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Autore: jaeda_    12/12/2014    0 recensioni
One Direction fanfiction.
«There is always beauty in the cold, and cold in the beauty.»
D'ora in poi sarò Jacy Tindel. Nuova vita, nuovo taglio, nuova città, nuovo nome. Stessa me, stesso passato da cui scappare. Forse sarà tutto vano, forse no.
Riniziare a vivere è il mio unico obbiettivo, costi quel che costì, io vivrò, e la smetterò di sopravvivere.
Genere: Drammatico, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sentii gli uccellini cantare, il sole accarezzarmi il viso e l’erba sostenermi come un letto accogliente. Iniziai a riavere la percezione delle cose intorno a me. Dei rumori, degli odori. Mi stavo svegliando. Aprii gli occhi a fatica, sentendo le mie ciglia ancora piene di mascara, distaccarsi lentamente. Corrugai la fronte quando tutta quella luce mattutina mi assalì. Respirai profondamente alla vista di quel meraviglioso cielo azzurro.

Guardai l’orologio. 9:10. Il parco londinese era ancora vuoto. Meglio. Dormire in strada mi dava vergogna, e non è bello farsi conoscere in una nuova città come “la nuova barbona straniera”, direi.

Mi alzai di scatto, presi di fretta e furia il mio zainetto e andai alla ricerca di un posto dove potermi lavare e cambiare prima che mi veda tutta la città.

Essere soli è sempre difficile, ma essere soli in un nuovo paese lo è ancora di più. Ma non avevo scelta. Dovevo andarmene e ricominciare tutto.

 

Una volta cambiata e profumata, comprai un giornale e iniziai a cerchiare in rosso annunci di lavoro e case in affitto. Mi misi le cuffiette per farmi accompagnare dalla cara amica Musica e mi accomodai su una soleggiata panchina della piazza principale. Mi trattenni dall’iniziare a ballare da sola come una pazza, la musica è la mia debolezza.

«Mmh, vediamo. – farfugliai qualche parola ad alta voce per concentrarmi meglio – cameriera! Ah no, però la cercano over 25. Peccato.» Cancellai l’annuncio e andai avanti a leggere. Babysitter, dogsitter, badante. Non proprio i lavori perfetti per chi non ha pazienza con gli anziani, gli animali e i bambini.

Ad un tratto un rumore sovrastò la mia dolce musica. Un ragazzo stava iniziando a suonare. La sua bellezza non fece altro che confermare le mie strane idee sugli inglesi. Aveva lunghi capelli castani raccolti in un codino e un non so che di hipster. Un punto per lui. Era alto e indossava degli skinny jeans neri abbinati ad una semplice maglietta bianca e una felpa dello stesso colore. Gli indumenti non lasciavano intravedere niente. Un punto a suo sfavore.

Senza accorgermene mi alzai e mi avvicinai a lui. Già un po’ di persone lo stavano circondando, aspettando che iniziasse a cantare. «Sentiamo» pensai.

Il moro strimpellò ancora due accordi con la chitarra e poi iniziò a cantare. Ed Sheeran, Thinking Out Loud. Canzone magnifica. Non potei far altro che canticchiarla anch’io, sperando di non fare pessime figure sbagliando qualche parola in inglese. Lo osservai attentamente; il suo corpo era immobile. Era incerto, ma esperto. Applaudì ogni tanto e lo feci ancora più forte una volta finita la canzone. Lui ringraziò dolcemente e si fermò a parlare con qualche signore che era rimasto ad ascoltarlo.

Lo raggiunsi per complimentarmi e, aspettando che si liberasse, canticchiai qualche canzone a caso. Quel giorno avevo una voglia irrefrenabile di musica. Più del solito, a dir il vero. Ficcai il naso nelle sue cose appoggiare al pilastro dietro al microfono e lessi le scritte sulla chitarra. Citazioni, nomi, disegnini, scarabocchi. Amo le chitarre vissute. «Ti piace?» una calda voce mi parlò alle spalle. «Tantissimo. Hai anche una bella calligrafia per essere un maschio.» Mi girai sorridendo per l’ultima frase, lui accennò una risata. «Anche tu suoni?» mi chiese mettendo via i suoi attrezzi. «Canto, più che altro. – dissi, i suoi occhi sembravano curiosi – ma in camera mia, con la porta chiusa e le cuffiette» ironizzai.

Rise di nuovo, dopodiché il silenzio. «Beh, allora ciao, volevo solo farti i complimenti. Spero di sentire un tuo album al più presto.» Indietreggiai incamminandomi verso la solita panchina. Non aveva neanche risposto al mio saluto, che strani gli artisti. Risi per il mio ultimo pensiero; io amavo gli artisti. E io stessa volevo essere una di loro. Da sempre.

Ripresi le mie ricerche e non mi lasciai più distrarre. Distaccai un attimo lo sguardo dal foglio, cercando disinteressata il cantante. Mi dispiaci non trovandolo più in mezzo alla folla. La mia mente divagò troppo a lungo in pensieri intensi, tanto da non accorgermi delle goccioline che stavano bagnando il mio viso. «Solo qui può piovere col sole!» affermai arrabbiata, rivolgendomi verso l’alto. La pioggia aumentò pesantemente e non potei far altro che correre al riparo coprendomi col giornale.

Mi infilai in un vicolo non troppo distante dalla piazza, ma abbastanza isolato e coperto. Osservai il giornale e tutti i segni sbavati del pennarello che mi impedivano la lettura. In un attimo mi vennero le lacrime agli occhi. Non avevo una casa, non avevo un lavoro e non avevo amici. Avevo solo tanti ricordi da cui scappare e tanti sogni da seguire. Tutto mi sembrava stupido e inutile. Lo stress e la mia solita tristezza non mi fecero smettere di piangere. Delle voci interruppero il mio pianto. Anche le mie lacrime provavano vergogna, esilarante.

Erano due ragazzi. Li sentii discutere sul fatto che il bambino non smetteva di piangere. Solo allora mi accorsi che c’era qualcuno che piangeva più di me.

Mi alzai per non apparire ancora di più una barbona e mi sistemai correttamente il vestito. Tolsi con un dito il trucco sbavato sotto l’occhio e ripresi in mano il mio giornale.

Passando, i due mi tirarono un’occhiata distratta, troppo presi a far calmare quel bambino, per fortuna. Continuavo a sentire il richiamo di quel neonato e le loro urla disperate. «Anche se la mia giornata sta facendo schifo, questo non significa che debba andare male anche quella degli altri.» pensai. «Hey! – richiamai la loro attenzione – se volete posso aiutarvi a calmarlo, sono piuttosto brava con i bambini» bugia, non mi piacevano i bambini, ma so di cosa ha bisogno qualcuno mentre piange. Li raggiunsi. «Non sono una chissà quale maniaca, ho solo preso un po’ di pioggia – sorrisi – e vi ho visti un po’ in difficoltà.» Solo una volta visti da vicino, li riconobbi. Ma feci finta di niente. «Non siamo in diff..» «Oh si grazie, ci faresti un grande favore se riuscissi a calmarlo! È tutto il giorno che fa così, e sicuramente noi non siamo in grado» disse il biondo interrompendo l’amico.

Salutai il bambino con voce dolce e, con voce leggera, iniziai a cantare una vecchia ninnananna spagnola che mia nonna mi cantava sempre. Parlava di come i bambini fossero angeli senza ali, mandati sulla terra per far diventare tutti più buoni. Alle mie note, il bimbo smise di piangere e mi fece un enorme sorriso sdentato. Lo presi in braccio e lo cullai portando a termine la canzoncina. Scoccai un lieve bacio sulla sua fronte e si addormentò.

«Sei una maga!» affermò il ragazzo biondo sussurrando felice. «Ma come hai fatto? Io è tutto il giorno che provo con le ninnananne» «L’hai detto tu, sono una maga» dissi porgendo il bambino fra le braccia dell’altro ragazzo, un po’ più scettico. «Grazie» disse secco. Gli sorrisi, tentando di addolcirlo. «Posso chiedervi cosa ci fanno due ragazzi così impacciati con un così bel bambino?» osai. «È il figlio della sorella di Zayn. Lei e fuori città e gli ha chiesto di guardarlo oggi, ma ovviamente proprio oggi abbiamo infinite cose da fare.» Spiegò calmo Niall. Sì, Niall, ormai ne ero sicura, era lui. «Succede sempre così – risi – ma se volete vi posso dare una mano, non ho niente da fare» la buttai lì, senza pensarci. Zayn pareva quasi offeso. «Se vuoi un autografo o una foto basta dirlo» disse. «Nessun autografo o foto, non sono vostra fan» risposi altrettanto fredda. Mi girai verso Niall «mi dispiace» accennai. «Davvero? Ma nel senso che non sai chi siamo?» chiese lui incredulo. «Ti sfido a trovarmi qualcuno che non vi conosca. È solo che non siete il mio genere, diciamo» sviai la domanda. Sicuramente non potevo mettermi a parlare di quanto non approvassi le loro canzoni, al nostro primo incontro. «Beh, almeno sappiamo che tutto questo non è solo una scusa per assalirci – rise Niall – sei assunta ufficialmente come nostra babysitter.» Alzai i pugni scherzosamente in segno di vittoria. «Chi devo controllare? Il bambino che dorme beatamente o quello che lo tiene in braccio?» N. rise per la frecciatina che tirai all’amico. «Dai ci vediamo tra un’ora in questo indirizzo – disse sporgendomi un foglietto di carta – almeno hai il tempo di andare a casa a cambiarti.» Se ne andarono.

 

«Almeno hai il tempo di andare a casa a cambiarti, certo.» pensai con un misto di tristezza ed ironia. 

  
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