmente operato su se stessa.
“Ma non ci credo! Sei in piedi e sembri combattiva, Kirigiri! Non vorrai ritentare il fallimento dell’altra volta, vero?”.
Prima mi strappo con un gesto adirato la fascia che mi copre le cavità oculari, al diavolo la polvere e gli agenti esterni. Per quanto possa essere fuori da ogni logica, sto sentendo un impossibile orgoglio per il mio attuale aspetto. Fatto questo, le punto le mani addosso. Voglio vederla mentre le lancio la mia ultima sfida, qualunque essa sia.
“Mi sopravvaluterei dicendo che sicuramente uscirò di qui, non prima di averti preso a calci fino ad avere male ai piedi. Non riesco a dirlo. Quel che posso dirti, però, è che non avrai mai ciò che mi rende me. Vuoi sottopormi a un’altra operazione per ammaestrarmi e ridurmi al silenzio? Hai il potere per farlo e io non sono nelle condizioni di impedirtelo. Vuoi provare a spezzarmi ancora di più, giusto per vedere se puoi ridurmi in frammenti fini fini? Di nuovo, non posso impedirtelo. Ma ti giuro, ti giuro, ti giuro sulle ossa di mio padre e sul lignaggio della mia famiglia: Kyouko Kirigiri non morirà come una bestia, se è questo il destino che mi attende alla fine del cammino. Morirò con dignità, conscia di averci messo tutto quel poco che mi rimane per ostacolarti e impedirti di ottenere ciò che vuoi. Questo mostro non cederà alla disperazione, così come non ha ceduto alla tentazione di uccidere i suoi amici quando ancora era umano. Sei libera di provare a farmi desistere come più preferisci ma ho preso la mia risoluzione e continuerò a sputarti addosso, se serve anche dopo aver smesso di respirare. Le situazioni come questa ti fanno perdere la testa e non rimprovero chi non riesce a reggere, ma sono certa di...”.
“Puah. Hai finito di dire stronzate? Nel caso ti fosse sfuggito, non sei William Wallace. Né tantomeno il Maggiore di Hellsing, con il suo spettacolare discorso sulla bellezza della guerra. Puoi credere quanto ti pare quel che ti pare, la realtà è che sei un minuscolo guscio ridotto a tremare e a scongiurare pietà... che non otterrà. Ti posso stritolare quando più mi aggrada, e se continui così potrei farlo molto presto”.
“Allora non sono stata sufficientemente chiara: tu. Non. Mi. Avrai. Mai. La mia vita ormai non vale nulla e se andassi a barattarla in un banco dei pegni mi darebbero giusto cinque, forse dieci yen. Dici che sono un guscio e hai ragione, non ho la faccia tosta di negarlo. Puoi prenderti tutto: le braccia, le orecchie, gli organi interni. Tutto tranne... suona banale, ma è me che non puoi prenderti. Il mio centimetro finale, piccolo e fragile, baluardo della mia stessa essenza più intima e profonda, è mio e mio resterà. Grazie, odio dover ripetere le cose”.
Senza attendere una risposta le do le spalle e torno a sedermi nel mio angolino, camminando sopra le pozze di vomito.
“Interessante, Kirigiri. Interessante. Vedremo nelle prossime ore se il tuo carisma ha un bonus abbastanza alto da scatenare la voglia di ribellione generale. Perché sappi questo: da sola cadrai di testa ancora prima di partire. Non che il oh sì prezioso aiuto degli altri miei giocattoli cambi qualcosa, ma da sola... oh, da sola. Mukuro! Monokuma! Monomi! Preparate il tavolo, c’è da lavorare!”.
Bene, si comincia. Mi chiedo cosa escogiterà stavolta. Magari mi innesterà ali da zanzara... o forse zoccoli da centauro...
Bah. Fai del tuo peggio, Enoshima. Sono pronta.
“Togami” mi rivolgo alla mia sinistra. Il nostro novello Mammon, sentendosi tirato in causa, appoggia quattro delle sei braccia sulle sbarre e lascia correre la sua lingua biforcuta nel mio lato.
“Cossa vuoi, Kirigiri? Sstavo cercando di meditare” sibila. Da quando è... cambiato non riesce più a esprimersi senza questo tono da serpente.
Se ne fossi capace mi lascerei scappare un risolino. Togami che medita.
“Riesci a chiamarmi Naegi, per favore?”.
“Ssono quattro giorni che non sspiccica parola. Perché ora dovrebbe essssere diversso?”.
Sospiro. Lui è stato uno di quelli colpiti nella maniera peggiore: Enoshima, in un atto di crudelissima ironia, l’ha trasformato in una copia di Monokuma con tanto di occhio fiammeggiante. Il fatto che non abbia voglia di cianciare non mi meraviglia per nulla.
“Sì, hai ragione. Non importa, grazie lo stesso”.
“Ti ho ssentita prima, ssai...”.
“Ah davvero? Hai qualcosa da dire in proposito?”.
“No. A parte che... ti ammiro e ti risspetto”.
“Tu chi sei? Che fine hai fatto fare all’arrogante, superbo, invincibile Byakuya Togami?”.
“Come hai ssaggiamente ssottolineato, le ssituazioni come quessta ti fanno perdere la tessta”.
“Dover arrivare a tanto per farti fare un bagno d’umiltà, però...”.
“Nessssuno è perfetto, nemmeno io. Figurati ora che ssembro la brutta imitazione di una creatura dell’oltretomba”.
“Comunque grazie. Fa piacere scoprire che almeno un altro di noi mi capisce”.
“Non dovressti sstupirti cossì tanto, rimango pur ssempre...”.
“Sì, lo so”.
Sorride, poi torna alle sue faccende. Capirete da voi perché siamo stati gettati in un incubo.
Umpf. Comincio a sentire un po’ di fastidio dovuto alle particelle di pulviscolo, o sa il diavolo cosa, che mi entrano dove una volta avevo gli occhi.
Fa nulla. Così ho deciso e così sarà.
Passa circa una mezz’ora.
D’improvviso la porta della mia cella si spalanca. Entrano Monokuma e Monomi, due assistenti della nostra folle caposala, che mi afferrano di peso e mi trascinano fuori. Vorrei poter opporre resistenza scalciando e sbraitando, ma sono troppo indebolita. E poi ho bisogno di risparmiare le forze per il post-operazione, non è mai stato nei miei piani impedire le porcate da macellaio di Enoshima.
Erano garantite, persino attese.
La vera prova è il dopo. Sarà lì che dovrò versare ogni goccia del mio spirito torturato. L’involucro non è importante, dato che sta per subire l’ennesimo colpo d’ascia e sarà già un mezzo miracolo se mi reggerò in piedi da me.
Eccola, quella parola torna. Miracolo.
Un miracolo c’è già stato, se vogliamo. Il miracolo che mi ha permesso di alzare la testa e riottenere la piena autorità sulla mia vita.
Mi piace pensare di essere l’erede del vero Naegi, non della disgraziata ameba che ha preso a farci compagnia da un po’ di tempo. Lui avrebbe stretto i denti, ingoiato tutto il letame versatogli in gola e tirato dritto per la sua strada.
Non temere, Naegi. Farò io per te. Ci hai mostrato la via, è giusto che tocchi a qualcun altro mentre tu ti riposi a lato del sentiero.
“Guardate chi è venuto a trovarci. La signorina Kirigiri ha fatto formale richiesta per un altro giro di bisturi, cesoie e cianuro. Fatela accomodare in postazione, ho un’incontenibile voglia di tagliuzzare”.
In un lampo estemporaneo dichiaro: “Mi chiamo Kyouko Kirigiri e sono il tuo peggior nemico, Junko Enoshima. E anche conciata così riesco ad avere più umanità di te. Sia adesso, sia quando avrai finito”.
“Ok, ho deciso. Troverò il sistema preciso mentre lavoro, ma quella tua boccaccia fastidiosa va... sigillata”.
“Accomodati”.

Supererò anche questa. E quella dopo. E quella dopo ancora.


Note dell'autore
Potreste giustamente chiedervi che cos'è 'sta roba. È un AU parecchio strano, rimediato in giro per Tumblrpfz dove, al Gioco degli Omicidi, viene sostituito Junko si Diverte col Piccolo Chirurgo. Trovate la Lab Experiment AU, con tanto di immagini e descrizioni di ogni singolo personaggio, qui.

   
 
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