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Autore: EnryS    15/12/2014    2 recensioni
Wanda si fidava di lui, lui che continuava a promettere e promettere. L’unica ragione per cui Pietro riusciva a trovare la forza di andare avanti, in quel loro terrificante e infinto vagabondare, era che sua sorella ci credeva davvero che lui sarebbe riuscito a mantenerle, tutte quelle promesse.
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Lui può superare la velocità del suono, lei è in grado di alterare la realtà.
Ma prima degli Avengers, prima della Confraternita di Magneto, prima di diventare Quicksilver e Scarlet Witch, Pietro e Wanda Maximoff erano solo due ragazzini rimasti orfani troppo presto, costretti a vivere alla giornata, attraversando i Balcani nella speranza di raggiungere un luogo da poter, finalmente, chiamare casa.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Confraternita, Erick Lensherr/Magneto, Pietro Maximoff/Quicksilver, Wanda Maximoff/Scarlet Witch
Note: Missing Moments, Otherverse | Avvertimenti: Incest, Non-con, Violenza
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The eyes are not here
There are no eyes here
In this valley of dying stars
    In this hollow valley
    This broken jaw of our lost kingdoms

 
In this last of meeting places
    We grope together
    And avoid speech
    Gathered on this beach of the tumid river.
 
 
 
 
 
 
Berkovitsa, Bulgaria – 1988.
 
«Svegliati, Wanda. Svegliati. È solo un brutto sogno.»
Lei aprì gli occhi, trovando immediatamente quelli di suo fratello, così chiari da risplendere anche in quel buio pesto. Gli afferrò le braccia, ancora terrorizzata e stordita.
«Credevo che mi avreste…» provò a spiegare. Era stato solo un sogno, eppure la sensazione della terra che le cadeva sulla pelle del volto era stata così reale che Wanda ne ricordava perfettamente il peso, l’umidità, l’odore. Si passò una mano sul viso.
«Era così reale, Pietro. Era così reale.»
«Va tutto bene, è stato solo un brutto sogno.»
Lei lo abbracciò, incapace di trattenere le lacrime.
E poi c’erano mamma e papà, pensò, con il cuore colmo di tristezza, senza trovare il coraggio di dirlo ad alta voce. Le era sembrato proprio che stessero guardando verso di lei, eppure i loro sguardi non avevano niente di familiare. Né la dolcezza e la vivacità degli occhi azzurri della sua mamma, né la fierezza e l’allegria degli occhi neri di suo padre.
Nel suo sogno gli occhi dei suoi genitori erano opachi, assenti, quasi completamente bianchi.
Morti, si disse, ingoiando qualche lacrima.
Eppure era lei che stavano seppellendo, e nessuno sembrava accorgersi che non fosse davvero morta, nemmeno Pietro. Anche lui aveva guardato verso di lei senza rendersi conto che era viva, che la stavano seppellendo viva.
Tornò a guardarlo negli occhi, per assicurarsi che non fossero opachi e assenti come erano stati nel suo sogno. Pietro stava ancora sorridendo, così Wanda provò timidamente a ricambiare. Sapeva quanto raramente lui sorridesse, soprattutto negli ultimi tempi, e la consapevolezza che lo facesse solo per lei la fece sentire enormemente riconoscente. Doveva aver fatto qualcosa di buono in un’altra vita per aver meritato un fratello come lui.
Che sogno stupido, si disse, scuotendo la testa. Pietro non lascerebbe mai che qualcuno mi seppellisca viva.
«Ho creduto che…» provò a raccontargli, per esorcizzare la paura, ma non potè continuare la frase. La sua attenzione fu improvvisamente catturata da quell’insolito rumore di sottofondo: era come un ticchettio, si disse, come se la stanza fosse piena di orologi tutti regolati su un ritmo differente.
Scattò all’indietro con una mano a coprirsi la bocca.
«Pietro!» gridò.
«Non fa niente» rispose lui, accarezzandole i capelli, riuscendo solo in parte a nascondere l’inquietudine dietro un sorriso maldestro.
Scarafaggi, vermi, ragni e formiche si accalcavano gli uni sugli altri. Erano così tanti che Wanda non riusciva più a vedere il pavimento.
«Che è successo?»
«Non importa. Non fa niente» ripetè suo fratello.
Lei riportò lo sguardo al pavimento mentre un terribile sospetto si faceva largo nella sua mente.
La terra, ricordò. I morti.
«Sono stata io?» domandò, sconvolta. Lui scosse la testa, ripetendo l’ennesimo non fa niente.
Wanda si strinse le ginocchia al petto.
«Oddio, Pietro… mi dispiace. Mi dispiace tanto. Scusami, non volevo… io… non volevo…»
«Wanda, ascoltami: va tutto bene, non fa niente. Sono solo insetti. Guarda» Pietro prese una manciata di quegli orribili animali dal pavimento e li lanciò lontano, ridacchiando. «Vedi? Non mi fanno paura. Non fanno niente. Fanno solo un po’ schifo. Vieni, adesso ce ne andiamo.»
«Pietro…»
«Forza» la incoraggiò, «ti porto sulle spalle, così non ci cammini sopra.»
«Ma dobbiamo prendere le nostre cose» esitò la ragazza, prima di realizzare con amarezza che gli insetti erano ormai anche sulle mensole e ricoprivano abbondantemente i vestiti che, come al solito,  avevano lasciato accatastati sulla vecchia sedia di legno.
«Ne prenderemo di nuove» tagliò corto Pietro, usando il suo tono più rassicurante. «Ma ce ne dobbiamo andare subito.»
Wanda inspirò, avvilita. Pietro sapeva, come sapeva lei, che molto probabilmente gli insetti non erano la cosa peggiore che si fosse palesata nel circondario e che non avevano molto tempo prima che qualcun altro se ne accorgesse. Entrambi sapevano che a quel punto tutti avrebbero incolpato loro, gli strani gemelli sbucati dal nulla.
Inquietavano la gente, Wanda lo sentiva da come li fissavano. Pietro, per farla ridere, dava la colpa al colore dei suoi capelli, ma la realtà era che, in qualche modo, loro avvertivano che qualcosa in lei era anomalo, sbagliato. Bastava un’occhiata per farla sentire esposta, vulnerabile.
Spaventata, così tanto come non lo era mai stata. Dopotutto erano Rom, cresciuti tra gli sguardi di disappunto e i commenti razzisti della gente. Non si erano mai lasciati impressionare da quel genere di cose, ma ora era diverso. Non si trattava più soltanto di essere disprezzati: adesso la gente aveva paura di loro, e la paura trasformava le persone.
La paura, alla fine, diventava sempre rabbia. Era solo questione di tempo.
«Prenderemo dei vestiti più belli» disse Pietro. «E poi questa baracca faceva schifo. Troveremo un posto più bello. Prenderemo delle cose più belle. Vestiti, scarpe… prenderò tutto quello che ci servirà, te lo prometto.»
Non è giusto, pensò Wanda, mordendosi le labbra. Non era concepibile vivere in quella maniera. Avrebbero dovuto dormire senza un solo pensiero nella mente, non organizzare fughe nel bel mezzo della notte. Erano soltanto dei ragazzini.
No, si disse. Non lo siamo.
Basta guardare cosa ho appena fatto.
Pietro si era girato, invitandola ad aggrapparsi sulle sue spalle.
Lei gli si strinse al collo, non osando dire nulla, consapevole che la colpa di quel disastro era soltanto sua.
Suo fratello voltò leggermente la testa, cercando i suoi occhi.
«Penserò a tutto io, vedrai.»
Si aggrappò più forte a lui, facendo appello a tutte le sue forze per non scoppiare a piangere, mentre uscivano da quel piccolo capanno che avevano, per un po’, chiamato casa.
Pietro iniziò a correre e non rallentò mai, neanche un attimo per riprendere fiato. Wanda restava sempre sorpresa di quanto veloce suo fratello potesse correre anche portandola in spalla. Osservò,  pensierosa, quel piccolo mondo che le sfrecciava accanto: le casette di legno, gli alberi, i capanni delle galline, le cataste di paglia, i recinti con i cavalli. Non le era familiare. Non avevano avuto abbastanza tempo.
Chissà se un giorno abiteremo in un posto abbastanza a lungo da conoscerlo davvero, si chiese, con il cuore pieno di sconforto.
E dire che le era sempre piaciuta la vita nomade. Vedere continuamente nuovi paesi, ammirare paesaggi sconosciuti, scoprire come potessero essere diversi i tramonti a seconda dei mesi dell’anno. Ascoltare gli accenti che si trasformavano e i dialetti che cambiavano. Sperimentare climi, odori e sapori sempre differenti. Ripensò ai rituali della kumpanía, quando la carovana si fermava e lei, insieme alla mamma, iniziava a sistemare le roulotte e i piccoli tavoli di legno, mentre Pietro aiutava loro padre a montare i carretti con le marionette. Riunirsi con le altre famiglie la sera per mangiare. Stare seduti accanto al fuoco e ascoltare Vajda raccontare quelle sue incredibili storie. E poi cantare, danzare, ridere…
Arrivato alla riva del Berkovitsa Pietro si fermò, facendola scendere.
«Non sei stanco?» gli chiese, mettendo i piedi per terra.
Pietro si limitò a scuotere la testa. «Ma congeleremo, senza le scarpe» disse, pensieroso.
«Lo so» concordò, mentre, col dorso della mano, allontanava una di quelle disgustose creature striscianti che le era rimasta attaccata al polpaccio. Mancava poco alla luna nuova, forse un giorno, e in quell’oscurità Wanda faticava a mettere a fuoco.
Pietro si mise le mani sui fianchi, guardando fisso davanti a sé.
«Resta qui, torno subito.»
Wanda gli afferrò il polso, spalancando la bocca ma incapace di lasciare fuoriuscire alcun suono, lacerata fra il desiderio di supplicarlo di non lasciarla e quello di volersi dimostrare forte come lui.
«Farò presto, te lo prometto» disse e, prima che lei potesse ribattere, aveva già iniziato a correre nella direzione da cui erano venuti. Wanda lo guardò diventare sempre più piccolo fino a scomparire del tutto. Solo allora riportò lo sguardo allo specchio d’acqua, abituandosi lentamente a quell’oscurità.
Quando vide il primo pesce che galleggiava, senza vita, non provò più neanche sgomento.
Poggiò pesantemente la schiena al tronco di un albero, senza un solo pensiero in testa. Non era nemmeno più in ansia per l’assenza di Pietro. Improvvisamente si sentiva solo stanca, stanca in una maniera sconosciuta: quella che provava era una spossatezza desolante, senza rimedio.
«Guarda!» esclamò suo fratello, appena arrivato, porgendole degli stivali di cuoio e una mantella rossa.
Gli occhi azzurri spalancati e luminosi, un sorriso soddisfatto sulle labbra. Pietro era raggiante. Indossava una giacca di pelle marrone chiaro e degli scarponi da lavoro. Non aveva neanche un po’ di fiatone, nonostante la corsa. Era come se suo fratello avesse un misterioso ed esclusivo accesso a qualche fonte magica di energia vitale. Senza di lui a trascinarla in giro, si sarebbe arresa al suo destino. Forse non subito, ma quel giorno lo avrebbe fatto di certo.
«Tu, guarda» rispose, avvilita, indicando i cadaveri dei pesci e delle rane che, trascinati dalla corrente, come parodiando un corteo funebre, percorrevano lentamente il torrente.
«Merda» commentò Pietro, abbassando le braccia.
«Già.»
«Ma questo… andiamo» rise lui, nervosamente. «Wanda, non puoi aver… non è possibile.»
«E cosa era possibile, Pietro? Gli scarafaggi? Il cavallo che ha fatto rovesciare il carro addosso a quegli uomini? O le tubature che sono esplose nella taverna? O quando…»
«Basta così» la interruppe lui, prendendola per le spalle. «Non importa, okay? Non importa, adesso. Ce ne dobbiamo andare. Non possiamo…»
«Cosa? Parlarne adesso?» gli fece il verso, senza comprendere se fosse arrabbiata, triste o solo stremata.
«Bravissima. Esatto, Wanda. Non adesso.»
Suo fratello non intendeva darle corda e lei si liberò dalla sua presa con un gesto di stizza.
«Non adesso, non adesso… È quello che dici tutte le volte!»
Pietro inspirò, chiudendo gli occhi. Stava perdendo la pazienza.
Bene, pensò lei. Finalmente.
«Okay, ma adesso è vero» cercò di concludere, rimanendo pacato. «Puoi per favore mettere questi stivali così ce ne andiamo?»
Wanda si sentì avvampare dalla rabbia.
Odiava quel tono condiscendente. Odiava che lo usasse con lei. Odiava che facesse finta di niente.
Pietro continuava a ripetere che non importava, ma non era vero. Non era vero che non importava. Non era vero che sarebbe andato tutto bene. Perché lui non poteva ammetterlo, almeno per una volta? Perché non poteva confessarle che quei maledetti insetti avevano mandato fuori di testa anche lui? Se non gli insetti, almeno tutti quegli animali morti. Come poteva farsi sempre scivolare tutto addosso?
Perfino mamma e papà.
«Non vengo da nessuna parte» sibilò, incrociando le braccia sul petto, concentrandosi con tutte le forze per non piangere.
«Wanda…»
«Sono stanca!» gridò, spintonandolo.
Lui accusò la spinta, indietreggiando di un passo, e poi rimase in silenzio per qualche lunghissimo istante, fissandola con la sua espressione più feroce.
«Mettiti questi cazzo di stivali» disse tra i denti, lanciandoglieli.
Wanda provò ad afferrarli ma uno sfuggì alla sua presa. Guardare quello stivale cadere, consapevole che non avrebbe potuto far nulla per fermarlo, la fece inspiegabilmente precipitare in un abisso di sconforto. Ebbe la sensazione che una creatura oscura e crudele, fuoriuscita dalle viscere della terra, l’avesse afferrata per le caviglie, strattonandola con violenza per trascinarla con sé nel sottosuolo. Cadde carponi, affondando le dita nella fredda e umida rena della riva, incapace di trattenere i singhiozzi e odiandosi ferocemente per l’inadeguatezza del momento.
Pietro si precipitò ad abbracciarla, stringendola con così tanta energia da farle quasi male. Suo fratello continuava a rinsaldare la presa: ogni millimetro guadagnato era una piccola vittoria, in quel disperato tentativo di trattenerla lì.
La creatura era subdola, ma le braccia di Pietro erano forti. Non l’avrebbe lasciata sprofondare.
«Non piangere» le sussurrò. «Mi dispiace. Non dovevo arrabbiarmi. Scusa. Mi dispiace.»
Lei ricambiò l’abbraccio, ripetendo a sua volta: «Mi dispiace. Non dovevo arrabbiarmi. Scusa. Mi dispiace.»
«Ne parleremo, promesso. Appena troviamo un posto tranquillo. Okay?»
Lei annuì, asciugandosi gli occhi. Pietro si sedette al suo fianco e Wanda gli poggiò la testa sulla spalla, dimenticando, per un momento, tutta la cattiveria, la paura e la solitudine che avevano conosciuto in quell’ultimo anno.
Un grosso luccio apparve a pelo d’acqua, approfittando di quell’insolito banchetto. I due gemelli si guardarono senza dire niente, sapendo di stare pensando la stessa cosa.
Non sono tutti morti.
Wanda raccolse gli stivali, infilandoseli. Erano ben lavorati e praticamente nuovi. Pietro doveva averli scelti con più attenzione di quanta fosse sensata in quel frangente.
Si era sbagliata, pensò, alzando gli occhi su di lui. Non era vero che gli scivolava tutto addosso. Suo fratello dava ancora importanza a tante cose.
Era lei, piuttosto, che non se ne rendeva conto come avrebbe dovuto.
Accarezzò la giacca di pelle che Pietro indossava. Ne aveva sempre voluta una.
Sorrise, immaginando quanto dovesse essere stato contento di averla trovata.
«Emil!» gridò una voce.
Wanda sussultò, e un attimo dopo non vide più nulla. Pietro le aveva gettato addosso la mantella, coprendola fin sopra la testa. Non poteva vederlo, ma sapeva che suo fratello le si era messo davanti.
«Emil! Guarda! Vieni a vedere! I pesci sono morti! Sono tutti morti!»
Era la voce di una donna. Arrivava dall’altro lato della riva. Era lontana, ma non così tanto.
«Signore iddio!» commentò una voce maschile.
Wanda avrebbe voluto vedere cosa stava succedendo, ma non osava muovere neanche un dito. Erano scoperti, lì sulla riva: gli alberi erano troppo pochi e troppo radi per nasconderli. L’unica era restare immobili e sperare che il buio fosse buio abbastanza da nasconderli.
«Pietro…» sussurrò.
Lui la zittì, stringendole il braccio.
«Prima quegli insetti, ora questo. Che diavolo succede?» dal tonfo, Wanda comprese che l’uomo doveva aver gettato qualcosa nel torrente. Forse un grosso ramo.
«Emil, c’è qualcuno lì in fondo?» domandò la donna abbassando la voce, sospettosa.
«Dove?»
«Più in là del frassino. Mi sembra di vedere qualcuno.»
«Non riesco a vedere.»
Il cuore di suo fratello, veloce come un martello pneumatico, le rimbombava nel cervello facendole contorcere le budella dalla paura.
«Chi c’è?» gridò l’uomo, nella loro direzione.
«Corri» ordinò suo fratello, spingendola indietro. «Io ti copro.»
Ubbidì, stavolta senza contraddirlo, e corse tra gli alberi, avvolgendosi nella mantella che lui aveva preso per lei. Corse a perdifiato dove il terreno procedeva in discesa, sperando fosse la direzione giusta. Sempre che ce ne fosse stata una.
A un certo punto si fermò ad aspettarlo, nascosta dietro un albero. Un minuto, forse anche meno, eppure le era sembrata un’eternità. Dall’adrenalina non si era neanche resa conto delle dita che le sanguinavano, tanto energicamente si era avvinghiata a quel tronco.
I capelli di suo fratello riflettevano la poca luce che filtrava tra i rami spogli, adornando la notte di scintille argentate. Lo strinse come se fosse stato via per anni.
«Ti hanno visto?» gli chiese, in ansia.
«Forse... Non lo so.»
Era una bugia. Non era mai stato un granché come bugiardo.
Pietro le accarezzò il viso, fissandola con un’espressione che lei non riuscì a decifrare.
Il suo tocco era gentile, delicato. Tutta l’urgenza e l’apprensione erano semplicemente svanite, e il suo sguardo era sereno, disteso… così insolito sul suo volto.
Era come se suo fratello avesse appena scoperto di avere tutto il tempo del mondo.
Che cosa è successo al fiume? avrebbe voluto domandargli. Cosa hai fatto?
Ma lui la precedette.
«Vieni,» disse. «Dobbiamo andare.»
Wanda annuì, tenendosi stretta alla sua mano, d’un tratto inspiegabilmente fiduciosa.
Dopotutto avevano fatto già così tanta strada. Prima o poi avrebbero trovato un posto per loro.
E se anche non dovessimo riuscirci, si disse, non m’importerebbe comunque.
Guardò suo fratello: così coraggioso, così forte, così gentile.
Aveva ragione Pietro. Aveva sempre avuto ragione.
Non aveva importanza.
Non finché saremo insieme.
 
 
***
 
 
 
 
«Quando saremo in Albania» stava continuando a spiegare, accendendo il fuoco, «troveremo una nave che ci porti in Italia o da qualsiasi altra parte verso Ovest. Ho sentito che da lì partono navi per gli Stati Uniti tutti i giorni.»
Pietro si voltò, cercando l'approvazione di sua sorella, nella speranza che, convincendola, quel piano sarebbe sembrato attuabile anche a lui.
«Non mi piace» disse lei, stringendosi nella mantella.
Seduto a gambe incrociate, il ragazzo si lasciò andare leggermente all’indietro, poggiando il peso sulle mani, incapace di trattenere un sospiro pieno di amarezza. Sapeva quanto fosse improbabile riuscirci. Avevano oltrepassato la frontiera della Romania per miracolo e forse sarebbero davvero riusciti ad arrivarci, in Albania, ma la strada era ancora incredibilmente lunga e loro continuavano a restare soltanto due ragazzini senza documenti.
«L’America è l’unico posto in cui potremo essere al sicuro.»
«No, io...» Wanda scosse la testa. «Parlavo del fuoco. Non mi piace. Mi spaventa, da quando…»
«Non pensarci» la interruppe lui, distogliendo lo sguardo e scacciando appena in tempo il ricordo delle urla di loro madre. «Fa freddo. A giorni potrebbe perfino nevicare. Senza il fuoco moriremmo nella notte, perciò non ci pensare.»
Tornò a cercare gli occhi di sua sorella, dispiaciuto per aver usato un tono così brusco. Lei gli sorrise, cercando di mascherare la tristezza.
«New York deve essere molto bella.»
«Già» confermò lui, alzandosi e andando a sederlesi accanto su quel letto che avevano improvvisato recuperando due vecchie panche mezze marce lasciate in eredità da qualche campeggiatore. «C’è sempre gente per le strade e i negozi sono aperti anche in piena notte. Nessuno farà caso ai miei capelli e nessuno ci inseguirà chiamandoci mostri. Non è come qui, dove la gente è ignorante e stupida e superstiziosa. Lì nessuno ci darà fastidio. Potremo vivere tranquilli. Saremo felici, te lo prometto.»
«Lo so.»
Wanda si fidava di lui, lui che continuava a promettere e promettere. L’unica ragione per cui Pietro riusciva a trovare la forza di andare avanti, in quel loro terrificante e infinto vagabondare, era che sua sorella ci credeva davvero che lui sarebbe riuscito a mantenerle, tutte quelle promesse.
«Dovremmo provare a dormire un po’» decretò, raccattando la coperta che aveva rubato, assieme alla loro cena, qualche ora prima.
Senza parlare si sdraiarono, incastrandosi così abilmente da sfruttare tutto il poco spazio che avevano a disposizione. Dormivano insieme da tutta la vita, e i loro corpi si aggiustavano naturalmente l’uno nell’altro. Forse, si erano detti una volta, se fossero stati cresciuti da una famiglia borghese di Odessa avrebbero avuto delle stanze separate e avrebbero disimparato a incastrarsi. Ma erano stati cresciuti da una coppia di gitani in una roulotte, e i loro genitori non avevano mai insistito più di tanto perché dormissero ciascuno nel proprio letto.
Hanno condiviso uno spazio molto più piccolo di quello, diceva la mamma ridendo, quando le capitava di parlarne con qualcuno.
«Lo so che dovremmo dormire...» cominciò sua sorella.
«Ma?»
«Mi domandavo se… se possiamo… parlare un po’, sai.. di…»
«Sì» rispose, «certo.» Dopotutto glielo aveva promesso.
Lei si strinse più forte a lui, il suo modo per ringraziarlo. Per alcuni minuti restò in silenzio, come incapace di trovare le parole.
«Hai corso di nuovo così veloce?» chiese, alla fine.
«Come a Braşov?»
«Mh-mh.»
«No» mentì.
In realtà neanche lui era del tutto sicuro di quello che fosse successo sulla riva del Berkovitsa. A Braşov suo padre lo aveva spinto, gridandogli di prendere sua sorella e portarla via dalla roulotte in fiamme. Lui lo aveva fatto, trovandosi lontano diversi chilometri senza sapere come. Aveva corso, glielo aveva assicurato Wanda, ma a lui era sembrato di essere semplicemente apparso da un’altra parte.
Al fiume, invece… al fiume il tempo si era fermato.
«Tu credi che siamo maledetti?»
«In che senso maledetti
«Che ci siamo nati… sai… così.»
«Incredibilmente avvenenti?»
Lei gli diede un colpetto sullo sterno, ridendo insieme a lui per qualche secondo, prima di ritornare seria e dire: «Diversi.»
Pietro non riuscì a evitare di scoppiare a ridere. Con la sua carnagione e i suoi capelli, diverso lo era sempre stato, e non soltanto agli occhi dei gadje*. I rom erano estremamente superstiziosi e per tutta la vita li aveva sentiti bisbigliare soprannomi al suo passaggio. Figlio del diavolo era quello che andava per la maggiore, ma nessuno aveva più osato dirglielo in faccia da quando Radu, arrabbiato per aver perso l’ennesima gara di corsa, gli aveva sputato sulla maglietta dicendo “Tanto lo so che tua mamma ha scopato col diavolo”. Pietro gli aveva fatto cadere due denti e se lo zio Vadja non lo avesse trascinato via sarebbero stati molti di più. Quella era stata la prima volta che il tempo aveva rallentato di botto, ma all’epoca non ci aveva neanche pensato più di tanto, dando la colpa alla collera che lo aveva accecato. Col senno di poi, Pietro rivisse quel ricordo in maniera molto diversa.
Dopo quella rissa, una volta liberatosi dalla presa dello zio, Pietro era scappato via, terrorizzato alla sola idea di guardare in faccia suo padre, decidendosi a ritornare a casa dopo due interi giorni, spinto solo dalla fame e dal freddo. Ricordava di aver salito i tre gradini della roulotte come fossero stati trecento, continuando a ripetersi che, qualsiasi cosa fosse accaduta, non avrebbe dovuto piangere. Aperta la porta, come prima cosa aveva cercato gli occhi di sua sorella, sperando nella sua complice solidarietà. Lei, però, si era limitata a fissarlo con uno sguardo d’accusa: sei scappato senza di me. Intendeva mostrarsi minacciosa, così accigliata, con le braccia incrociate sul petto e la testa bassa, ma risultava talmente buffa che Pietro per poco non era scoppiato a ridere. Wanda gli aveva tenuto il broncio per settimane e lui aveva seriamente creduto che non gli avrebbe mai perdonato un simile tradimento. Sorrise a quel ricordo, prima di restare invischiato nella melma di emozioni incoerenti che provava quando pensava a suo padre. Vedendolo rientrare, Django gli era andato incontro, bloccando la mamma con un gesto del braccio, e Pietro aveva fatto un piccolissimo passo indietro, serrando i pugni, cercando di nascondere quanto fosse spaventato. Suo padre non lo aveva mai picchiato prima ma quel giorno, se non per la rissa, Pietro era certo che almeno per la fuga avrebbe preso una marea di botte. Invece Django lo aveva fissato in silenzio per quello che gli era sembrato un tempo infinito e poi lo aveva preso per le spalle, con quelle sue mani enormi. Stai bene? Gli aveva domandato, con gli occhi lucidi. Tanto era rimasto basito, Pietro non aveva neanche risposto.
Ma in quel momento, nell’ennesima notte in cui si era dovuto arrangiare a dormire all’aperto, gli sembrava finalmente di comprendere perché suo padre, invece di arrabbiarsi, lo aveva abbracciato forte continuando a ripetere: stai bene. Stai bene. Stai bene.
«Forse hai ragione» disse a bassa voce, mentre Wanda giocherellava con una ciocca dei suoi capelli.
«Su cosa?»
«Su quello che hai detto, che siamo nati così. Diversi» e maledetti, aggiunse tra sé.
Wanda lasciò in pace i capelli e passò ad accarezzargli la nuca.
«Sì?» chiese, distratta.
«Ti ricordi che avevi sempre gli incubi quando c’era un temporale?» Lei annuì e Pietro proseguì nel suo ragionamento. «Forse, sai… forse non avevi gli incubi per via dei temporali. Forse i temporali arrivavano perché tu avevi gli incubi.»
Wanda si sollevò di nuovo, per guardarlo negli occhi, come se tutto le fosse improvvisamente chiaro.
«E tu eri sempre più svelto degli altri. Imparavi a fare le cose nella metà del tempo. Facevi infuriare tutti gli altri bambini.»
Pietro rise, e lei tornò a poggiargli la testa sul torace.
«E il tuo cuore batte più veloce.»
«Sì?» chiese lui, fingendo indifferenza.
«Sì. Più di prima. E prima era già super veloce.»
Pietro non ritenne di dover rispondere, così sua sorella continuò.
«Una volta, quando eravamo bambini, ho sentito la mamma che ne parlava con papà. Diceva che forse potevi avere una malattia, che potevi avere una malformazione cardiaca.»
Pietro sollevò la testa, guardandola perplesso. Non aveva mai sentito quella storia.
«Avevamo cinque anni, forse sei. In quel momento eri fuori a giocare e mamma e papà si sono fermati alla finestra, osservandoti per qualche minuto, senza dire una parola. Tu, come al solito, stavi correndo e saltellando in giro.» Wanda non riuscì a trattenere una risatina. «Papà ha dato una pacca sul sedere alla mamma e ha detto Marya, ti sembra che quel bambino non sia in salute? Pietro ha l’argento vivo addosso!»
«L’argento vivo?» chiese Pietro, divertito.
«E poi è scoppiato a ridere. Quella risata… te la ricordi, Pietro? Ti ricordi come rideva papà? Sembrava che avrebbe fatto cadere tutti i piatti dagli scaffali.»
Sentendo il corpo diventargli di ghiaccio, Pietro voltò la testa a destra, fissando lo sguardo nelle fiamme, incurante del calore che quasi gli bruciava gli occhi.
«Non era nostro padre» fu l’unica risposta che riuscì a darle, detestandosi per provare ancora così tanta rabbia da soffocare perfino il dolore per la sua morte, e per essere ancora incapace di perdonarlo. E perdonarsi.
«Lo so» mormorò Wanda. «Scusa.»
«Non devi scusarti.»
«Credi che i nostri genitori lo sapessero?» mormorò lei, dopo qualche minuto. «Voglio dire… quelli veri. Credi che ci abbiano abbandonati perché… avevano paura di noi?»
Pietro rimase in silenzio. Avrebbe voluto avere una risposta a quella domanda, come a tutte le altre, per Wanda, per la mamma, per Django, per se stesso… ma non ce l’aveva, e più cercava di trovare un senso, una spiegazione, più si imbatteva soltanto in ulteriori interrogativi.
«Credo che adesso dovremmo dormire, sorellina.»
Lei si contorse, allungandosi come un serpente per arrivare a dargli un bacio sulla guancia.
«Ti voglio bene.»
«Ti voglio bene.»
 
Aveva dormito tre ore appena, ma una volta aperti gli occhi il sonno era scomparso. Poteva sentire che il suo corpo era stanco, e anche molto, ma non gli era mai riuscito di restare sdraiato senza far nulla una volta che la sua mente era ripartita.
Usando la sua infallibile tecnica affinata in anni di pratica, Pietro si sfilò dall’abbraccio di sua sorella senza svegliarla. Gli sembrò di essere tornato bambino, quando nei pomeriggi d’estate tutti andavano a riposare per trovare sollievo dalla calura e lui, esasperato da quella forzata immobilità, aveva escogitato mille stratagemmi per riuscire a sgattaiolare fuori senza che nessuno se ne accorgesse. In quel paio d’ore in cui tutti dormivano il campo era a sua completa disposizione: come lasciarsi sfuggire una simile occasione perdendo del tempo sdraiato su un letto?
Si stropicciò gli occhi, indeciso sul da farsi. Era tentato di fare un giro per verificare il perimetro di quel loro piccolo accampamento e magari cercare qualcos’altro da mangiare, ma non voleva lasciare Wanda da sola, non dopo quella nottata. Se si fosse svegliata senza trovarlo… Pietro si passò una mano fra i capelli.
Sua sorella ultimamente era ancora più cupa, più agitata, più triste, e gli incidenti avevano iniziato a diventare sempre più ravvicinati.
Si sedette accanto al fuoco, disegnando nella terra con un bastoncino.
Quattro mura. Un tetto. Due finestre. Una porta. Un albero. Una staccionata.
Sorrise, sentendosi stupido.
Una casa.
Alzò lo sguardo su sua sorella.
Doveva trovare una casa per lei.
Doveva restituirle un po’ di serenità, un po’ di pace.
Wanda non lo aveva mai incolpato, nemmeno quando era stata davvero arrabbiata, ma Pietro sapeva di essere responsabile, almeno in parte, anche se indirettamente, di quello che era successo.
Di tutto quello che avevano perso.
E anche se lei non avesse mai avuto il fegato di dirglielo in faccia, lui non si sarebbe comunque mai sentito innocente, mai veramente.
«Ho sempre odiato trovarti già sveglio» gli disse, stiracchiandosi.
«Non sono sveglio da molto, se ti consola» rispose, abbracciandosi le ginocchia e poggiandoci il mento sopra. «Ma tu dovresti dormire ancora. Manca almeno un’ora all’alba.»
In risposta lei si limitò a sorridergli, prima di mettersi seduta e riavvolgersi nella coperta, mostrando la chiara intenzione di non volergli dare ascolto.
«Pensavo di andare a cercare un po’ di pane, ma…» esitò, cercando di capire come proseguire senza risultare antipatico.
«Ma?»
«Ma niente. Volevo aspettare che ti svegliassi» abbozzò.
Lei gli fece una smorfia.
«Avevi paura che potessi dare di matto?»
Pietro raccolse un rametto da terra e glielo lanciò, ridacchiando.
«Avevo paura che potesse arrivare qualcuno» rispose, alzandosi. «Allora vado» riprese, facendole l’occhiolino, «se mi prometti di non dare di matto.»
«Farò del mio meglio.»
«Magari trovo anche del latte.»
«Pietro?»
«Sì?»
Lei alzò le spalle. «Niente» rispose, sorridendo.
Si diresse alla cascina davanti alla quale erano passati nella notte. Pietro sapeva che non era una grande idea, considerando il cane da guardia compreso nel pacchetto, ma non aveva visto altri posti altrettanto abbordabili. Quantomeno quella cascina era isolata e nel bosco avrebbe potuto facilmente far perdere le sue tracce.
Se solo riuscissi di nuovo a correre come al fiume.
Scosse la testa, contestandosi da solo. Era una cosa senza senso. Non sapeva neanche come aveva fatto.
Ma più cercava di allontanare quel pensiero dalla sua mente, più quelle immagini gli tornavano davanti agli occhi: gli insetti fermi a mezz’aria; le persone immobili, come pietrificate; l’acqua del fiume trasformata in un pavimento sotto i suoi piedi.
Aveva fermato il tempo.
Con la lingua stretta fra i denti e le mani sulle ginocchia, Pietro iniziò a credere di poterlo fare ancora. Doveva solo trovare il modo. Doveva solo capire come.
Forse devo solo correre, pensò, soffiando via un ciuffo di capelli dal viso.
Magari era una scemenza, ma valeva la pena tentare. Se ci fosse riuscito di nuovo… quante cose avrebbe potuto prendere per Wanda! Avrebbe potuto fare qualsiasi cosa gli fosse venuta in mente.
Sorrise, mentre quel pensiero solleticava la sua vanità in maniera ormai irresistibile.
Un’andata e ritorno dal campo, si disse. Perché no? Conosco a memoria il tragitto.
Iniziò a correre più veloce che poteva, sentendo le foglie e la terra schizzare sotto il tocco delle sue scarpe e l’aria fredda frustargli la pelle del viso. Gli sembrò di poter percepire la forza del suo cuore che pompava ossigeno ai muscoli e l’agilità con cui il suo respiro si regolava su quella nuova andatura, eppure, per quanto veloce stesse correndo, il tempo non si era fermato. Non aveva neanche rallentato.
Quando vide la luce del fuoco del loro accampamento, qualche centinaio di metri più in là, si fermò, scoppiando a ridere.
Che credevi di fare? si chiese, sentendosi un completo idiota.
Non fece in tempo a preoccuparsi per un rumore sospetto che dovette chiudere gli occhi, scosso da un brivido improvviso. Una scarica elettrica, più che un brivido.
Era stato meno di un attimo ma, quando riaprì gli occhi, Pietro non vide altro che bianco. Impanicato, indietreggiò di qualche passo, strofinandosi istericamente le palpebre finché gli sembrò di tornare a intravedere qualcosa. Aveva l’impressione che quel poco che distingueva stesse vibrando: l’aria stessa sembrava muoversi.
Cadde in ginocchio, coprendosi la nuca con le mani, certo di essere stato colpito. I suoni stavano diventando smorzati, distanti, come se avesse la testa sott’acqua. Stordito, Pietro arrancò gattoni, nel disperato tentativo di sfuggire a quell’aggressione, aspettandosi ad ogni momento di essere afferrato per un piede, o per il collo, o di ricevere un altro colpo. Trovato l’albero di prima vi si avvinghiò con la poca forza che aveva, cercando di tirarsi su, approfittando della vista che stava lentamente migliorando.
Non c’era nessuno, realizzò, dopo essersi guardato più volte intorno.
Piuttosto che rassicurarlo, quella scoperta lo fece sentire ancora più inquieto, più spaventato. Perché se non c’era nessuno lì, se nessuno lo aveva aggredito, allora come mai si sentiva così male?
Che mi sta succedendo?
Era così stanco. Gli sembrava di avere fame e sete. Soprattutto sete, come se non bevesse da giorni.
Per un istante il pensiero di chiamare sua sorella gli attraversò la mente, ma Pietro lo lasciò partire con la stessa leggerezza con cui lo aveva sentito arrivare. L’avrebbe solo messa in pericolo. Se ci fosse stato davvero qualcuno, in quel modo avrebbe potuto trovare anche lei.
Ma non c’era nessuno, e lui rimase abbandonato accanto a quel tronco, troppo debole per muoversi, fino a che, proprio quando credeva di stare per perdere i sensi, sentì di nuovo lo scricchiolio delle foglie.
C’era qualcuno, allora.
Si lanciò in avanti soltanto per ritrovarsi di nuovo a terra. Digrignando i denti si tirò sui gomiti, iniziando ostinatamente a trascinarsi. Il fuoco sembrava così lontano e sfocato.
Wanda.
Doveva avvisarla.
Si aggrappò al terreno, sorpreso da uno spasmo violento all’addome. Vomitò. Quello che era venuto fuori era qualcosa di liquido e trasparente. Il suo stomaco era vuoto.
Ma ho mangiato meno di sei ore fa, pensò, sopraffatto dalla confusione.
Riprese a muoversi, facendo appello a tutta la sua energia mentre, forse per compensare quello sforzo, la vista stava scomparendo di nuovo. In quel mondo bianco grigiastro in cui si era trovato, Pietro perse del tutto la cognizione del tempo e dello spazio.
Cercò di proseguire, nonostante tutto, ma l’impresa si rivelò decisamente al di là delle sue possibilità. Non era solo la vista, tutto era sfasato: ogni cosa aveva un ritmo e un peso diverso. La realtà sembrava non avere più un senso logico. Alla fine si arrese, accartocciandosi su un fianco. La gola bruciava. La testa era intrappolata in un continuo rimbombo sordo. Le gambe e le braccia pesanti come piombo.
Smarrito in quell’angoscia, Pietro riusciva a pensare soltanto a sua sorella.
Non so che fare, immaginò di dirle. Mi dispiace. Non so cosa fare.
Una mano gli afferrò una spalla.
Wanda?, pensò, disperato.
«Che hai, ragazzino?»
Sussultò, spaventato da quella voce sconosciuta. La presa sulla sua spalla non sembrava né minacciosa né violenta, ma Pietro era così stordito, così sconvolto e atterrito che non resistette all’istinto di provare a divincolarsi.
Inutile, tutto inutile. Era troppo debole.
«Vieni ad aiutarmi! Questo ragazzo è mezzo morto!» sentì gridare, ormai incapace perfino di sollevare la testa. Spalancò gli occhi, realizzando con orrore che quell’insensato sforzo finale aveva fatto svanire anche l’ultimo, opaco barlume.
Ormai non c’era più luce, nemmeno nella sua mente. Tutto era nero.
Ingoiò della saliva.
Anche quella doveva essere nera.

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*Gadge: le persone che non appartengono alle comunità Rom.
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Note: Questa è la mia versione delle "Origini" dei gemelli, basata sul canon ma molto moooolto romanzata. Ogni commento/critica è assolutamente gradito.

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Thanks to: 
Un ringraziamento doveroso alla splendida Arial, scrittrice fantastica e amica speciale. Grazie per il supporto, la pazienza, l'aiuto, le risate, le nottate... sei bella <3 

Ringrazio tantissimo anche la mia immotivatamente accanita fan Claudia, che legge tutto quello che scrivo anche quando, come in questo caso, non ha idea di chi siano i personaggi.
(vi voglio bene, renate mie <3 )

Last but not least, un bacio a tutti i fan dei gemelli Maximoff :*
   
 
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