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Autore: dilpa93    12/12/2014    6 recensioni
-AU ispirata alla 7x06-
"Le sembrava così diverso dal giorno in cui lo aveva incontrato anni prima, lei fradicia di pioggia, lui bellissimo, carismatico, nel pieno della sua carriera. Si era domandata cosa fosse successo a quell’uomo che con Derrick Storm l’aveva stregata e che adesso, dopo averlo ucciso, sembrava aver perso la sua vena creativa riducendosi a storie banali e così lontane dallo stile che aveva un tempo."
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kate Beckett, Rick Castle
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
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Crazy world




 
Diede un’occhiata veloce all’interno della libreria, il naso distava solo pochi millimetri dal vetro che regolarmente si appannava ad ogni suo respiro. Aveva passeggiato sul marciapiede, avanti e indietro, si era avvicinata allo scalino d’entrata e vi aveva poggiato il piede, ripensandoci poi l’istante dopo. Dall’altro lato della strada, un anziano signore seduto sulla panchina alla fermata dell’autobus, tenendo saldo sulle gambe l’ombrello che aveva portato con sé per ogni evenienza, nonostante le previsioni avessero dato freddo e nuvolo ma con precipitazioni pari allo zero, osservava la scena divertito. Non riusciva a nascondere il sorriso nel vedere quella ragazza così combattuta dal da farsi. Non ne sapeva il motivo ma, da quello che riusciva a vedere con gli occhiali ormai fin troppo datati e non particolarmente puliti, probabilmente si trattava di quel commesso che stava sistemando gli ultimi libri in vetrina. La vide spingersi oltre lo scalino e afferrare il pomello dorato, in quel momento l’autobus sostò davanti a lui con un assordante stridio metallico. Sbuffò leggendo il numero luminoso e constatando di dover aspettare ancora prima di riuscire a tornare a casa, trovandosi poi a tossire per lo smog dopo che la vettura era ripartita. Si allungò con il collo, sporgendosi a destra e sinistra, ma della ragazza nessuna traccia, se non avesse dimenticato a casa l’apparecchio acustico probabilmente sarebbe riuscito a sentire il tintinnare della campanellina in ottone appesa alla porta della libreria. Si lasciò andare sulla panchina, guardandosi intorno in cerca di qualcos’altro che potesse intrattenerlo.
Kate aveva titubato all’ingresso, camminando distrattamente tra gli alti scaffali. L’indice scorreva distrattamente sulle coste dei diversi libri, ignorando completamente la sezione in cui si trovava e lanciando a mala pena uno sguardo alla foto sul retro di copertina dell’autore. Teneva costantemente il capo ruotato così da poterlo guardare, alle sue spalle, sistemare le copie invendute del suo libro nello scatolone. Le sembrava così diverso dal giorno in cui lo aveva incontrato anni prima, lei fradicia di pioggia, lui bellissimo, carismatico, nel pieno della sua carriera. Si era domandata cosa fosse successo a quell’uomo che con Derrick Storm l’aveva stregata e che adesso, dopo averlo ucciso, sembrava aver perso la sua vena creativa riducendosi a storie banali e così lontane dallo stile che aveva un tempo. Decisa finalmente ad avvicinarsi a lui, mise giù l’ennesimo libro che aveva preso tra le mani senza il benché minimo interesse, e il volto di Patterson scomparve nuovamente nel buio dello scaffale.
Immobile, davanti al tavolino dalla gambe pieghevoli, tossì un paio di volte per farsi notare, portandosi i capelli dietro le spalle e rimpiangendo di non averli raccolti come di consueto in una coda di cavallo che le impediva di torturarsi le punte con quel tic nervoso. Lo sentì sospirare forte, scocciato, era questa l’impressione che quella specie di grugnito le aveva dato. Quando finalmente si decise a fermarsi e guardarla negli occhi, ebbe la conferma di trovarsi davanti ad un uomo completamente differente dall’autore per cui aveva preso una cotta adolescenziale, diverso persino da quel Richard Castle che si era preso una pallottola per lei e che, esattamente come era comparso, così era svanito, nel nulla, lasciandola con mille punti interrogativi a cui dover dare risposta. “Signor Castle?”
“Sa esattamente chi sono, o non sarebbe qui. Sarebbe potuta arrivare un po’ prima, ormai la presentazione si è conclusa.” Arricciò il naso all’acidità mostratole, delusa ed amareggiata. “Sono il Capitano Beckett, del 12th distretto”, solitamente l’artiglieria pesante funzionava e il distintivo era la sua.
Richard la squadrò dall’alto al basso. Il cappotto non sottolineava particolarmente il fisco probabilmente asciutto e longilineo, ma i jeans aderivano perfettamente alle gambe sottili e fusiformi, evidenziando la curva di quel fondoschiena che pareva perfetto. Gli occhi riflettevano le luci al neon rivelandone le lievi striature ambrate che si sovrapponevano al verde più intenso vicino la pupilla, così grandi e lucidi che quasi non sembravano veri. Si riscosse da quel calore che aveva sentito nell’istante in cui aveva incrociato il suo sorriso imbarazzato, appena abbozzato sulle labbra. Non aveva più guardato qualcuno in quel modo da... da anni probabilmente, non riusciva nemmeno a ricordarlo. Dopo Meredith c’era stata solo un’altra donna capace di fargli battere il cuore, farlo entusiasmare per ogni piccola cosa, renderlo felice ogni giorno, anche in quelli che sembravano andare storti, e poi, come Meredith prima di lei, se ne era andata lasciandolo con un pugno di mosche in mano, scottato e con il cuore ridotto a brandelli. Non si era più concesso di guardare una donna come aveva fatto adesso con lei, di pensare ad una donna con il desiderio di instaurare qualcosa di duraturo. Ecco perché adesso c’era Chelsea, una bella distrazione, in ogni senso. Giovane, forse troppo per lui, ma poco gli importava ormai. In casa non aveva più una figlia a cui dover dare il buon esempio nonostante, da un paio di gironi, il loro rapporto sembrava essere tornato quello di un tempo. Non sapeva cosa fosse cambiato; si era preso qualche giorno per stare lontano da tutti, specialmente dai deliri di sua madre che non mancava un’occasione per fargli pesare il suo fallimento come uomo, come scrittore e come padre, passando qualche notte in un motel in periferia. La stanza era piccola e lurida, ma quello che contava era la solitudine e il totale senso di invisibilità che era riuscito a provare rinchiuso in quella scatola che gli era costata più di quanto immaginasse. Al suo rientro Alexis lo aveva abbracciato, baciato sulla guancia ed era stata felice di passare del tempo con lui, sul divano a guardarsi un film. L’ultima volta che lo avevano fatto aveva nove anni e poi qualcosa si era spezzato ed era sembrato impossibile porvi rimedio. Nonostante quel repentino, inaspettato, ma assolutamente benvoluto cambiamento, lei era decisa a partire, a tornare in California almeno per un po’; non era ancora pronta a stravolgere la sua vita, non di nuovo e non per il rapporto con suo padre benché i pezzi cominciassero a tornare insieme, per questo aveva reputato inutile interrompere ciò che c’era con Chelsea. Del resto, qualunque cosa fosse, quella tra loro non poteva certo considerarsi una relazione. Divertimento era quello che voleva e divertimento era quello che aveva trovato.
Riprese a sistemare le ultime copie nello scatolone così da poterlo sigillare e caricare in auto, tirando fuori il suo peggior cinismo.
“Questa è nuova, una fan tra le forze dell’ordine, dovrei esserne lusingato...”
Scosse la testa infastidita da quel comportamento maschilista e odioso, cercando di smorzare immediatamente quel suo strano entusiasmo. “Non sono una fan, sono qui per parlarle di un caso.” Una mezza bugia, o una mezza verità, quale che fosse il lato da cui la si voleva guardare. Quel qualcuno che le aveva fatto palpitare il cuore ad ogni riga di un suo romanzo e che le aveva fatto guadagnare l’appellativo di fan ormai, evidentemente, non esisteva più.
“Oddio, non mi dica che c’è qualcuno che imita gli omicidi dei miei romanzi? Sta diventando una mania, potrei mettere su un business, sarebbe... interessante.”
“Non ho mai detto che qualcuno l’abbia imitata, e anche se fosse non credo dovrebbe vantarsene o lamentarsi. Si tratta sempre di persone signor Castle.”
“Ha ragione, mi perdoni”, portò la mano sul petto, teatralmente e lei fu certa di vedere trasparire il lascito genetico di sua madre in quelle movenze. Chi fosse Martha Rodgers non era un mistero per nessuno in città, di sicuro non lo era per nessuno al 12th, non dopo che Ryan aveva trascorso ore, da quando era finalmente riuscito a parlarle di persona, raccontando a chiunque gli capitasse vicino l’intera biografia della donna.
“Se non altro questa volta hanno mandato un detective attraente”, riprese sogghignando. “L’ultima volta è arrivato un tipo tutto impettito con dei basettoni che sarebbero stati bene solo a Tom Selleck. Nei corsi di aggiornamento al distretto non vi avvertono che ormai gli anni settanta sono finiti da un pezzo?”, aveva chiesto sarcastico sigillando lo scatolone con il nastro trasparente, lasciando poi il rullo sul tavolo ed infilandosi la giacca ancora appesa alla sedia dallo schienale infeltrito. Non erano riusciti a trovare nulla di meglio, del resto era da quando aveva messo fine alla vita della sua maggiore fonte di guadagno letteraria e i suoi investimenti erano andati a rotoli, che le presentazioni dei suoi libri si erano trasformate in un totale fiasco.
“Starei attento a quello che dice se fossi in lei, potrei sempre accusarla di oltraggio a pubblico ufficiale. E in secondo luogo... sono Capitano, non detective.”
“Ancora mia la colpa, mi scusi”, sollevò lo scatolone portandoselo sotto il braccio, incamminandosi poi verso l’uscita, cosa che Kate colse come una invito a seguirlo, non che avesse molta altra scelta.
Cercò di mantenere il passo, tentando in ogni modo possibile di richiamare la sua attenzione, tentativi che furono un totale fallimento. Finalmente lo vide accostarsi ad un vecchio modello di BMW; la vernice nera era scrostata in vari punti, tanto da portarla a chiedersi se fosse un’auto di seconda mano o se Richard Castle fosse davvero un pessimo automobilista.
Con il fianco appoggiato alla carrozzeria, sostenendo il peso dello scatolone sulla gamba, lo scrittore aprì la portiera posteriore buttandoci dentro distrattamente i libri. Chiuse rumorosamente lo sportello poggiandovisi poi contro con la schiena. “Allora, voleva dirmi?”
Inspirò a fondo cercando di non far trasparire il disappunto per quel suo fare borioso e cercare di essere, quanto meno, affabile. Quello che stava per raccontargli era un’assurdità e lo avrebbe sicuramente ringraziato se avesse deciso di non darle della pazza e limitarsi ad un grugnito e ad un veloce ‘ora devo proprio andare’. “È un po’ complicato da spiegare, forse è meglio trovare un posto dove potremmo sederci e parlare con calma.”
“È forse un modo contorto da agente, mi perdoni, da Capitano di polizia per propormi di bere qualcosa insieme?”. Voleva risultare spiritoso, ma il suo umorismo non faceva più colpo da un pezzo ormai e, dallo sguardo di Kate, sicuramente non era riuscito a fare colpo su di lei.
“Sa cosa le dico, lasci stare, ho sbagliato a venire. Mi spiace averla disturbata per nulla.” Aveva infilato le mani nelle tasche del cappotto, dirigendosi spedita il più lontano possibile da lui, poco contava il fatto che avesse sbagliato direzione e che la sua auto si trovasse esattamente dalla parte opposta. Se non altro si sarebbe risparmiata una figuraccia e non avrebbe compromesso la sua immagine di capo del dodicesimo distretto, rischiando di mettere in ridicolo sia se stessa che l’intero dipartimento. D’un tratto sentì una forte presa all’altezza del polso, il secondo dopo gli occhi azzurri dello scrittore puntavano dritti nei suoi, quasi a volerli passare da parte a parte con quella forza magnetica, forza che prima non aveva notato ma che aveva visto in quelli di quel Richard Castle ormai scomparso, forse tornato nel mondo a cui aveva più volte affermato di appartenere. “Se non ho contato male questa è la terza volta che mi scuso, giornata pesante e non oso immaginare la sua, tra cadaveri e quant’altro...” Sorrise a stento, la sua giornata era davvero stata pesante, ma i cadaveri sarebbero stati una passeggiata in confronto al lavoro d’ufficio, le scartoffie da compilare, gli scontri politici a cui era costretta ad assistere telefonicamente un giorno si e uno no. Odiava quella scrivania, odiava quella posizione che sembrava darle potere e che invece la lasciava con niente in mano. Le mancava l’azione, le nottate in bianco perché sentiva che c’era da trovare un solo dettaglio per chiudere un caso e allora ci si dedicava con tutta se stessa, passando nottate intere davanti a quella lavagna che ora non vede che di sfuggita. “Già...”, sussurrò con sguardo colpevole, andando improvvisamente a guardare le crepe sull’asfalto sotto di loro.
“Che ne dice di prendere un caffè, nulla di più, così potrà finalmente raccontarmi ciò che voleva e sbarazzarsi di me e del mio caratteraccio.”
Riprendendo il contatto visivo, sorrise, questa volta sul serio, divertita dal modo dello scrittore di prendersi in giro, incredula su come fosse capace di passare dall’essere uno stronzo completo ad un adorabile bambino cresciuto.
“Conosco un posto qui vicino. Le giuro Capitano che non ho cattive intenzioni.”
 
L’odore di croissant era inebriante, il tepore gradevole. Nell’aria il profumo di cioccolata si mescolava piacevolmente a quello di caffè e vaniglia e il calore che delicatamente si espandeva sulle guance prima arrossate, fino al resto del corpo, era davvero rilassante e confortevole.
Lasciò scivolare con estrema naturalezza il cappotto sulla sedia poi, sostenendo il viso con il palmo della mano, si prese qualche momento per esplorare meglio quel locale in cui, sebbene le fosse capitato di passarci davanti in più di un’occasione, non aveva mai avuto modo di entrare.
“Le piace?”
La voce dello scrittore non fu più che un sussurro avvolto dal brusio degli altri clienti e dalle appena accennate note di una canzone passata alla radio. “Come? Scusi, ero sovrappensiero”, portò i capelli dietro l’orecchio, cercando così di impedire che le ricadessero davanti al viso e per la seconda volta imprecò contro se stessa per non esserseli legati.
“Chiedevo solo se le piace il posto...?”
“Non ci ero mai venuta, è carino.”
“Troppo impegnata con il lavoro?”
Annuì tristemente, abbassando lo sguardo e puntandolo distrattamente sui bottoni della camicia dello scrittore, mentre con la mano massaggiava non curante qualcosa che si intravedeva appena sotto la camicetta.
La cameriera arrivò al momento opportuno, togliendo entrambi da quel silenzio imbarazzante. La ragazza era carina, acqua e sapone, lineamenti dolci, occhi grandi e chiari, slanciata, il sorriso sempre sulle labbra, eppure Rick non distolse neanche per un istante lo sguardo da Kate, concentrato sul modo in cui si era morsa l’angolo destro del labbro inferiore dopo aver dato la sua ordinazione, su come aveva accavallato le gambe e come le dita tamburellavano lentamente sul tavolino in legno.
“Come mai una bella ragazza come lei finisce con l’entrare in polizia,” la domanda era arrivata senza nessun preavviso, aveva a mala pena aspettato che la cameriera gli desse le spalle prima di porla a voce alta, “e arriva ad essere capitano così giovane?”
“Sta cercando di adularmi signor Castle?”, scherzò sentendosi completamente a suo agio a parlare con lui sebbene l’inizio non fosse stato dei migliori. Era naturale, come parlare con un amico; da quando aveva letto il suo primo libro aveva immaginato come sarebbe stato parlargli, far parte della sua vita, del suo giro di amicizie. Non cercava la notorietà, non voleva condividere con lui le luci della ribalta, voleva solo sapere se era davvero come lo aveva immaginato nella sua mente di ragazzina affascinata dal crimine, dalle descrizioni minuziose, da quei personaggi che le sembravano così reali tanto da affezionarcisi. Quei pochi secondi davanti a lui, mentre le autografava la copia del suo libro preferito, non erano bastati a nutrire quella voglia di sapere, ma adesso era come se le fosse offerta un’altra possibilità. Era più matura, non offuscata dai sentimenti di una giovane ed infatuata fan, forse sarebbe riuscita a capire il suo vero io.
“Niente affatto, mi creda, sono semplicemente curioso. Sempre stato, è la mia natura, una caratteristica di famiglia immagino.”
“C’è stato un caso a cui sono veramente legata. È diventato tutto per me, pensavo solo a quello, notte e giorno. Io...” gli anni trascorsi in polizia le passarono davanti agli occhi, un vecchio film muto in bianco e nero. Dal suo primo giorno d’accademia, alla giovane recluta che si rintanava negli archivi della omicidi, la torcia incastrata tra i denti e le mani a guardare fascicolo dopo fascicolo. E poi i giorni, i mesi, gli anni. La carriera avanzava, centinaia di casi erano stati chiusi grazie a lei o al suo contributo. Riusciva a trovare giustizia per gli altri, ma questo non leniva il senso di sconfitta e inadeguatezza per non aver chiuso il caso più importante della sua vita. L’unica cosa che per lei contasse veramente era ancora irrisolta. “Volevo solo trovare il colpevole.”
“E lo ha trovato?”
Con l’indice sollevò la catenina, lasciando uscire allo scoperto l’anello ad essa legata. Lo guardò per qualche istante, come a volersi specchiare nelle sfaccettature della pietra scura, lasciandolo poi cadere e scontrarsi con i bottoni producendo un impercettibile tintinnio. “No... non l’ho trovato.”
Fu sbrigativa la risposta e brusco il suo tono con cui la emise. Rick si schiarì la voce ricomponendosi sulla sedia. “Lei mi voleva dire qualcosa, o ricordo male?”
Sul viso di Kate si dipinse un sorriso sghembo, le gote le si imporporarono ripensando al motivo per cui era andata a cercarlo.
Richard Castle, non l’uomo che le sedeva di fronte, che soffiava sulla tazza del caffè appena arrivata dopo avervi messo due cucchiaini di zucchero, ma il Richard Castle che era corso trafelato nel suo distretto per assicurarsi che lei, o meglio, che la Kate Beckett che lui credeva fosse, stesse bene; quello che aveva cercato disperatamente di convincerla a credergli, quello che si era buttato davanti a lei e, come se fosse la cosa più naturale del mondo, aveva deciso deliberatamente di prendersi quei proiettili al posto suo, le aveva detto di amarla. Era stata l’ultima cosa che aveva fatto prima di scomparire come se si fosse trattata di una semplice allucinazione. Quegli occhi non mentivano e lei... beh, lei adesso voleva sapere, sentiva il bisogno di sapere se anche nel suo mondo erano destinati a quell’amore incondizionato che aveva visto negli occhi di quell’impacciato e strano scrittore.
“Si, certo. Solo che è... complicato.”
“Complicato nel senso di bizzarro o complicato nel senso beh, nel senso di complicato?”
“Bizzarro... si, decisamente bizzarro, è una cosa che ha dell’incredibile a essere sincera. Se qualcuno avesse detto a me ciò che sto per raccontarle lo avrei preso per pazzo.”
“Sono uno scrittore, del macabro per di più, o almeno lo ero”, non poté nascondere una punta di rammarico, né nel tono di voice, né tanto meno nell’incupirsi dei suoi occhi che parevano cambiar colore a seconda del suo umore. “Ho una mente molto aperta, si fidi. Facciamo così, lei cominci dall’inizio e vediamo come va.”
Sorseggiò il caffè. Si era già intiepidito.
Si umettò le labbra prima di iniziare a raccontare.
Il tempo sembrò essersi fermato al loro tavolo. Castle ascoltava estasiato ciò che gli stava dicendo, senza perdersi neanche una sillaba. Con le mani tormentava la tazza davanti a lui, passando i palmi sulla ceramica calda; lo stesso faceva lei, con una sincronia che non si erano accorti di avere. Nessuno dei due si permetteva di muoversi ulteriormente, i caffè rimasero ad ondeggiare ritmicamente ormai dimenticati, ridotti ad una brodaglia scura e fredda.
Intorno a loro i camerieri giravano freneticamente per i tavoli destreggiandosi tra ordinazioni e pulizie, i clienti arrivavano con affluenza sempre maggiore. Chi sbuffava in un angolo in attesa che si liberasse un posto, chi, in fila, aspettava di ordinare l’ultimo caffè prima di tornare a casa per cena. Un cameriere era inciampato goffamente in una borsa poggiata a terra accanto al tavolo che aveva appena finito di sparecchiare. Il contenuto del vassoio si era ritrovato rovinosamente a terra; il frastuono aveva richiamato l’attenzione di tutti, così come l’urlo della donna che non si aspettava di ritrovarsi il fondo avanzato del suo cappuccino sulle scarpe scamosciate, ma loro non si erano accorti di nulla, Kate non aveva ancora finito di raccontare. Non si era fermata, nessuna pausa che permettesse a Castle di inserirsi e fare domande di alcun genere, o che gli desse l’occasione di alzarsi e scappare, lasciandola con l’amaro in bocca di certo non dovuto al caffè. Mentre raccontava senza sosta, i suoi occhi scrutavano quelli davanti ai suoi, tornati azzurri, limpidi e sereni. Tentava instancabilmente di capire cosa gli passasse per la testa, ma era inutile, erano imperscrutabili.
Aveva sorvolato su alcuni dettagli, non era necessario dire tutto, non subito almeno. Che importanza poteva avere il fatto che quel Richard Castle la seguisse nei suoi casi, che avesse addirittura scritto una collana di libri ispirati a lei? Erano dettagli che per il momento avrebbe potuto tralasciare. Riducendone i contenuti, tuttavia, la storia volse al termine prima di quando si aspettasse. “Si è buttato davanti a me”, bisbigliò appena. “Nessun tentennamento, non che ci fosse tempo di riflettere. Prima che potessi anche solo pensare di impedirglielo, lui era terra, con i proiettili che sarebbero dovuti essere destinati a me nel suo corpo. L’ho visto morire davanti ai miei occhi. Ha idea di cosa si provi? Sa come ci si sente a vedere la vita che scivola via da qualcuno... qualcuno che con le sue ultime parole dice d-di amarti...?”. Era fatta, aveva sganciato la bomba e non poteva più tornare indietro.
Richard si era fatto improvvisamente più serio in volto, ancora una volta gli occhi si erano scuriti riempiendosi di sfumature grigie nelle immediate vicinanze della pupilla e lei poté immaginare i titoli delle maggiori testate dell’indomani, “Il Capitano della omicidi, Katherine Beckett, si rivela essere una pericolosa stalker”. I trafiletti delle riviste di gossip avrebbero parlato di lui e di questa situazione facendogli guadagnare un bel po’ di soldi. E se Ryan ed Esposito non si fossero ricordati dello scrittore, se si fosse scoperto che davvero era stata tutta una sua allucinazione? Sentiva già le risate di scherno dei suoi colleghi, l’umiliazione nel dover rinunciare al distintivo e dire addio per sempre al caso di sua madre, poteva vedere la delusione negli occhi di suo padre, e se si fosse rimesso a bere per colpa di questa storia non se lo sarebbe più perdonato.
Pensieri drastici, volti al peggio, ma con il mestiere che è solita svolgere non è mai riuscita a vedere il bicchiere mezzo pieno, solitamente il bicchiere risultava vuoto o con giusto qualche goccia rimasta sullo sfondo.
Prese un respiro profondo alla vista dello schiudersi delle labbra dello scrittore, sentendosi come sotto accusa e in attesa di giudizio, ma il suono del suo cellulare ruppe la bolla d’aria nella quale, fino a quel momento, si erano rintanati.
“Scusi, io d-devo rispondere... Capitano Beckett!”, annuì un paio di volte con quelli che sarebbero potuti sembrare dei semplici e distratti mugugni. “Arrivo immediatamente, voi cercate di non far trapelare nessuna notizia e di tenere a freno la stampa fino al mio arrivo, non dovrei metterci molto.”
Chiuse la chiamata infilando il telefonino nella tasca dei jeans e indossando con goffaggine il cappotto. Contro ogni sua previsione era stata proprio lei a scappare, non lui. “Mi spiace signor Castle, devo proprio andare.” La mano vagò nella borsa stracolma di fascicoli ed incartamenti alla ricerca del portafogli, ma bastò un gesto per fermarla. “Lasci Capitano, offro io.”
Dopo un ultimo sguardo, un saluto silenzioso non trovando nulla da aggiungere che potesse far risultare quella serata meno strana ed imbarazzante, corse verso l’uscita sperando di poter trovare un taxi in breve tempo. La sua auto era troppo lontana, rimasta davanti alla libreria, l’avrebbe recuperata sulla strada di ritorno verso il distretto.
Probabilmente non avrebbe mai saputo cosa lui pensasse di tutta quella storia e forse sarebbe stato meglio così, dopotutto lasciarsi ogni cosa alle spalle si sarebbe potuta rivelare la scelta migliore.
Non poteva certo sapere quanto si fosse sbagliata e che l’indomani lo avrebbe rivisto davanti alla sua scrivania, con un sorriso furbo e sfacciato sulle labbra, quei suoi occhi azzurri a fissarla, tutte le ricerche fatte nella nottata trascorsa insonne tra le mani, eccitato come un ragazzino e con una nuova idea per un libro da scrivere.





Diletta's corner:

Piccola AU... non mi dispiacerebbe vedere cosa ne è stato della famiglia Castle e di quella del 12th in quel mondo alternativo, ma purtroppo non lo scopriremo mai.
Però forse Rick e Kate erano davvero "meant to be" anche in quel mondo *-*
Buon week end a tutti!
Baci
  
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