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Autore: Cassidy_Redwyne    16/12/2014    4 recensioni
Quattro amiche diversissime fra loro, eppure inseparabili, vengono a conoscenza del prestigioso liceo di St. Elizabeth. In cerca di una nuova sistemazione scolastica, le ragazze decidono di iscriversi, del tutto ignare di ciò che le attende all’interno dell’istituto.
L’aspetto e il comportamento degli alunni, infatti, sono davvero particolari, per non parlare di quei quattro affascinanti ragazzi in cui le protagoniste si imbattono durante i primi giorni di scuola… si tratta di un colpo di fulmine o di un piano magistralmente architettato alle loro spalle?
Tra drammi adolescenziali e primi batticuori, le quattro sono pronte a smascherare una volta per tutte il segreto che si cela fra le mura del misterioso istituto.
Genere: Commedia, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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«Dio mio, che schifo.»

Arianna arricciò il naso mentre, china sul water, vi infilava lo spazzolone fino a metà gomito e tratteneva un conato di vomito. A giudicare dai lamenti disgustati di Lucas, nel gabinetto di fianco al suo, neanche lui se la stava esattamente spassando.

Si trattenne dall'esprimere quel pensiero ad alta voce, ma in quel cesso avrebbe voluto volentieri infilare la testa di Gérard, per averli costretti a quel compito ingrato.

Quando il bidello li aveva colti sul fatto e li aveva messi in punizione, dopo che Lucas aveva sfondato una finestra – che si era rivelata essere quella dell'ufficio della preside – Arianna non si era preoccupata più di tanto. Conosceva le punizioni di Gérard, visto che Angie ne riceveva una praticamente tutti i giorni: sistemare le classi dopo le lezioni, rastrellare il prato. Niente di preoccupante.

Ma, a quanto pareva, a forza punizioni Angie e Night dovevano aver già svolto tutto il lavoro di giardinaggio di cui la scuola aveva bisogno e anche di più, perché quella domenica pomeriggio Gérard si era presentato con scopini e candeggina, al posto dei rastrelli, e li aveva condotti nei bagni senza ulteriori indugi.

Pensando che al bidello quel lavoro ingrato toccava tutti i giorni, l'odio che Arianna provava nei suoi confronti si affievolì un poco.

Con la testa tutta piegata da un lato per non vedere quell'orrido spettacolo, Arianna trattenne il fiato e iniziò a pulire il water alla cieca. Agì più velocemente che poté e, quando le parve di aver fatto abbastanza, si alzò in piedi di scatto, boccheggiando. Colta da un improvviso giramento di testa, dovette appoggiarsi alla porta del bagno per non crollare a terra. L'odore della candeggina le bruciava nelle narici.

Dopo aver fatto un paio di respiri profondi, si sistemò i guanti di gomma alla bell'e meglio, afferrò il flacone di detersivo con una mano e lo scopettone con l'altra e uscì dal bagno, per prendere qualche altra boccata d'aria, possibilmente non contaminata.

Lì fuori trovò Lucas, nelle sue medesime condizioni. Il corpulento ragazzo biondo si era sfilato i guanti e si stava sciacquando il viso con l'acqua. Quando alzò gli occhi, ricambiò lo sguardo di Arianna attraverso il suo riflesso nello specchio.

«Ricordami di dissuaderti la prossima volta che cerchi di metterti in mostra in modo così idiota» borbottò la ragazza, dopo un lungo silenzio.

Lucas la fissò con la fronte aggrottata, goccioline d'acqua che gli scorrevano lungo le tempie.

«Dissuache

Arianna non replicò, limitandosi ad entrare nel gabinetto adiacente a quello da cui era appena uscita e chiudendosi la porta alle spalle con un tonfo.

Dopo un momento, la ragazza realizzò che in quel frangente sbattere la porta non aveva alcun senso, togliendo la teatralità. Già che c'era, tanto valeva approfittarne, pensò poi con un'alzata di spalle.

«Non aprire!» gridò al ragazzo per sicurezza, anche se immaginava che lui non sarebbe entrato in quel gabinetto, dal momento che se ne stava occupando lei. Ma, trattandosi di Lucas, era sempre meglio essere sicuri.

Poggiò scopettone, candeggina e guanti sul pavimento e diede un'occhiata esitante al water, prima di sedersi sulla seggetta, pensando che anche quello avrebbe messo a dura prova il suo stomaco, quando si sarebbe messa a pulirlo.

Dopo aver fatto pipì si alzò in piedi, ritrovandosi di colpo a pensare che era proprio in un bagno, quasi due anni prima, che aveva stabilito una tregua con Kia, molto prima che diventassero le amiche che erano adesso. Solo che lì non stava pulendo cessi, ma vomitando la sua colazione, pensò poi con un brivido.

Lei e Kia erano in competizione per lo stesso ragazzo, il suo ragazzo, e non c'era mai stato altro che odio fra di loro. Ma, quando la ragazza l'aveva colta a vomitare, era cambiato tutto. Odiava pensare che Kia avesse avuto pietà di lei, ma la verità era molto meno semplicistica: in quel momento l'aveva vista non più come la stronza algida che voleva apparire davanti a tutti, ma come una persona vera, per di più estremamente fragile. Arianna sorrise leggermente, pensando a quante cose erano cambiate, da allora.

Abbassò per un attimo lo sguardo sulle sue gambe, sovrappensiero, ma lo distolse altrettanto in fretta, disgustata da quanto fosse ancora grossa. Si chinò con un sospiro sul water per non pensare un secondo di più al grasso delle sue cosce.

Anche stavolta affrontò la pulizia come se qualcuno la stesse cronometrando, in preda al voltastomaco, e si alzò in piedi, continuando a respirare solo con la bocca, la candeggina che le faceva pizzicare la gola e lacrimare gli occhi.

Si asciugò il sudore dalla fronte con il polso e, dopo aver recuperato tutto il suo armamentario, si voltò con decisione verso la porta. Non vedeva l'ora di uscire. Posò la mano sulla maniglia e spinse, ma la porta non cedette di un millimetro.

Arianna ebbe un tuffo al cuore. Lasciò cadere gli oggetti a terra e, con le mani libere, riprovò con più forza, ma nulla. Per quanto smanettasse, la porta era bloccata.

«Lucas» chiamò, una nota d'urgenza nella voce.

Udì il ragazzo bloccarsi dal pulire il gabinetto di fianco al suo. «Che c'è?»

«La porta» mormorò Arianna, riprovando un'altra volta ad aprirla, invano. «Si è bloccata.»

«COSA?»

Sentì un gran tramestio, oggetti che cadevano a terra, una porta che sbatteva e poi la voce di Lucas, vicinissima, adesso. Era dall'altra parte della porta.

«Aspetta.» La sua voce era incrinata per l'ansia, il respiro affannoso. «Oddio. Oddio. Tranquilla Arianna, adesso ti tiro fuori io!»

«Lucas» mormorò Arianna con dolcezza, «sta' calmo.»

Fino a prova contraria, era lei quella bloccata nel bagno.

Lucas cercò di fare forza sulla maniglia, ma la porta non si apriva neanche dalla sua parte.

«È bloccata» diceva lui, con ansia crescente. «È bloccata!»

«Me n'ero accorta.»

«Oddio, Arianna, e adesso?» Sembrava che Lucas stesse per scoppiare a piangere.

La ragazza sospirò. Di lì a poco il biondo sarebbe andato in iperventilazione. «Fai un bel respiro.»

«Ok, ok. Fatto.»

«Fanne un altro, per sicurezza.»

Udiva Lucas inspirare a pieni polmoni e buttare fuori l'aria come un mantice. La tentazione era di fare lo stesso ma, con tutta la candeggina che aveva buttato in quel maledetto cesso, probabilmente poi si sarebbe avvelenata.

«E ora che faccio?» La sua voce, per quanto incrinata dalla paura, sembrava un po' più ragionevole.

«Ora» disse Arianna, cercando di far suonare la sua calma e rilassata, «butta giù questa dannatissima porta, per favore.»

«La butto giù. Sì. La butto giù.»

«Bravissimo» disse Arianna, come se si stesse rivolgendo ad un bambino, trattenendo a fatica un fremito di impazienza.

Percepì Lucas prendere la rincorsa e abbattersi sulla porta che, scricchiolando rumorosamente, si mosse leggermente nella sua direzione. Quell'orrendo cigolio era musica per le orecchie di Arianna, che tirò un sospiro di sollievo.

Dio, grazie.

«Sono andato bene?»

La ragazza si trattenne a stento dallo strapparsi i capelli.

«Oh, benissimo, Lucas» disse, serafica. «Perché non riprovi?»

Un'altra spallata, un altro lamento rugginoso e la porta uscì dai cardini, accasciandosi da un lato come un moribondo. Se non altro si era aperta, pensò Arianna sollevata, ritrovandosi all'improvviso in una pioggia di schegge di legno. Dall'altra parte intravide Lucas, che la fissava immobile, con i lucciconi agli occhi.

«Arianna!» esclamò, tirando su col naso. «Sei viva!»

La ragazza stava per replicare, ma una voce proveniente dalla soglia la interruppe.

«CHE STA SUCCEDENDO QUI?»

Lucas si voltò di scatto in direzione della voce e Arianna si affacciò dalla porta semidistrutta con un sorriso innocente.

«Gérard...»

Il bidello li fissava con gli occhi fuori dalle orbite, come se non riuscisse a capacitarsi di ciò che vedeva davanti a sé, tra la porta scardinata e i pezzi di legno sparsi ovunque sul pavimento.

«I-io...» balbettò, rosso di rabbia. «Io vi darò un'altra punizione! Vergognatevi!»

Lucas rimase pietrificato, probabilmente troppo scioccato da quello che era successo poco prima per poter dire qualsiasi cosa, ma Arianna non ci stava.

Avanzò verso il bidello e lo affrontò a testa alta. Gérard schiumava di rabbia, ma la ragazza non si lasciò impressionare. Dietro di lei, udì Lucas deglutire rumorosamente.

«Scusi, ma non sono d'accordo» mormorò in tutta calma. «Non ce lo meritiamo. Ero rimasta chiusa nel bagno e non c'era verso di aprire la porta. È per questo che Lucas l'ha rotta.»

L'uomo aprì la bocca per ribattere, ma la ragazza fu più rapida.

«Non è giusto» ripeté. «Non ci sta trattando equamente. Perché non mette in punizione Night, che anche oggi si stava picchian...»

«Zitta» sibilò Gérard.

Qualcosa nel suo tono indusse Arianna ad obbedire. La ragazza lo scrutò in silenzio, destabilizzata da quella reazione, e realizzò che probabilmente fare il nome del ragazzo era stato un grosso errore.

Il bidello non sembrava più furente. Se possibile, era persino peggio. Il suo cipiglio si era fatto ancora più accentuato e lo sguardo che rivolse alla ragazza non era truce. Era omicida.

«Zitta» ripeté, sempre con quel tono glaciale che provocò un brivido lungo la schiena di Arianna. «Non ti permetto di parlare di lui in quel modo.»

La ragazza indietreggiò. «Scusi...»

Gérard non sembrava neanche aver sentito. Si era portato una mano alla testa, come in preda ad un improvviso dolore.

«Night sta già subendo abbastanza guai di suo...»

Il bidello non si stava più rivolgendo a lei. Parlava piano, come tra sé, e Arianna gli rivolse uno sguardo confuso.

Ma Gérard non la degnò né di un'occhiata né di una spiegazione. Girò sui tacchi e uscì dal bagno a grandi passi, senza aggiungere altro. I bagni piombarono di nuovo nel silenzio.

La ragazza si voltò lentamente verso Lucas, che la stava fissando come in trance, se per l'incidente del gabinetto o per la sfuriata del bidello, non avrebbe saputo dirlo.

La conclusione di Arianna era una sola: quell'uomo era completamente pazzo.

****

«Ormoni.»

Malgrado la confusione che regnava nella mensa, quella domenica pomeriggio, la voce del ragazzo risuonò dolorosamente chiara nelle mie orecchie.

Gli rivolsi uno sguardo stupefatto, la cannuccia del frullato che stavo bevendo sospesa a mezz'aria nella bocca.

«Ormoni?» biascicai.

Brook – così mi aveva detto di chiamarsi il biondo – annuì piano. Aveva un modo così assennato di fare sì con la testa, come se fosse allo stesso tempo terribilmente serio ma restio ad aggiungere altro, che veniva voglia di afferrarlo per le spalle e scuoterlo fino a cavargli di bocca una parola in più.

Scossi la testa, soffocando a stento quell'istinto. «No. Non è possibile.»

Feci scorrere lo sguardo sui ragazzi intorno a noi, che stavano facendo merenda o finendo i compiti assegnati loro per il giorno seguenti, o entrambe le cose assieme. Pensare che loro, noi, eravamo stati imbottiti di ormoni al nostro arrivo a scuola... no, non riuscivo ad immaginarlo.

Quando tornai a guardare Brook, lui mi rivolse un sorriso amaro.

«So che è difficile da credere» mormorò, con un'alzata di spalle. «Ma è la verità. Testosterone, estrogeni, progesterone. E feromoni, ovviamente. Sono quelli che usano nella macchina, nelle medicine dell'infermeria, nel cibo della mensa.»

Buttai giù il frullato che avevo in bocca come fosse veleno.

«Oddio» bofonchiai, allontanando da me il bicchiere sul tavolo.

«Come il siero del supersoldato, hai presente?» fece Brook, inclinando la testa di lato.

Lo fissai, stringendo gli occhi. «Eh?»

Lui agitò la mano, come invitandomi a dimenticare quel che aveva appena detto. «Lascia perdere. Fumetti.»

Lo scrutai con rinnovato interesse, ritrovandomi a pensare che, sotto la scorza dello sportivo, quel ragazzo sembrava nascondere un'indole decisamente diversa.

«Quindi questa cosa non è...» mi bloccai. «...permanente?»

«No, assolutamente» rispose Brook, scuotendo la testa.

Abbassai quasi involontariamente gli occhi sul mio petto.

Peccato.

Quando alzai lo sguardo, mi accorsi dalla sua espressione che Brook doveva aver capito ciò che mi era passato per la mente e mi sentii una perfetta idiota.

«E fammi capire» proruppi, affrettandomi a colmare quel silenzio imbarazzante, «tu ti apposti nell'infermeria a spaventare le persone affinché non prendano le loro medicine?»

Brook scoppiò a ridere. I suoi lineamenti severi si distesero, lasciando intravedere un volto che mi scoprii a trovare piuttosto carino.

«No» si affrettò a dire lui. «È stato solo un caso. Ti ho vista entrare nell'infermeria e in un certo senso... te lo dovevo.»

Gli scoccai un'occhiata perplessa.

«Quella volta, quando mi hai fermato vicino ai bagni e ti ho risposto male» spiegò lui, notando il mio spaesamento.

Sgranai gli occhi. «Te lo ricordi?»

«Certo» fece lui, quasi stupito dalla mia reazione. Abbozzò un sorriso. «C'è mancato poco che tu mi scoprissi. Ero lì per origliare la preside.»

Pensai a quando anche io lo avevo fatto, quando ero ancora determinata a scoprire i segreti di quella scuola. Al contrario di Brook, però, non avevo mai indagato seriamente, presa dalle lezioni, dai miei dilemmi amorosi miei e da quelli delle mie amiche...

Con un sospiro frustrato, dissi tutto ciò al ragazzo biondo, gli occhi bassi.

Il ragazzo scrollò le spalle. «Fidati, il tuo comportamento è più normale di quanto pensi. Io però posso raccontarti ciò che so.» I suoi occhi brillavano d'impazienza: sembrava veramente non vedere l'ora di confidarsi con qualcuno. «Che non è molto, in realtà» si affrettò ad aggiungere, in tono mesto, il brillio nel suo sguardo che si andava acuendo.

«Non hai scoperto niente neanche origliando la preside?» chiesi, stupita.

Le labbra di Brook si piegarono all'ingiù. «Poco e nulla. Non ho idea del perché ci abbiano fatto diventare così, ma so che tutte le politiche di questa scuola sono volte a contrastare gli effetti collaterali degli ormoni.»

«Cioè?» domandai, confusa.

Brook spaziò con lo sguardo la folla intorno a noi. «Guardaci. Ci hanno resi più maturi, più belli, più precoci. Più adulti, in un certo senso. Ma c'è un rovescio della medaglia.»

In quell'esatto momento udimmo un'improvvisa baraonda e, voltandoci in quella direzione, ciò che ci si profilò davanti fu l'ennesima rissa a cui avevo assistito quella giornata.

Una lampadina si accese nel mio cervello e quella consapevolezza mi colpì come acqua gelata.

«Ecco perché in questa scuola sono tutti così selvaggi!» esclamai, voltandomi per fronteggiare Brook.

Il ragazzo ridacchiò. «Esatto. Sono tutti scalmanati, sono sempre a fare a botte. Secondo te perché andiamo così bene nello sport?»

Parla per te, avrei voluto dirgli. A quanto pareva, qualcuno dei miei ormoni doveva aver fatto cilecca.

«Secondo te perché sono così liberali con il sesso?» continuò Brook.

Alzai gli occhi su di lui, a bocca aperta. «I preservativi!»

Lui annuì. «Ci incoraggiano a fare sesso, a sfogare le nostre pulsioni.»

Scossi la testa, cercando di metabolizzare quel fiume di informazioni. Era incredibile. Eppure eccola lì, la spiegazione, pura e semplice.

«Non posso crederci...»

Quando alzai gli occhi, vidi che Brook si era fatto pericolosamente vicino a me, chino sul tavolo. Abbassando la voce, che si fece roca, affermò: «Scommetto che hai pensato almeno una volta che sono attraente, da quando abbiamo iniziato a parlare.»

Indietreggiai di scatto per ristabilire un po' di distanza fra noi, rossa in volto. «Io...»

«Vero?» Brook tornò al suo posto, la sua voce di nuovo normale. «E scommetto che hai trovato sicuramente qualcuno di interessante, quando sei arrivata qui.» Il ragazzo parve riflettere tra sé e sé. «Nel giro di... tre giorni, massimo. Qualcuno che pensavi fosse l'amore della tua vita.»

La sua ultima frase era venata di sarcasmo, ma io mi ritrovai comunque a boccheggiare, pensando d'istinto a Shadow, conosciuto il primo giorno di scuola, e poi alle mie amiche, ai ragazzi in cui si erano imbattute...

Non dissi nulla a Brook, ma il mio sguardo sfuggente parve bastargli come risposta.

«Non è un caso» mormorò lui. «Loro lo sanno.»

«Stai dicendo che quindi è tutta una finzione?» esclamai, di getto. «Anche le nostre relazioni?»

L'espressione del ragazzo si fece pensierosa. «Non credo. Questa scuola dell'amore potrà anche suscitare in noi l'attrazione fisica, ma non può impedirci di innamorarci sul serio. Controllano il nostro corpo, dopotutto, non la nostra mente.» Dopo una pausa, Brook aggiunse piano: «Io ho conosciuto qui Lacey, la mia ragazza. Anche se adesso si è trasferita in un'altra scuola e ci vediamo molto meno di prima, stiamo sempre insieme.»

Annuii a mia volta. Capivo quello che intendeva. Una relazione a distanza non avrebbe mai funzionato, se si fosse basta unicamente sull'attrazione fisica, ed ero certa che anche per le mie amiche valesse la stessa cosa. Sì, forse la scintilla poteva essere scoccata per motivi puramente fisici, ma c'era dell'altro. Ci doveva essere dell'altro.

«Quello che non capisco è...» Mi interruppi, guardandomi intorno nella mensa gremita, la confusione che giungeva ovattata nelle orecchie. «...nessuno si fa domande su quel che succede? Possibile che a tutti vada bene così?»

Brook fece un lungo sospiro. «Gli altri non si fanno domande, Kia.» Mi guardò dritto negli occhi. «Sei la prima persona a cui rivelo le cose che ho scoperto.»

Sgranai gli occhi. Ecco spiegato il motivo per cui il ragazzo non vedeva l'ora di confidarsi con me. Ma possibile che fossimo soli in quell'impresa?

«La verità è che non importa niente a nessuno» continuò lui, in tono rassegnato. «Certo, magari nei cinque minuti dopo esseri usciti dalla macchina. Ma dopo... puf. Sono improvvisamente cresciuti, bellissimi e attraenti, circondati dall'altro sesso, incoraggiati a scopare. Parliamoci chiaro, la maggior parte dei nostri coetanei a quest'età non pensa ad altro.» Si bloccò, scuotendo la testa. «Vogliono distrarci. E ci stanno riuscendo benissimo.»

«Sì...» mormorai. «Ma da cosa?»

Brook alzò lo sguardo. Ogni rassegnazione era scomparsa dai suoi occhi, in cui lessi una nuova, sfolgorante determinazione. «È quello che ho intenzione di scoprire.»

Gli rivolsi uno sguardo curioso. «Posso chiederti come mai sei così preso da questa storia?»

Brook si limitò ad un'alzata di spalle. «Non c'è un vero motivo. Ti ho già parlato di Lacey, no?»

Non aspettò che annuissi e proseguì, il suo sguardo che vagava sui ragazzi intorno a noi.

«Veniva a scuola qui, prima di trasferirsi a Durham. Devi sapere che...» si interruppe di colpo e si voltò a fissarmi, abbassando la voce «...che l'hanno pagata per il suo silenzio. Ci dev'essere qualcosa sotto, potrei giurarci.»

«Sul serio?» domandai. Quindi la scuola ci teneva affinché il segreto non uscisse dai confini dell'istituto...

Lui annuì. «Già. Ho intenzione di scoprire la verità e denunciare ogni cosa.»

Riflettei. «Ma non hai abbastanza elementi per farlo già?» domandai. «La faccenda degli ormoni suona pericolosamente illegale» commentai, inarcando un sopracciglio.

«Probabilmente» disse Brook, ma non sembrava convinto. «Ma quello che mi manca è un movente

«Qualche idea?»

«Forse.»

Brook non mi stava guardando. Fissava un punto oltre la mia spalla e mi affrettai a seguire il suo sguardo. Ciò che vidi fu Night, in quel momento spaparanzato su un tavolo, le lunghe gambe accavallate, attorniato dai suoi amici. Qualcuno di loro doveva aver detto qualcosa di divertente, a giudicare da come i ragazzi sghignazzavano a tutto spiano, e notai che alcuni di loro indossavano la divisa della squadra.

Mi ricordai che di lì a poco ci sarebbero stati gli allenamenti, a cui Brook non avrebbe partecipato per via del suo polso slogato, che l'avrebbe costretto al riposo per le prossime settimane. Ero sinceramente dispiaciuta per lui, ma il ragazzo aveva liquidato la questione dicendo che in quel modo avremmo avuto più tempo a disposizione per le nostre indagini.

«Forse ci dopano per le gare sportive?» proruppi, tornando a guardarlo. «No, è impossibile» aggiunsi, senza neanche dargli il tempo di replicare, «altrimenti sottoporrebbero alla macchina solo i membri della squadra. Perché arrischiarsi a "migliorare" tutti? Oltretutto sono pronta a scommettere che si tratti di un'operazione piuttosto costosa.»

Brook mi osservava riflettere in silenzio e, quando alzai gli occhi su di lui, mi accorsi che stava sorridendo.

«Che c'è?»

Lui scrollò le spalle. «Non sei poi così male come alleata, Kia» disse in tono di sufficienza, ma era palese che stesse scherzando.

Sbuffai, vagamente divertita. «C'è qualcos'altro che dovrei sapere?»

Il suo sguardo corse di nuovo oltre la mia spalla. «Ecco...»

«Brook!»

Una voce fece voltare entrambi all'unisono. Due ragazzi erano fermi sulla soglia della mensa e ci stavano fissando con una certa insistenza. Sembravano aspettare che Brook li raggiungesse.

Il biondo si voltò verso di me, rivolgendomi uno sguardo di scuse.

«Devo andare» disse. «Ma devo assolutamente farti vedere una cosa.»

«Pausa pranzo di domani?» suggerii, ricambiando quello sguardo serio.

«Domani. In biblioteca.»

 

Incrociai Arianna sulle scale, anche lei diretta in camera.

Non mi aspettavo di vederla rientrare così presto, ma mi accorsi subito che la ragazza aveva un diavolo per capello. Tremava dalla rabbia e persino il suo passo, solitamente leggero come una piuma, era stranamente pesante, mentre saliva lungo i gradini.

Le lanciai uno sguardo stupito. Raramente l'avevo vista così alterata: sembrava avesse fatto a scambio con Angie.

«Come sono andate le pulizie?» chiesi, cauta, intuendo che fosse quella la causa del suo malumore.

Vidi Arianna trattenere un urlo rabbioso e fare un respiro profondo. Quando parlò la sua voce era calma come al solito, ma potevo percepire l'ira covare sotto la superficie. «Dio. È stata l'esperienza più umiliante, faticosa, ingrata, raccapricciante, ingiust...»

Si bloccò di colpo ed io con lei, quando ci accorgemmo di chi stava scendendo dalle scale, nella direzione opposta alla nostra.

Vedendo che la stavamo fissando come in trance, Annie ci rivolse un debole segno di saluto e proseguì nella discesa, i lunghi capelli rossi che le ondeggiavano sulle spalle ad ogni passo.

Non appena fu sparita dalla nostra visuale, ci scambiammo uno sguardo d'intesa.

Il giorno prima Beth ci aveva raccontato ogni cosa. Non aveva versato una lacrima, nel farlo, e mi era parsa svuotata di ogni emozione, più che dispiaciuta. Quella sua totale apatia mi aveva davvero spaventata, molto più di quanto non avrebbe fatto una sua crisi isterica. D'altronde, potevo solo immaginare cosa stesse passando la mia amica.

Dopo la faccenda di Lucy, sapevo bene che Beth aveva dei problemi a lasciarsi andare: c'era voluto del tempo prima che John riuscisse a penetrare attraverso le mura inespugnabili che la mia amica aveva eretto intorno a sé. Si era conquistato la sua fiducia a poco a poco e infine Beth aveva ceduto, aprendogli il suo cuore. E lui, pensai, soffocando un impeto di rabbia, lui che aveva fatto? L'aveva calpestato senza alcun ritegno.

Ma, se c'era qualcosa che superava di gran lunga la mia rabbia, era la paura all'idea di cosa Angie avrebbe potuto fare ad Annie se avesse scoperto che lei e John si erano baciati.

La ragazza, infatti, non sapeva nulla di quella storia poiché, mentre Beth si stava confessando con me ed Arianna, non era in camera. Come ci aveva detto quando infine era arrivata, con la divisa tutta spampanata, le labbra e le gote arrossate e i ricci sparsi per tutta la testa, come se avesse infilato un dito in una presa di corrente, "stava litigando con Night".

A giudicare dall'aspetto, sembrava che con Night avesse fatto ben altro, ma non avevamo fatto commenti, limitandoci ad un'occhiata scettica. L'avevamo poi invitata a parlare di com'era andato il colloquio con il ragazzo e lei non se l'era fatto ripetere due volte.

Nel frattempo, avevamo pattuito di non parlare ad Angie della vicenda di John e Annie, almeno per il momento. Da parte mia, insistevo nel pensare che la colpa fosse da attribuire soprattutto al ragazzo ma, visto l'odio che la nostra amica provava per la rossa, tutte e tre temevamo che, se fosse venuta a sapere del bacio, ne avrebbe fatto una questione personale e l'avrebbe assalita.

«Angie non deve venire a saperlo» disse Arianna, serissima in volto, lo sguardo fisso sull'angolo a cui Annie aveva appena svoltato.

«Per niente al mondo» concordai con un brivido.

 

«ANNIE HA FATTO COOOOSA?!»

Quando entrammo in camera, la voce isterica di Angie ci investì come un uragano.

La ragazza troneggiava nella stanza, con Beth seduta sul letto che, non appena ci vide, ci rivolse uno sguardo che somigliava più ad una richiesta d'aiuto.

«Che succede?» chiese Arianna, impassibile, e dentro di me provai grande ammirazione per la sua nonchalance.

«CHE SUCCEDE?» ripeté Angie, fulminandola con lo sguardo. «Non osare fare la finta tonta con me!» I suoi occhi irati si spostarono su di me e sentii le forze abbandonarmi. «Volevate tenermi all'oscuro di tutto? Di ciò che quella stronza ha fatto a Beth?»

«Be'...» pigolai. «Tecnicamente la colpa sarebbe di John.»

«STRONZATE! A lui lei non piace per niente, anche un cieco lo noterebbe! Mentre lei se lo mangia con gli occhi, quella putt...»

«Beth, avevamo deciso di non dirglielo» la interruppe Arianna, lanciando alla ragazza mora uno sguardo di rimprovero.

«NON PARLARE COME SE NON CI FOSSI!»

Mi tappai le orecchie, temendo per la salute dei miei timpani e per quella delle finestre della camera. Non solo stavamo probabilmente dando spettacolo in tutto il piano ma, di quel passo, non mi sarei affatto stupita se i vetri fossero venuti giù.

«Angie voleva sapere cos'era successo con John, visto che ieri alla fine non gliel'avevo detto» mormorò Beth piano, gli occhi bassi. «I-io... non ce l'ho fatta a mentire.»

Mi affrettai ad avvicinarmi alla mia amica, circondandole le spalle con un braccio.

«E hai fatto bene, Beth!» esclamò Angie. «È successo qualcosa con Annie! Bell'uso delle perifrasi! Che cavolo vuoi che sia successo?»

«Sarà stato un bacio» tagliai corto, mordendomi al lingua al pensiero che, mentre noi ne stavamo disquisendo, Beth continuava a rivivere quella conversazione ancora e ancora.

«Un bacio?» Angie mi guardò con l'aria di chi la sapeva lunga. «Andiamo Kia, per favore. Poi che hanno fatto, una partita a burraco? Non ci vuole un genio per capire che sono andati a letto.»

Percepii Beth sussultare contro di me a quelle parole e scoccai ad Angie un'occhiataccia.

«Grazie, Angie» sibilai. «Non ci avevo proprio pensato!»

Udì Arianna sospirare. «Quel che è fatto è fatto» mormorò, per poi rivolgere a Beth un'occhiata penetrante. «Ma diciamo pure che glielo hai innocentemente rivelato perché sotto sotto vuoi che Annie paghi per ciò che ha fatto.»

Beth boccheggiò, sfuggendo dalla mia stretta. «No!» esclamò. «Io non...»

Arianna tornò a fronteggiare Angie. «Perché adesso gliela farai pagare, non è vero, Angie?»

Per tutta risposta, Angie si scrocchiò rumorosamente le nocche.

«Io l'ammazzo, quella stronza.»

 

Angie si era precipitata fuori dalla camera come una furia, sbattendo la porta, con noi alle calcagna che le intimavano di fermarsi.

Nel bel mezzo del corridoio, la ragazza si trovò davanti niente meno che Night, che osservammo con una certa compassione venire scaraventato al muro senza alcun apparente motivo, tranne forse trovarsi sulla traiettoria di Angie.

Il ragazzo si voltò a fissarla ad occhi sgranati mentre Angie, senza degnarlo di un'occhiata, proseguiva a passo di carica lungo il corridoio e poi, vedendo che noi le stavamo correndo dietro come matte, assunse un'espressione ancora più confusa.

«È meglio se vieni con noi a cercare di fermare la tua ragazza» gli dissi in tono perentorio, afferrandolo per un braccio.

Non so se fu per la mia espressione terribilmente seria o per il fatto di averla definita "la sua ragazza", ma Night non se lo fece ripetere due volte. Pensai che il poverino non ci dovesse essere granché abituato se, come aveva fatto con noi, Angie aveva definito la loro storia una "tregua". Noi le avevamo fatto notare che di fatto era come se i due stessero insieme, ma per tutta risposta la bionda ci aveva minacciate di morte e da allora noi avevamo saggiamente deciso di non tornare sull'argomento.

Nel frattempo Angie proseguiva imperterrita e, dopo che qualche altro malcapitato venne violentemente scagliato contro il muro solo perché colpevole di intralciare la sua marcia, i ragazzi capirono l'antifona e cominciarono ad aprirsi in due ali ordinate al suo passaggio, fermandosi poi ad osservare noi che le correvamo dietro ad occhi sgranati.

In effetti, quella scena vista dall'esterno doveva sembrare piuttosto curiosa, per non dire comica. Quei poveretti si stavano probabilmente domandando come quell'innocente ragazza bionda potesse agire in modo così violento e apparentemente immotivato. Ecco, forse non così innocente, come un'occhiata più approfondita avrebbe rivelato, visti i suoi occhi fiammeggianti, i pugni serrati ed i passi pesanti nel corridoio. E non avevano davvero visto nulla: se la nostra amica fosse riuscita a raggiungere Annie, gli spintoni dati fino ad allora ai ragazzi in confronto sarebbero parsi timide carezze.

Angie era svariati metri davanti a noi quando fermò un gruppetto di ragazze che, vedendo la scia che la bionda si era lasciata alle spalle, impallidirono di colpo e risposero subito alla domanda che aveva rivolto loro. Feci in tempo a leggere il labiale di Angie, che stava dicendo "Annie", prima di lanciare un'occhiata d'intesa a Beth, Arianna e Night e precipitarmi nella loro direzione.

«Che le avete detto?!» esclamai, vagando da un volto all'altro con crescente apprensione.

«Ho solo risposto a quello che ci ha chiesto» mi rispose una ragazza, visibilmente scossa. «Ho temuto che mi picchiasse, se non gliel'avessi detto. Voleva sapere dov'era Annie.»

«In palestra!»

Ci voltammo tutti verso Arianna, che si era appena data una manata in fronte.

«Sì, esatto» mormorò l'altra ragazza, tremando.

«Oggi c'erano gli allenamenti delle cheerleader» spiegò Arianna. «Cristo, li ho saltati! Ma credevo di essere sempre a pulire gabinetti, a quest'ora...»

«Se non fermiamo Angie, dubito che ci saranno molti allenamenti, oggi» le fece notare Beth, corrugando la fronte. «Presto, sbrighiamoci!»

Ci precipitammo giù per le scale, con il cuore in subbuglio. Ad ogni gradino percepivo una fitta al petto ed avevo ormai il fiato corto, ma non osai rallentare. Angie ormai aveva accumulato un grosso vantaggio su di noi e, alzando gli occhi, mi accorsi che non era più in vista e realizzai che doveva aver già raggiunto il suo obbiettivo.

Superate le scale, vidi Night superarmi e accelerare il passo verso la palestra, seguito a ruota da Arianna, e tirai un sospiro di sollievo, vedendo che i due non sembravano provati da quell'inseguimento quanto lo eravamo Beth ed io.

Quando finalmente varcammo la soglia della palestra, davanti a noi si profilò l'inevitabile.

Ormai ad un soffio da Annie, Angie aveva assunto un'andatura più rilassata, mentre si faceva spazio tra le altre cheerleader, che si stavano preparando per il riscaldamento, e si dirigeva a passo tranquillo verso di lei. Mi guardai intorno in preda all'ansia, alla ricerca di qualcuno che potesse aiutarci, ma della Cooper nessuna traccia. Doveva essere ancora negli spogliatoi.

«Troppo tardi...» bisbigliai, incapace di distogliere lo sguardo da quella scena, Annie nel mirino della nostra amica, del tutto ignara delle sue intenzioni.

Arianna e Beth erano immobili al mio fianco, ugualmente pietrificate, mentre Night scattò in avanti in un ultimo, disperato tentativo di fermarla.

Osservammo Angie salutare la rossa con la mano che, non appena la vide, si esibì in uno dei suoi esagerati sorrisi.

«Ciao Ang...»

«ANNIE, ATTENTA!» La voce atterrita di Night rimbombò nella palestra, ma era troppo tardi.

Il pugno di Angie la zittì prima che la rossa potesse portare a termine la frase. Un fiotto di sangue disegnò un arco nell'aria, mentre Annie perdeva l'equilibrio e crollava all'indietro sul pavimento.

Urla di terrore si sovrapposero agli insulti che Angie stava rivolgendo alla rossa. La bionda si gettò a sua volta sul pavimento con un grido di guerra, montando a cavalcioni della ragazza, e alzò un pugno per colpire di nuovo, ma stavolta Night le impedì di abbattersi sulla sua faccia. La afferrò per le braccia e la tirò indietro, via dal corpo privo di sensi di Annie, mentre la bionda cercava di sfuggire alla sua stretta, urlando come un animale selvaggio.

In quel momento la Cooper irruppe fuori dagli spogliatoi e, vedendo cos'era successo, si precipitò in soccorso di Annie.

«Be'...» La voce di Beth ruppe il silenzio di tomba che si era creato fra di noi, di fronte alla violenza di cui Angie si era dimostrata capace.

Mi voltai a guardare la mia amica, che arrossì e distolse lo sguardo.

«Forse Arianna non aveva tutti i torti» bofonchiò. «Effettivamente mi ha fatto sentire meglio... Questo fa di me un mostro?»

«Un po'» giunse la voce di Arianna.

Lanciai un'occhiata al corpo immobile di Annie, circondato dalla professoressa e da tutte le altre cheerleader, che le ronzavano attorno con i volti pieni di lacrime e preoccupazione, e poi ad Angie, che stava ancora ululando e lottando contro Night.

«Ma mai quanto Angie» borbottai, scuotendo a testa con aria rassegnata.

****

«Voglio che vi sbizzarriate» mormorò la professoressa Rooth, facendo spaziare lo sguardo sulla classe, il mattino dopo.

Sembrava rivolgersi ad Angie in particolare e probabilmente era davvero così, visto che, qualsiasi cosa dicesse la professoressa di arte, la ragazza si ritrovava a fissarla come in venerazione.

«Potete usare bottiglie di plastica, scatole, indumenti, giornali, vecchie riviste...» proseguì la professoressa, scrivendo di volta in volta gli oggetti sulla lavagna.

«Fantastico. Fantastico» bisbigliò Angie tra sé, affrettandosi ad appuntare qualche idea sul suo bloc-notes. Quel lavoro sui materiali di recupero si prospettava davvero divertente.

Mentre mordicchiava l'estremità della penna, chiedendosi se avesse potuto tagliare parte delle noiose tende della loro camera per spacciarle come materiale di recupero – ancora meglio, i vestiti di Arianna! pensò, affrettandosi a scriverlo – si accorse con una punta di irritazione che Night, di fianco a lei, continuava a fissarla.

Si voltò a guardarlo con un sospiro seccato, non prima di aver tappato con il palmo della mano ciò che aveva scritto sul blocco. Ci teneva all'originalità delle sue idee.

«Che vuoi?» bisbigliò, scoccandogli uno sguardo in tralice.

Night abbassò un attimo gli occhi sulle sue mani, prima di tornare a guardarla con sguardo torvo.

«Non ho intenzione di rubarti le idee!» sbottò, come se non riuscisse a credere che la ragazza stesse pensando una cosa simile.

Angie sospirò di nuovo. Era chiaro Night ce l'avesse con lei dopo quello che aveva fatto ad Annie il giorno prima, ma doveva smetterla di impicciarsi. Al solo ricordo dell'intromissione del ragazzo, che le aveva impedito di picchiarla a dovere, le ribolliva il sangue. Oltre al fatto che quella stronza se l'era meritato, lui non poteva dirle come comportarsi. Angie pensò che ribadire il concetto non fosse una cattiva idea. Probabilmente, con il fatto che di recente si erano avvicinati un po', lui si stava montando la testa.

«Ce l'hai ancora con me per la storia di Annie?» bisbigliò la ragazza, tornando a guardare la Rooth, che stava continuando a dare istruzioni.

La professoressa si era accorta che i due stavano parlando e di tanto in tanto lanciava delle occhiate al loro banco, ma Angie sapeva che non sarebbe andata oltre gli sguardi d'avvertimento. Essere la studentessa d'arte più brillante della sua classe aveva i suoi vantaggi.

«Regola numero uno della nostra tregua» proseguì Angie, in tono solenne. «Non puoi dirmi cosa posso e non posso fare.»

E poi, pensò, non era stata neanche sospesa per quella faccenda, il che era un'ottima notizia. Avrebbe dovuto solo aiutare Gérard con qualche lavoretto, come al solito. Ormai ci aveva fatto l'abitudine e quelle punizioni non le pesavano neanche più. Pensando a quello che aveva raccontato loro Arianna, su ciò che Gérard aveva obbligato lei e Lucas a fare, le venne da ridere sotto i baffi: la diva non era assolutamente abituata a sporcarsi le mani, con lo stuolo di servitori che aveva ai suoi piedi.

Voltandosi appena verso Night, vide che il ragazzo aveva levato gli occhi al cielo.

«Fino a prova contraria, io non ti ho mai detto cosa devi o non devi fare» replicò. «Penso solo che sia stata una cattiveria gratuita.»

«Oh, è arrivato il paladino della giustizia!» lo prese in giro lei, inclinando la testa da un lato.

Night non disse nulla, sprofondando nel silenzio per un po'.

Angie si stava già arrovellando su un modo per stuzzicarlo ancora, quando il ragazzo esclamò, all'improvviso: «E così abbiamo delle regole, nella nostra tregua

Ad Angie non sfuggì il tono sarcastico sull'ultima parola, ma lo ignorò, limitandosi a scrollare le spalle. «Perché no?»

«Bene» fece lui, sistemandosi meglio sulla sedia e sogghignando. «Regola numero due: hai il permesso di baciarmi in pubblico.»

Angie distolse di scatto lo sguardo e tornò a puntarlo sulla professoressa Foster, perché Night non si accorgesse che era arrossita.

«L'unica cosa che potrei mai darti in pubblico è un calcio nelle palle, idiota.»

«Regola numero tre» proseguì lui, ignorandola. «Non puoi accompagnarmi ai miei incontri con la banda.»

Angie tornò a guardarlo, di colpo interessata. «E perché no?»

Il ghigno divertito era scomparso dal volto di Night, sostituito da un'espressione seria che suscitò ancor di più la curiosità della ragazza. «Non è un posto adatto a te.»

«Non credo proprio» ribatté lei. Andiamo, picchiava più forte di metà degli amici di Night. La sua banda era esattamente il posto adatto a lei.

«Angie» mormorò Night, come se cercasse di farla ragionare.

La ragazza si ritrovò a pensare che le piaceva il modo in cui lui pronunciava il suo nome. Forse perché accadeva così di rado?

«Dico sul serio. Per favore, non parliamone più.»

Night non poteva certo immaginare che, ad ogni sua parola, la curiosità di Angie cresceva sempre di più. Ma la ragazza capì che doveva cambiare tattica.

Così assunse un'espressione corrucciata e borbottò, con un sospiro di resa: «E va bene...»

Lui le scoccò uno sguardo perplesso. Non sembrava essersi bevuto il fatto che lei avesse deciso di dargliela vinta così in fretta, ma non disse nulla, forse temendo che la ragazza cambiasse idea. Dentro di lei, infatti, Angie stava gongolando.

Regola numero uno: non puoi dirmi cosa posso o non posso fare.

 

Angie non immaginava certo che la sua curiosità sarebbe stata soddisfatta così in fretta.

Infatti, per quanto Night avesse cercato di glissare sull'argomento, la ragazza riuscì ad afferrare, da vari frammenti di conversazione tra lui ed i suoi amici, che una delle riunioni a cui le era stato proibito di assistere si sarebbe tenuta proprio quella notte. Ovviamente, decise di approfittarne.

Dopo che le ragazze ebbero spento la luce, quella sera, Angie rimase sveglia nel letto, completamente vestita sotto le coperte, con il corpo pronto a scattare come una molla. Fortunatamente le sue amiche erano piuttosto silenziose, mentre dormivano, così poté tendere l'orecchio e concentrarsi per cogliere anche solo il minimo rumore proveniente dall'esterno.

E quando infine udì una serratura scattare e una porta aprirsi e chiudersi, per quanto impercettibilmente, Angie seppe con certezza che si trattava di Night.

Scivolò furtivamente giù dal letto, si infilò le chiavi della stanza in tasca e si acquattò dietro la porta, aprendola il più delicatamente possibile. Era davvero un'impresa per una come lei, che aveva la tendenza a sbattere – e rompere – ogni cosa e possedeva la grazia di un rinoceronte. Mentre girava piano la maniglia, aveva la fronte imperlata di sudore per la concentrazione.

Dallo spiraglio che gettava sul corridoio, Angie vide la sagoma di quello che aveva tutta l'aria di essere Night attraversare a piccoli passi il corridoio.

Bingo.

Intorno a loro, tutto era immerso nell'oscurità e difficilmente lui avrebbe potuto vederla, ma non voleva correre rischi. Così si calò il cappuccio sugli occhi e attese pazientemente che il ragazzo scomparisse giù per le scale, prima di uscire dalla camera, chiudersi la porta alle spalle e mettersi sulle sue tracce.

Angie lo seguiva quatta quatta, camminando in punta di piedi, e il ragazzo non diede segno di averla vista, ma si stupì non poco quando vide che Night non era diretto in una delle classi, come lei avrebbe creduto, ma all'uscita.

Si maledì, pensando alla misera felpa che aveva indosso, e capendo in un attimo perché Night, adesso illuminato debolmente dalla luce lunare che filtrava dal vetro della porta d'ingresso, indossava un giaccone. Nascosta dietro una delle colonne dell'ingresso, Angie lo vide armeggiare con le tasche ed estrarne una chiave.

E quella?

Con poche, rapide, mosse Night aprì il portone d'ingresso e scivolò all'aperto. Angie inorridì, vedendo la porta chiudersi lentamente alle sue spalle e con essa la possibilità di seguirlo fin lì ma, un attimo prima che l'uscio sbattesse, Night fermò il portone con una mano e lo lasciò solo accostato. Angie tirò un sospiro di sollievo.

Osservò dal vetro Night scendere rapidamente i gradini che portavano al vialetto d'ingresso e, dopo essersi guardata attorno nell'atrio deserto e silenzioso, attraversò rapidamente i metri che la separavano dalla porta – i più pericolosi, visto che non c'erano posti dove nascondersi – e, imitando Night, uscì all'aperto, lasciando la porta semichiusa dietro di sé.

Uno spiraglio di vento gelido le penetrò nelle ossa e la fece rabbrividire, ma fu solo un attimo. Il suo obbiettivo si muoveva a passo rapido sul vialetto, proseguendo verso destra, e lei non aveva alcuna intenzione di lasciarselo sfuggire.

'fanculo la polmonite.

Costeggiando la parete di destra e nascondendosi nell'ombra, seguì furtivamente Night fino al luogo del suo appuntamento. Nient'altro che una panchina sgangherata, debolmente rischiarata dalla luce dei lampioni, non troppo lontana dalla veranda in cui al ballo lei e Kia lo avevano beccato ad ubriacarsi, intorno alla quale erano seduti a gambe incrociate una mezza dozzina di ragazzi. Le labbra di Angie si piegarono istintivamente all'ingiù: dopo tutta quella reticenza da parte di Night e il suo pedinamento, si sarebbe aspettata di trovare un posto un po' meno squallido.

Si rese conto che la panchina, intorno alla quale i ragazzi erano riuniti come fosse stata un trono, era riservata a Night e che, se lui si fosse voltato nella sua direzione per mettersi seduto, lei avrebbe perso ogni occasione per avvicinarsi ulteriormente.

Così accelerò il passo, camminando in punta di piedi sull'erba e nascondendosi nell'ombra di Night finché non raggiunse il capannello di persone. Angie non poté fare a meno di pensare che, seduti a gambe incrociate ed illuminati sinistramente dai lampioni, sembravano lì riuniti per un rito satanico ed ebbe un brivido che non aveva nulla a che fare con il freddo.

Non appena i ragazzi ebbero riconosciuto Night, iniziarono ad acclamarlo a gran voce e, del tutto presi da quell'apparizione, Angie ne approfittò per mettersi a sedere nell'ultima fila, lontano da occhi indiscreti. Aveva già individuato tra i ragazzi John e anche Adam, pericolosamente vicino a lei, e si affrettò a calcarsi meglio il cappuccio sulla testa. Di Shadow, invece, nessuna traccia, ed Angie se ne stupì. Visto quanto sembravano essere legati i due ragazzi, credeva che sarebbe stato in prima linea nella sua banda. Per il resto, si trattavano tutti di ragazzi molto più grandi di lei, che dovevano essere circa all'ultimo anno, eppure trattavano Night alla stregua di un capo.

Accompagnato da applausi e acclamazioni, Night si era fatto largo tra i ragazzi e si era accomodato con i piedi sulla panchina, seduto in equilibrio sullo schienale. Da quella posizione aveva una visuale completa, mentre spaziava con lo sguardo su di loro, ed Angie abbassò gli occhi con un moto di inquietudine. Osservandolo di sottecchi, vide che il ragazzo sorrideva e aveva un brillio negli occhi che era certa di non avergli mai visto prima.

Angie si strinse nella felpa, cercando di ignorare il freddo. All'improvviso fiutò nell'aria il familiare odore dell'erba e, guardandosi intorno, vide che i ragazzi delle prime file stavano facendo girare una canna.

«Ehilà!» La voce di Night la fece sussultare. «Cosa mi raccontate? Voglio un po' di buone notizie, oggi. John?»

Night ammiccò verso il ragazzo moro, che Angie sapeva essere il suo braccio destro, il quale si alzò in piedi, scuotendosi l'erba dai pantaloni, strappò la canna dalle mani di colui che la stava fumando in quel momento e raggiunse l'amico sulla panchina, sedendosi però normalmente. Come in una gerarchia, realizzò Angie.

«Nulla di nuovo dalla puttana» lo informò lui, aspirando una boccata, ed Angie lo fissò confusa. Night e gli altri, invece, sembravano aver capito benissimo a chi si stesse riferendo. «Ma dopotutto non può più usare il suo strumento su di me» aggiunse, lanciando un'occhiata d'intesa a Night. Ad Angie non sfuggì che lo sguardo di John si era rabbuiato di colpo.

«So che Matthew ha usato una sparachiodi nell'ora del professor Anderson» proseguì il ragazzo moro, riscuotendosi.

Night inarcò le sopracciglia, mentre quella frase provocava risate e commenti impressionati.

«Una sparachiodi?» ripeté. «Dove hai trovato una cazzo di sparachiodi, Matt? Sei geniale!»

Angie vide sogghignare un ragazzo dai corti capelli castani, a cui gli altri stavano dando delle pacche sulle spalle. «Potrei averla fottuta a Gérard durante una delle punizioni.»

«Geniale» ripeté Night, in tono convinto.

Sembrava nel suo mondo, così a suo agio, così allegro. Non c'era traccia del ragazzo tormentato, violento e rancoroso che aveva conosciuto, anche se quello era esattamente il contesto dove lei si sarebbe aspettata di trovarlo. Eppure, pareva un'altra persona.

«Avete altro?» fece lui, prendendo la canna dalle mani di John.

«Tommy ha dato fuoco alle tende nell'ora della professoressa Foster.»

«Io ho rotto gli occhiali della Cooper, l'altro giorno!»

«Io l'ho mandata a farsi fottere.»

«Mica male, però, quella lì...»

Angie osservava in silenzio mentre, uno ad uno, i membri della banda si vantavano delle loro imprese. La ragazza era senza parole. Si era aspettata una riunione su faide e vendette contro altri studenti, ma niente di tutto ciò era accaduto. I ragazzi erano i leader incontrastati della scuola ed era come se, guidati da Night, seguissero un piano studiato per disturbare le lezioni dei professori. Eppure il ragazzo era il suo compagno di banco, Angie sapeva come si comportava: a parte qualche rispostaccia, non l'aveva mai visto agire in modo così violento contro di loro. Sparachiodi, accendini, minacce, atti di violenza. Si rese conto, man mano che parlavano, che gran parte delle idee erano partorite proprio dalla mente di Night.

Quei ragazzi, anche i più grandi, seguivano alla lettera ciò che lui diceva loro di fare, come fosse stata una divinità, e parevano consapevoli che Night non si sarebbe esposto quanto loro. Ma perché?

«Io ho palpato le tette alla Gallagher, ieri.» La voce di Adam, così vicina a lei, la fece quasi sobbalzare e la ragazza pregò che quel gorilla non se ne fosse accorto.

Lo sguardo di Night li raggiunse, nella penombra. Al pari degli altri ragazzi, pareva davvero colpito. «Dici sul serio?»

«Assolutamente» confermò il rosso, gonfiando il petto.

«Ieri era domenica, Adam» gli fece notare il ragazzo della sparachiodi, Matthew.

«Lo so» rispose lui, piccato. «Si dà il caso che mi stesse facendo una lezione di recupero.»

Diversi "wow" si levarono in coro dai ragazzi. Angie dubitava di aver mai visto la professoressa Gallagher ma, a giudicare dai commenti impressionati, doveva trattarsi di una donna piuttosto procace.

Si rese conto dopo un attimo che era l'unica a non avere avuto alcun tipo di reazione e che Adam la stava guardando con un certo sospetto. Non sapendo come agire, si limitò ad un risolino. Ma fu un errore.

«Che hai da ridere, tu?» l'apostrofò Adam.

Decine di paia d'occhi si voltarono di colpo a fissarla.

Merda.

«Non ci credi? Hai qualcosa di meglio da raccontare? O magari...» Si interruppe, guardandola con occhi cattivi. «...sei solo frocio?»

Angie indietreggiò, ma Adam fu più rapido e la afferrò per l'orlo del cappuccio, che si sfilò, rivelando una matassa di ricci biondi, i quali scintillarono colpevoli sotto la luce dei lampioni.

Il silenzio calò di botto fra i ragazzi di banda.

«Angie?»

La ragazza alzò piano gli occhi. Night la stava fissando a bocca aperta. La canna gli era caduta di mano.

«Oddio, Night, ma non è la tua ragazza?» proruppe una voce.

«Non l'avevo mai vista!»

«È carina!»

Le voci, da esitanti qual'erano all'inizio, si fecero sempre più numerose ed Angie tornò a guardare Night e vide che aveva assunto un'espressione che, per quanto apparisse assurda su uno come lui, le parve piuttosto imbarazzata.

Distogliendo lo sguardo da Night, Angie tornò a fronteggiare quel coglione di Adam che, dopo aver fatto saltare la sua copertura, sembrava aver perso ogni traccia di spavalderia.

«Vaffanculo» sibilò, incenerendolo con lo sguardo. Poi gli assestò un bel pugno in faccia.

 

«Ho seriamente temuto che gli facessi il naso come il mio» commentò Night, vagamente divertito.

«Potrebbe donargli» fece Angie, sogghignando.

Forse prima o poi gli avrebbe detto che trovava quel naso rotto davvero affascinante.

Prima o poi.

I ragazzi della banda si erano ormai sparpagliati, chi si era rollato un'altra canna e adesso la stava fumando sull'erba e chi invece aveva deciso di fare ritorno ai dormitori.

Angie lo fissò con una certa insistenza, lasciando che fosse il silenzio a porre la domanda per lei. Alla fine, Night fece un sospiro.

«Day» disse. «Quando avevo sei anni. Voleva che fosse chiaro fin da subito chi era dei due a comandare.»

Ad Angie sfuggì un risolino. Nessuno dei suoi fratelli le aveva mai rotto il naso ma, in quanto sorella minore, anche lei ne aveva dovute subire parecchie da loro.

«Ma perché non mi volevi qui?» disse poi, spaziando il prato, la panchina-trono e i pochi ragazzi rimasti con lo sguardo. «Mi adorano.»

Era vero. La sua improvvisa rissa con Adam aveva provocato un tifo da stadio, tanto che Angie aveva persino temuto che qualcuno dei bidelli li scoprisse. Ma non era venuto nessuno e la ragazza aveva potuto prendere a pugni il rosso senza alcuna distrazione. Certo, lui aveva provato ad opporre resistenza e aveva una stazza non indifferente, ma Angie non era tipa da lasciarsi intimorire e il tifo che i ragazzi facevano per lei le aveva dato la carica necessaria.

Alla fine, dopo aver lasciato Adam tramortito sull'erba, la banda l'aveva acclamata come una regina e l'aveva fatta fumare. Angie non aveva più sofferto il freddo, si era divertita da matti e aveva deciso che quella sarebbe stata la prima di una lunga serie di incontri. Anche se, a giudicare dall'espressione che Night aveva avuto tutto il tempo, come se avesse mandato giù del veleno, il ragazzo non le era parso granché d'accordo.

Scrutandolo con attenzione, ripensò all'imbarazzo che aveva intravisto sul suo volto, che per un attimo parve balenare di nuovo nei suoi occhi.

«Be'...» Night esitò ed Angie lo fissò con viva curiosità. «Non è un posto adatto a te.»

La ragazza levò gli occhi al cielo e fece per replicare, ma Night non aveva ancora finito.

«Ci sono troppi ragazzi.»

Capendo all'improvviso, Angie spalancò la bocca e il riso le sfuggì dalle labbra.

«NO!» esclamò, facendo impallidire Night. «TU. SEI. GELOSO!»

«Non è vero!» si affrettò a ribattere Night, incrociando le braccia al petto, ma Angie non lo stava ascoltando.

La ragazza mise a saltellare sul prato, in preda ad un attacco di risa. Seduti nelle vicinanze, i ragazzi della banda si voltarono a fissarla, storditi dall'erba. L'unica cosa che probabilmente capirono era che Night sembrava essere oggetto di ilarità, quindi iniziarono a sbeffeggiarlo amichevolmente a loro volta.

«Sei geloso! Sei geloso!» ripeteva lei come in una cantilena, puntandogli il dito contro, mentre con l'altra mano si teneva la pancia, che iniziava a dolerle per le risate.

Night, per niente divertito, le si avvicinò a passo di carica.

«Andiamo» borbottò tra i denti.

Sforzandosi di ignorare gli sguardi d'intesa dei suoi ragazzi, afferrò Angie per un braccio e la trascinò lungo il vialetto, mentre lei continuava a ridere.

«Sono senza parole!» farfugliò.

«Sei fatta, ecco cosa sei» ribatté lui.

Quando infine la lasciò andare, i due si trovavano davanti al portone d'ingresso.

Angie osservò Night di sottecchi: il ragazzo era palesemente scalfito nel suo orgoglio, mentre evitava di guardarla. Suoni di risa si levarono dal prato che si erano appena lasciati alle spalle.

«Domani non si ricorderanno nulla» disse lei. «Forse» aggiunse dopo un attimo, ridendo sommessamente.

Night posò infine lo sguardo su di lei, seccato. «Che ne è delle nostre regole?»

«Oh, andiamo» fece lei, agitando una mano. «Noi due non seguiamo mai le regole.»

Udì Night sospirare. «Be', non hai tutti i torti.»

La loro attenzione fu catturata dai membri della banda che, malfermi sulle gambe, stavano venendo nella loro direzione, intenzionati a tornare dentro o forse a osservarli litigare ancora un po'.

Nel vederli, gli occhi fissi su di loro, un'idea fece capolino nella mente di Angie. Non sapeva se era per il fumo che aveva inalato, per il brivido che le aveva dato essere acclamata da tutti, ma quella sera si sentiva invincibile.

«Sai, ripensandoci...» proruppe, e Night si voltò di scatto a fissarla, captando qualcosa di strano nel suo tono. «Penso che onorerò la regola numero due, stasera.»

Non diede a Night il tempo di replicare, perché in un attimo gli fu vicino e, alzandosi sulle punte dei piedi, gli diede un sonoro bacio sulla bocca.

Un coro di fischi e voci entusiaste si levò dagli amici di Night. Angie si staccò da lui, che la stava fissando con un misto di sorpresa ed eccitazione che le provocarono una capriola nella pancia.

Ad un passo dalle sue labbra, lei gli bisbigliò: «Non farci l'abitudine, perché la prossima volta potrebbe essere un calcio nelle palle.»

Detto ciò, girò sui tacchi e salì i gradini diretti al portone saltellando a due a due. Dopo essere entrata, attraversò l'atrio silenzioso senza mai voltarsi, il rumore dei suoi passi ed il tamburellio del suo cuore che si confondevano nelle sue orecchie.

Le pareva di stare volando, mentre saliva al piano di sopra. L'erba che le avevano offerto doveva essere davvero forte, pensò Angie. Riusciva solo a pensare a quel sorriso strafottente, a quegli occhi verdi che brillavano di malizia, a quel naso...

Angie si bloccò a metà delle scale, la consapevolezza che la colpiva come un ceffone e per poco non la faceva inciampare nei gradini.

Il naso rotto. A sei anni.

Cazzo.

Perché Night non era stato migliorato?

 

Ehilà!

Spero che questo capitolo vi sia piaciuto. Personalmente, è uno di quelli che preferisco, specialmente la scena di Angie, fattissima (fatta dura, fatta come un copertone! -cit.) che mette in imbarazzo Night XD La nostra bionda preferita sfodera tutta la sua violenza da ghetto contro i gingeri, Arianna rimane chiusa nei gabinetti e Kia viene illuminata da Brook su alcuni dei meccanismi della scuola. Ormoni, proprio così! Ma la domanda è: perché? E perché la banda di Night si comporta in un certo modo? E perché il nas... ok, la smetto. 

Ci vediamo al prossimo capitolo, dove ci saranno molte altre rivelazioni! ;)

PS: 

«Che succede?» chiese Arianna, impassibile, e dentro di me provai grande ammirazione per la sua nonchalance.

Arianna è ufficialmente diventata Morgan.

 

  
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