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Autore: Non ti scordar di me    12/12/2014    10 recensioni
[Sequel Amore Proibito]
E dopo anni di lontananza, Elena e Damon Salvatore si rincontrano in un altro contesto e con altri sentimenti.
Elena è in bilico tra due mondi diversi: un mondo di sorrisi finti o un mondo di apatia. Lei non fa parte né di uno né dell’altro.
Damon ha trasformato il ‘proibito’ che provava per Elena in altro: in odio e sarcasmo mal celato.
Elena non ha rinunciato alla vita. Lei vuole salvarsi. Non vuole sentirsi un reietto della società.
Damon non ha più fiducia in nessuno. Lui non vuole salvarsi. Vuole trovare un metodo per chiudere tutto.
I due una volta che si rincontreranno cosa faranno? E soprattutto, i due lasceranno alle spalle il loro legame di sangue?
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Dalla storia:
«Se ora sei così sicura di te e combatti questa merda che hai intorno, è merito mio. Ti ho reso io forte, bimba.» Commentò stanco.
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«Un fiammifero.»
«Un fiammifero?» Chiesi.
«Un fiammifero che prova a battere le tenebre. Ecco cosa sei.» Disse Damon.
-
«Lei era un’oppressa. Lui era un sopravissuto.»
-
E i due come si comporteranno? Lasceranno che il loro ‘proibito’ vinca su quello che pensa la gente?
Non ti scordar di me.
Genere: Drammatico, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Damon Salvatore, Elena Gilbert | Coppie: Damon/Elena
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Incompiuta
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Capitolo uno.
He is here.
 
Due anni.
Due fottutissimi anni.
Pensai, aspirando un po’ di nicotina. Ancora non credevo che era passato così tanto tempo. Non credevo che erano passati esattamente settecentotrenta giorni dal mio ultimo giorno a Mystic Falls.

E pensare che andarmene di là mi sembrava una buona idea. Ora, invece, ero sola. Sola con tante persone che mi circondavano, eppure di tutte quelle persone che conoscevo non ce ne era una. Una sola che rappresentasse appieno la parola ‘amicizia’.

Il dolore che provavo non era finito, no, inizialmente cresceva. Cresceva sempre più e mi divorava l’anima. Poi mi ero resa conto che non potevo andare avanti così per sempre e ho iniziato lentamente ad anestetizzare tutti quei sentimenti che mi laceravano l’anima fino al profondo.
Eppure ora sentivo tutti i miei sentimenti tenuti bloccati dentro di me per mesi venire fuori, perché oggi erano due anni. Due anni da quando ero a Londra.
Due anni da quando ero andata avanti, due anni da quanto non ero più in bilico.

All’inizio mi sentivo in bilico, ero in bilico tra due mondi diversi.
Un mondo che mi premeva contro, che mi faceva pressioni su pressione che mi costringeva ad essere chi non ero e un altro mondo…Un mondo diverso, un mondo senza più colori.

Perché uno era il bianco e uno era il nero.
Un tempo scartai subito il bianco. Io non potevo far parte del bianco. Insomma, ero un disastro. Il colore bianco non mi rappresentava. Ero puro, ingenuo, dolce e pulito. E io non ero pura, né ingenua, né dolce…E tantomeno ero una persona pulita al massimo. Continuavo a mentire a me stessa da anni e a quelle poche persone che s’interessavano veramente a me.
Continuai a riflettere e mi resi conto che non potevo neanche essere il nero. Io non ero sprofondata completamente. Non davo sfogo alla mia rabbia e non ero ancora stata inghiottita dal tunnel dell’agonia e della tristezza.

Ero un’oppressa ma continuavo a combattere. Per questo motivo ora ero lì, alla vecchia pista di motocross ad osservare quelle persone che erano come me.

Tutte, dalla prima all’ultima, portavano con sé un dolore. Un dolore forte che nessuno poteva comprendere. E sì, il dolore in più persone faceva meno paura. Sembrava meno pauroso, ma non faceva meno male.
Questo l’avevo capito in seguito.

Il dolore aumentava e condividerlo peggiorava la situazione. All’inizio pensavo che andare dallo psicologo potesse aiutarmi, ma vedere tutte quelle persone fissarmi, sentire i mormorii, vedere lo sguardo dello psicologo…Non faceva altro che farmi sentire peggio.

Mentre lì, in quella pista di motocross, eravamo tutti disinteressato al dolore degli altri. Ognuno annegava nel proprio dolore ma non lo nascondeva. Quella pista era il mio posto, mio e di tutti quelli che voleva un piccolo posto dove poteva essere sé stesso. Quel posto che non ci considerava mostri, che non ci considerava sbagliati, che non ci faceva sentire costantemente non all’altezza…Che non mi considerava come un reietto della società.

Oggi era una delle mie giornate NO, quel momento in cui ti alzavi la mattina e sentivi un vuoto all’altezza del petto che niente e nessuno potrebbe mai colmare? Sì. Oggi quello provavo.

Provo qualcosa. Pensai con la sigaretta tra i denti. All’inizio avevo contratto una forma di lieve apatia, o almeno quella era l’unica spiegazione possibile che mi venne in mente al mio disinteressamento totale al mondo che mi circondava.
«’Lena non fai un giro con Kai?» Mi urlò una voce familiare. Liv mi sorrideva con una birra fra le mani e un sorriso sghembo. Subito spostai lo sguardo poco dietro la ragazza.

Kai mi stava fissando intensamente e mi invitava con la testa a rispondere alla sorella. Quel ragazzo lo odiavo, ma non quanto odiavo lui.
Sapevo che non meritava il mio odio, non meritava niente di quello che provavo per lui…Eppure non riuscendo a capire cosa nascondeva il nostro proibito, riassumere tutto sotto una parola era troppo complicato. Così l’odio mi era sembrato un buon ripiego.

«Nessuno mi parla nei miei giorni storti. Perché tu? Perché ora?» Le chiesi svogliata. La ragazza sbuffò vistosamente e si portò indietro i lunghi ricci biondi dietro la schiena.

«Forse perché sei mia amica?» Già, Liv era una ragazza strana…Non strana quanto il fratello, ma pur sembra bizzarra.

«No, Liv, sono…Cosa ci fa…» Non conclusi neanche la frase. A passi enormi mi avviai verso l’entrata della pista di motocross e buttai a terra il mozzicone di sigaretta.
Sorpassai i diversi capannoni e mi avvicinai con sguardo severo al ragazzo che si guardava attorno con aria persa.

«’Lena sei qui.» Disse con un sospirone. Sospirai lentamente e lo guardai di traverso.

«Perché sei qui? Non è esattamente il tuo…non frequenti questi luoghi.» Gli dissi sventolando le mani teatralmente. Il biondo sfoggiò uno dei suoi sorrisi dolci e non potei non addolcirmi.
«Non sei venuta a lezione e…so che in questo mese c’è qualcosa che ti turba. E’ da una settimana che sei così…Così schiva.» Disse con voce sommessa.

«Luke non è posto per te. Ti prego, ritorna a lezione?» Gli chiesi gentilmente. Luke probabilmente era uno dei veri pochi amici che avevo a Londra. Era stato lui a tirarmi fuori dal mio stato di apatia. Lui con i suoi modi buffi e divertente. Lui con la sua timidezza. Lui con la sua cotta inspiegabile per quel coglione di Kai.
«Non stai bene, ‘Lena. Sono solo le tre del pomeriggio e stai già brilla, lo sai questo?» Mi disse incrociando le braccia al petto. Rotei gli occhi al cielo. Lui con la sua fissazione moralista. Quel ragazzo mi manteneva salda a terra, ma in momenti come questi mi dava al cervello.

«Non sono brilla…» Gli dissi sospirando lentamente. Come potevo farlo andare via da qui se non mi ascoltava?
«Oh, no. Tranquilla sei solamente diversamente sobria.» Mi disse seriamente alzando un sopraciglio con aria superiore. Madonna Santa, perché faceva così? Perché doveva provare ad aiutarmi?

«Ha detto che vuole rimanere.» Intervenne una terza voce. Oh, bene. Di male in peggio. Mancava solamente Kai a rompere le palle e non saremo andati lontani.

«Kai, vattene.» Gli dissi alzando gli occhi e massaggiandomi lentamente le tempie con le dita.
«Il tuo amico non sa parlare?» Lo sfidò il ragazzo con gli occhi che gli brillavano in modo strano, oserei dire quasi perverso.
Le guance di Luke si tinsero lentamente di rossastro. Perché non si faceva mai valere con Kai?

«Elena, andiamo a casa.» Mi disse strattonandomi leggermente. Facevo fatica a camminare su quei trampoli. Erano delle semplice zeppe ma in quel momento sembrava che tutto stesse girando intorno a me troppo velocemente, sembrava che un treno mi stesse passando sopra, sembrava di trovarmi in una stanza che si faceva sempre più piccola.

«Oh..» Mugolai leggermente appoggiandomi placidamente a Luke, ormai aveva imparato com’ero fatta. Sapeva che non c’era più niente da fare, però mi sopportava. Da più o meno due anni. Con i miei sbalzi d’umore e le mie cazzate.

«Stai messa proprio bene, Els.» Mi sfottò allontanandosi da lì a piccoli passi mentre Kai ci osservava.
«E tu? Stai messo meglio? Vedo che Kai non ha perso il suo ascendente su di te.» Gli ammiccai debolmente. All’inizio pensavo che mi volesse conoscere solo per arrivare a lui.

«Senti, posso presentarti Kai. Ma non venire da me con la scusa del ‘voglio essere tuo amico’» Gli avevo detto acida non appena si era presentato da me. La sua risposta fu completamente diversa da come me l’immaginavo.

«Io non voglio conoscere Kai. Voglio conoscere te…Ti sembra così strano?» Sorrisi a quel ricordo. Voleva consocermi…Bah, mi suonò strano un tempo. Ora invece non mi sorprendeva affatto i suoi modi gentile e apprensivi.
Era un ottimo amico, ovvio se toglievamo il problema principale. Era completamente andato per Kai Parker, un bastardo patentato che si divertiva con le persone.

«A cosa pensi?» Mi chiese, girando l’angolo. La pista di motocross era in uno dei quartieri più diseredati di Londra. Mancava poco e saremo arrivati poco più al centro.

«Penso a quando mi hai conosciuto.» Gli rivelai con un mezzo sorriso ironico. Dire che volevo togliermelo davanti era dire poco, non volevo proprio stringere amicizia con lui.
«Stai cercando di cambiare argomento?» Mi chiese divertito. Arricciai il naso e inclinai la testa. C’era un discorso principale?

«Non pensavo stessimo parlando di qualcosa.» Gli feci notare, reprimendo un conato. Dovevo segnarmelo: mai accettare un drink il pomeriggio. Mi faceva diventare più idiota del solito.
«Mi spieghi il perché di questa ricaduta improvvisa? Era da un po’ che non andavi alla pista.» Mi fece notare con un’alzata di spalle. Chiusi gli occhi e deglutii.

Colpita e affondata.
Uh, ecco un’altra cosa che odiavo di Luke: andava dritto al sodo e affondava nei problemi con una semplicità impressionante.

Mi scostai leggermente da lui e recuperai il mio equilibrio, iniziando a camminare accanto a lui.
«Non andavo da ventisette giorni, se proprio t’interessa.» Dissi ironica sistemandomi i capelli ricci che ricadevano lunghi dietro la schiena.

«Non cambiare argomento, Elena.» Uh, mi aveva chiamato con il mio nome? Niente nomignoli idioti o insopportabili? Non mi piaceva affatto.
«Cosa posso dirti? Mi dispiace?» Provai sbattendo gli occhioni che di solito funzionava con tutti. Continuai a camminare allontanandomi dal ragazzo che stranamente si era fermato dietro di me.

Non mi girai, fino a quando non sentii una forte presa sul polso. Ora ero faccia a faccia con Luke che mi guardava…seriamente preoccupato.

«Non deve dispiacere a me. Non capisco perché sei così. Ti giuro quando ti ho conosciuta ho pensato che per aprirti ci sarebbe voluto del tempo, ma non due anni.» Sbottò infastidito anche se la voce era piuttosto debole. «Due anni. Elena, questa storia sta andando avanti da due maledetti anni.» Alzò il tono di voce.

La testa mi stava scoppiando e le sue parole vorticavano in testa velocemente.
«Quale storia?» Chiesi con un filo di voce, provando a sottrarmi alla sua presa – più forte di quanto pensassi –.
«Quale storia? Stai bene un mese circa, stai apposto e spensierata…Poi, poi arriva un momento in cui ti chiudi in te stessa, fai una cazzata, ti ubriachi e io vengo a riprenderti.» Grugnì a voce bassa. «Parlami. Sono tuo amico ma non posso aiutarti se non so il motivo che ti rende così vulnerabile.» Questa volta la voce era più dolce, mi stava supplicando.

«Okay. Lasciami. Lascia la presa e ti dirò il mio problema.» Lo invitai con lo sguardo. Luke si soffermò pochi istanti sulle mie parole e quando capì che gli avrei detto veramente tutto lasciò la presa.
Massaggiai il polso e chiusi gli occhi cercando di non far uscire una sola lacrime. Ero troppo orgogliosa.

«Vuoi sapere il perché delle mie ricadute? Perché dopo aver vissuto qualche giorno spensierata, il passato ritorna a tormentarti e mi sento una merda. Mi sento una merda, va bene?» Gli urlai rabbiosa. «E vuoi sapere perché oggi sono così incazzata? Sono così incazzata perché oggi è l’anniversario della sua morte. Oggi io dovevo morire. Oggi io dovevo morire, chiaro?» Sbattei i piedi a terra e mi girai verso Luke che mi guardava con un’espressione tra lo sconvolto e il basito.
L’avevo lasciato – letteralmente – senza parole.

«Anniversario di morte?» Mi chiese avvicinandosi lentamente e con cautela.
«Volevi sapere? Ecco tutto. Non c’è altro. Sei contento ora? Puoi sparire se ti va, non mi offenderò.» Gli ringhiai tra i denti con lo sguardo fiammeggiante.
«E’ morto il tuo ragazzo oggi?» Mi chiese lentamente. A quelle parole, sentii formarsi un nodo all’altezza dello stomaco.
«Il mio ragazzo? Oh no. L’ho semplicemente abbandonato a sé stesso da grande stronza quale sono.» Dissi fermandomi. Avevo il respiro accelerato e i brividi. Mi appoggiai alla staccionata e mi sedetti a terra.

«Stai farneticando. Non ti capisco. Non capisco di che stai parlando, Els.» Mi disse sedendosi accanto a me. Mi prese la mano e mi sorrise incoraggiante.
Come faceva a non stufarsi di tutto quello? Come aveva fatto a non innervosirsi? Ma soprattutto come era riuscito a trattenere la voglia di mandarmi a quel paese?

«Di cosa sto parlando? Sono un disastro, Lukey. Sono un’apatica assassina insopportabile. Cos’altro c’è da spiegare?» Dissi stizzita con gli occhi che s’inumidivano lentamente. Poggiai la testa sulla sua spalla.
«Assassina?» Mi chiese con un filo di voce. «Cosa ti ha spinto a venire fino a qui?» Cambiò completamente discorso.

«Non ho idea. La scusa era medicina. Volevo studiare medicina a Londra.» Dissi divertita. «Il motivo reale? Volevo andarmene da Mystic Falls, piccola cittadina della Virginia che mi addita come una giovane stronca vite.» Feci l’ironica, scoppiando in una risata nervosa.

«Giovane stronca vite? Oh andiamo cosa potresti aver mai fatto?» Buttò lì. Provava a prendere tutto in modo leggero, ma sapevo che quella mia confessione lo aveva lasciato senza parole.

«Ero in macchina con il mio amico…E in un attimo ho deviato il manubrio della sua auto per evitare non mi ricordo quale maledetto animale e ci siamo schiantati contro un albero.» Commentai cercando di non incontrare i suoi occhi.
«Oggi…oggi è il giorno in cui…» Lo interruppi annuendo. Non volevo sentire quelle parole in bocca da nessuno.
«Forse sarà scontato, ma non è colpa tua…» Disse.

«Stesse parole. Dette da persone diverse.» Commentai. All’inizio, due anni fa, avevo provato ad anestetizzare tutto…Però quando mi era arrivato il primo anniversario di morte di Matt avevo avuto un crollo.
Finalmente avevo realizzato, veramente, che era morto. Che non sarebbe più ritornato. E che la colpa era mia.
«Mh, sei complicata.» Sorrise leggermente guardandomi.

Le persone che passavano ci guardavano di sottecchi con sguardo perso. Probabilmente si chiedevano perché eravamo seduti a terra come dei barboni? Non lo sapevo neanche io, ma ora quel posto mi sembrava adatto per riposarmi un po’, per estraniarmi dal mondo pochi istanti.

«Quindi il rimorso ti sta divorando, eh?» Mi chiese dopo un po’. Annuii debolmente. «La domanda che mi viene spontanea è: perché sei ancora qui? Perché sei ancora viva? Sei forte per essere così gracile all’esterno, uhm.» Tutto mi sarei aspettata, ma ancora una volta Luke mi aveva sorpreso.

«Perché una persona mi ha insegnato che non devo darla vinta a nessuno. Non devo darla vinta a quelli che mi dicono che è colpa mia se lui è morto, non devo darla vinta a quelli che parlano di me alla spalle, non devo darla vinta alla società che uccide senza pietà.» Gli risposi. Strano a dire il vero, ma il suo sorriso si allargò sempre di più.

«Cos’altro ti ha insegnato questa persona?» Sbuffai e pensai a cosa rispondere senza dare troppe informazioni.
«Mi ha insegnato a non farmi uccidere dal rimorso. Lui è sopravissuto, devo farlo anch’io.» Lasciai il discorso lì in sospeso. Solitamente il biondo non si addentrava mai nei dettagli, rimaneva in silenzio e captava le notizie senza fare troppe domande.

«Devi farlo per lui?» Domanda sbagliato al momento sbagliato. Perfetto.
«Lo devo fare per me, per lui e per lei
«Lo amavi?» Uhm, Luke oggi era più curioso del solito. Lo amavo? Non ne avevo idea. Dopo la sua lettera mi ero resa conto che Damon aveva ragione su tutto.

In ogni parola che aveva messo su carta non c’era un solo errore. Strano da dire, visto che noi eravamo costituiti solo da errori sopra errori.

«No.» Decretai con un’alzata di spalle. Luke si allontanò poco da me e mi guardò stranito.
«Non lo amavi? Da come parli sembri…sembri molto presa.» Commentò con una risata ingenua.
«Non lo amo. Insomma quel ragazzo era un casino. Non puoi immaginare quanti problemi abbia quel tipo, eppure c’era una scintilla che mi riportava sempre da lui.» Gli spiegai con un po’ di sufficienza.

«E quella scintilla non era amore?» Gli sembrava piuttosto strano quel discorso, e sì anche a me se qualcuno mi avesse detto un paio di anni fa questa teoria complicata sarei scoppiata a ridergli in faccia.
Oggi, a distanza di anni, mi rendevo conto che Damon non era un rebus complicato. No, lui era un libro aperto. Uno di quei libri dalla bella copertina e dal contenuto illeggibile.

Un contenuto pieno di segreti. Un contenuto difficile da decifrare, perciò no, non era un rebus. Perché un rebus potevi risolverlo, lui invece non doveva essere risolto.
Doveva essere capito. E non era così semplice.

Non era semplice capire e comprendere una persona. E io ci avevo provato, avevo provato a capire tutte le sue buoni ragioni per mentirmi e sì…l’avevo perdonato, perché non volevo infangare il suo ricordo. Ma di quello che c’era prima ora non era rimasta neanche una briciola.

«Non era amore. Per questo ora non provo niente per lui.» Confermai. Due anni fa, avevo scambiato il nostro proibito per amore. E mi ero scottata, mi ero illusa da sola.
«Posso dirti una cosa?» Mi chiese con la voce ridotta a un filo poco udibile. Mi misi a sedere meglio e portai le gambe al petto sorridendogli.

«Ti ascolto.» Alzai le spalle e gli sorrisi ancora con uno dei miei sorrisi migliori che riservavo solo alle persone che valevano veramente quel sorriso.
«Sono contento del tuo rimorso.» Disse sospirando. Arricciai il naso. Cosa intendeva? Perché era contento di questo sentimento lacerante?

Stavo per ribattere ma chiusi la bocca, vedendo che stava riprendendo il filo del discorso.
«Sono contento perché provi un sentimento. Perché il rimorso per quanto sia lacerante ti mantiene qui con me.» Disse con la voce ferma. Lo guardai sorpresa. Non ci avevo mai pensato…Senza il rimorso, cosa diventavo?

«Quando ti ho visto la prima volta e ho incontrato i tuoi occhi avevo capito che eri una ragazza diversa dal solito.» Continuò. «Eri apatica, avevi un senso di indifferenza che mi metteva i brividi.» Dove voleva andare a parare con questo discorso?
«E con questo?» Lo spronai.

«Poi ti ho conosciuta meglio, ho visto che eri più complicata di come pensavo…ma hai mostrato meno indifferenza e se questo interessamento per quello che ti circonda è dettato dal rimorso ben venga.» Concluse con la voce piccola.
Pensava che il rimorso mi abbia aiutata nel non cadere nel tunnel dell’apatia? No. Si sbagliava di grosso.

«Hai sbagliato, sai.» Gli comunicai. «Non è il rimorso a mantenermi viva. Perché il rimorso non è un sentimento per me. Il sentimento lo associo a qualcosa di bello, di piacevole…Il rimorso è solo qualcosa che ti attanaglia mente e stomaco.»

«Con questo cosa intendi?» Mi chiese Luke non riuscendo a capire dove voleva arrivare.
«Non è il rimorso ad avermi salvato. La tua amicizia e l’amore di mia madre mi hanno aiutato a superare l’apatia.» Gli dissi alzandomi da terra, distogliendo lo sguardo dai suoi occhi.

Non amavo le cose sdolcinate e dirle mi faceva sentire più idiota, perciò limitavo le scenette dolci e insopportabili che mi davano il voltastomaco.
«Grazie, Luke.» Gli dissi girandomi di scatto e fissandolo negli occhi.
Anche lui era in piedi. Non disse niente, si avvicinò a me e mi strinse in un grande ed enorme abbraccio.
«Di niente, Elena.» Mi sussurrò tra i capelli con un leggero sorrisino ad illuminargli il viso. A piccoli passi ci avviammo verso casa mia.

«Io ti ho aiutato a superare l’apatia, chi invece ti ha salvato da questa società?» Mi chiese continuando a camminare.
Chi mi aveva salvato? Solo un nome mi balzò in mente.
Damon. Damon mi aveva salvato, mi aveva salvato lasciandomi andare via da Mystic Falls. Lontano dagli occhi indiscreti, lontano dalle parole, lontano dalle voci.

«Lui.»

«Lui è lo stesso lui che non ami?» Mi chiese. Spesso gli avevo parlato di un lui, ma non avevo mai fatto nomi. Non amavo fare nomi e non volevo neanche che venisse a sapere che quel lui era mio fratello.
«Mh…Troppe domande, Luke.» Avevo imparato che quando qualcuno ti faceva una domanda troppo diretta a cui non volevi rispondere, bastava rispondere con qualcosa che sviasse il tutto.

«Siamo quasi arrivati.» Mi disse non volendo più insistere su quell’argomento.
Svoltammo all’angolo, poco più lontano c’era casa.

Mi sorpresi vedendo che di fronte casa c’era la macchina di mamma con diverse valigie accanto.
«Non sapevo avessi ospiti, Els?» Mi disse Luke incrociando le braccia al petto e squadrandomi con fare sospetto. Strano a dirlo ma non sapevo che avessimo ospiti.

«Ehm, non ho idea di chi possa essere, sai?» Aguzzai lo sguardo, mentre Luke cercava di vedere chi ci fosse all’interno della macchina.

«Quello sì che è un bel tipetto.» Disse il biondo, indicando con la testa un ragazzo che stava uscendo dalla macchina.
Oh porca miseria.
Persi un battito e con una velocità impressionante strattonai Luke via da lì e mi nascosi dietro il muretto per non farmi vedere.

«Cosa ti prende?» Mi chiese con espressione stralunata.
«Porca miseria, è qui.» Dissi con l’ansia a mille.
«Chi è qui?» Sbottò Luke.

«Lui.» Dissi lapidaria.

Damon era qui. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Hi girls! <3
Non ho parole, sono tornata con questa storia che è *rullo di tamburi* il sequel dell’altra mia storia. Amore proibito: un fiammifero batte le tenebre?
Sono ritornata oggi perché è il mio compleanno e ho deciso di farvi un regalo (?) Okay no, lasciate perdere questo sclero XD
Spero che vi sia piaciuto il primo capitolo e probabilmente avrete notato che la mentalità di Elena è diventata più complicata di com’era.
Prima di lasciarvi andare, faccio alcuni chiarimenti/premesse:
  • Per la faccia dei personaggi, Elena corrisponde all’Elena della quarta stagione, sia per un po’ il carattere sia per l’aspetto fisico. Damon corrisponde a quello della sesta/quinta stagione, per il comportamento…Be’ non voglio anticiparlo! *.*
  • Secondo chiarimento: nella fan fiction Luke non è fratello a Liv e Kai, però Kai e Liv sono fratelli. Luke è gay e non chiedetemi perché ma Kai è bisex. Okay, fatemi sapere se questa cosa non vi piace, provvederò a inventarmi qualcuno per il mio povero Lukey *-*
  • Luke è diventato amico a Elena. Boh, personalmente a questa povera sfigata volevo darle un amico a Londra e mi è venuto in mente lui, lol.
  • La storia ha preso una piaga piuttosto complessa, sia dal punto di vista fraterno che dalla psicologia dei personaggi (che io amo) perciò userò probabilmente un linguaccia un po’ forte che non ho idea magari potrà turbare qualcuno! (?)
  • AVVERTENZA: HO GIA’ IN MENTE LA STORIA, PER LA FINE HO DUE IDEE DIVERSE TRA LORO. NON PROMETTO NIENTE SULLA FINE DI AMORE PROIBITO.
Credo di aver finito no? Spero solo che vi piaccia e se lasciaste qualche recensione mi farebbe solo piacere.
Non ti scordar di me.
  
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