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Autore: LaniePaciock    16/12/2014    5 recensioni
Torniamo indietro nel tempo e spostiamoci di luogo: 1943, Berlino, Germania. Una storia diversa, ma forse simile ad altre. Un giovane colonnello, una ragazza in cerca della madre, un leale maggiore, una moglie combattiva, una cameriera silenziosa, una famiglia in fuga e un tipografo coraggioso. Cosa fa incrociare la vita di tutte queste persone? La Seconda Guerra Mondiale. E la voglia di ricominciare a vivere.
Genere: Guerra, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Quasi tutti | Coppie: Kate Beckett/Richard Castel
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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Ehm... sapete quando vi ho detto che questo sarebbe stato il penultimo capitolo? Mentivo. Cioè, non apposta, eh! XD Solo che scrivendo mi sono accorta che quello che avevo in mente sarebbe venuto troppo lungo, così ho tagliato qui. Per la gioia di chi l'ultima volta mi ha scritto di "allungare il brodo". XD Direi che si è allungato da solo... XD Detto questo, buona lettura! :)
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Cap.27 Addio
 

 
In un attimo si ritrovò slanciato in avanti sopra il tavolo, il suo pugno contro il naso di Dreixk a una velocità e una forza che nemmeno lui si sarebbe creduto in grado di raggiungere. Vide il suo nemico volare giù dalla sedia quasi a rallentatore. Il sangue gli schizzò fuori dal naso e, visto lo schiocco secco che c’era stato, era probabile che fosse rotto. Quel gesto fece provare in un secondo a Rick un senso di euforia e liberazione, mentre l’adrenalina gli scorreva rapida nelle vene. Gli parve che Dreixk ci mettesse una vita a cadere, ma sapeva che in realtà non doveva essere passato più di un secondo. Alla fine il suo nemico cadde a terra con un tonfo sordo.
 
Castle aveva il fiatone, come avesse corso per cento chilometri, i nervi ancora all’erta e la pelle d’oca quando riappoggiò lentamente i piedi per terra. Ci vollero un paio di secondi prima che comprendesse davvero ciò che aveva fatto. Eppure non riuscì a provare rimorso.
D’un tratto gli arrivò un dolore lancinante alla mano che aveva colpito Dreixk e la scosse con una smorfia, cercando di attenuare il male. Allo stesso tempo, la spalla ferita gli ricordò con una fitta dolorosa che non avrebbe dovuto fare sforzi come quello di issarsi sul tavolo nello slancio del momento. Castle sbuffò seccato quindi, massaggiandosi le nocche e facendo ruotare lentamente la spalla per calmare il dolore, fece il giro della scrivania. Dreixk era riverso a terra su un fianco, seminascosto tra la sedia e il tavolo. Rick spostò la sedia con un calcio e si accovacciò sui talloni accanto al suo nemico. Un rivolo di sangue gli fluiva dal naso, che aveva preso una brutta piega e sembrava stesse iniziando a gonfiarsi. Inoltre sotto la testa il colonnello notò che stava cominciando ad allargarsi una piccola pozza rossa. Dreixk doveva aver battuto il capo nella caduta.
Castle osservò il suo parigrado per un lungo momento, immobile, pensando alle prossime mosse che avrebbe dovuto compiere. Si accorse che era la prima volta, da quando si era trovato Semir davanti casa quella mattina, che si ritrovava la mente così lucida. La prima cosa che notò fu che nessuno era ancora venuto a vedere cosa fosse successo. Salendo sulla scrivania, Rick aveva buttato giù diversi oggetti e anche la caduta di Dreixk a terra era stata piuttosto rumorosa. Evidentemente l’ufficio era insonorizzato come tutti quelli del piano. Il colonnello ringraziò mentalmente l’ossessione del suo parigrado per il silenzio e l’ordine. Fece per alzarsi, ma qualcosa lo trattenne a terra. Lanciò un’occhiata d’odio al suo nemico, ma alla fine, con una smorfia seccata, controllò che ci fossero ancora battito e respiro. Il lieve pulsare del polso e il leggero soffiare davanti alla bocca gli diedero la risposta che voleva. Dreixk era vivo.
Rick non seppe se esserne felice o meno, ma non si pose troppo il problema perché un altro spuntò subito fuori nella sua mente: Kate, gli Esposito, Semir, anche i Ryan e la Gates dovevano andarsene. Tutti. E il più velocemente possibile. Non aveva idea se Dreixk avesse comunicato le sue speculazioni a qualcuno, ma non poteva rischiare.
Castle si alzò e iniziò ad aprire velocemente i cassetti in cerca di qualcosa. Alla fine lo trovò: il paio di manette che tutti i soldati in città avevano in dotazione. Sapeva che Dreixk non sopportava il ritmico tintinnio del metallo, così le teneva sempre nel cassetto. Inoltre, secondo lui, un arresto non si addiceva a un Colonnello, poiché troppo da soldati semplici, quindi non le portava mai con sé. Era una delle sue manie che molti conoscevano. Rick le prese e se le infilò in tasca. A quel punto portò le mani sotto le ascelle di Dreixk, fece forza (con grande protesta della sua spalla) e tirò il corpo vicino al calorifero. Lì lo ammanettò per un polso a uno dei tubi sporgenti, lontano dalla scrivania e dalla porta. In quel modo, quando si sarebbe svegliato, non sarebbe stato in grado di arrivare al telefono per chiamare qualcuno e, se anche avesse urlato, con un po’ di fortuna ci avrebbero messo un po’ prima di sentirlo.
Solo a quel punto Castle recuperò cappello e guanti e si avviò alla porta. Prima di aprirla, si voltò un’ultima volta verso l’uomo, ancora sanguinante e ammanettato, steso a terra.
“Spero che questo sia il nostro ultimo incontro.” sussurrò con odio. “Addio, Dreixk.” aggiunse senza il minimo dispiacere. Quindi prese un respiro profondo e aprì di scatto la porta, chiudendosela poi alle spalle con un gesto rabbioso e scocciato. Giusto un po’ di recita in caso qualcuno dei sottoposti di Dreixk avesse avuto voglia di ficcare il naso dove non doveva. Fu una buona scelta perché, dopo qualche passo verso l’uscita, da una delle porte aperte Rick intravide lo stesso soldato che prima aveva trovato insieme a Dreixk in ufficio. Il galoppino, rosso in faccia, stava tentando di rendersi occupato, palesemente intento però a cercare di non farsi beccare a curiosare il tizio che era venuto a trovare il suo capo e che era appena uscito dall’ufficio sbattendo la porta. Nella furia di darsi un’aria impegnata, il soldato fece cadere una pila di fogli dalla scrivania dietro di lui.
Una volta alle scale, Castle scese il più velocemente possibile, cercando però insieme di non sembrare uno che scappa da una scena del crimine. Arrivato quasi al piano terra, si rinfilò guanti e cappello con gesti veloci. Notò che, nonostante si sentisse calmo, stava un po’ sudando freddo. Rick ebbe un piccolo moto di panico quando si ricordò che doveva passare davanti alle due guardie all’entrata delle scale. Con la testa bassa, e piazzandosi in faccia un’aria seccata, gli sfilò davanti senza degnarli di un’occhiata. Sia loro che il soldato alla scrivania nel salone che le guardie all’ingresso gli fecero il saluto scattando sull’attenti. Nessuno però lo fermò. Il colonnello si accorse che aveva smesso di respirare solo quando, tornando nel freddo della strada, notò l’assenza del respiro condensato in nuvolette davanti alla bocca.
Castle tornò velocemente alla macchina, non riuscendo a evitare di guardarsi intorno allarmato. Si aspettava da un momento all’altro di essere richiamato da uno dei soldati, ma nessuno aprì bocca contro di lui. Finalmente arrivò all’auto e vi si infilò dentro senza dire una parola. Ryan lo guardò sorpreso per quella foga e quel silenzio mentre Rick metteva in moto e ingranava la marcia con mosse rapide.
“Rick, tutto bene?” domandò ansioso, osservando l’amico immettersi in carreggiata senza quasi controllare se arrivassero altre vetture.
“No.” replicò il colonnello, mordendosi l’interno della guancia. Stava ancora pensando al piano che gli si era formato in testa mentre era nell’ufficio di Dreixk. E più ci rifletteva, più immaginava tutti i possibili problemi che avrebbero potuto incontrare.
“No?” ripeté Ryan con un tono a metà tra lo stridulo e il rassegnato. “Che hai fatto?” Castle rimase in silenzio per qualche secondo, svoltando a velocità piuttosto sostenuta in una strada laterale che non pareva aver subito i danni delle bombe degli ultimi mesi.
“Ho dato un pugno a Dreixk.” sbottò alla fine, senza guardare il maggiore. Poté quasi sentirlo avere un infarto.
“Tu… tu hai…” balbettò Kevin, guardandolo con gli occhi sgranati e la bocca spalancata. “Hai… CASTLE!!” esclamò poi un attimo dopo, furioso. “Dannazione, avevi promesso che non avresti fatto danni! Jenny e gli altri ora sono in pericolo! Dobbiamo tornare subito da loro!”
“No.” disse ancora una volta Rick, girando bruscamente in un’altra strada. Stavolta dovette rallentare perché era piena di buche e detriti. Ryan comunque non si interessò minimamente alla curva, che lo aveva sbattuto contro la portiera, né all’asfalto, troppo impegnato a fissare incredulo il colonnello.
“No…??” mormorò boccheggiante. “Castle, che cazzo stai dicendo?” domandò poi in tono gelido. Rick non lo aveva mai sentito parlare così, nemmeno nei suoi momenti peggiori, e ne rimase sorpreso e ferito. Una parte di lui però sapeva benissimo che se lo meritava e che avrebbe dovuto aspettarselo.
“Dreixk al momento è svenuto e ammanettato a un calorifero, ma nessuno, a parte me e te, per il momento lo sa.” spiegò il colonnello, continuando a tenere d’occhio la strada per non incrociare gli occhi azzurro ghiaccio di Kevin. “Sembra che tutta quella maledetta caserma sia insonorizzata, ma per noi è un vantaggio. Quando si sveglierà è probabile che ci vorrà un po’ prima qualcuno lo senta. Inoltre ha detto al suo segretario di non voler essere disturbato a meno che non chiami lui, quindi nessuno entrerà nel suo ufficio per un po’. E per quando succederà noi saremo già lontani.” Ryan rimase in silenzio per un momento, osservando intanto un punto indefinito del cruscotto, le sopracciglia aggrottate. Rick gli lanciò un’occhiata di soppiatto: il suo amico aveva un’aria terribilmente seria, come mai l’aveva visto fino a quel momento. Alla fine il maggiore prese un respiro profondo.
“Quanto forte l’hai dato quel pugno?” chiese in tono rassegnato. Castle non riuscì a sopprimere un mezzo sorriso.
“Diciamo che abbiamo una buona mezz’ora di vantaggio, se non di più.” rispose. Kevin sbuffò sarcastico.
“Fantastico.” borbottò. “Mezz’ora! Il tempo di prepararci un panino per il viaggio e andiamo. Oh, no aspetta, per quel momento Dreixk lo avremo già incollato alle chiappe!”
“Per quel momento saremo già lontani.” ripeté Rick paziente. Quindi fece un’altra brusca svolta e fermò la macchina.
“E ora dove siamo??” esclamò esasperato Ryan guardandosi intorno.
“Da Andris.” replicò il colonnello, indicando l’insegna con la scritta Autoschlosser, meccanico, pochi metri avanti a loro. Andris era l’uomo che teneva d’occhio i loro furgoni ‘speciali’. Gestiva un’autofficina e, grazie a lui, con gli anni avevano fatto alcune modifiche ai mezzi per poter trasportare persone e cose in sicurezza e di nascosto. Inoltre Andris teneva i furgoni sempre in tiro in caso fossero serviti per emergenze come quella.
Fu solo in quel momento che Kevin sembrò finalmente interessarsi al suo piano. Si voltò verso di lui lentamente, con aria curiosa e guardinga.
“Prendi il furgone grande.” continuò allora Castle. “E digli di aggiungere un piano in legno per un doppio fondo all’interno del cassone. Non serve qualcosa di bello, né perfetto, basta che sia della giusta dimensione e che si intoni con il resto. Se deve tagliarlo che lo faccia, ma ha cinque minuti in tutto. Digli anche di fare il pieno. Tra dieci minuti ti voglio davanti a casa tua, mi hai capito?” Ryan annuì piano.
“E tu?” chiese poi.
“Passo un secondo da casa e vado a dire agli altri di prendere le loro cose.” replicò con un mezzo sospiro. “Per quando arriverai saranno pronti.” Kevin rimase pensieroso per un momento, osservando l’esterno senza realmente vederlo.
“Vuoi andare in aeroporto anche se non sappiamo che voli ci siano, vero?” domandò alla fine retorico. Rick non rispose, ma abbassò lo sguardo colpevole. “Non ho idea di cosa ti abbia detto Dreixk, ma per meritarsi un pugno e costringerci ad accorciare così tanto i tempi deve essere stato qualcosa di grave…”
“Ha parlato con Hahn.” replicò il colonnello in tono duro, lo sguardo puntato verso l’autofficina poco lontano. “Sa cosa facevano Roy e Semir. E sa che i documenti erano per qualcuno che tenevamo nascosto in casa. Ha detto che li avrebbe fatti venire a prendere.” Ryan ispirò rumorosamente, scioccato. Avevano sperato entrambi di non arrivare mai a quel punto.
“Sai che non abbiamo nessuna garanzia sul volo?” chiese ancora il maggiore con tono cauto e nervoso. “Potrebbero finire dovunque o potrebbero anche non esserci più aerei per oggi! Siamo già nel primo pomeriggio, fra qualche ora farà buio e non decollerà più nulla con la notte…”
“Kev, per favore.” lo bloccò stancamente Rick, passandosi una mano sulla faccia prima di tornare a guardarlo. “Sai anche tu che al momento qualunque dovunque è un posto migliore di questo. Ma hai ragione, potrebbero non effettuare più voli. Per cui mentre aspetti che Andris sistemi il furgone, chiama l’aeroporto e fatti dire cos’hanno in programma, d’accordo?” Ryan annuì di nuovo. Quindi aprì la portiera dell’auto, ma si fermò un momento prima di uscire.
“Castle, potresti farmi un favore?” chiese seriamente. Rick lo guardò curioso. “Dì a mia moglie di preparare una valigia. Va via anche lei.”
“Jenny non vorrà andarsene senza di te…” commentò il colonnello mentre Kevin usciva.
“Lo so.” rispose il maggiore dalla portiera aperta. “Ma questa volta non le permetterò di non andare.”
“…quindi andrai anche tu.” concluse Castle, buttando fuori la frase prima che Ryan chiudesse lo sportello. Kevin bloccò la portiera a metà e lo guardò come fosse impazzito, immobile, la bocca aperta e le sopracciglia aggrottate. “Ascoltami, so che vorresti restare ad aiutarmi,” continuò Rick. “Ma ormai qui siamo compromessi. Inoltre tua moglie è incinta, non scortartelo…”
“Ci penso tutti i giorni.” ribatté Kevin duramente, ferito, come se Castle lo avesse appena accusato di non pensare alla condizione di Jenny. “Ma se andiamo noi, andiamo tutti. Tu compreso.” Il colonnello scosse la testa.
“Non è nella mia casa che, in caso di ricerche, troveranno una camera nascosta, Kev.” replicò con un mezzo sorriso triste. “Non hanno niente contro di me a parte la parola di Dreixk. Lui però è mio parigrado e tutti sanno che mi odia. Appena sarò sicuro che nessuno vi darà più noie, vi raggiungerò.”
“Ma…” tentò di obiettare Ryan, ma Rick non gliene diede la possibilità.
“Maggiore, questo è un ordine.” disse serio. Lo sguardo del suo amico era incredulo e risentito. “Ora vai da Andris e portami quel maledetto furgone a casa tua appena puoi.” Quindi Castle ingranò la marcia e partì, senza dare la possibilità a Kevin di ribattere, mentre la portiera sbatteva violentemente nel suo alloggiamento e si chiudeva da sola a causa dell’accelerazione.
 
Rick arrivò davanti alla sua abitazione in pochi minuti, ma quasi senza accorgersene. La sua testa era altrove, ancora alla semi-discussione avuta con Kevin. Non avrebbe voluto essere così duro, ma era l’unica cosa che aveva potuto fare per far sì che l’amico non ribattesse alla sua richiesta. Avevano già perso Roy e Semir aveva rischiato la vita. Se non si sbrigavano, sarebbero stati catturati tutti. Inoltre se Ryan fosse rimasto sarebbe stato bollato come traditore e fucilato. Non voleva neppure pensare a ciò che avrebbero potuto fare a Jenny, che non avrebbe mai accettato di partire senza il marito e sarebbe stata quindi indicata come complice del tradimento. No, non lo avrebbe permesso se avesse potuto impedirlo.
Castle parcheggiò malamente l’auto davanti al portone e uscì dall’auto con passi calmi, ma veloci, per non dare impressioni strane ai vicini. Una volta in casa però, perse ogni attenzione. Appena chiusa la porta alle spalle, come un fulmine si fiondò in camera per recuperare qualche abito di Kate. Per paura che qualcuno spiasse le loro chiamate, non tentò neppure di telefonare a casa di Ryan. Cercò solo di fare il più in fretta possibile.
Prese un borsone dall’armadio e con rapide mosse lo riempì dei primi capi di biancheria e vestiario di Beckett che si trovò davanti. Quindi chiuse il borsone e tornò veloce in salone, ma qui si bloccò. La mensola con i suoi personali trofei spiccava sulla parete davanti a lui. Ebbe un attimo di esitazione osservandoli, all’improvviso con un nodo allo stomaco, quasi come un cattivo presentimento. Rimase immobile ancora per un attimo. Poi riaprì il borsone e, uno a uno, infilò all’interno la piccola Torre Eiffel di sua madre, la medaglia di suo padre, la targa della famiglia che aveva salvato e il ciocco di legno con la scritta Always di Kate. Voleva che fosse Beckett a custodirli per lui. Nonostante la sua spavalderia con Kevin, non aveva idea di quando sarebbe partito. E in realtà non sapeva neppure se lo avrebbe mai fatto. Gli unici oggetti a cui teneva veramente erano quelli e sperò che Kate li avrebbe conservati per lui.
Quando Rick uscì di nuovo dalla porta d’ingresso, non dovevano essere passati più di tre minuti. Con calma, anche se il suo cuore batteva forte e sudava leggermente sotto i vestiti pesanti, tornò alla macchina, mise il borsone sul sedile passeggero e partì per casa di Ryan. Pochi minuti dopo stava già parcheggiando davanti l’abitazione, slittando leggermente per il ghiaccio. Saltò praticamente giù dall’auto, portandosi dietro anche il borsone, e si affrettò verso l’ingresso. Non era ancora salito sull’ultimo gradino che il suo dito aveva già raggiunto il campanello, premendolo in modo incessante e nervoso.
“Jenny!” esclamò con il volto attaccato alla porta, senza smettere di suonare nemmeno per un secondo. “Sono Castle, apri!” Qualche attimo dopo la porta si spalancò, mostrando una Jenny sorpresa e seccata.
“Rick, ma sei impazzito??” esclamò, lanciandogli un’occhiataccia. “Guarda che sono incinta, non sorda!” Rick si accorse all’improvviso di quanto fosse avanti la gravidanza di Jenny e di quanto il suo pancione fosse diventato visibilmente prominente anche da sotto il vestito. Fece un rapido conto mentale. Essendo a inizio gennaio, il piccolo doveva avere ormai quasi otto mesi. Quella constatazione lo fece star male, pensando a quanto stress avrebbe causato alla donna da lì a poco.
Ancora con quel pensiero in testa, il colonnello si infilò in casa senza dire una parola, chiudendo poi velocemente la porta dietro di sé.
“Dov’è Kevin??” domandò un attimo dopo Jenny preoccupata, non vedendo il marito dietro di lui.
“Tranquilla, sta bene. Arriverà tra poco.” rispose Castle, lasciando il borsone di lato al corridoio. Quindi precedette la signora Ryan in soggiorno, dove trovò Semir ancora steso sul tavolo da pranzo con vicino Leandro, Lanie e la Gates. Kate e Javier invece erano seduti sul divano. Appena lo vide entrare, Beckett scattò in piedi con un piccolo sorriso.
“Rick!” esclamò sollevata, ma l’aria ansiosa del colonnello la fece bloccare dall’andargli incontro.
“C’è stato un imprevisto.” disse Castle rivolto a tutti senza dare ulteriori spiegazioni. “Preparate una valigia e mettete dentro tutto quello che non potete lasciare qui. Dovete essere pronti tra cinque minuti.” A quella notizia Esposito scambiò uno sguardo d’intesa con la moglie, quindi Lanie corse nella loro stanza segreta seguita a ruota da Javier. Rick sapeva che ci avrebbero messo un attimo a prepararsi perché tutto quello che avevano era una grande valigia sempre pronta in caso di fuga rapida e improvvisa. Gli altri invece rimasero per un momento interdetti. Leandro aveva osservato perplesso e curioso i suoi genitori scappare nella stanzetta, mentre l’unica cosa che avevano fatto la signora Ryan e la cameriera era stato guardare il colonnello con aria confusa. “Jenny, Gates, anche voi.” li esortò Castle pazientemente. “Per Kate ho già messo qualcosa in un borsone e…”
“Anche io?” domandò allarmata Jenny.
“Tu e Kevin partite con gli altri.” rispose Rick, intuendo la sua angoscia. A quelle parole la donna annuì piano. Pareva avere un’aria appena sollevata. Come il colonnello aveva sospettato, Jenny aveva avuto paura di dover partire senza suo marito.
“Ma cosa…?” cercò allora di chiedere la signora Ryan, ma fu subito bloccata.
“Jen, ti prego.” la interruppe Castle con tono urgente, avvicinandosi a lei per posarle le mani sulle braccia. “Prima prepara qualcosa di tuo e di Kevin. Poi vi spiegherò.” La donna rimase per un momento immobile, ma poi annuì, si sciolse dalla sua presa e si avviò verso il piano di sopra dove c’era la camera sua e di Kevin. La Gates la seguì subito per aiutarla.
“Io non… non ho più niente…” mormorò Semir dal suo letto improvvisato, più a sé stesso che agli altri, gli occhi sgranati e fissi al soffitto. Il suo tono era distrutto, come se si fosse reso conto davvero solo in quel momento che con Roy aveva perso tutto ciò che gli era rimasto.
“Ti presto io qualcosa!” gli disse subito Leandro con tutta la sua innocenza di bambino. “Non ti preoccupare. Possiamo far finta di essere fratelli, così posso darti la mia roba. La mamma non si arrabbierà se glielo chiedo.” Sem gli lanciò uno sguardo insieme perplesso e ancora triste, ma alla fine non riuscì a reprimere un piccolo sorriso.
“Mi piacerebbe essere tuo fratello.” rispose piano, alzando faticosamente una mano fasciata per carezzargli i capelli ricci. “Ma non credo che i tuoi vestiti mi starebbero, piccolo.” Leo ci pensò su un momento, mordendosi il labbro inferiore.
“Non possiamo ingrandirli?” chiese allora, dispiaciuto di non poter essere d’aiuto come sperava.
“Rick, posso parlarti un momento?” domandò all’improvviso Kate a Castle con voce bassa e nervosa, distraendolo dallo scambio tra Leandro e Semir. Lui annuì e Beckett lo tirò velocemente per un braccio verso il corridoio d’entrata, lontano dalle orecchie dei due in salone. “Che è successo?” chiese quindi con tono preoccupato, stringendogli la mano sul braccio. “Perché all’improvviso questa fretta? Dovevamo partire il 5, tra due giorni…”
“Ho sbagliato.” confessò il colonnello in un sussurro, senza riuscire a guardarla negli occhi. Kate aggrottò le sopracciglia senza capire. “Siamo andati a cercare Roy e l’abbiamo trovato in un ospedale, morto.” spiegò Rick atono, cercando forse di farle capire le ragioni del suo gesto di rabbia contro Dreixk che ancora non le aveva rivelato. La donna si portò automaticamente una mano davanti alla bocca a quella notizia, gli occhi sgranati.
“Mi dispiace…” mormorò, avvicinandosi di un passo a lui. Castle però continuò come se non avesse sentito.
“Sempre nell’ospedale abbiamo trovato Hahn in coma, Fuchs sparito e Klein invece vivo e sveglio. Gli abbiamo parlato e ci ha confessato che erano loro i torturatori e che il suo capo aveva già probabilmente parlato con Dreixk.” Rick osservò Kate rabbrividire leggermente a quel nome. Avrebbe voluto abbracciarla e confortarla, ma come poteva farlo e poi dirle che era a causa sua che dovevano accelerare di due giorni i tempi? “Stavamo tornando, quando sono voluto passare da Dreixk.” ammise alla fine il colonnello dopo un lungo sospiro. “So che non avrei dovuto farlo, ma…” Non riuscì a continuare la frase. Beckett comunque gli fece cenno di andare avanti, inquieta per ciò che sarebbe seguito. “Sono andato a parlargli.” continuò allora Castle. In quel momento, senza riuscire a trattenersi, l’atonalità nella sua voce sparì, sostituita da una smorfia rabbiosa. Il taglio in faccia gli tirò la pelle mentre contraeva la mascella. “Mi ha praticamente confessato di aver fatto torturare Semir e Roy e, oltre questo, mi ha detto che presto avrebbe mandato qualcuno per venire a prendervi. Gli serviva solo un’ultima prova che forse sperava di trovare nelle nostre case, ma il fatto che io mi sia presentato da lui accusandolo delle torture gli ha sicuramente dato le risposte che cercava.” sputò fuori nervoso, incolpando sé stesso per quella leggerezza. “Così gli ho…” Si bloccò per un momento, la rabbia che si sgonfiava per far posto al timore della reazione di Kate. La guardò incerto. La faccia di lei era sbalordita e inorridita. Alla fine il colonnello prese un respiro profondo e si decise a continuare. “Gli ho tirato un pugno.” concluse teso. Beckett spalancò ancora di più la bocca e aggrottò le sopracciglia. Quindi, inaspettatamente, un piccolo sorriso le spuntò sulle labbra.
“Gli hai tirato un pugno?” domandò, incredula e divertita insieme nonostante la situazione. “Beh, spero che tu lo abbia steso per bene.” Fu solo in quel momento che Rick si concesse di sorridere a sua volta, un po’ più sollevato.
“Ora capisco perché ti amo.” commentò a mezza voce, prima di saltare quell’ultimo passo tra di loro, abbracciarla per la vita e baciarla. Aveva bisogno di quel bacio. La sua testa era divisa tra l’immagine di Roy all’obitorio e il futuro incerto che li attendeva. Mille pensieri gli affollavano la mente e altrettante emozioni gli offuscavano la lucidità. Quell’attimo rubato, quel bacio, era tutto ciò che gli serviva. Gli serviva per rimettere tutto nella giusta prospettiva e nel giusto ordine. Gli serviva per poter condurre i suoi amici fuori da quella città. Gli serviva per poter dire addio a Kate.
Quando si staccarono, rimasero per un momento con le fronti unite ad assaporare quegli ultimi attimi insieme. Il profumo e il calore di lei lo confortavano e ritempravano come fossero una bevanda magica. Si accorse solo in quel momento che, fino a quell’istante, non aveva creduto davvero che ce l’avrebbe fatta a farli fuggire. Ora era certo che ci sarebbe riuscito. Li avrebbe salvati.
“Ti ho preso alcune cose da casa.” disse alla fine Rick, scostandosi da Beckett, quando sentì Lanie e Javier rientrare in salone. Quindi si girò per prendere il borsone che le aveva preparato, lo aprì e le mostrò il contenuto. “Spero ti vadano bene. Ah, guarda che ho aggiunto anche alcune… alcune cose.” continuò poi con tono serio anche se un po’ incerto. Kate guardò dentro il borsone curiosa, spostando i vestiti per vedere di cosa parlasse. A un certo punto si bloccò quando la punta metallica della Torre Eiffel spuntò tra due abiti. In un attimo portò alla luce anche il legno, la targa dorata e la medaglia.
“Rick…?” mormorò Kate con un tono stupito che era a metà una domanda. “Cosa…?”
“Vorrei che li tenessi tu.” la interruppe Castle ansioso. “Per me.”
“Ma questi sono…” cercò di dire Beckett, ma lui la fermò di nuovo.
“So cosa sono.” disse dolcemente, lasciando un manico del borsone per andare a carezzarle una guancia. “Per questo voglio che li tenga tu, al sicuro. Non so quando riuscirò ad andarmene da qui e non voglio correre il rischio di lasciarli indietro. Perciò mi piacerebbe che ne avessi cura tu, finché non ti raggiungerò.” Beckett lo guardò agitata. Quel discorso non le piaceva per niente, Rick poteva leggerglielo negli occhi. Non voleva che lui rimanesse in Germania a lungo. “Ti raggiungerò presto, Kate.” la rassicurò con un piccolo sorriso. “Questi…” disse, alzando appena il borsone ad indicarne gli oggetti contenuti. “Ma soprattutto questo…” aggiunse poi prendendole la mano sinistra e carezzandone con il pollice l’anulare occupato dal suo anello di fortuna. “Sono ciò che mi riporterà da te. Ad ogni costo.” La donna lo osservò per un lungo momento immobile, quindi gli si strinse al collo di slancio.
“Devi proprio restare?” mormorò Kate ancora una volta, dopo averglielo chiesto e richiesto per giorni. Castle sentiva il calore del corpo di lei irradiare contro il suo, il respiro solleticargli il collo. La strinse a sé con forza, ma senza farle male, tenendole il capo contro la sua spalla. A un certo punto sentì il colletto della camicia inumidirsi e capì che Beckett stava piangendo silenziosamente.
“Mi avrai di nuovo tra i piedi prima di quanto credi.” le sussurrò piano prima di lasciarle un bacio tra i capelli.
“Dovrai comprarmi un vero anello.” borbottò in risposta Kate contro il suo collo. Rick ridacchiò piano a quell’uscita.
“Sarà la prima cosa che farò quando sarò di nuovo con te.” replicò dolcemente, carezzandole la schiena. Fu solo a quel punto che Beckett si staccò, la testa bassa per non farsi vedere in volto mentre si puliva i residui di lacrime con la manica.
“Farai bene a mantenere questa promessa.” gli disse allora, rialzando lo sguardo e puntandogli un dito contro il petto con aria minacciosa, non nascondendo però un mezzo sorriso. “Perché altrimenti mi troverai all’inferno a darti una lezione che neppure Lucifero in persona penserebbe.” Castle ghignò e si sporse in avanti per lasciarle un ultimo bacio sulle labbra.
“Ci conto.” commentò con tono furbo, facendo roteare gli occhi, ancora un po’ arrossati e umidi, a Kate. In quel momento sentirono i passi di Jenny e della Gates scendere le scale e allo stesso tempo suonò il campanello d’ingresso.
Castle si staccò a malincuore da Beckett e andò a controllare chi era, una mano alla fondina in caso fosse stata una visita sgradita. Appena notò la figura di Ryan però, spalancò al porta.
“Sei stato veloce.” commentò Rick sorpreso, scostandosi per far entrare l’amico. Gli aveva detto di far presto, ma non credeva che avrebbe fatto davvero così presto. Non appena vide il marito, Jenny scese gli ultimi gradini di corsa, incurante del pancione, e si gettò al collo Kevin. Lui la strinse sé e le lasciò un bacio tra i capelli, sussurrandole che sarebbe andato tutto bene, prima di tornare a rivolgersi al colonnello.
“Andris aveva una tavola già pronta da montare nel furgone. Ne aveva preparate di ogni tipo in caso di bisogno.” spiegò il maggiore in tono un po’ freddo. Evidentemente ce l’aveva ancora con lui per la discussione che avevano avuto in auto. “E ho contattato il mio amico all’aeroporto. Il primo e unico volo che hanno è tra due ore per la Danimarca.” Castle annuì, quindi si voltò verso gli altri.
“Avete preso tutto quello che vi serviva?” chiese.
“Noi non abbiamo molto e siamo sempre pronti, lo sai.” rispose Javier serio, una mano intorno alla vita di Lanie in un gesto di protezione.
“Io sono riuscita a mettere un po’ di vestiario e qualche ricordo importante in una valigia.” disse Jenny, ancora abbracciata al marito. “Ma mentirei se dicessi che non ero preparata a un’eventualità del genere.” C’era una sottile ruga di preoccupazione che le segnava orizzontalmente la fronte, come quella di Kate solo che la sua era più corta e verticale.
“Gates?” domandò allora Castle, rivolgendosi alla cameriera. L’unico bagaglio che aveva in mano era quello dei Ryan.
“Ho una borsa nella mia camera.” rispose, il tono leggermente assente come se non fosse una sua preoccupazione o si trattasse di una cosa di poco conto.
“Vuoi chiamare tuo marito e i tuoi figli?” chiese allora Rick. “Possiamo portare via anche loro.” Ma, con sua grande sorpresa, la donna scosse la testa.
“Gliel’ho detto tempo fa, signor Castle.” rispose con un mezzo sorriso triste. “La mia famiglia è più al sicuro ora di quanto lo sia mai stata.” Il colonnello aggrottò le sopracciglia confuso.
“Victoria,” riprovò lentamente, cercando di capire. “Non credo che…” Non fece in tempo però a ragionare sulle sue parole che un gemito di dolore arrivò dal salone. Lanie si voltò subito e si avvicinò velocemente a Semir, steso sul tavolo. Leandro, che per tutto il tempo non si era mosso dal fianco dell’adolescente, guardò inquieto la madre.
“Castle, non so se riusciremo a portarlo via in queste condizioni...” disse la signora Esposito con tono ansioso e preoccupato, aiutando il ragazzo a trovare una posizione più comoda e meno dolorosa.
“NO!” urlò subito Semir terrorizzato, dimenticando all’improvviso il dolore e iniziando ad agitarsi. Leandro cadde dalla sedia su cui era appollaiato, spaventato da quell’improvviso scoppio, e corse dal padre intimorito. “NON LASCIATEMI QUI! VI PREGO, NON LASCIATEMI DI NUOVO CON LORO!” gridò il ragazzo, aggrappandosi a Lanie con tutta la forza che gli era rimasta, gli occhi sbarrati, le nocche sbiancate per lo sforzo. Quasi cadde dal tavolo nello slancio di afferrarsi a lei. “AMMAZZATEMI PIUTTOSTO! VI PREGO!”
“Semir!” cercò di tranquillizzarlo Lanie mentre gli altri accorrevano ad aiutarla. “Semir, calmati! Nessuno ti lascerà qui!” Javier lasciò il figlio in braccio a Kate e corse a bloccare l’adolescente insieme a Rick e Kevin.
“Sem!” tentò anche Castle, staccando intanto con la forza le mani del ragazzo da Lanie. “Sem, non ti lasciamo qui! Ascoltami, Semir! Ascoltami!” esclamò a voce più alta, costringendo l’adolescente a voltarsi verso di lui. Era pallidissimo e atterrito. “Non permetterò mai più che ti sfiorino.” disse quindi con voce bassa e calma, rassicurante, tenendogli la mano per confortarlo e per evitare che attaccasse ancora qualcuno. “Mai più. Ti porterò via di qui, fosse l’ultima cosa che faccio. Te lo prometto. Ci credi alla mia promessa?” Semir ci mise qualche secondo prima di annuire piano, gli occhi sgranati fissi su quelli seri di Rick, il respiro irregolare e veloce, le mani gelate e sudate contro quelle calde dei tre uomini che lo tenevano fermo. Fu solo in quel momento che iniziò a calmarsi, sbattendo più volte le palpebre, come se si fosse appena svegliato da un incubo, e iniziando a rilassare i muscoli. Castle fece un breve respiro sollevato e scambiò un’occhiata preoccupata con Ryan ed Esposito. Anche volendo, non avrebbero mai potuto lasciarlo a Berlino, neanche conoscendo il luogo più sicuro della città. Semir non sarebbe mai stato tranquillo rimanendo lì.
Rick contò mentalmente fino a dieci, quindi lasciò andare il ragazzo con delicatezza. Semir però sembrava troppo stremato per potersi agitare ancora. Rimase immobile, gli occhi socchiusi e la bocca semiaperta, leggermente ansante. Ryan gli posò una mano sulla testa in un gesto quasi paterno. Il ragazzo non aveva mai avuto fino a quel momento una crisi così forte. La paura della possibilità di essere lasciato indietro lo aveva fatto scoppiare.
“Andate tutti.” dichiarò Castle alla fine, più a sé stesso che agli altri, osservando il corpo di Semir rilassarsi un poco di più ogni secondo che passava. “In qualunque modo.”
 
La prima cosa che sentì fu un dolore lancinante alla testa e al volto. Gli pareva che gli avessero schiacciato il naso all’interno del cranio con un martello e infilzato un coltello nel cervello. Inoltre il liquido appiccicoso che sentiva di avere in mezza faccia non contribuiva certo a rendere migliore il risveglio.
Dreixk mugugnò dolorante e aprì piano gli occhi. Gli ci volle qualche attimo prima di capire che era steso sul freddo pavimento del suo ufficio. Come diavolo c’era arrivato lì a terra? Non lo ricordava. Automaticamente, con gesti lenti, cercò di alzarsi facendo leva sulle braccia, ma il suo movimento venne subito bloccato. Una mano sembrava non volerne sapere di rispondere ai suoi comandi. E cos’era quel lieve e fastidioso suono metallico?
Con fatica, ancora stordito e con la testa pulsante, alzò la faccia e puntò lo sguardo verso la sua mano. Fu solo a quel punto che vide che era ammanettato al calorifero. Aggrottò le sopracciglia e la bocca si schiuse autonomamente per la sorpresa. Come era finito là a terra e per di più legato??
“Sottotenente…” cercò di dire per chiamare il suo segretario, ma la voce gli uscì roca e debole. Inghiottì un po’ di saliva, ma si accorse all’ultimo che era mista a sangue. Il suo sangue. La sputò con una smorfia disgustata, sentendo in bocca il caratteristico sapore dolciastro e metallico. Rimase per un momento immobile mentre pian piano la mente gli tornava lucida anche sotto il continuo pulsare. L’ultima cosa che ricordava era di aver firmato dei fogli… e poi la faccia sconvolta di Castle. Un ghigno involontario gli spuntò sulle labbra nel rammentare quell’immagine, ma dovette subito cancellarlo perché il naso gli lanciò una fitta dolorosa che andò ad aggiungersi male alla testa. Poi all’improvviso ricordò. Spalancò gli occhi e la bocca per la sorpresa: Castle lo aveva colpito. Quel fottuto americano lo aveva colpito!
La rabbia e l’adrenalina diedero a Dreixk la forza di cui aveva bisogno. Fece leva sul braccio libero e sul calorifero, nonostante scottasse, per alzarsi dal pavimento e mettersi seduto. C’era una piccola pozza di sangue rappreso accanto alla sua gamba, dove fino a poco prima c’era il suo capo, e sentiva anche di averne una buona quantità in faccia e tra i capelli. La testa gli pulsava in modo atroce e del naso non voleva neanche parlarne.
“Sottotenente!” chiamò di nuovo, la voce ancora roca, ma più alta e decisa. Un attimo dopo però si ricordò che aveva fatto insonorizzare tutte le pareti per avere il silenzio e la pace che voleva e per evitare che qualcuno origliasse le sue conversazioni private. Imprecò silenziosamente e iniziò a guardarsi intorno, finalmente lucido nonostante il capogiro e il dolore. Essendo in ferro, rompere il calorifero era fuori discussione e il tavolo dov’erano le chiavi delle manette era troppo lontano, sempre che quel figlio di puttana di Castle non gliele avesse portate via. Però… però al contrario notò che era vicino all’attaccapanni in legno, la cui estremità superiore era composta da una serie di uncini. Ottimi per appendere, ma anche per agganciare qualcosa, se ben usati. E la lunghezza era giusto quella che gli serviva per arrivare al tavolo.
Dreixk digrignò i denti e si allungò per prendere l’appendiabiti. Castle non l’avrebbe fatta franca stavolta. Gliel’avrebbe pagata cara.

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Xiao! :D 
Allora... quanti pensavano che ci saremmo liberati così presto di Dreixk? XD Mica è così facile togliersi dalle scatole un tipo come lui, eh! ù.ù Però dai, gli altri sono quasi pronti alla fuga... ce la faranno a non farsi beccare? Lo saprete nella prossima puntata! XD
A presto! :D
Lanie
ps:wow, sono stata stranamente e inquietantemente breve in questo angoletto autore stavolta... Mah. O.o
  
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