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Autore: jaeda_    13/12/2014    0 recensioni
Vivere non è mai stato facile per nessuno. Cercare la nostra casa, la nostra ragione di vita, era il nostro scopo. Lo scopo di tutti quanti noi. Sempre insieme. Sempre legati. Sempre incasinati.
Genere: Drammatico, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era un'altra sera vuota. Ordinaria. Sempre in compagnia delle mie due migliori amiche: Celine e la tristezza. Compagne inseparabili di vita. 
Lo scopo era quello di sempre. Cercare qualcosa. Qualcosa per cui andare avanti, una ragione di vita. Qualcosa per cui valga la pena lottare. Qualcosa che addolcisca la tristezza e dia un po’ di colore a questa vita così grigia. 
So che, prima o poi, tutto questo arriverà. Nel frattempo, cerco di cavarmela.

«Due birre, grazie.» «Subito!» Subito dice lui, ironico. Credo sia il barista più lento che abbia mai visto. È mezz’ora che sono al bancone e solo ora si degna anche solo di guardarmi. 
«Hai una gran sete o hai finalmente deciso di offrirmi qualcosa?» Celine mi piombò alle spalle. «Nessuna delle due cose, questo veramente è per lei. - Mi avvicinai con non chalance a una biondina seduta due posti più in là. - Scusa tesoro.» Se ne andò irritata. «Sai – dicevo – è tutta la serata che mi assilla, ma io non posso far a meno di avere occhi solo per te.» Funziona sempre. Per chissà quale motivo, quando dai più importanza ad una ragazza screditandone un’altra, guadagni sempre un centinaio di punti. Una birretta e il gioco è fatto. «Oh, anche tu straniero? Di dove sei?» mi chiese. Forse non ha notato che questo è un bar frequentato solo da turisti e stranieri. «Londra, Inghilterra. Tu?» «Manchester. Ma dai, che bello, siamo vicini!» Tenendo conto che Londra è al sud e Manchester al nord, e che ci separano tipo tre ore di macchina, direi che vicini non siamo e la geografia non è il suo forte. Ma non mi stupisco, non sembra molto colta e la sua irritante voce spiega la sua solitudine al bar. Accenno lo stesso un sorriso e cerco di passare sopra alla valanga di suoi difetti che mi stavano venendo in mente.
«Allora, com’è che ti chiami?» miagolava l’insipida gattina. «Samuel, Samuel Green.» Celine accennò una risatina da lontano per via della pessima scelta del nome.  
«Uh davvero? Io avevo un gattino di nome Samuel» la conversazione stava cadendo nel ridicolo e sinceramente non è la serata migliore per limitarsi a rimorchiare una ragazza di cui non ti interessa niente se non, beh, si sa qual è l’unica cosa che interessa. Non ne vale la pena. Non oggi.
Gli butto lì una scusa ancora più pessima del mio finto nome e la lascio di nuovo sola. Un po’ mi dispiace ma, no. Non m’interessa.
«Io ci provo a cercare ragazze bionde che sfatino il mito che lega il colore dei loro capelli alla stupidità, ma niente, è più forte di loro, non ce la fanno.» Tornai dalla mia amichetta. «Hey Ian, ti ricordo che io sono bionda. Mi tingo, ma in teoria sono bionda!» «Lo so. Se no perché avrei detto quella frase?» Ci unimmo in una risatina. Mentre ci guardavamo negli occhi, pensavo. Pensavo al nostro rapporto, unico e indistruttibile. Lei c’era. Sempre. A prescindere da tutto. Lei è il mio punto di riferimento. Pensavo a tutto quello che avevamo passato insieme, e le ero sempre più grato. «Che c’è? Perché mi guardi in quel modo?» Si accorse che la stavo praticamente fissando. «Grazie per essere rimasta.» Il suo sguardo si fece subito serio e gli occhi si riempirono di malinconia. Anche se accennò un sorriso, la tristezza era palese. «Smettila.» «Sai, ti ho ammirato quando hai deciso di non fuggire. Quando ti sei fatta coraggio. Non come quei due codardi.» «Smettila, davvero. Perché mi fai questo?» Sapevo che le dava fastidio toccare l’argomento, ma non riuscivo a smettere di parlare. «Ci hanno abbandonato. A me, a te, a Sam.» afferrai la bottiglia semivuota per un ultimo sorso. «Ora basta. – mi bloccò prima che io potessi bere. – Hai esagerato. Me ne vado.» La guardai mentre si allontanava a grandi passi. «Di nuovo solo, che novità.» 
-
«Davvero non so come faccia ad essere così insensibile a volte. Tutti abbiamo subito la perdita, tutti siamo tristi e tutti stiamo cercando di andare avanti. Ognuno a modo suo. – forse è da pazzi parlare da soli in macchina (e arrabbiarsi pure), ma dovevo sfogarmi in qualche modo – Perché non può accettare che non tutti reagiscono come lui? Odio quando fa così.» 
Farmi arrabbiare è difficile, ma lui ci riesce sempre. Da quando è successa Quella Cosa, due mesi fa, è diventato intrattabile. 
Sfrecciai per le strade più il veloce possibile. L’unica cosa che volevo fare, in quel momento, era andare a casa e parlare con il mio amico di e-mail. A volte è davvero più facile parlare con qualcuno al di fuori di tutto. Con qualcuno che sai per certo che ti dirà il suo punto di vista in maniera totalmente obbiettiva. Il mio “qualcuno” si chiama Leon. Un ragazzo argentino conosciuto per caso su internet. 
Non è il miglior modo di conoscere le persone, si sa, per il catfishing e il resto, ma non potevo far a meno di parlare con lui. 
Arrivata a casa, accesi il computer ancora prima di togliermi scarpe e giubbotto. 
«Ho davvero bisogno di te in questo momento. Ti prego scrivimi al più presto. Tua, Celine.» Il fuso orario Italia - Argentina era sempre un grande intralcio, ma neanche quello ci fermava.  
Non so per quale motivo, ma Leon, a volte, mi ricordava Ian. Il vecchio Ian, intendo. Il ragazzo pieno di voglia di vivere e divertente. Quello sempre circondato da ragazze e risate. Il ragazzo che mi ha aiutata ad uscire dalla merda in cui vivevo. Colui che mi ha salvata, si può dire. Con lui ne ho vissute di tutti i colori, davvero. Mi ha spinto a reagire e a prendere la mia vita in mano. Mi ha tolto dalla strada e dato amore, sì. Lui, come altri tre ragazzi, compreso Sam. 
Se sono rimasta con Ian, dopo Quella Cosa, è solo perché so cosa si prova a sentirsi perso. Solo. Sam era importante anche per me, era anche lui il mio eroe, e a volte è davvero difficile mettere da parte il proprio dolore per cercare di placare quello di qualcun altro. 
Ci siamo fatti forza a vicenda, io e lui, e pensandoci bene, da sola, ancora una volta, non avrei saputo come fare. Credo che a volte si scordi di me. Di me come persona con dei sentimenti. Non solo come sua spalla su cui piangere. 
Mentre continuavo a ripensare a tutto ciò lo schermo del mio computer si accese «Che succede tesoro? Scusami ma ho cercato di rispondere il prima possibile! –Leon.» Dopo dieci mesi di lunghe chiacchierate al telefono, video chat ed e-mail, tenergli nascosto quel recente accaduto mi sembrava ingiusto. Era arrivato il momento di dirglielo, di raccontargli tutto. Sperando, sempre, che tutto ciò non lo faccia scappare. Perché, diciamocelo, nessuno vuole una ragazza triste.
«Caro Leon, scusa se solo ora sono riuscita a farmi forza e mi sono decisa a raccontarti tutto. Non sono stata completamente sincera con te, quando ti parlavo del mio passato. Sai che sono vissuta in una famiglia povera, con solo mia madre al mio fianco, ma non sai che per dodici lunghissimi anni, dopo la morte di mia madre, sono rimasta sola. Vivevo in strada. All’inizio dei ragazzi più grandi si prendevano cura di me, ma poi, per una ragione o un’altra, se ne sono dovuti andare tutti ed io sono rimasta ancora una volta senza nessuno, a cercare di cavarmela. La strada all’epoca mi sembrava molto meglio rispetto all’orfanotrofio, dove sapevo che sarei stata maltrattata e considerata solo come un oggetto. D'altronde, ero già troppo grande per un’adozione. 
Ma saltiamo questa parte. Il resto lo puoi immaginare. 
All’inizio dei miei sedici anni, ho conosciuto quattro ragazzi: Ian, Sam, Jefferson e Jane. Gli ultimi due sono fidanzati, li chiamavamo JJ perché tanto dove c’era uno c’era l’altra, romantico no?
Loro, senza pregiudizi e critiche, hanno saputo aiutarmi e accompagnarmi verso una vita migliore. Per un po’ sono stata a casa di Jane, e, appena ebbi l’età legale per lavorare, mi cercai subito qualcosa da fare. Avevo tre lavori e nel giro di un anno sono riuscita a prendere un piccolo appartamento in affitto. Il giorno del mio diciassettesimo compleanno mi regalarono il mio primo computer, e grazie a quello riuscii a studiare da privatista. Chi, a quell’età, farebbe una cosa così nobile per un’altra persona? Beh, io credo nessuno. O pochi. Loro l’hanno fatto. E io gliene sarò sempre grata. Quest’anno è stato il nostro ultimo anno e, dopo l’esame finale, abbiamo scelto di viaggiare per un anno intero nei più svariati posti del mondo. Dall’Inghilterra abbiamo iniziato con il Belgio, passando subito dopo per la Germania. Ecco, la Germania. 
Era il nostro sesto giorno lì, ricordo ancora quanto eravamo impediti a parlare tedesco ahah! (Tranne Ian, ovviamente, ha un dono! Parla otto lingue, e, quelle che non sa, le impara nel giro di qualche settimana.)
JJ e Sam erano andati a fare gli ultimi acquisti per la festa di quella sera, ed io ero rimasta con I. a casa a preparare tutto. 
Sam si era fermato a rispondere alla richiesta di indicazioni di un passante e la coppietta felice era andata avanti. Quando li stava raggiungendo, un auto pirata lo travolse facendolo morire sul colpo. Lo shock è stato immenso e devastante. Non avrei mai pensato di versare ancora lacrime, dopo la brutta infanzia avuta, ma la sua morte mi ha fatto piangere forte come avevo già fatto in passato.
Jane e Jefferson decisero di tornare a casa, nessuno poteva essere più scosso di loro che avevano vissuto tutta la scena dal vivo. Io ero intenzionata ad andare con loro ma Ian diede di matto dandoci dei codardi traditori. Volle restare e continuare il giro del mondo prestabilito, in onore del migliore amico defunto, e non potevo lasciarlo da solo. Rassicurai JJ dicendo loro che mi sarei presa cura io di lui e li convinsi ad andare. Da allora, ci siamo spostati dalla Germania all’Austria, e dall’Austria all’Italia. E ora siamo qui. Nel giorno dell’anniversario della morte di Sam. E io sono distrutta, Ian è distrutto. Tutto questo è davvero troppo.
Spero di non farti scappare con questa triste storia. Ho davvero bisogno di te.
Per sempre tua, Celine.»
-
Sono le tre del mattino e sto giocando a sprofondare tra le soffici bolle nella vasca da bagno. Riconosco di essermi comportato male con Celine. Mi dispiace. 
So che questa volta non basterà un mazzo di rose per farmi perdonare. Ultimamente sembriamo una vecchia coppia sposata che sta attraversando un periodo di crisi; entrambi sbagliano e sanno che tutto sta degenerando, ma nessuno dei due vuole ammetterlo. Ci limitiamo ad andare avanti facendo finta di niente. Facendo finta che le litigate, i problemi, che niente di marcio esista nella nostra vita. 
Mi sporsi e afferrai il giornale e la penna che usava sempre per completare i vari sudoku e cruciverba. Cercai un po’ di spazio su cui scrivere e disegnai un planisfero in modo veloce e schematico. Poi pensai. «Allora. In teoria ora abbiamo fatto Inghilterra, Belgio, Germania, Austria e Italia. Ci mancano Francia e Spagna e poi dovremmo passare a Grecia, India e tutta quella parte là. Ma se facessimo un cambio di rotta potremmo passare prima dal Sud America. Almeno la farei felice. Quindi..» 
Passai tutta la notte a riorganizzare il programma che tanto avevamo sognato.
Sarebbe stato tutto perfetto. Forse potrà ancora esserlo, ma nelle sere come questa non ho la forza di pensare positivo. So che starò bene e che il dolore si calmerà, ma ora voglio solo incazzarmi e disperarmi per l’amico che ho perso. Perché con lui se n’è andata anche la parte migliore di me.
Una lacrima si confuse con le gocce che già inumidivano il mio viso. Lascio affogare la mia testa nell’acqua come i ricordi fanno con la mia mente. Si prendono gioco di me. Sanno che sto male ma continuano a mostrarmi i sorrisi più puri e gli scherzi più divertenti che abbiamo condiviso in quegli anni di amicizia. Mi mostrano Celine, perché sanno che ogni volta che la guardo mi ricordano il mio vecchio amico. Mi fanno ripensare a Jane e Jeff. Al male che gli ho fatto trattandoli come dei traditori. Giurerei di voler morire se non fosse che è la morte la causa dei miei problemi. È chi resta vivo che affronta davvero la morte. Che la prova, che la sente nella pelle. Almeno ora lui è in pace. Credo che mi mancherà per sempre.

  
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