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Autore: FarAway_17    16/12/2014    1 recensioni
"Destinati a girare in tondo, senza via di fuga."
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Frank Iero, Gerard Way
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CET AMOUR

 
Desclaimer: i personaggi qui di seguito presentati non mi appartengono, mio malgrado, in alcun modo e qualsiasi riferimento a luoghi, persone e cose conosciute, è unico e assoluto frutto della mia mente malata.
Note: La OS è ambientata verso la fine dell’anno 2021. Non chiedetevi il perché, non c’è un motivo, mi piaceva così (?).
 
 

 
“Cet amour si vrai
Cet amour si beau
Si heureux
Si joyeux
Et si dérisoire
Tremblant de peur comme un enfant dans le noir
Et si sûr de lui
Comme un homme tranquille au milieu de la nuit”

- Cet amour, Jacques Prévert 
 

Si chiedeva da sempre come Frank potesse essere così immensamente se stesso in ogni occasione e di fronte a qualsiasi ostacolo. Gerard proprio non lo capiva. Era sincero, vero, trasparente. Dannatamente trasparente. E irresponsabile. In poche parole, era tutto ciò che lui per primo aveva tentato di diventare senza successo per quarantaquattro lunghi ed estenuanti anni.  
Lo invidiava da morire. E lo amava anche, da morire. Con la stessa sfrenata consapevolezza di non potergli resistere, di non potersi privare della sua presenza così reale e palpabile, così maledettamente pericolosa e elettrizzante. Perché Frank era così, pervaso da quel genere di elettricità che ti contagiava e ti trapassava il cuore da parte a parte, fino a ucciderti. E Gerard l’aveva sempre saputo, fin dal primo istante, da quel lontano giorno in cui aveva udito la sua risata acuta, talmente diversa dalla sua voce ruvida, di spessore, arrochita da anni di fumo e di passione, la stessa che metteva in tutto ciò che faceva, che avrebbe imparato a conoscere col tempo e a conservare come un geloso ricordo.

Si sa, in ogni vita che si rispetti prima o poi si fa i conti con la fatidica frase “le cose belle hanno sempre una fine” e quel momento era arrivato anche per loro. Che poi, se ci pensava, non c’era mai stato niente che potesse essere definito “bello” tra loro. C’era stata attrazione, fatale e immediata, resistenza, inutile e scontata, abbandono, ricercato e desiderato, passione, potente e travolgente, travaglio, doloroso e infinito, separazione, agognata e al contempo temuta da entrambi. Si erano voluti, avuti, disprezzati, distrutti, ricomposti, traditi, difesi, sostenuti, accecati, picchiati, curati, divisi. Ma sempre amati. E non avrebbero mai smesso di farlo. Gerard lo sapeva, un po’ da sempre, proprio come aveva saputo tutto il resto. E lo leggeva anche negli occhi di Frank.
La loro era una scommessa già persa in partenza. Avevano puntato sul cavallo più debole, il più gracile di tutti quelli in gara, pur sapendo che aveva una zampa rotta e che non sarebbe nemmeno partito. Loro non erano mai riusciti a passare dal via. Niente inizio, nessuna fine. Nulla che potesse avere un minimo di importanza. Questo era il patto non scritto che avevano siglato. Ma da che mondo e mondo due come loro riuscivano a mantenere le promesse?
Gerard non credeva nel matrimonio. Promesse, promesse, promesse. Eppure si era sposato. E ogni volta che incrociava il proprio sguardo pesante sulla superficie appannata dello specchio del bagno, si ricordava il perché. Non se l’erano mai detto, ma erano sempre stati d’accordo: la paura li avrebbe rovinati, li rovinava ogni dannatissimo giorno.
Scappare era la via più sicura e l’avrebbero percorsa sino alla fine. Tra un giuramento d’amore e uno di sicurezza avevano scelto il secondo, dicendosi addio. Addio con il corpo, addio con gl’occhi, addio con le mani e con le labbra sigillate e tese in una smorfia di finto autocontrollo. Ma la mente era sempre ferma lì, a quel giorno di tanti anni prima, la risata di Frank che aleggiava ancora nell’aria umida di Belleville, e i capelli neri di Gerard che si muovevano sferzati dal vento mentre voltava il capo nella sua direzione. Si videro e furono subito un’unica persona. E quando si è un tutt’uno per un secondo, cari miei, quando lo si è veramente, lo si è per la vita. Nonostante i chilometri, nonostante il fuso orario, nonostante i litigi, le incomprensioni e le scelte di vita, erano irrevocabilmente inscindibili. Il filo che li univa, invisibile al mondo e che non potevano recidere, li sbeffeggiava ad ogni tentativo di dividersi. Non c’era modo, loro erano Uno. Destinati a girare in tondo, senza via di fuga.
Gerard avrebbe potuto mentire a se stesso in eterno, raccontarsi favole sul motivo per cui si trovava in quel posto lasciatosi alle spalle da tanto, dirsi che era tornato solamente per assaggiare una delle fantastiche torte che sua madre preparava per le occasioni speciali, che l’atmosfera frenetica di Los Angeles lo aveva stufato, che semplicemente aveva bisogno di una pausa dalla vita famigliare, ma sarebbero state solo bugie.

Aveva preso quel fottuto aereo d’improvviso, con un pensiero fisso in testa. Era passato dai suoi, aveva assistito alla felicità lacrimosa di sua madre, subito l’abbraccio impacciato di suo padre e ingurgitato due tazze di caffè che non avevano fatto altro se non alzare la soglia del suo nervosismo. Quando finalmente arrivò la sera e si ritirò nella sua vecchia camera, seguito dalle scuse di sua madre per la polvere e il rammarico di non essere stata avvertita dalla sua venuta, chiuse la porta, si sfilò la prima scarpa per metà e si fermò. Guardando il suo lettino ad una piazza, coperto dalla vecchia coperta di Batman, tornò a una notte di vent’anni anni prima; si vide steso lì a rigirarsi senza tregua, il sonno ormai perso e la mente vigile.
Frank.
L’aveva appena conosciuto e già gli toglieva il sonno, il respiro, la pace, tutto. Era interamente già suo e la cosa lo disturbava.
Rise al ricordo di come avesse tentato di rifiutare questa sensazione di appartenenza, avesse lottato contro i suoi stessi desideri, per poi cedervi, con il più dolce dei sospiri proprio in quello stesso letto qualche mese dopo.
Si infilò sotto le coperte quasi del tutto vestito, prese il cellulare e cercò il numero di Frank. Fissò per un po’ lo schermo, assaporando la tensione di quel momento prima di premere con decisione il tasto di chiamata e attendere.
«Ciao Gerard». Era lui, con quello stesso tono speranzoso e sommesso che Gerard si era abituato a sentirgli usare ogni volta che lo chiamava.
«Sono a casa – a Belleville, nel mio vecchio letto» “ma tu non ci sei”, aggiunse mentalmente. Il coraggio di parlare chiaro gli era sempre mancato. Immaginò un sorriso amaro increspare le labbra di Frank e le palpebre stanche calare sui suoi bellissimi occhi cangianti.
Lo udì inspirare ed espirare con lentezza, poi parlò. «Apri la finestra», disse solo e riattaccò.
Gerard rimase con il cellulare premuto all’orecchio ancora per qualche secondo, fissando il soffitto. Stava arrivando, l’avrebbe rivisto. Si alzò di scatto, sentendosi addosso almeno dieci anni di meno, e andò ad aprire la finestra della camera.
Da sempre, Frank entrava da lì. Era il loro segreto e, anche se nessuno avrebbe avuto da ridire vedendolo entrare dalla porta d’ingresso, loro preferivano così. Fingere che al mondo esistessero solo loro due era sempre stato il loro passatempo preferito, in quella stanza, sul palco e anche con qualche stato a separarli. Non c’era alcuna differenza.
Rimase lì, a scrutare quel fazzoletto di giardino mal illuminato che si stendeva sino alla strada. Aspettò per quasi mezz’ora, incurante del vento gelido del New Jersey che filtrava, aspro, sotto alla sua stropicciata camicia di flanella, finché i suoi occhi, abituatisi al buio, furono feriti da due fari gialli spuntati all’imbocco della via. I fari si spensero, una portiera sbatté seguita dal lieve rumore di passi inquieti e in fine comparve - giusto in tempo perché Gerard riacquistasse le sue facoltà visive - e gli sorrise a testa bassa. A Gerard scoppiò qualcosa a livello dello stomaco facendolo quasi vomitare dall’eccitazione. La frenesia l’avrebbe spinto a gettarglisi addosso, travolgerlo e buttarlo a terra, sull’erba bagnata e viscida e farci l’amore fino al mattino guardandolo negli occhi per assicurarsi che fosse davvero lì, ma si disse che non poteva, che il loro addio era ancora valido, che quella voglia inestinguibile di stare insieme doveva essere soffocata dal tempo, dall’abitudine, dalla razionalità. Si scansò, osservandolo senza dire una parola scavalcare il davanzale, sedersi sopra il bordo e lasciarsi scivolare giù fino a toccare il pavimento con le sue snickers consunte.
Gerard non distolse lo sguardo nemmeno quando Frank si sedette a terra ed estrasse un pacchetto di Lucky Strike. Una sigaretta appesa al lato della bocca, un bagliore conosciuto negli occhi, il pacchetto teso verso di lui e un’offerta di pace: «Vuoi?».
Le ante della finestra cigolarono appena sopra le loro teste. Gerard annuì piano, ne prese una e si accomodò al suo fianco cercando di non sfiorarlo. Aveva paura, una paura sconosciuta, indefinita, che gli attanagliava le viscere.
Frank accese la sua sigaretta e poi si avvicinò coprendo la fiamma con la mano e accendendo anche quella che Gerard si era chiuso tra le labbra. Non aveva una gran voglia di fumare, ma in quel momento, con gli occhi di Frank puntati addosso in quel suo modo ferino che ti divorava dentro senza pietà, gli sembrava un gran bel modo per tenere la bocca lontano dalla sua.
«Hai fatto in fretta», mormorò Gerard poco più tardi, gettando il mozzicone fuori dalla finestra.
Frank fece lo stesso con il suo. Lo sguardo di Gerard ne seguì la traiettoria arcuata che sfavillò nel buio della notte prima di spegnersi definitivamente una volta toccato il terreno umido.
«Quando Gerard way chiama, tu rispondi. E’ una specie di comandamento», ironizzò Frank buttandosi sulla cuccetta e mettendo a dura prova le molle arrugginite del materasso. Non si levò nemmeno le scarpe. «Non vieni?».
Gerard, senza rispondere, si avvicinò al letto, si mise a sedere con cautela, la schiena ben ancorata al muro e le gambe rannicchiate contro il petto. Frank alzò gli occhi su di lui, Gerard li vide brillare nel buio e in un attimo le sue braccia tatuate, coperte da un’anonima felpa blu, lo afferrarono per la vita e lo trascinarono giù, al suo stesso livello. Con ancora le sue braccia strette attorno a sé e il suo sguardo folle piantato addosso, Gerard rabbrividì. Il suo alito caldo e un po’ alterato, cozzava contro il suo. Erano Uno, ricordate?
«Che fai?», annaspò agitandosi, ma senza veramente allontanarlo.
«Mi riprendo ciò che è mio», rispose semplicemente il moro con un sorriso sghembo. «Almeno per un altro secondo».
«Smettila, non ti avrei chiamato se-». Frank lo interruppe con un gesto secco della mano, facendolo sobbalzare.
«Gerard, non dire cazzate. Non ci provare neanche con me». Non era abituato a queste reazioni da parte di Frank, ma suppose che fosse anche colpa sua se erano arrivati a quel punto. «Ti sono mancato, non è così?», chiese il più giovane, cercando il suo sguardo e la sua approvazione. «Proprio come tu mancavi a me Gerard, ammettilo e ti lascerò in pace».
Nessuna confessione uscì dalle sue labbra. Era tutto lì, chiuso al sicuro all’interno del suo cervello, da dove si era ripromesso non sarebbe mai uscito. Trasformare le emozioni in parole lo esponeva troppo, lo rendeva vulnerabile più di quanto già non fosse. Sentirsi di nascosto e vedersi di sfuggita a matrimoni e funerali non bastava a nessuno dei due.
A Frank non serviva una confessione a voce alta e lo capì solo quando lo vide accoccolarsi sul cuscino accanto a sé, la testa reclinata e il respiro placido a solleticargli piano la pelle scoperta del collo. La tensione lasciò il passo alla cupa rassegnazione e a un silenzio confortevole. Non c’è bisogno di parole quando ci si conosce così bene da condividere lo stesso sentimento e le stesse dannazioni.
«Scriverò una canzone appena te ne andrai», disse a un tratto Gerard ottenendo nuovamente l’attenzione del compagno.
«Hai già deciso di cosa parlerà?».
«Di questo momento, credo», biascicò Gerard, risistemandosi in modo da poterlo guardare meglio in viso. «Forse fingerò che non sia finita».
«Fai bene. Io lo faccio ogni giorno».
Eccola, si disse Gerard quando sentì una nuova ondata di sensazioni colpirlo in pieno e spazzare via il senso della logica. Si guardarono con la stessa fame, lo stesso bisogno di sentirsi compresi, dei primi tempi.

Repressione, repressione, repressione.

L’onda si ritirò lentamente lasciando dietro di sé un sottile senso di disagio.
«Bandit inizia a fare caso ai ragazzi», esclamò Gerard di punto in bianco. Avrebbe fatto di tutto per scrollarsi di dosso quella scomoda sensazione. Il sollievo nell’udire la risatina di Frank che ne seguì fu enorme. «Non ridere!», si lamentò. «Tra un po’ toccherà anche a Cherry e Lily e vorrei proprio sapere come te la caverai tu», sentenziò.
«Allora resta… se vuoi sapere». L’ilarità del momento svanì nuovamente come risucchiata dal gelo della stanza. Facevano un passo avanti e due indietro, intrappolati nel loro maledetto rapporto senza nome né ragione d’esistere.
«Frank…»
«No, seriamente! Ci hai mai pensato che forse ci siamo raccontati un sacco di stronzate? Che avremmo potuto essere felici davvero, in un modo o nell’altro?»
«Non lo so Frank… Penso che sia inutile a questo punto. Abbiamo le nostre famiglie e-»
«E noi due siamo qui», sorrise con amarezza. «A parlare di una cosa - che tu ti ostini a sostenere non esista - per l’ennesima volta, sdraiati sulla coperta di Batman sopra la quale abbiamo scopato quasi vent’anni anni fa. Non è ironica la vita?»
«Non abbiamo… scopato», si sentì in dovere di precisare Gerard con quella punta di fastidio che bastò a Frank per restituirgli uno sguardo tanto vittorioso quando rabbioso. Gerard si morse la lingua e abbassò il capo, sconfitto, colpevole di aver costruito intorno a sé un labirinto di bugie così intricato da aver perduto, sotto la pressione di una vita perfetta, se stesso e anche Frank.
«Tu hai conosciuto il meglio e il peggio di me e sei rimasto», constatò dopo qualche istante di silenzio, più a se stesso che a qualcun altro.
«Giusto, sei tu che alla fine te ne sei andato», ribatté Frank acido, issandosi su un gomito e riservandogli uno sguardo truce.
«Sai anche tu che era la cosa giusta da fare». Si morse l’interno delle guance per impedirsi di urlare.
«Sì», bisbigliò con la voce rotta che al solo sentirla Gerard avrebbe voluto strapparsi tutti i capelli. Stare vicini era la loro rovina, lo era sempre stata.

Quella vicinanza, una dolce tortura autoinflitta che scavava lentamente una voragine dentro di loro. Erano molto vicini alla fine quando Gerard si era deciso ad aprire gli occhi di fronte alla realtà. Poteva quasi vedersi attraverso il petto da tanto la voragine era diventata profonda.
Vedersi, parlarsi, condividere tutto e non potersi nemmeno sfiorare. Il meccanismo si era inceppato, si rischiava la detonazione più spaventosa che avessero mai potuto immaginare. Salvarsi era sinonimo di fuga, la fuga da un amore di cui era rimasto solo il ricordo, un profumo nell’aria, una nota stonata di una canzone triste. Nulla di più. Solo un’idea che stava svanendo. Ed era stato terribilmente doloroso ammetterlo, come lo era ora, spogliarsi di ogni maschera e tornare alle origini, quando non erano costretti a fingere che il resto del mondo non esistesse, a quando erano solo due ragazzi che non si rendevano conto di quanto realmente valesse ogni istante condiviso.

«Almeno per un altro secondo».

Un brivido lo scosse dalla testa ai piedi. «Frank… resteresti qui con me?». Non ebbe il coraggio di guardarlo in faccia quando glielo chiese.
«Non ho intenzione di andare da nessuna parte, Gee», rispose l’altro lasciandosi cadere con uno sbuffo rassegnato al suo fianco.
«E Jamia?», chiese esitante.
Frank si strinse nelle spalle. Gerard si rese conto che non era invecchiato per nulla nonostante avesse da poco compiuto quarant’anni.
«Jamia capirà».
«Ha la pazienza che io non ho mai avuto con te».
«E’ vero», gli diede ragione con un sorriso sghembo. «Credo di averla scelta proprio per questo. Perché non ti somiglia affatto».
Gerard spalancò la bocca con aria offesa e gli tirò un pugno scherzoso sul braccio. Frank lo parò e chiuse gli occhi sghignazzando. Sorrideva ancora quando mormorò a mezze labbra: «Ho detto che è diversa da te, non che sia migliore. Per me nessuno lo sarà mai». Lo attirò ancora di più a sé, finché furono fronte contro fronte. Gerard percepì il suo respiro invadergli le narici, proprio come se fosse stato il proprio.
Aveva ancora gli occhi chiusi per evitare il suo sguardo, quando gli diede la buonanotte e cercò la sua mano a tentoni tra le lenzuola.
Ma Gerard non dormì.
In seguito, sarebbe stato pronto a giurare che era stata la migliore notte insonne della sua intera esistenza.
 
 




Spazio autrice:
Salve a tutti!
Avevo voglia di scrivere. Questa è l’unica scusa che ho per… questo. E ho pensato che, beh, una Frerard fa sempre bene alla salute, quindi eccola qua!
Lungi da me considerare questa OS ad un livello anche sono lontanamente vicino alla perfezione della poesia che la introduce, l’ho scelta fra tante perché mi provoca COSE, un po’ come fa la Frerard – e a questo proposito, se non la conoscete, vi invito a leggere la poesia completa, in lingua originale e/o tradotta qui -> http://www.paroledautore.net/poesie/straniere/prevert/prevertquestoamore.htm perché non ve ne pentirete!!
Detto ciò, spero che vi sia piaciuta e, se potete, lasciatemi un vostro parere pliz che mi sarebbe davvero utile!
Grazie comunque a chiunque sia arrivato fin qui. Un bacio a tutti! :)
FarAway_17
 
  
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