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Autore: Nano    12/12/2014    0 recensioni
Firefighters è un omaggio al mestiere di Vigile del Fuoco, che ammiro molto. Jane e Maura si incontrano in un contesto completamente diverso da quello in cui siamo abituate, e solo per pochi attimi. Undici anni dopo, finalmente, il ricongiungimento tanto anelato da entrambe. AU - Jane e Maura sono vent'enni.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: AU, Lime, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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Firefighters - Vigile del Fuoco

Non ricordavo come mi ero trovata in quella situazione. Di colpo, la testa non mi girava più. Di colpo, non mi importava più di tornare a casa in macchina, cercando di non farmi fermare dai vigili. Di colpo, bere acqua per far si che la sbronza mi passasse, non era più la mia priorità.
L’acqua rimaneva però una priorità. Avevo sete, tanta sete. La gola mi bruciava, perforata da lame incandescenti che si attorcigliavano a partire dai polmoni, per risalire alla laringe, alla faringe, fino alla bocca, dove la lingua si impastava alla saliva, e ad un sapore sconosciuto.
Un unico pensiero fisso mi popolava la testa: il calore. Avevo caldo, tanto caldo da chiedermi come mai non fossi già bruciata.
C’era così caldo in quella stanza, e non riuscivo a capire da dove tutto quel calore provenisse. Sapevo di avere caldo ma allo stesso tempo sapevo di essere viva. Ero viva, ma la mia gola bruciava. La mia gola bruciava, la mia testa girava vorticosamente e sentivo i miei polmoni incenerirsi dentro di me.
Com’era possibile che io non avessi una spiegazione coerente per ciò che mi stave succedendo? Com’era possibile che non sapessi da dove proveniva il calore?
E’ possibile, ve lo assicuro.
Il calore è l’unica cosa che ricordo.
Il calore era l’unico pensiero fisso che avevo in testa.
Ovviamente, insieme all’acqua.
Sapevo di avere bisogno d’acqua. Sapevo di avere bisogno di qualcosa che curasse la mia gola ardente e pulsante. Era come se mille lame mi perforassero la faringe, e non c’era niente che potessi fare per alleviare il dolore.
Non ricordo nemmeno dove fossi. Le uniche cose chiare nella mia testa erano la festa a cui avevo partecipato, prima e ultima della mia vita, e Garrett.
Sapevo di essere triste per Garrett. Garrett era il mio ragazzo. Lo era stato per anni, e di colpo, qualche giorno prima, mi aveva lasciata. Sapevo di essere triste anche perché quella che consideravo la mia migliore amica mi aveva accusata di essere noiosa e sfigata. Tra tutte le cose che avrebbe potuto dirmi, aveva scelto quelle che sicuramente sapeva mi avrebbero ferita di più.
E così quella sera ero finita alla festa, le ragioni per cui mi sono ubriacata quelle che vi ho già elencato.
Forse, se le cose fossero andate diversamente, avrei potuto notare il lato del divano che prendeva fuoco, prima di appisolarmi.
Forse avrei potuto evitare che le sigarette venissero buttate accese sul tappeto, oppure evitare che gli alcolici venissero rovesciati sul pavimento.
Sono così tante le cose che avrei potuto fare.
Invece, avevo scelto di ubriacarmi, e di appisolarmi.
Avevo scelto di ubriacarmi, perche per la prima volta mi trovavo insieme a persone a cui non importava dei miei voti, o delle mie chiacchiere da sfigata. Erano tutti troppo ubriachi perché io non gli piacessi.
Forse avrei dovuto essere più saggia. Più attenta.
E lo sono stata. Da allora, sono stata sempre la migliore. Alle feste, all’università di medicina.
Non avevo mai più avuto veri amici, ma in fondo non ne avevo mai realmente avuti.
Ma c’è un’altra cosa che mi ricordo, di quella notte. Oltre al calore, al bisogno impellente d’acqua.
Ricordo che c’era una donna, un vigile del fuoco.
Ricordo che entrò nella stanza attraverso la finestra, insieme ad un suo compagno al quale subito disse: “Mi occupo io di lei.”
Stava parlando di me.
Ricordo che ero seduta sul pavimento, la schiena appoggiata al muro, un ragazzo svenuto al mio fianco. Ricordo che aveva provato a baciarmi, prima di cominciare a vomitare. Da dove ero seduta io, riuscivo a distinguere il suo viso, ustionato in larga parte.
Aveva un viso carino, prima. Buono, gentile.
Neanche lui ebbe più amici, dopo.
La donna pompiere era alta, e magrissima, così magra che non la ritenevo capace di sollevarmi.
Perché avevo bisogno che qualcuno mi sollevasse.
Avevo bisogno di essere sollevata e di essere portata via, dove non c’era calore, fuoco e dove c’era tanta acqua.
La donna aveva più o meno la mia età. Era così giovane.
Ricordo che, prima di inginocchiarsi al mio fianco, indicò il ragazzo vicino a me a un altro pompiere.
“Stai bene?” Mi domandò.
No, non stavo bene. Avevo caldissimo, e la mia gola bruciava. Sospettavo che la mia gamba avesse qualche problema, perché bruciava così tanto che ad un certo punto mi sembrava di sentire freddo.
Mi serviva dell’acqua.
Ma in quel momento, non riuscivo a parlare. Non potevo.
Quindi mi limitai ad annuire.
E, dopo pochi secondi, scossi la testa.
Ero viva, ma non stavo bene.
La donna, no, la ragazza, sorrise. Aveva un sorriso bellisismo.
“Sono Jane, e ti porterò fuori di qui. Sei troppo bella per essere lasciata qui.”
Non seppi mai se stava scherzando o meno. Non mi avrebbe mai lasciata li, vero? Se non fossi stata bella, come aveva detto.
E, bella, in quel momento non lo ero.
Avevo delle ustioni di secondo grado sulla gamba, e la mia faccia era piena di cenere. I miei capelli non erano più biondo miele, ma biondo sporco, e la mia gola bruciava.
Ma ovviamente, il vigile del fuoco Jane questo non poteva vederlo.
Ricordo quindi di averla guardata negli occhi, e di avere con delicatezza sollevato il mio braccio, puntando il dito verso la mia bocca. Ci impiegò un secondo a capire il mio bisogno.
Jane si guardò intorno, e vide soltanto delle bottiglie vuote di alcol.
Non dimenticherò mai nella mia vita lo sguardo che mi rivolse subito dopo. Era come se mi stesse incolpando di tutto, del fuoco, dell’alcol, delle persone che erano morte nell’incendio. Il ragazzo con la faccia bruciata. I danni alla stanza.
Non è colpa mia, volevo urlarle.
Non mi lasciare qui. Ti prego.
Ma quello sguardo lasciò in fretta il volto di Jane.
Probabilmente, già sapeva che incolpavo me stessa. Dio solo sa cosa lesse nei miei occhi quella notte.
Jane si guardò intorno un paio di volte prima di allungarmi una piccola bottiglietta che aveva appesa alla sua uniforme.
“Questa è la mia acqua personale. Scusa se non è molta, ho bevuto prima di salire qui. È piena di sali minerali, perché dobbiamo berli prima di entrare in contatto con le fiamme. Non ti farà stare meglio, ma male non ti farà.”
Così, Jane mi diede la sua bottiglia.
La sua bottiglia personale.
E per un momento, mi sentii in paradiso.
Mi sentii in paradiso, perché l’acqua era così buona.
Mi sentii in paradiso, perché gli occhi di Jane erano fissi su di me, ed ero sicura che l’acqua avesse un retrogusto di burro cacao, sicuramente appartenente a lei.
Oppure, semplicemente mi sentii in paradiso perché persi conoscenza subito dopo.
 
   
 
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