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Autore: Ysera    16/12/2014    2 recensioni
"In fondo, la sua intera vita non era stata altro che un ripetersi continuo di eventi a cui sembrava nessuno volesse porre rimedio, mentre lui non poteva fare altro che guardare. 17 anni di nulla.
“Non questa volta” si disse. Era pronto, lo sentiva.
Chiuse gli occhi e fece un respiro profondo, l’ultimo che avrebbe mai fatto, mentre il vento autunnale lo stringeva nel suo gelido abbraccio.
Quel giorno Elar avrebbe imparato a volare."
Genere: Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Grigio, grigio, grigio.
A Elar sembrava di venire inghiottito da quel colore ogni giorno di più. “Che poi,” pensò, “chiamarlo colore è dire troppo. Né bianco né nero. Il grigio è una via di mezzo, ecco. Proprio come me. Io non sono né alto né basso, né bello né brutto, né cattivo né buono, né strano né normale. Sono il grigio tra mille fasce arcobaleno, tra mille sfumature, tra mille mescolanze.
E anche la sua vita era grigia: in essa non vi erano né gioie né sofferenze, né amore né odio.
Perfino l’asfalto che ora fissava incessantemente dall’alto del grattacielo su cui se ne stava era perfettamente grigio, senza sfumature nere lasciate dagli pneumatici e senza bianche strisce pedonali.
Elar sentiva di stare impazzendo. Era tutto così monotono che perfino i suoi sogni erano diventati sempre gli stessi, gli incubi non lo terrorizzavano più, le fantasticherie non gli davano più forza per tirare avanti. Il tempo scorreva impercettibile e i giorni passavano senza che il ragazzo ne vivesse un singolo istante.
Ma c’era qualcosa che poteva mettere fine a tutto questo, qualcosa su cui Elar aveva libera scelta: vivere o morire.
Così, quel giorno, se ne stava sul parapetto di un palazzo di diciotto piani, a meditare sul se fare un passo avanti o meno. Era curioso come un semplice passo potesse cambiare così tante cose e porre un taglio netto ad altre.
Quel passo, per il ragazzo, significava niente più liti fra i suoi genitori, niente più piatti volanti e urla, niente più lacrime, niente più ore passate tappato in camera con gli auricolari infilati nelle orecchie e il lettore musicale al massino per non sentire le violenze che la madre era costretta a subire, niente più giorni interminabili passati in una scuola che odiava e la quale, a sua volta, sembrava odiare lui, niente più sabati sera passati da solo, niente più grigio. Quel passo, per lui, significava libertà.
In fondo, la sua intera vita non era stata altro che un ripetersi continuo di eventi a cui sembrava nessuno volesse porre rimedio, mentre lui non poteva fare altro che guardare. 17 anni di nulla.
Non questa volta” si disse. Era pronto, lo sentiva.
Chiuse gli occhi e fece un respiro profondo, l’ultimo che avrebbe mai fatto, mentre il vento autunnale lo stringeva nel suo gelido abbraccio.
Quel giorno Elar avrebbe imparato a volare.
«Non è facile restare in questo posto, non è così?»
Il ragazzo aprì gli occhi, sorpreso. Accanto a lui, una ragaza dai lunghi capelli viola tenuti su in uno chignon scomposto guardava il cielo coperto di nuvole.
Elar rimase senza parole; non l’aveva sentita arrivare.
«Stai piangendo» esordì la misteriosa ragazza, continuando a fissare il vuoto.
Elar si portò due dita al viso, chiedendosi quando avesse cominciato a piangere.
La ragazza estrasse da un cappotto nero troppo largo per un corpo esile come il suo una sigaretta ammaccata, poggiandosela tra le labbra carnose e accendendola.
«Come ti chiami?» chiese timidamente Elar.
«Chiamami Hope» rispose seccamente lei, mentre soffiava fuori una nuvoletta di fumo. «E’ la prima volta che vieni qui, vero?»
Elar, perplesso, annuì.
«Per me no, invece. Ci vengo spesso, per lo stesso motivo per cui tu sei qui ora, ma finendo semplicemente per tornarmene a casa come tutti i santi giorni, alla fine. Ogni volta mi sento pronta, “questa volta finisce tutto” mi ripeto sempre. Ma non è così. E’ la speranza che mi frega. E forse è meglio così.»
Hope buttò giù il mozzicone di sigaretta ancora acceso e lasciato neanche a metà, voltandosi verso il ragazzo.
«Come ti chiami?» gli chiese.
«Elar» le rispose lui, guardandola nei suoi profondi occhi grigi. Quel colore stava iniziando, inspiegabilmente, a piacergli.
«D’accordo Elar» disse la ragazza, porgendogli la mano sottile dalle unghie laccate di nero. «E’ ora di tornare a casa.»
Nel momento in cui le mani dei due si sfiorarono il mondo cominciò a girare, la città a colorarsi, il tempo a scorrere, la vita ad avere un senso.
E’ la speranza che ci frega” ripeté Elar fra sè. “Siamo vie di mezzo.”
   
 
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