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Autore: Berenike_Talia    13/12/2014    0 recensioni
Nella notte la paura assume un'esistenza materiale, cresce come fuoco che divampa e uccide ogni pensiero.
Il buio assale la realtà e tutto perde senso.
Come per Daniele, nel momento essenziale della propria esistenza.
Non sapevo in quale categoria mettere il racconto, quindi ho scelto quella che mi sembrava più adatta. Se avete consigli su come classificarla fatemi sapere! (Le recensioni sono bene accolte, anzi mi farebbero molto piacere).
Genere: Dark, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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"Primule Bianche"



Le lacrime sono lo sciogliersi del ghiaccio dell'anima. E a chi piange, tutti gli angeli sono vicini. - H. Hesse

 

Non c’è nulla di più vero della notte.
Le paure sono reali, ci inseguono e noi, sciocchi, le scambiamo per suggestioni, impressioni o fantasie; i dubbi si fanno materia nelle nostre menti.
Durante la notte cerchiamo meglio e troviamo ciò che non vogliamo, il nascosto ci investe. 

Era nel letto, sdraiato a pancia in sotto, per alleviare i forti dolori addominali. Nella confusione del dormiveglia udiva i rumori provenienti dalla strada sottostante e dal cortile esterno, ma non ci faceva caso. 
Era sul punto di addormentarsi quando un sibilo ruvido lo risvegliò dal torpore. ‘Non è niente’ si disse, era colpa dell'influenza che lo aveva colpito.
Poi il sibilo si fece risentire, questa volta più vicino. ‘La febbre deve essersi alzata’ pensò. 
Cercò di rimettersi a dormire rinchiudendo la propria immaginazione in un angolo remoto della mente, dimenticando le suggestioni causate dalla febbre alta. 
Allora richiuse gli occhi, poggiò la testa sul cuscino, smise di pensare. La sensazione indecifrabile era svanita.

Dopo pochi minuti qualcosa lo risvegliò, o forse si svegliò da solo. 
Inaspettatamente, un rumore grave, secco gli fece congelare il sangue nelle vene. Tre colpi sordi. Qualcuno aveva bussato alla porta dell'appartamento.
Non era possibile, l'orologio segnava le due e quarantotto della notte. 
I colpi furono ripetuti. Uno, due, tre; scanditi distintamente, a breve distanza l'uno dall'altro.
Non era il normale modo di bussare.

Daniele si alzò dal letto e cercò tentoni l'interruttore della piccola lampada del comodino. Premette l'interruttore e la fioca luce illuminò debolmente la stanza e lo stretto corridoio che separava la sala principale dal bagno. L'appartamento era piccolo, lo spazio angusto, ma Daniele aveva pensato che sarebbe stato perfetto per un giovane scapolo come lui.
Passò dalla propria stanza alla sala principale, che comprendeva una vecchia cucina, un tavolo in vetro e pochi mobili che facevano da soggiorno: un televisore, un divano, un antico mobile a muro, regalo del nonno.
Si diresse verso la finestra, l'unica della stanza, ma che occupava metà della parete, aprì le persiane in legno e si sentì investire dalla fredda aria autunnale. Gli sembrava secca e silenziosa, sorda come il bussare che aveva sentito poco prima.
Era innegabile che qualcuno, forse uno dei vari barboni alcolizzati della zona, avesse bussato alla porta; per questo Daniele si era mosso lentamente, impiegando più del tempo necessario. Sperava che il visitatore indesiderato se ne fosse andato a importunare qualcun altro.

Poi, i tre colpi si ripeterono.
Un'altra volta ancora.
Sempre lo stesso, identico, sillabato ritmo.

Ora Daniele era arrabbiato. Si precipitò in cucina per prendere uno dei grandi coltelli che usava per tagliare le carni dure, tornò davanti alla porta e osservò dall'occhiello chi si trovasse dall'altro lato. 
Non vide nulla, perché la luce del ballatoio sul quale si affacciava il piccolo appartamento era fulminata. Se lo sarebbe dovuto ricordare.
Allora aprì la porta con un impeto di nervosismo. ‘Basta!’ pensò. 

Poté sentire il suo cuore saltare un battito.
Non appena aveva spalancato la porta, si era sentito morire. Questa si era subito richiusa di fronte a lui.
Non c'era più aria, non riusciva a sentirla entrare nei polmoni, ma continuava a restare in piedi. Non poteva sentire nulla sul proprio corpo perché non ne aveva più controllo, non aveva nemmeno avvertito il coltello che gli scivolava dalla mano e ricadeva sul suo piede destro, nudo. Non aveva sentito la lama affondargli nella carne, trapassargli i muscoli e le cartilagini.
Ora il pavimento sotto di lui era coperto da una chiazza di sangue scuro.
Poteva solo udire, e vedere. 
Poteva udire il silenzio, il completo silenzio che era caduto nella sua casa, il mondo che si era fermato. 
Udiva il rumore del nulla.
Vedeva. Vedeva una sagoma. Grigia o nera? Non avrebbe saputo dirlo. 
Una forma forse umana, lineare, era alta quanto lui, i contorni erano sfocati; non sapeva dire dove finisse e dove iniziasse, ma sapeva che era lì, di fronte a lui.
La testa era contornata da una scomposta massa di, da quello che era in grado di capire, lunghi capelli, fatti della stessa materia inesistente di cui tutta la sagoma era fatta.

"Aiutami" gli comunicò la sagoma senza emettere un suono. Daniele pensò ‘no’.
"Aiutami" gli chiese di nuovo, poteva sentire i suoi pensieri. "No, ti prego!", questa volta l'uomo stava implorando.
"Aiutaci" disse per l'ultima volta la forma, sempre più vicina e visibile nella penombra. Daniele non sentì le lacrime scendere sul proprio viso, quando rispose, con voce impastata e arresa:"sì".

Il buio calò nell'appartamento, le mura si sgretolarono sotto il peso del tempo, tutto era rotto, tutto era nudo e scoperto.
Daniele chiuse gli occhi e trasse l'ultimo respiro di quella vita.
L'ombra lo inghiottì. 

***


Una grande casa, un giardino infinito, inondato da distese di primule bianche. 
All'interno i mobili sono nuovi, le camere spaziose, le finestre non hanno persiane.
C'è un uomo nel grande letto nella camera al secondo piano. E' bello, splende e gioisce mentre dorme, inondato dalla luce del sole e sogna: "Grazie!".

   
 
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