Fanfic su artisti musicali > Beatles
Ricorda la storia  |      
Autore: workingclassheroine    15/12/2014    3 recensioni
Ventimila.
Ventimila fottutissime persone.
Ventimila fottutissime persone che aspettano lui.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Lennon, Paul McCartney
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

A Chiara, sperando che questo piccolo
messaggio di speranza le risollevi
un po' il morale dopo "Lucifer."



Ventimila.
Ventimila fottutissime persone.
Ventimila fottutissime persone che aspettano lui.


"Fra una decina di minuti tocca a lei, signor Lennon"
John sussulta, aggiustandosi nervosamente gli occhiali sul naso.
"Va bene, grazie" mormora, all'indirizzo di un giovane tecnico che lo osserva dalla soglia del camerino, con gli occhi sgranati e le braccia serrate intorno alla grande cartella che stringe al petto.
"Beh?" sbotta irritato John, impaziente di restare solo con i suoi pensieri.
"Mi scusi, è che io sono un suo grande fan e.." balbetta il ragazzo, arrossendo vistosamente.
John sospira stancamente, passandosi una mano sul viso.
"D'accordo allora. Vieni qui e dammi del tu, per il lei non sono ancora abbastanza vecchio" acconsente infine, quasi intenerito dall'aria spaurita del ragazzo. "A chi devo indirizzarla?" chiede, afferrando distrattamente una penna e tracciando una firma sghemba sul foglio che gli viene piazzato euforicamente sotto il naso.
"James, mi chiamo James" balbetta emozionato quello, con le orecchie paonazze e quegli adorabili occhioni castani spalancati così tanto che John può leggervi ogni venatura verde.
"James" ripete John, con una inspiegabile stretta al cuore, distogliendo lo sguardo da lui e calcando la penna sul foglio per scrivere quelle poche lettere che, Dio, sembrano così dolorose.
"Come il signor McCartney" aggiunge James, notando la sua esitazione e scambiandola per una sorta di incertezza.


Ma John ha capito benissimo.


"Lo so come si chiama Paul, accidenti" sbotta, buttando a terra la penna e sbattendo il foglio con la dedica fra le mani del tecnico allibito, "Ora, figliolo, esci da qui" sibila, evitando attentamente quei grandi occhi screziati.
"Mi scusi, e grazie" riesce a sussurrare James, prima di uscire precipitosamente dal camerino per andare a raccontare a chissà chi quanto psicopatico sia diventato John Lennon.
Riesce quasi a sentirli parlare di lui, della sua vita sognata via, di quello che è stato prima.
Un conato di vomito lo obbliga a stringere gli occhi e chinarsi sulla toeletta, con le mani tremanti strette sui bordi.
Respira affannosamente, scosso da tremiti convulsi, rovesciando disordinatamente a terra tutto ciò che ha davanti.
E sta ancora cercando di raccogliere gli oggetti caduti quando delle mani piccole e soffici si posano premurosamente sulle sue.
"John?" chiama una voce flebile, stringendo delicatamente quelle dita fragili.
"Ciao, amore" sussurra lui, con un sorriso incerto.
Yoko sorride a sua volta, lasciando che le sue dita traccino con dolcezza i lineamenti tesi di John.

"Stai tremando, amore" gli fa notare, aggrottando le sopracciglia e rafforzando la presa sul suo volto.
"Lo so" mormora John, allontanando sgarbatamente le mani di Yoko.
"Ancora il tuo panico da palcoscenico? Maledizione John, sarebbe davvero ora di superarlo" lo rimprovera lei con dolcezza, senza però riuscire a trattenere una sottile nota di scherno.
Sì, tutto ciò è ridicolo.
John ne è perfettamente cosciente, ma non riesce a trattenere quella battaglia di stati d'animo all'interno di lui, che lo terrorizzano e gli fanno venire voglia di rintanarsi in un angolo fino a dimenticarsi del mondo.
Ed essere dimenticato, dal mondo, soprattutto.

Se vogliamo dirla tutta, per un certo periodo c'era anche riuscito, poi però Reginald aveva avuto quella maledetta idea del suonare insieme.
Una scommessa.
Niente di più stupido, davvero.
Una semplice sfida che John era sicuro di vincere.
Ma come avrebbe potuto immaginare che proprio "Whatever Gets You Thru The Night", oggetto di quel dannatissimo accordo, avrebbe raggiunto la prima posizione nei fottuti Stati Uniti?
Non poteva.
Non poteva davvero.
Ma quando il maledetto Elton John gli aveva battuto una mano sulla spalla, rivolgendogli un divertito "Sembra che qualcuno qui suonerà con me", aveva capito che ormai era troppo tardi per tornare indietro.
Che altro poteva fare?
Aveva annuito, sorridendo lievemente, e senza farsi notare aveva asciugato con il dorso della mano la goccia di sudore freddo che gli percorreva la tempia.


"Credevo di poterlo controllare" sussurra, distogliendo lo sguardo dagli occhi scuri e conoscitori di Yoko.
Nessuno sa di quel suo piccolo problema a gestire l'agitazione.
Nessuno a parte quella che una volta era stata la sua famiglia, e Yoko.
"Lo so, amore, lo so" lo rassicura lei, fingendo di non vedere le lacrime che fanno capolino fra le ciglia di John.
Yoko sa tutto di lui, ciò che John le confida così come ogni oscuro segreto nascosto nei suoi occhi.
Lo conosce in un modo che lo spaventa, perché c'è una parte nella mente di John che è solo sua.
Aveva permesso solo a una persona di esplorare quel lato di lui.
E se ne era andata.
No, non deve pensarci, deve lasciare quella porta ben chiusa se ci tiene alla sua salute mentale.
"Per favore, puoi uscire? Mancano pochi minuti e vorrei star solo" domanda allora, con tutta la gentilezza di cui è capace, per non far scoppiare l'ennesimo litigio fra lui e sua moglie.
Non sopporta l'idea di perdere anche lei, non sopporta anche solo pensare di non poter più affiancare al suo nome un aggettivo possessivo.
Yoko solleva le sopracciglia con aria critica, ma con un'ultima carezza lo accontenta, chiudendosi la porta alle spalle.
La sua Yoko.
Sua.
È ancora sua e lo sarà sempre, lei non è Paul.
La porta nella sua mente si socchiude impercettibilmente e John vi fa pressione con il proprio corpo per impedirle di spalancarsi.
Un altro conato gli scuote il corpo, e non può fare altro che correre verso il bagno, a rimettere anche l'anima.
Il vomito acido che gli perfora la gola e la fa bruciare, gli occhi offuscati dalle lacrime, i respiri affannati che rimbombano nella tazza del cesso.
Questo è John Lennon, signore e signori.
Si sciacqua accuratamente il viso sudato e mortalmente pallido, e resta lì a guardarsi, con quegli occhi arrossati e l'aria distrutta che nessun trucco potrà mai mascherare.
"Ne ho bisogno" si dice.
"Solo un'altra volta" si raccomanda.
"L'ultima" promette.
Deve aprire quella porta, quella porta che ha giurato di chiudere per sempre ma che continua a riaprire, di tanto in tanto, quando il mondo sembra troppo grande e bastardo e lui così indifeso.
E gli sembra quasi di sentire un cigolio quando serra gli occhi e permette che, oltre a fugaci sprazzi di colore, nel buio delle sue palpebre calate, compaia anche qualcos'altro.


Una risata, delle dita lunghe che gli accarezzano il viso, un sorriso dolce.
Un profumo.
Profumo di un mattino di primavera, con la terra che sa di vita e l'odore legnoso di un albero dalle radici profonde.
Forte e pungente, eppure così dolce.
John lo ricorda ancora, in ogni sua sfaccettatura.
Il profumo di Paul.
E la forza di quel solo nome è così grande da scaraventarlo su una sedia, senza più forze per combattere il progressivo avanzare dei ricordi.

"Sei nervoso?"
Soli in camerino, accasciati su due poltrone, con John che si tortura le mani e Paul che giocherella distrattamente con un pezzo di corda sfilacciata, proveniente da chissà quale chitarra.
"Lascia perdere, McCartney" borbotta John, alzando appena lo sguardo verso di lui.
Paul gli rivolge una smorfia, prima di alzarsi per raggiungerlo e sedersi sulle sue ginocchia, con la testa abbandonata nell'incavo del suo collo.
"Hai una poltrona tua" gli ricorda John, senza riuscire a nascondere la dolcezza nella propria voce, cingendogli i fianchi con le braccia e stringendolo a sé.
Paul sorride, prima di sfiorare appena il collo dell'amante in un bacio delicato "Non mi piace quella poltrona, Johnny, tu sei di gran lunga più comodo" si lamenta, sgranando gli occhi in quella che dovrebbe essere un'espressione da cane bastonato.

"Cos'ha che non va? L'imbottitura non è abbastanza soffice per il tuo culo da principessa?" ribatte John, dando un buffetto divertito sul naso del compagno.
"È troppo lontana da te, mio adorabile principe" spiega Paul, con una sottile nota ironica nella voce.
"Adorabile è un aggettivo che mi appartiene" concorda John, cercando disperatamente le labbra dell'altro, che si affretta a respingerlo con una spinta.
"Già, credo si trovi fra 'Insopportabile' e 'Immeritevole'" commenta Paul, alzandosi in piedi con un sorriso di sfida e camminando lentamente verso la porta.

Stronzo.
"Paul?" chiama John, la voce bassa e spezzata, "Paul, non scherzare, torna qui" singhiozza, totalmente in preda al panico.
L'unico che riesce a gestire la sua ansia da palcoscenico e a farla totalmente svanire è Paul, quello stesso Paul che ora se ne sta andando.
John scatta in piedi, sorreggendosi sulle proprie gambe tremanti, e corre verso la porta, allargando le braccia contro il legno, "Tu da qui non passi" riesce a sussurrare all'uomo davanti a lui.
Paul sorride vittorioso, prima di prendergli il volto fra le mani e baciarlo con lentezza, spingendolo delicatamente contro la porta chiusa, allontanando la paura a forza di baci, carezze sul viso e sulle spalle, mani che esplorano il suo corpo e lo rimettono a posto, ordinando quella mente incasinata in cui John si perde fin troppo spesso.
Ma Paul è lì, a mettere a tacere le sue insicurezze, a riportarlo indietro quando i loro mondi sembrano essere troppo lontani.
John non può avere paura, non finché Paul lo bacia, non finché è accanto a lui.
E basta così poco per far crollare tutto, per far tornare ogni singola e straziante paura.
Poco come Paul che si allontana da lui per riprendere fiato, con gli occhi che brillano e un sorriso estatico sul viso.
E nonostante John abbia ancora sulle labbra il suo sapore, il sapore del loro amore, la realtà sembra ripiombare su di lui fino a schiacciarlo.
Con una spinta si libera di Paul, precipitandosi nel piccolo bagno del proprio camerino e sbattendosi la porta alle spalle per impedire al compagno di seguirlo.
"John?" sussurra Paul, accostando la porta e sbirciando all'interno.
Evidentemente non ha recepito il messaggio.
"Vattene" sibila John fra i conati, con il viso chino sulla tazza.
"Accidenti, bacio così male? O è la mia faccia il problema?" scherza Paul, osservando attentamente l'uomo e chiudendo la porta per impedire che qualcuno veda John in quelle condizioni.
"Ti ho detto di andartene" ribadisce John, con le lacrime che gli ustionano le guance.
Non vuole che Paul lo veda così debole, così esposto, così spaventato per l'ennesimo spettacolo della sua carriera.
John è quello che ride in faccia al mondo, quello che stringe l'umanità fra le dita e la sgretola, quello che resta saldo in mezzo ad ogni tempesta.
Ed è così preso da questi pensieri che avverte appena il tocco delle dita bianche di Paul che gli spostano i capelli dalla fronte sudata, mentre un braccio gli circonda il busto per sorreggerlo.
E John non può fare a meno che vomitare, con Paul che lo sfiora appena, cercando di calmarlo e intramezzando ogni carezza con un "Amore mio" appena sussurrato, che suona infinitamente perfetto alle orecchie di John.
"Meglio?" chiede Paul con dolcezza, quando sente l'uomo tremare un po' meno fra le sue braccia.
John annuisce, pieno di vergogna, nascondendo il viso nella camicia di Paul.
Si lascia stringere per minuti che sembrano secoli e millenni, perso in quell'incastro di corpi complementari.
E in quel momento non importa quante persone lo stanno aspettando lì fuori.
Non importa se sbaglierà tutte le parole di una canzone, se sarà totalmente fuori tempo, se cadrà giù dal palco, se salterà una corda mentre suona.
In quel momento va tutto bene.
Va tutto bene.


"Signor Lennon?"
John si riscuote dai ricordi, rendendosi conto che qualcuno sta bussando insistentemente alla porta da qualche secondo.
"Arrivo, arrivo" mormora, afferrando la chitarra e aprendo la porta per trovarsi davanti James, il tecnico, con la mano ancora sospesa in aria.
"Tocca a lei, Elton John la sta annunciando proprio in questo istante" lo informa il ragazzo, imbarazzato.
John guarda quegli occhi, così simili a quelli di Paul, e non riesce ad odiarli.
Non riesce ad odiare Paul, per quanto ardentemente possa provarci e per quanto possa raccontare bugie agli altri e a se stesso.
"Mi ricordi una persona che ho amato tanto, figliolo" sussurra, poggiando una mano sulla spalla di James, "E ora, dove è questo maledetto palco? Prima finisco prima potrò tornare alla mia fottuta vita di clausura".
Il tecnico non riesce a trattenere un'occhiata stranita, prima di indicare con un gesto silenzioso la porta di fronte a John.
Un ultimo respiro.

"Dai John, dammi la mano" sussurra Paul, rivolgendo un sorriso all'amante, fra gli sguardi divertiti e rassegnati di George e Ringo.
"Paul.." balbetta John, "Io.."
Lo desidera e non glielo sa dire.
La mano di Paul si intreccia con forza nella sua, senza che John abbia bisogno di spiegare.
Capisce e basta, perché Paul capisce sempre tutto per quanto riguarda John.
Così, prima di salire sul palco, Paul gli rivolge un'ultima parola:
"Insieme".



"Insieme", si dice John, calcando con sicurezza le assi di legno del Madison Square Garden e salutando qua e là quella marea di persone.
E suona, voltandosi di tanto in tanto per incontrare lo sguardo di Paul, senza trovarlo.
Paul non è lì ma è più presente che mai, ed è per lui che John vuole e deve suonare, stasera.
Deve fargli sapere che resta il centro dei suoi pensieri, che forse in un mondo parallelo sono ancora insieme, a stringersi e a baciarsi.
In un mondo senza paura né insicurezze, Paul morde ancora il tappo della penna mentre scrive, per poi voltarsi verso John e dirgli "Che ne dici se per un po' molliamo questa roba?".
E in quel mondo perfetto John sorride e lo bacia, e non ha bisogno né della fama né della musica, ma solo di Paul.


Avvicina appena le labbra al microfono per annunciare l'ultima canzone "Questo è un vecchio pezzo dei Beatles, si chiama 'I Saw Her Standing There', e lo ha scritto un mio vecchio amore di nome Paul McCartney".
Questo potrebbe scatenare il finimondo, lo sa, ma mentre le sue dita sfiorano con sicurezza le corde riesce solamente a sorridere.

Perché in quel mondo così lontano lui e Paul sono ancora insieme, certo, ma in questo, di mondo, John Lennon ha finalmente avuto il coraggio di urlare che lo ama.
E forse è troppo tardi, anzi, sicuramente lo è.
Ma le note continuano a scivolare dalle sue dita affusolate, e John lo sa, intimamente lo sa, che Paul non ballerà più con nessun altro, che a nessun altro sorriderà come sorrideva a lui, che le sue labbra saranno sempre alla ricerca di quelle di un amore ormai lontano.
Un amore frantumato e finito, ma anche se in macerie più forte di qualunque altro.


John fa un ultimo inchino, prima di tornare a rifugiarsi nel camerino con un sorriso vittorioso stampato sulle labbra.
Non nota neanche la rosa rossa sulla toeletta, il suo fiore preferito, già infilata in un vaso colmo d'acqua da qualcuno che evidentemente sa che i fiori morti e recisi gli ricordano i cimiteri e gli fanno paura.
Il telefono suona, e lui è troppo distratto e felice per farci troppo caso.
Solleva di malavoglia la cornetta, aspettandosi i complimenti di qualcuno presente allo spettacolo, pronto a dirgli quanto sia fenomenale e ipocrisie del genere.
Il suo interlocutore, però, non sembra molto intenzionato a complimentarsi.
"Lasciatelo dire, sei completamente fuori di testa" ride infatti una voce dolce all'altro capo del telefono, prima di riattaccare.
"Ti amo" confida John alla cornetta silenziosa.
Fuori dal Madison Square Garden un uomo nasconde il viso in una sciarpa e sorride al cielo, senza neanche sapere perché.
In un altro mondo, chissà.



Writer's corner.

Voi lo sapevate che il Madison Square Garden può contenere fino a ventimila persone?
Accidenti.
Immagino che ansia avrà avuto il piccolo Lennon prima di salire sul palco.
Comunque, la storia si ispira al risultato della scommessa fra Elton John (ma avete letto che sposerà finalmente il compagno? Ah, piccoli) e il nostro John, che accettò quindi di suonare con lui alcuni pezzi.
Poi, dato che era davvero un po' troppo tempo che faceva l'etero, ha deciso di buttar giù quella frase giusto per farmi collassare i polmoni a furia di pianti e singhiozzi.
Ti amo, John, te lo giuro.
E amo anche tua moglie.
Ma ci pensate che volevo andare io a togliergli di dosso le mani di Yoko?
A un certo punto ho valutato seriamente l'idea di scrivere qualcosa del tipo "Arrivarono degli alieni e ZAC! Ciao Yoko e vissero per sempre felici e contenti.
Cioè, non proprio tutti, ma intanto che vuoi farci, è la vita".
Quindi eventuali approfondimenti mancati in quella parte sono dovuti al fatto che volevo levarmela dai coglioni il più presto possibile  non so scrivere, mia colpa mia colpa mia grandissima colpa.

Sono poco convinta di questa storia, se poi considerate la grande considerazione che ho delle altre possiamo tranquillamente dire che mi fa schifo.
Però non so, si tratta sempre di provare nuovi stili, espedienti narrativi ecc ecc, quindi direi che mi rimetto al vostro giudizio e aspetto eventuali consigli/critiche/calcipugnivolanti.

A presto, un bacio e grazie a tutti!


 

  
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Beatles / Vai alla pagina dell'autore: workingclassheroine