Anime & Manga > One Piece/All'arrembaggio!
Ricorda la storia  |       
Autore: Akemichan    15/12/2014    6 recensioni
"Per gli Alleati e per la Germania, sarà il giorno più lungo." E. Rommel.
Il 6 Giugno 1944 è il giorno che ha cambiato le sorti della Seconda Guerra Mondiale, permettendo agli alleati di sbarcare in Francia ed iniziare la controffensiva contro la Germania. Tuttavia, è stato anche il giorno che ha cambiato le sorti di molti soldati presenti, sia i morti e i sopravvissuti.
Come Sabo, nobile francese, che si è ritrovato a fare i conti fra il suo sogno, la sua famiglia e un paese invaso da liberare. Come Ace, che è diviso tra il desiderio di vendicare un fratello e il dovere di proteggere l'altro, senza dimenticare la promessa che ha fatto ad entrambi. E assieme a loro le storie delle persone che amano, dal fratellino Rufy con il sogno di diventare campione olimpico a tutte quelle persone che hanno caratterizzato la loro vita fino a quel fatale 6 Giugno.
Questa è la loro storia, la storia di tutti loro.
1° Classificata al Contest "Just let me cry" indetto da Starhunter
2° Classificata al Contest "AU Contest" indetto da Emmastar
Genere: Drammatico, Guerra, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Ace/Marco, Koala, Marco, Monkey D. Rufy, Sabo, Sabo/Koala, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

1932 - Parte I
 

Château d'Ô, 28 Luglio

La Grande Depressione era un'ombra nera sul destino del mondo negli anni trenta, con le aziende in fallimento e la disoccupazione imperante. Ciò nonostante gli uomini non si arrendevano, cercando con le proprie forze di portare innovazioni e migliorare la qualità della vita, che fosse con nuove invenzioni o con espressioni artistiche.

Da questo punto di vista, la Francia era uno dei paesi in cui si concentrava la maggior parte degli artisti, pittori e poeti che contribuivano a renderla viva e pulsante. E all'interno della Francia si trovavano anche persone che non solo non erano state colpite dalla crisi, ma che avevano prosperato grazie al loro acume, alle loro conoscenze e alla loro discendenza. Se poi eri il figlio di queste determinate persone l'unica tua preoccupazione negli anni trenta non poteva essere altro che dare la caccia alle anatre, seduto sul bordo del piccolo lago che circondava il castello che rappresentava la tua residenza estiva.

Questa era l'attività a cui si stava dedicando Stelly, il secondogenito della famiglia Outlook, che si stava dedicando appunto ad ampliare la sua mira nel lancio dei sassi, dato che nessuna delle anatre aveva intenzione di farsi colpire da lui.

In realtà, non è corretto sostenere che quella fosse la sua unica preoccupazione, ne aveva anche una seconda, solo che al momento non se ne stava curando. Gli venne in mente quando avvertì uno spostamento d'aria a pochi centimetri dal suo viso, subito seguito dal suono di qualcosa che cadeva in acqua. Stelly voltò appena lo sguardo per notare un fazzoletto bianco che galleggiava fra le ninfee. Capì immediatamente quello che poteva essere successo, perciò si alzò di scatto rivolgendosi verso le finestre del corridoio che sovrastava il portico del castello, ben sapendo che ci avrebbe trovato suo fratello maggiore e il suo amichetto, i quali lo consideravano la loro vittima preferita.

Non fece nemmeno in tempo a vederli, tuttavia, perché un altro fazzoletto attorcigliato e bagnato lo colpì in pieno viso. Stelly barcollò appena per il colpo e ciò lo fece scivolare sul bordo del lago. Incapace di mantenere l'equilibro scivolò in acqua in un tripudio di spruzzi. Riemerse tra le ninfee agitando le braccia: non era mai stato un buon nuotatore.

«Oh, mio Dio!» gridò la madre, che era seduta dall'altra parte del lago, all'interno del giardino all'inglese. «Sabo! Vai immediatamente ad aiutare tuo fratello!»

Invece Sabo si limitò a scattare una foto a Stelly che continuava ad agitarsi come un pesce fuor d'acqua inghiottendo ninfee nel tentativo di respirare. Una delle cameriere uscì di fretta dalla cucina per tentare di salvarlo dall'affogamento. «Sabo, Ace! Smettetela con questi giochi pericolosi.»

Ma a quel punto i due ragazzi se l'era già data a gambe ridendo, lasciando aperta la finestra dietro di loro. Si rifugiarono nell'ufficio del capofamiglia, Outlook III, che al momento era assente per affari, finché non riuscirono a calmare le risa che la loro bravata gli aveva causato.

«Però anche il “tiro allo Stelly” sta diventando noioso» commentò Ace. Si era sdraiato sul tappeto della stanza, con le braccia piegate dietro la testa. «È troppo facile colpirlo.»

Sabo annuì. «Per te, però. Siamo ventiquattro a ventisei.»

«Tutto merito del baseball. Dio benedica l'America!» Si alzò seduto per fissare Sabo, e soprattutto la macchina fotografica che portava appesa al collo. «Speriamo che la foto almeno sia venuta bene.»

«Penso di sì, ho sentito solo cose positive sulla Leica II» rispose lui, soppesandosela con orgoglio fra le due mani. «Ho dovuto mettere da parte parecchie paghette per comprarla, ma credo che ne sia valsa la pena.» Per un attimo, notò uno sguardo d'invidia negli occhi di Ace, che però scomparve immediatamente.

Sapeva che anche a lui sarebbe piaciuto diventare un fotografo, ma negli Stati Uniti le cose non andavano altrettanto bene e al momento non aveva ancora racimolato abbastanza risparmi per potersene permettere una, anche perché non aveva senso comprarne una se non si poteva poi allestire una camera oscura personale.

«Vieni con me» gli disse. Allungò la testa nel corridoio, ma sembrava che la cameriera avesse rinunciato ad inseguirli. Allora si diresse verso lo studio verde e frugò in uno degli armadi, stipati con cianfrusaglie che i suoi genitori conservavano per non voler buttare mai nulla che in futuro avrebbe potuto assumere un valore.

Ace lo fissò interrogativo, ma poi la sua espressione si illuminò quando vide Sabo allungare verso di lui una vecchia macchina fotografica e un paio di rullini. La prese e la tenne delicatamente fra le mani, per paura di romperla.

«È una Leica I, purtroppo è un po' vecchia e non credo producano più rullini adatti» spiegò Sabo, mentre tentava di richiudere lo sportello dell'armadio. «Però puoi usarla per esercitarti finché stai qua.»

«Sicuro che me la puoi dare?» commentò Ace, al quale non importava quanto vecchia fosse, pur di avere una personale, invece di dover sempre chiederla in prestito. «Adesso diventerò più bravo di te.»

«Oh, non credo proprio!» replicò Sabo, che si era voltato immediatamente a fissarlo con sfida. Poi sorrise. «Come vorrei che fossi tu mio fratello.»

Ace annuì. «Io non capisco come tu e Stelly possiate essere parenti...» Si concentrò per un attimo a inserire il rullino nella macchina, e si sentì soddisfatto del rumore che avvertì chiudendo lo sportello. «Come prima foto, bisogna trovare qualcosa di notevole.» Ed il sorriso che aveva in viso significava una cosa sola: qualunque scena avrebbero scelto, sarebbe stata ai danni di Stelly.

«Ho un'idea!» esclamò Sabo, dopo averci riflettuto per un attimo. «Vieni con me.»

Attraversarono il corridoio per tornare nella parte del castello addetta ai servizi e, una volta accertatisi che nessuno li stava osservando, uscirono, superarono il ponte sul lago e si addentrarono all'interno della grande foresta che circondava il giardino della residenza, seguendo il corso del fiume. A non troppa distanza si trovava il mulino e la residenza dei fattori che si occupavano delle proprietà della famiglia Outlook. La grande ruota ruotava lentamente schizzando attorno spruzzi d'acqua.

Sabo si allungò per aprire la porta. «Ehi, c'è nessuno?» chiamò.

«Fermi là!» Dadan, l'enorme donnone che comandava tutto il resto degli operai, si frappose fra i due ragazzi e l'interno, nascondendo alla vista la grande macina che si muoveva lentamente sotto la sorveglianza dei suoi uomini. «Ti ho già detto che questo non è posto per ragazzini!» Nonostante la deferenza nei confronti della famiglia che le dava un lavoro, Sabo era una seccatura perché andava sempre a curiosare nel loro lavoro con quella sua maledetta macchina fotografica. O almeno, questo era quello che diceva per darsi un contegno. «Uhm? E questo chi è?» chiese, notando che il seccatore numero uno della zona era accompagnato da un altro bambino della sua età.

«Il mio amico Ace dagli Stati Uniti» le spiegò allora Sabo. «Lo stiamo ospitando per fare un favore a suo nonno con cui mio padre vuole fare affari.»

«Spero che non sia fastidioso come te!» replicò lei seccata.

«Chi è questa grassona?» domandò Ace un istante dopo.

«Chi hai chiamato grassona?!» Dadan sembrava sul punto di esplodere, perciò gli altri contadini dovettero trattenerla indietro per farla sfogare senza che potesse scatenarsi.

«Va tutto bene, Sabo?» lo salutò uno di loro, Dogura. «Avete bisogno di qualcosa.»

Sabo ringraziò che ci fossero lui e Magura, perché dubitava che sarebbe riuscito a tirare fuori qualcosa da Dadan. «Volevo un sacchettino di farina...»

«Oh!» Ace fissò l'amico e capì immediatamente che cosa aveva in mente. Un sorriso si dipinse sul suo volto.

«Non vorrete fare qualche scherzo, vero?» commentò Magura, ma alla fine recuperò un piccolo sacco, con abbastanza farina ma non troppo pensante affinché i due bambini riuscissero a trasportarlo senza troppe difficoltà. Né Ace né Sabo garantirono che non sarebbe stato usato in modo improprio.

Difatti il loro obiettivo fu di appenderlo sopra la porta della stanza di Stelly, lasciandola appena socchiusa, quindi nascondersi all'interno ad aspettare il suo arrivo. Fu un'attesa lunga, insopportabile, ma di fronte al fatto che per un fotografo imparare la pazienza era fondamentale resistettero. Non riuscirono però a non chiacchierare, cosa che fu la loro fortuna perché quando Stelly comprese che si trovavano nella sua stanza si precipitò ad aprire la porta di scatto. Il sacchetto precipitò quindi con forza su di lui: la farina lo ricoprì completamente , con nuvolette bianche che si allargarono poi sul pavimento e sul tappeto attorno.

Ace e Sabo scattavano fotografie e contemporaneamente ridevano, cosa che probabilmente non aiutava a realizzare delle foto decenti, tuttavia la situazione era troppo comica per resistere. Stelly si pulì gli occhi, col risultato di farci finire più farina. Così, con le palpebre chiuse e i bulbi che gli bruciavano cercò di gettarsi contro di loro, spargendo farina ovunque e scatenando maggiormente la loro ilarità, dato che anche in circostanze normali non era all'altezza di nessuno dei due.

«Che cosa sta succedendo?» Outlook III, evidentemente appena tornato dal suo viaggio d'affari, si era appena materializzato sulla porta. Osservò disgustato le scarpe che si stavano sporcando di farina. Stelly si precipitò verso di lui a tentoni, piangendo.

«Papà, Sabo ed Ace sono cattivi!»

I due interessati erano rimasti fermi, le mani sulle loro macchine fotografiche e gli occhi che guardavano da un'altra parte, con indifferenza. Nessuno dei due aveva paura del padre di Sabo, ma sapevano che era molto severo e qualunque sia decisione avrebbe comunque guastato il loro divertimento.

Outlook li guardò con uno sguardo esasperato, poi si chinò a prendere il suo secondogenito in braccio. «Siete fortunati che non abbiamo tempo da perdere» disse infine. «Preparatevi, torniamo a Parigi.»

«Perché?» domandò Sabo, stupito. Adorava la città, quando poteva abitarci senza dover andare a scuola, ma era raro che vi si recassero d'estate.

«Il Viceammiraglio Garp sta arrivando, dobbiamo andare ad accoglierlo» spiegò suo padre. Poi si rivolse ad Ace. «A quanto pare, arriverà anche tuo fratello.» Quindi si voltò. «Andiamo a lavarci, Stelly. Comunque, dovresti imparare a difenderti meglio, ci sono squali ben peggiori là fuori.»

A Sabo non importava che suo padre preferisse il suo fratellino, ma era rimasto sorpreso dalla novità. Sapeva che era probabile che prima o poi il nonno di Ace sarebbe potuto venire a visitare di persona la Francia, però non si aspettava succedesse così in fretta, e soprattutto non si aspettava che portasse con lui l'altro suo nipote. Ace ne parlava come un seccatore di dimensioni colossali.

«Vengono tuo nonno e tuo fratello» ripeté stupidamente, con la speranza di avere qualche reazione da parte di Ace.

«Non sono davvero mio nonno e mio fratello, sono un vecchio che si occupa di me e suo nipote» ribatté Ace. «Speravo di essermene liberato per un po'.»

«Se non altro avremo qualcun altro a cui fare scherzi, per uscire dalla noia di Stelly» mormorò Sabo, cercando di suonare divertente. Non sapeva bene com'erano i rapporti tra Ace e la sua famiglia, ma aveva l'impressione che fossero pessimi tanto quanto i suoi con suo padre, per cui evitava di chiedere.

«No» disse Ace alla fine. «Rufy è meglio di Stelly, in un certo senso. Dall'altro lato, però... è molto, molto peggio.»

 

Parigi, 13 Agosto

Mentre gli adulti erano a pranzo da altri nobili ed imprenditori parigini, la bambinaia si occupava di preparare i pasti per i quattro bambini di casa. Incurante delle sue proteste, Ace e Sabo si erano seduti sul pavimento, il piatto davanti a loro, ad ascoltare la radio. Il presentatore annunciò la vittoria di Louis Salica nel pugilato durante lo scontro per il terzo e quarto posto.

«E con questo sono 103 medaglie per gli States!» contò sulla punta delle dita Ace, con evidente soddisfazione. «E primo posto.»

Sabo sbuffò. «Non posso credere che la Francia abbia vinto solo diciannove medaglie...»

«Quando sarò io alle Olimpiadi, porterò l'oro agli States, non il bronzo.» Rufy era seduto al tavolino, ma spostato abbastanza vicino a loro per riuscire ad ascoltare i loro discorsi, e si stava leccando le dita della mano sporche di olio.

Ace si voltò appena verso di lui con uno sguardo di sufficienza in viso. «Tu alle Olimpiadi? E in qualche disciplina, idiozia acuta?»

«Pugilato!» ribatté Rufy, non cogliendo in pieno l'insulto che gli era stato lanciato. «Il mio pugno è fortissimo!»

Sarebbe bastata la prima affermazione a farli ridere, ma la seconda li fece sganasciare: Sabo ed Ace si sdraiarono praticamente sul pavimento, incapaci di contenersi. Era in parte una farsa, ma entrambi ritenevano un'idiozia l'affermazione di Rufy, che era piccolo e magro anche per un bambino della sua età.

«Non riderete così quando dovrete farmi una foto sul podio!» ribatté Rufy, dopo aver finalmente capito che non gli stavano credendo. Strinse una mano sulla tesa del cappello di paglia, che non si levava mai. «L'ho promesso a Shanks...» mormorò.

Ace si alzò in piedi di scatto e gli strappò il cappello dalla testa, tenendolo poi in alto sopra di lui. «Ah, sì? Allora fammi un po' vedere questo tuo famoso pugno.»

«Ridammelo!» Rufy si arrampicò sulla sedia per cercare di recuperarlo, ma Ace si allontanò e continuò a tenerlo fuori della sua portata. Sobbalzò solo un attimo quando Rufy si gettò contro di lui a testa bassa, riempiendogli il petto di colpi, ma la realtà era che fisicamente era troppo allenato perché i pugni di un bambino di tre anni più piccolo potessero scalfirlo.

«Dai, smettila» disse Sabo. Prese la sua macchina fotografica e se la mise al collo. «Abbiamo di meglio da fare.»

Ace allontanò Rufy con una spinta e poi lanciò il cappello dalla parte opposta della stanza, per costringerlo a corrergli dietro, quindi afferrò la sua personale Leica. «Hai ragione.»

«Non potete andare in giro da soli!» protestò la bambinaia, che però non riusciva ad essere abbastanza autorevole da fermare l'impeto dei due bambini. Li lasciava semplicemente fare, fingendo con i genitori che andasse tutto bene e pregando che non succedesse loro niente mentre erano al di fuori della sua guardia.

Ace non aveva nulla di personale contro di lei, ma andare a spasso con il cane da guardia dietro non faceva per lui. Adorava troppo Parigi per poter sopportare che qualcuno controllasse i suoi movimenti.

Quando vi aveva abitato in precedenza non era riuscito ad apprezzarla così tanto perché i loro movimenti erano limitati dagli orari del collegio e delle lezioni di scherma e di pianoforte, tutte cose che non gli interessavano minimamente. L'unico quartiere che aveva esplorato a sufficienza era l'Île Saint-Louis, dove si trovava la residenza di Sabo.

Ora che però aveva la possibilità di utilizzare tutte le ore del giorno per esplorare, vedeva Parigi per quello che realmente era: una città viva e pulsante, tutto il contrario della sua Boston ormai svuotata dai contadini e riempita dai disoccupati a seguito della crisi.

Adorava correre tra i vicoli di Monmatre e Montparnasse, aspirare gli odori delle crepes e delle baguette che si mescolavano alla pittura degli artisti, ascoltare il particolare jazz che proveniva dai bar ed osservare gli altri fotografi, come loro, alle prese con il desiderio di immortalare una coppia che si baciava su una panchina. I palazzi antichi gli davano l'idea di trovarsi in una città davvero importante, con una storia fondamentale per il mondo, qualcosa che valeva la pena di essere fotografato. Spesso rimaneva sorpreso ed estasiato per le piccole cose, come il tram che attraversava la strada con le persone stipate al suo interno.

Sabo era un'ottima guida, e lo portava sia nei luoghi principali come l'imponente torre Eiffel o l'ombra dell'arco di trionfo, sia nei vicoli sconosciuti pieni di banchi del mercato da cui si riusciva sempre a rubare un frutto o un macaron. Facevano molte foto, a tutto ciò che li colpiva, ma spesso si mettevano semplicemente sulla riva della Senna a lanciarsi la palla da baseball che Ace aveva portato direttamente dall'America. Molti bambini erano rimasti impressionati dal loro gioco, ma non avevano dato confidenza a nessuno. Ace sapeva che lo consideravano solo uno yankee, curioso ma inferiore ai parigini, e Sabo non voleva rischiare che si stessero avvicinando solo per i soldi della sua famiglia.

E poi, bastavano a loro stessi.

«Se adesso fingessi di sbagliare e prendessi in pieno quell'uomo?» domandò Ace, in equilibrio su un piede solo e con il braccio alzato, la mano che stringeva la palla.

Sabo si voltò per vedere un pittore che dipingeva la Senna en plein air, residuo di una moda impressionista ormai passata. «Suppongo che gli rovineresti accidentalmente il quadro...» Non sapeva se incoraggiare lo scherzo, che sarebbe stato indubbiamente divertente, o risparmiare il povero artista.

Ace ghignò e prese la mira, ma non attimo prima di tirare sentì qualcuno chiamarlo e la palla gli scivolò dalle mani, rischiando invece di colpire Sabo in pieno viso.

«Aaaace! Saaabo! Vi ho trovati!» Rufy era a poca distanza, in cima alla strada che costeggiava la Senna e attirava la loro attenzione agitando le braccia in maniera inconsulta, totalmente incurante dello sguardo seccato che gli era stato rivolto. La bambinaia aveva arrancato dietro di lui, visibilmente col fiatone ma sollevata di averli ritrovati ancora una volta sani e salvi.

«Coraggio, bambini, torniamo tutti a casa.»

Sabo ed Ace si scambiarono un'occhiata, decidendo silenziosamente di obbedire. Anche se l'avessero ignorata e se ne fossero andati, ormai Rufy li aveva beccati e riuscire a seminarlo avrebbe guastato tutto il divertimento, costringendoli a sprecare le ultime ore della giornata.

«Avevi ragione, tuo fratello è una seccatura enorme» commentò Sabo, mentre recuperava la palla.

«Te l'avevo detto.» Ace sbuffò. «E non è mio fratello.»

Ritornarono mogi alla residenza della famiglia Outlook, ma tutti i loro sforzi per far capire a Rufy che non lo sopportavano risultavano vani, dato che la sua insistenza era direttamente proporzionale ai trattamenti rudi che riceveva. Fu un sollievo per i due arrivare a casa e rifugiarsi nel ripostiglio che Sabo aveva adibito a camera oscura per sviluppare le fotografie. Potendo chiudersi dentro a chiave, avrebbero impedito a Rufy di stare loro troppo vicino.

Ovviamente, lui non si perse d'animo e continuò a battere i pugni contro la porta nella speranza che lo facessero entrare. «Aprite! Voglio vedere anche io che cosa fate!» La porta chiusa che gli impediva di scoprire i segreti dei due fratelli aumentava la sua curiosità fino a renderla insopportabile.

«Vattene via!» ribatté Ace da dentro, con le mani premute nelle orecchie. Quando Sabo ebbe finito di preparare le vasche per lo sviluppo, Rufy aveva fortunatamente smesso di lamentarsi. «Oh, silenzio, finalmente!» Ace si avvicinò per osservare meglio il processo: l'aveva visto più volte ma continuava a restare sbalordito dalla precisione di Sabo nello sviluppo. Aveva paura di non riuscire ad essere altrettanto abile ed ogni tanto si chiedeva se loro due non avrebbero potuto continuare a lavorare assieme in eterno, come una squadra.

Da fuori, Rufy si era accasciato a terra davanti alla porta. Voleva davvero entrare e vedere che cosa stavano facendo. Sentiva che qualunque attività Sabo ed Ace svolgessero era sicuramente un'avventura divertente e voleva parteciparvi, ma non riusciva a capire quale fosse il problema. Probabilmente bastava semplicemente insistere.

«Non prendertela, sono piuttosto selettivi quando si tratta dei loro segreti.» Stelly si era avvicinato a lui quando l'aveva visto accasciato davanti alla porta. «Io stesso ci ho messo del tempo prima che mi facessero entrare.»

«Sei entrato là dentro?!» Rufy balzò in piedi ed lo guardò con occhi nuovi. A pelle non gli era mai stato troppo simpatico e trovava le sue attività noiose, ma quella rivelazione lo rendeva in un attimo estremamente interessante.

«Esatto» gonfiò il petto Stelly.

Rufy scoccò un'occhiata alla porta. «E perché adesso sei chiuso fuori come me?» domandò innocente, senza rendersi conto di essere vicino a riconoscere una bugia.

Sfortunatamente Stelly si riprese subito dalla domanda arguta. «Oh, non m'interessa quello che fanno.» Agitò la mano in maniera noncurante.

«A me sì!»

«Be', allora devi guadagnartelo.» Un luccichio maligno comparve negli occhi di Stelly. «Devi dimostrargli di essere alla loro altezza, oppure non ti considereranno mai.»

«E come si fa?» Rufy stava intravedendo una possibilità di avvicinarsi al mondo di Ace e Sabo e avrebbe fatto di tutto per coglierla.

«Oh, è molto semplice...»


Parigi, 16 Ottobre

Sabo frugò nel vaso dove aveva nascosto la chiave della sua stanza oscura, senza trovarla. Le cambiava nascondiglio ogni volta, perché non si fidava degli scherzi che poteva tirargli Stelly, quindi pensò che forse non era il posto giusto.

Si voltò verso Ace. «Ti ricordi se l'ho messa da qualche altra parte?»

Ace smise di tirare la palla da baseball contro il muro. «Non la trovi?»

Sabo scosse la testa, poi tentò di nuovo di riguardare nel caso l'avesse nascosta troppo bene anche a se stesso. «È strano. Sono sicuro di averla messa qua proprio perché è fuori dall'altezza di Stelly e Rufy...»

«Ti hanno visto nasconderla?» domandò Ace, con un forte sospetto improvvisamente in mente.

«Sì» annuì Sabo. «Sai che Rufy ci viene sempre dietro, ma sono stato ben attento che non fosse nei paraggi quando l'ho messa qui.»

Non che un ostacolo del genere potesse fermare un guastafeste come Rufy. Ace aveva un brutto presentimento. «Andiamo a vedere» affermò, quindi lo precedette lungo il corridoio verso il ripostiglio, che si trovava dietro l'angolo vicino alle scale, in un posto buio e facilmente visibile, motivo per cui ad Outlook non interessava molto cosa ci fosse all'interno.

Ace sfiorò appena la porta e la sentì muoversi sotto di lui: non era chiusa a chiave. Scoccò un'occhiata a Sabo, quindi la spalancò improvvisamente. Non successe nulla. Allora si decise ad entrare con prudenza ed allungò la mano per accendere la luce: non avevano lasciato rullini in vista, quindi sentiva di poterlo fare senza pericolo.

Nonostante i suoi sospetti, la visione lo colpì comunque in maniera devastante: tutto era per terra e distrutto. I liquidi per lo sviluppo erano stati rovesciati a terra rendendo il pavimento una sorta di lago appiccicoso, su cui galleggiavano in mille pezzi tutte le fotografie che avevano scattato nel momento in cui Ace aveva ricevuto la Leica in regalo. Anche i macchinari che Sabo si era procurato con risparmio erano stati battuti fino a distruggersi. I rullini erano stati srotolati e gettati per terra alla stessa maniera.

«No...» Sabo si gettò al centro della stanza, nella speranza di trovare qualcosa che non fosse stato distrutto. Si chinò, ma non riusciva nemmeno ad afferrare le fotografie che si erano appiccicate al pavimento.

«Mi dispiace...»

Sabo alzò lo sguardo, e così fece Ace: solo in quel momento notarono che Rufy era seduto ad un angolo della stanza, con le guance piene di lacrime e gli occhi nascosti dall'enorme tesa del cappello di paglia. «Mi dispiace...» ripeté, in un singhiozzo quasi incomprensibile. «N-non volevo... N-non sapevo...»

«Che cosa hai fatto?!» sbottò Sabo. Si alzò in piedi di scatto e si avvicinò verso di lui.

Rufy singhiozzò ancora, ma deglutì. Quando riaprì la bocca, la sua voce era più chiara: «Mi aveva detto che se avessi trovato la chiave vi avrei dimostrato che potevo giocare con voi. Però poi me l'ha presa e... Ho cercato di fermarlo...». A ben notare, aveva alcuni graffi sulle braccia.

Era chiaro di chi stesse parlando. Prima che Sabo potesse anche solo imprecare, Rufy aggiunse: «Ha preso le macchine». Era vero: tra tutte le rovine della stanza, nessuna delle due Leica era in vista, intera o distrutta.

In quel momento, Ace scattò. Non sapeva dove avrebbe potuto trovare Stelly, ma avrebbe corso per tutta la residenza finché non l'avesse scovato. Non fu necessario, dato che era dove sempre, nella sua camera a studiare. Ace lo afferrò per il bavero della camicia e lo trascinò in malo modo contro la parete.

«Non è così bello quando siete dall'altra parte dello scherzo, vero?» commentò Stelly, ma tremava sotto la sua presa. Fissò il pugno che Ace aveva alzato. «Non oserai...»

Ed Ace osò: lo colpì al viso finché non sentì il sangue sulle nocche, quindi lo gettò a terra. A quel punto, Sabo e Rufy lo avevano raggiunto, ma nessuno dei due fece una mossa per fermarlo. «Dove sono le Leica?» domandò

«Mio padre te la farà pagare!» ansimò Stelly, prima di essere colpito da un calcio all'addome.

Sabo fece un passo avanti e trattenne Ace per un braccio, ma non sembrava né impressionato né dispiaciuto per l'intera scena. «Vogliamo solo le nostre macchine fotografiche. Dove sono?»

Stelly sembrava sul punto di confessare, ma poi alzò lo sguardo al suono dei rumori ed improvvisamente sorrise. Gli adulti erano appena tornati a casa e non furono per nulla soddisfatti della scena che si presentava ai loro occhi. Stelly si gettò nelle braccia della madre, piangendo.

«Cos'è successo?» domandò Outlook, passando gli occhi fra i suoi due figli.

«Mi ha distrutto la camera oscura e mi ha rubato le macchine fotografiche» spiegò Sabo.

«E io l'ho picchiato» aggiunse Ace, ma venne ignorato.

«Ha fatto bene» fu il commento di Outlook. «Era ora che la smettessi con questo passatempo inutile.»

«Non è un passatempo inutile!» protestò Sabo, e questa volta fu il suo turno ad essere ignorato, perché suo padre si rivolse direttamente a Garp, che stava osservando la scena senza apparire particolarmente impressionato.

«Viceammiraglio, mi dispiace. Voglio continuare a fare affari con lei, ma non posso più tollerare suo nipote in casa mia.»

«Suvvia, è solo una lite tra bambini!» Garp rise: per come li aveva allevati, il fatto che avessero fatto a botte doveva renderlo orgoglioso.

«Non la penso così» ribatté Outlook. «Suo nipote ha una cattiva influenza su mio figlio e l'ho sopportato abbastanza. Ovviamente restate miei ospiti e ci penserò io a pagarvi l'albergo migliore di Parigi, ma voglio questo problema fuori da casa mia in serata.»

«No!» protestarono contemporaneamente Sabo e Rufy, ma la decisione era stata presa, perché Outlook non si preoccupò nemmeno di discutere oltre: prese Stelly in braccio e si allontanò chiamando la bambinaia, rea di non aver controllato i bambini a sufficienza.

To be continued...
 
***
 
Akemichan parla senza coerenza:

Quest'estate sono andata in vacanza in Normandia per l'anniversario dei Settant'anni dallo sbarco e l'emozione che ho provato sulla spiaggia di Omaha Beach e al Cimitero dei Caduti Americani è stata così forte che sapevo che dovevo scrivere qualcosa. Il fatto che sulla tabella della maritombola mi sia capitata proprio la "war AU" è stato un segno del destino, così come il prompt per il Contest AU di Emmastar, per cui mi sono messa a scrivere sul fandom che mi dà più emozioni di recente ed è saltata fuori questa long, in cui ho cercato di mettere le sensazioni che ho provato in Normandia, e spero di esserci riuscita.
I personaggi sono per la maggior parte quelli di One Piece (negli avvisi ho citato i principali, ma ce ne sono molti altri) ma compaiono anche alcune personalità storiche realmente esistenti, anche se magari meno conosciute. Mi sembrava comunque giusto, nei confronti di questi veri eroi di guerra, che avessero una comparsa nella storia, oltre al fatto che danno un tocco di realismo.
Una nota fondamentale: character!Death. E' la storia di una guerra, non potevo fare altrimenti, quindi siete avvertiti.
Ringrazio Mad_Fool_Hatter che mi ha betato la storia e mi ha aiutato con alcune imprecisioni. La fanart scelta coem copertina (perché l'unica che avesse un qualche collegamento con i personaggi in tenuta da guerra) è della bravissima Tsuyomaru, andate a vedere le sue fanart perché sono meravigliose.

Bibliografia/Filmografia/ecc:

La "Trilogia del Secolo" di Ken Follet
"Mezzanotte a Parigi" di Dan Franck
"Suite Francese" di Irene Nemirovsky
"Il ballo" di Irene Nemirovsky
"The longest Day" di Cornelius Ryan

La bibliografia di Tony Vaccaro
La bibliografia di Irene Nemirovsky

Documentari del National Geographic
Salvate il soldato Ryan
Bastardi senza gloria
Il Giorno più lungo

Wikipedia
Mémorial de Caen


 

 
 
   
 
Leggi le 6 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > One Piece/All'arrembaggio! / Vai alla pagina dell'autore: Akemichan