Questo scritto è nato di notte.
Mentre ancora piangevo per quello che era successo durante il giorno.
Non so che cosa sia.
Non so se abbia senso né se apprezzerete.
Io ho tentato di dire qualcosa. Di comunicare un'emozione a parole.
Forse ci sono riuscita.
Probabilmente no.
A voi il gidizio
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Un giorno m’imbattei nello specchio del
corridoio. Quello grande ed antico, che da piccola mi rifletteva come una
principessa.
Stavo
tornando da un sogno e ancora profumavo di speranza.
Decisi
di osservarmi. Di guardare dentro me stessa attraverso gli occhi di
quell’insolito riflesso.
Mi
sedetti a gambe incrociate e presi a scrutare la figura dinnanzi a
me.
Aveva
gli occhi neri.
Due
pozzanghere in cui si specchia una notte nuvolosa.
Due
pozzanghere fangose sulla strada puzzolente di periferia.
In
quelle profonde voragini d’incertezza, vidi una donna in
lacrime.
Mia
madre.
Seduta
sul bordo di un letto sfatto, a piangere nel silenzio della
notte.
La
vidi vomitare di mattina, sul pavimento rosso della cucina e poi, ancora,
sorridere al mio viso stanco mentre puliva in fretta.
Combatteva
nel dolore.
Combatteva
per me, contro un uomo che non la vedeva.
Uscii
dagli occhi ed esplorai il viso.
Sgualcito
ed inespressivo.
Senza
vita. Come il volto di un pagliaccio allegro che ha smesso di sorridere e di
dipingersi la faccia, perché gli tremano le mani.
Perché
il suo corpo si contorce.
E
rividi in quella figura mio fratello, nel suo letto, sussultare dopo le grida.
Paralizzato dal terrore d’essere inadeguato per il mondo.
Indifesa
marionetta nelle mani di un burattinaio crudele.
Tesi
d’istinto le braccia, per abbracciarlo, ma sbattei contro la fredda superficie
dello specchio.
Sbattei
contro me stessa, che ancora una volta mi bloccava.
Sferrai
un pugno a quel riverbero infedele e maligno, ma non s’infranse, protetto dal
suo argenteo aspetto.
E
le mie nocche sanguinarono, nutrendo di sangue la ragazza nello
specchio.
Lottai
contro me stessa.
Lottai
contro ciò che frenava la mia vita.
Lottai
contro quell’illusione.
Ma,
alla fine, compresi.
Che
io osservatrice non fossi, realmente, l’osservata?
Che
io vittima d’un perfido riflesso, non fossi il riflesso stesso che
ferisce?
Mi
avvicinai allo specchio e vidi due figure in lontananza.
Mi
affacciai a quella piccola finestra sulla realtà e riuscii a vedere il sorriso
malinconico di mio fratello e di mia madre salutarmi con inaspettato
affetto.
Mi
contentai di ciò.
Tornai
nel mio incubo, freddamente aggrappata alla mia disillusione, e diedi
un’occhiata all’ennesima macchia di sangue sulla superficie
antica.
Graffiai
con le unghie sul vetro e incisi la data di quel giorno
immaginario.
Tornai
al mio posto e, sedendomi un poco più lontana dalla mia vita, ripresi ad
osservarla.
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