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Autore: Crystal Wright    13/12/2014    0 recensioni
E se nel Laboratorio Armamenti avesse perso la vita Caleb – e non Tris? E se ora Tris fosse ancora in vita e avesse la possibilità di vivere per sempre con Tobias, sentendosi però opprimere dalla perdita del fratello, o dalla paura di perdere tutto ciò per cui la sua famiglia si è sacrificata?
Tris, come ce la presenta Veronica Roth, è una ragazza coraggiosa e altruista, un perfetto mix di abnegazione e intrepidità. Eppure qualcosa all'orizzonte sta cambiando e lei dovrà rimanere al passo con il presente, senza perdersi nel passato, per riuscire a costruire il suo futuro.
Ora, propongo una versione un po' distaccata dall'originale, diversa per certi aspetti, anche se la prospetti-va è pressoché la stessa. Ho mantenuto la trama più a lungo possibile, finché, inevitabilmente, le strade della Roth e la mia si sono divise.
Spero vi piacerà leggerla tanto quanto è piaciuto a me scriverla. Lasciate commenti, per favore, belli o brutti che siano. Sono del parere che, solo ascoltando le opinioni degli altri, si possa creare una piccola opera d'arte. Del resto anche i migliori scrittori hanno avuto qualche piccolo o grande angelo custode al loro fianco...
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Amar, Christina, Four/Quattro (Tobias), Tris
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Tris
Sono seduta con la schiena attaccata al muro di uno dei piccoli corridoi del Dipartimento, circondata da corpi esanimi di persone che hanno perso la vita semplicemente perché hanno fatto la scelta sbagliata. Mi rendo conto con un sussulto che la maggior parte di loro sono morti per causa mia. Ma io dovevo pur difendermi, in qualche modo. Difendermi… Mi ritorna alla mente il giorno in cui ho ucciso il mio amico Will per difendermi. Mi sembra che sia successo ieri, mentre ormai è passato moltissimo tempo.
Mi guardo intorno e vedo la Morte disseminata ovunque, dagli occhi vacui della gente a terra alle chiazze di sangue che si allargano man mano che trascorre il tempo. Non riesco a rallentare il battito del mio cuore, né a lasciare la pistola che sto stringendo tanto da farmi male. Probabilmente la mia mano è piena di tagli – dovuti alla presa ferrea che ho sulla pistola – ma non ho intenzione di allentare la presa.
-Tutto bene, Beatrice?- mi chiede mio fratello, facendomi sussultare.
Annuisco, più per convincere me che lui.
Lui annuisce a sua volta e fa per alzarsi, quando io, senza pensare, lo blocco tenendogli il polso. Lui mi guarda stupefatto: prima di intraprendere questa missione suicida, ci siamo presi un po’ di tempo per salutarci a dovere – visto che lui deve sacrificarsi per il bene comune – ma non è facile dire addio a una persona che ami, soprattutto quando è l’unico membro della tua famiglia ancora in vita.
Dopo un momento di esitazione, Caleb mi sfiora la guancia con la mano libera e accenna un sorriso mesto. -Andrà tutto bene.- tenta di rassicurarmi.
Entrambi sappiamo che non sarà così: lui morirà per liberare il siero della memoria, mentre io, molto probabilmente, non riuscirò a uscire intera da qui. E Tobias? Pensare a lui mi fa stringere il cuore in una morsa dolorosa, ma cerco di accantonare la mia preoccupazione per lui e focalizzare l’attenzione su mio fratello.
Caleb. Il fratello maggiore che è sempre stato migliore di me. Caleb. Che non perdeva un’occasione per dimostrarsi un ottimo Abnegante. Caleb. Che ha voltato le spalle ai nostri genitori per passare dalla parte degli Eruditi. Caleb. Che è stato con Jeanine fin dall’inizio. Caleb. Che oggi deve morire.
Una lacrima mi solca il viso. Una piccola lacrima traditrice.
Non posso abbandonarlo, non posso permettergli di sacrificarsi per noi.
-Sai che non andrà affatto bene.- dico, cercando di mantenere ferma la voce.
Lui scrolla le spalle, apparentemente non interessato. Ma io so che non è così: è teso – molto teso – lo riconosco dalla sua mano tremolante, ancora appoggiata alla mia guancia.
Lui pare accorgersi solo ora di aver compiuto un gesto così azzardato e toglie di scatto la mano, infilandola in tasca.
Caleb si gira dall’altra parte, evitando il mio sguardo. Il tempo scorre veloce, ma a me sembra che si sia congelato. Ci siamo solo noi, come quando eravamo piccoli, dopo aver litigato. Solo noi due, pronti per fare pace.
Mi alzo velocemente, sentendo le gambe cedermi improvvisamente. Evito una caduta clamorosa solo perché mi tengo al muro.
-Resta qui.- lo supplico.
Caleb non si gira, ma sento i suoi nervi tendersi immediatamente.
-No.- si schiarisce la gola -Ho una missione da compiere.-
-Lascia che vada io al tuo posto.-
-Perché dovresti?-
-Perché ti voglio bene.-
Il mio è poco più di un sussurro, ma lui si gira velocemente e mi guarda finalmente negli occhi. Scorgo il guizzo di una punta di risentimento, dolore e solitudine. Me dura solo un attimo, quindi è probabilmente frutto della mia fantasia.
-Caleb…- dico, ma lui alza una mano per farmi segno di tacere.
Chiude per un attimo gli occhi e, quando li riapre, non vedo più il ragazzino di una volta. Vedo un uomo, determinato a portare a termine ciò che ha iniziato. Il suo viso è stanco e sembra più vecchio di quanto sia realmente.
-Anche io ti voglio bene. È proprio per questo che devo farlo io. Me lo merito.-
Sto per ribattere, quando lui mi abbraccia di slancio, lasciandomi senza fiato. Lo sento singhiozzare sulla mia spalla un paio di volte e lo stringo con tutta la forza che mi rimane, aggrappandomi a lui come se potesse tirarmi fuori da quest’incubo che sto vivendo.
Alla fine Caleb scioglie il nostro abbraccio e, a malincuore, lo vedo allontanarsi verso il Laboratorio Armamenti senza voltarsi. Quando sparisce oltre il corridoio, mi accascio lentamente contro il muro, mentre un’altra lacrima scende sul mio viso. Non ho la forza di asciugarla, né di alzarmi. Ho perso mio fratello. Ho perso la mia famiglia. Ora posso contare solo su Tobias.
 
Caleb
Erano mesi che non provavo un sentimento del genere. Avevo dimenticato cosa significhi amare ed essere amati. Percorro il corridoio che mi porterà nel Laboratorio Armamenti come un automa, senza riflettere davvero a ciò che sto facendo.
Destra. Sinistra. Sinistra. Destra. Destra.
Svolto per l’ultima volta e vedo la targhetta con la scritta Laboratorio Armamenti. Il mio cuore fa un guizzo, ma non ho intenzione di abbandonare tutto proprio adesso. Credevo di essere come Jeanine, capace di vivere da solo e senza rimpianti.
Ho scoperto che non è così. Quando, poco fa, ho salutato davvero per l’ultima volta mia sorella, mi sono reso conto di non poter sopportare altro dolore. Così me ne sono andato velocemente, sperando che Beatrice non mi vedesse piangere.
Ora sono qui, davanti alla porta. Faccio un respiro profondo e tiro fuori il detonatore e l’esplosivo dallo zaino. Lo appoggio contro la sbarra sulla porta e lo blocco abbassandone i ganci. Mi accovaccio dietro una delle porte che Nita ha sfondato precedentemente e premo il pulsante del detonatore, coprendomi le orecchie.
Il boato dell’esplosione mi fa rimanere intronato per mezzo minuto. Quando mi decido finalmente di alzarmi, sento alcune persone correre verso di me. Mi giro appena in tempo per notare che sono guardie e mi butto da un lato, evitando di essere colpito dai loro proiettili.
Intuisco che sono in due. Tiro fuori la pistola dai pantaloni con mano tremante e faccio un respiro profondo, stringendo l’arma con entrambe le mani. Ho paura. Paura di non riuscire a portare a termine la mia missione. Paura di deludere ancora una volta Tris e, indirettamente, i miei genitori. Del resto sono morti per salvarci e io devo loro la vita.
Sparo senza pensare veramente a ciò che sto facendo. Due colpi vanno a infrangersi contro una porta a vetri di un laboratorio adiacente, mandandola in frantumi. Ho guadagnato un po’ di tempo per riprendere fiato. Mi sporgo lentamente, tornando subito a nascondermi sentendo un proiettile sfiorarmi la faccia.
Respiro profondamente  e cerco di ricordarmi i consigli che mi ha dato Tris: prendere la mira, sparare.
Ora non mi sembra più tanto semplice. Ma esco comunque dal mio nascondiglio, sparando prima alla cieca e poi prendendo la mira. Il proiettile di una delle guardie mi si conficca nella spalla, ma l’adrenalina è più forte del dolore e riesco a uccidere entrambe le guardie, prima che siano loro a farmi fuori.
 
Tris
Sento il cuore esplodermi nel petto.
Ogni minuto che passa la stretta morsa che ho sul cuore si stringe sempre di più. Non so più cosa pensare. Caleb sarà in grado di portare a termine la sua missione. O morirà prima di riuscire a schiacciare il pulsante verde?
Un brivido mi percorre la schiena: morire. Non voglio che mio fratello muoia, ma so che è inevitabile.
Sento un’esplosione rimbombare nei corridoi e nelle mie orecchie. Mi giro senza pensarci verso il suono, cercando di ristabilire un battito cardiaco che rientri nella norma.
Mentre riprendo lentamente il controllo del mio corpo, sento in lontananza dei passi. Sono veloci. Almeno cinque persone stanno correndo nella mia direzione, intenzionate ad arrivare al Laboratorio Armamenti. Ma io non glielo permetterò. No. Probabilmente ora mio fratello è dentro il Laboratorio, con il siero della morte che inizia a circolare nel suo corpo.
Devo salvarlo. Glielo devo.
Racimolo un po’ di forza e mi nascondo dietro una porta aperta, studiando il corridoio verso dove si stanno avvicinando gli uomini. Quando arrivano, noto che avevo ragione: sono in cinque. Cinque guardie attente e con in mano una pistola per uno.
Faccio un respiro profondo, mentre uno di loro si stacca dal gruppo per correre velocemente verso il Laboratorio.
Non lo farai. Penso. Anche il mio corpo la pensa esattamente come me, tanto che, senza aver ricevuto nessun ordine, scatta in avanti piantando una pallottola perfettamente al centro della fronte della prima guardia. Le altre quattro, allarmate, si nascondono nelle altre porte, sparando senza sosta nella mia direzione.
Ho dalla mia parte il vantaggio della sorpresa, visto che non sanno chi io sia. Mi impongo di mantenere il sangue freddo e sparo verso le guardie, correndo a rifugiarmi nella sala davanti a quella dove ero fino a poco fa.
Sento i proiettili sfiorarmi il corpo, ma mi impongo di non perdere la calma. Lo stai facendo per lui. mi ripeto, mentre mi butto di peso nella stanza. Solo per lui.
Continuo a sparare – a volte all’impazzata e a volte prendendo la mira – e sento finalmente un grido di dolore: ho colpito una guardia. Mi sporgo leggermente, prendendo bene la mira sull’uomo ferito. Sparo. Un corpo si affloscia a terra esanime, non prima di aver sparato a caso, colpendo involontariamente un compagno in pieno petto.
Anche il terzo uomo si accascia contro il muro. Ora sono rimasti in due. Non riesco a comprendere una sola parola di quello che stanno dicendo, tanto è forte il pulsare del sangue nelle orecchie.
Mi sporgo ancora e sparo. Dalla pistola non parte nulla. Ho finito i proiettili. Impreco tra i denti serrati e mi sbrigo a tornare nell’altra sala, raccogliendo una pistola da terra. È ancora intrisa del sangue della guardia che ho ucciso prima che Caleb se ne andasse.
Caleb. Sparo facendo appello a tutto l’addestramento che ho avuto fino a oggi, uccidendo con facilità le restanti guardie. Mi sporgo lentamente oltre la soglia della stanza per controllare che non ci siano altri uomini. Via libera.
Esco dal mio nascondiglio e mi appoggio contro il muro. Sento le braccia dolermi e le gambe abbandonarmi. Mi ritrovo in una manciata di secondi a terra, con la schiena poggiata contro il muro e le braccia mollemente adagiate sulle gambe.
Non ho più forze neanche per sperare che Caleb riesca nella sua impresa.
 
Caleb
Solo ora mi accorgo che il dolore alla spalla si sta facendo insopportabile e che il sangue esce copiosamente dalla ferita. Mi tolgo la giacca e la spingo contro la ferita con una smorfia per fermare l’emorragia. Non posso perdere altro tempo. Accelero il passo ed entro finalmente nella piccola stanza bianca in cui c’è ciò che cerco: il siero della memoria.
Infilo velocemente la tuta che – teoricamente – ritarderà l’effetto del siero della morte.
Entro nel vestibolo, sentendo il siero della morte liberarsi nell’aria. Cerco di respirare meno possibile anche se, nel giro di cinque minuti, sento i polmoni bramare aria pulita.
Arrivo alla porta a due battenti che mi separa dal centro di controllo del siero, mentre sento la morte entrare nel mio corpo come una dolce pomata. Lasciati andare. Mi dice. E non avrai più bisogno di soffrire.
Stringo i denti. No. Lo sto facendo per la mia famiglia. Per sentirmi almeno un po’ degno di loro.
Quando spingo la porta, sono armai senza forze. Mi accascio a terra, ancora troppo lontano per riuscire a schiacciare il pulsante. Le gambe non rispondono più ai miei movimenti e una lacrima mi solca il viso. Temo di non farcela. Temo di non essere all’altezza della situazione. Ho paura che i miei genitori si siano sacrificati per nulla.
Ho paura. Sento che il mio corpo non risponde agli stimoli e inizio a singhiozzare. Perdonatemi, continuo a ripetere nella mente. So che forse loro lo faranno, perché in fin dei conti sono i miei genitori; ma so anche che, se non porterò a termine la missione, non perdonerò mai me stesso.
Annuisco lentamente, anche se la testa inizia a vorticare e a pesarmi. Strisciando sui gomiti – mentre la ferita sulla spalla pulsa dolorosamente – arrivo fino al pannello di controllo del siero. Ce l’ho fatta, penso.
Alzo il braccio ancora sano, mentre un brivido percorre tutto il mio corpo. Vedo il braccio tremare talmente forte da non riuscire a comporre la combinazione. Prendo un respiro profondo e compongo la combinazione: 080712. Dopo aver inserito il codice – con un sorriso genuino che non credevo neanche di poter avere – premo il pulsante verde, sprigionando così il siero della memoria. Lascio cadere il braccio, che sbatte malamente sul pavimento. Mi accascio completamente a terra, abbracciando le ginocchia.
È fatta. Penso. Abbiamo vinto. Mentre il sorriso sulle mie labbra si allarga, il mio campo visivo ormai pieno di macchie distingue la forma sfocata di un uomo. Quando si avvicina su una sedia a rotelle, quasi correndo, le orecchie riescono a captare una parte di quello che sta dicendo.
-TU!- urla David, mantenendo una misera distanza di venti centimetri e – sebbene sia su una sedia a rotelle – troneggiando su di me.
Lo vedo abbassare velocemente lo sguardo a terra e i suoi occhi riempirsi di paura: il siero della memoria sta facendo effetto. Poco prima di cadere a terra, però, spara all’impazzata nella stanza. Sento indistintamente diversi proiettili conficcarmisi nella carne, ma ormai non ci bado più: sto morendo.
Chiudo gli occhi, abbandonandomi al torpore che la morte porta con sé.
Vedo mia madre, con gli occhi lucidi, che mi si avvicina lentamente. Mio padre le ha poggiato una mano sulla spalla e sorridono entrambi beatamente.
-È finita?- chiedo.
Mia madre annuisce. -Sì, Caleb. È finita.-
Annuisco anche io un paio di volte, ma poi penso a Beatrice. -Starà bene?-
Sorridono entrambi e allungano le mani verso di me. -Non devi preoccuparti: tua sorella è forte. Li hai salvati tutti, Caleb. Sei il nostro eroe.-
Non oso ribattere, anche se so benissimo di non essere altro che un vigliacco traditore. Vedere i miei genitori risveglia in me un moto di inconcepibile allegria. Tendo anch’io le mani verso di loro, aspettando di andare con loro in un posto felice, lontano dai pericoli della vita e, finalmente, lontano dal senso di colpa.
  
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