Capitolo
8
<< Come ti sei
permessa? >> la voce alterata, isterica, ma soprattutto
conosciuta, fece
ghignare Lily Potter che, seduta al tavolo dei Grifondoro chiacchierava
amabilmente con suo cugino Hugo.
A quel suono alzò la
testa
per incontrare quella decisamente poco tranquilla di Dominique Weasley.
La sua
figura era perfetta, come sempre, ma i tratti dei viso, solitamente
controllati
e superbi, erano distorti dalla rabbia più pura. Lily
capì che aveva ricevuto
il suo scherzo ed aveva fatto due più due. Dopotutto non era
stupida come si
pensava.
<< Di fare cosa?
>> chiese innocentemente la rossa, tirandosi i capelli
lisci dietro le
spalle.
La cugina estrasse la
banchetta dal mantello e la puntò contro la più
piccola che non si scompose e
la guardò con aria di sfida.
<< Sei davvero
così
ottusa da non riuscire a capire contro chi ti sei messa?
>>
Anche Lily si alzò dalla
panca, continuando a guardarla negli occhi. Nella Sala Grande
calò il silenzio
più assoluto, tutti le fissavano in attesa di uno
svolgimento della situazione.
Non era raro incontrare Dominique Weasley e Lily Potter bisticciare in
corridoio, ma solitamente era solo quello. Poche battutine ironiche e
acide,
mai un vero e proprio duello.
Mai, ripeto mai,
Dominique aveva perso il controllo
come quel giorno.
<< Smettila di
comportarti come se fossi in un film, Dominique. Non puoi davvero
credere che
le tue minacce mi facciano paura >>
La rossa puntò le mani
sui
fianchi, senza nemmeno preoccuparsi di estrarre la bacchetta. Conosceva
sua
cugina fin troppo bene e non si sarebbe mai permessa di utilizzare la
magia per
colpirla davanti a tutti i professori. Troppa paura. Paura di perdere
il suo
titolo di studentessa modello e paura di essere espulsa.
La ragazza sbuffò e la
guardò truce, avanzando di un passo.
<< Ti pentirai di
avermi fatto quello stupido scherzo, Lily. Ricordalo >>
detto questo la
serpeverde si girò e tornò al suo tavolo un
momento prima che i professori
intervenissero.
La rossa si sedette di
nuovo e sbuffò scocciata dalla minaccia della cugina. Non
aveva paura di lei.
Erano tante le cose che la spaventavano –di cui alcune
davvero stupide- ma tra
queste non rientrava certo quella serpe di Dominique.
<< Quindi, cosa
dicevamo? Ah, sì, il Torneo Tremaghi >>
riprese il discorso la rossa,
distraendo il cugino dai pensieri che in quel momento lo tormentavano.
<< Sì,
giusto. Ti
iscriverai? >>
Lily annuì.
<< Ovviamente. Non
può mancare un Potter al Torneo. James non si
iscriverà e Albus non è
interessato quindi non ho altra scelta. Devo portare avanti il nome
della
famiglia >> disse con solennità
<< Mi imiterai cugino? >>
Anche Hugo annuì e si
batterono il cinque, sorridendosi, sicuri che almeno uno di loro
sarebbe stato
scelto dal Calice di Fuoco.
<< Pronto cugino?
>> chiese Lily, entrando nel cerchio di luce disegnato
intorno al calice.
<< Pronto. Pronta
cugina? >> ripeté Hugo, seguendola nella sfera
magica.
La ragazza annuì e si
presero la mano, stringendola per cercare di ritrovare il coraggio di
allungare
la mano e lasciare il biglietto in quel maledettissimo calice.
Quello che li aveva
portati a partecipare dopotutto non era puro e semplice coraggio, ma la
voglia
di dimostrare a se stessi che erano degni di portare quei cognomi
così
importanti.
Suo padre ad undici anni
aveva già sconfitto Voldemort per la prima volta e lei
quando i professori la
paragonavano a lui, in senso buono e cattivo, si sentiva quasi in
dovere di
dimostrare che lo meritava. Che non era solo fama. Che lei era forte e
coraggiosa come suo padre.
Lily aveva bisogno di
crederci perché altrimenti sarebbe crollata, crollata come
James. Ed Hugo lo
sapeva, la conosceva. Sentiva lo stesso.
Sua madre era una strega
brillante e suo padre aveva sempre messo al primo posto
l’amicizia e aveva
dimostrato di avere un coraggio che nessuno si sarebbe mai aspettato da
Ronald
Weasley.
Perché, ammettiamolo,
Harry Potter, senza l’aiuto dei suoi migliori amici, non
sarebbe riuscito a
compiere nemmeno metà delle sue meravigliose imprese.
E Hugo sentiva la
pressione. E Lily sentiva la pressione.
Avvertivano che diventava
ogni giorno più forte e pesante e che cominciava a
schiacciarli. Ma loro
lottavano, lottavano insieme. Aiutati da Shailene e Axel.
Perché, ammettiamolo,
senza l’aiuto dei loro migliori amici e l’appoggio
reciproco, sarebbero
crollati.
Lily capiva perché Jamie
si era chiuso in se stesso, capiva perché era cambiato e lei
non voleva
crollare, non voleva diventare un’altra persona.
Lily Potter doveva essere
forte.
Hugo si sentiva
surclassato in tutto. Sua sorella era la progenie perfetta dei suoi
genitori,
beh più che altro di sua madre. Bella, intelligente,
diligente e con un futuro
già assicurato. Non doveva dimostrare niente, bastava uno
sguardo per capire
che fosse loro degna figlia. Ma per quanto riguardava lui, beh,
bisognava
scavare in fondo per capire chi veramente fosse.
E lo stesso valeva per
Lily. Loro erano quelli sempre felici, quelli esuberanti, quelli
divertenti.
Non ti annoiavi di certo quando eri in loro compagnia, ma nessuno li
considerava
come maghi brillanti.
Pochi conoscevano i veri
Hugo e Lily. Axel, Shailene e, per quanto riguardava la ragazza, James.
Gli altri si fermavano
all’apparenza perché è questo che fanno
le persone. Non scavano, si
accontentano di quello che vedono, facendo finta di credere che sia la
verità
quando tutti sono consapevoli che una persona non è solo la
faccia che mostra
agli altri.
Una persona è mille
persone e allo stesso tempo nessuna. È diecimila diverse
versioni della stessa
storia, tutte vissute con una prospettiva diversa, tutte vere e reali,
tutte
ugualmente interessanti.
Lily ed Hugo erano
quelli sempre felici, quelli
esuberanti, quelli divertenti, ma non erano solo quello. Loro erano
intelligenti a modo loro, leali, persone di cui ci si poteva fidare,
coraggiosi. Avrebbero dato tutto per le persone a cui volevano bene. Ci
sarebbero sempre stati. Loro erano persone meravigliose.
Degni figli dei loro
genitori.
Ma erano anche insicuri e
con uno spasmodico bisogno di dimostrarlo.
Lily strinse la mano del
cugino, sotto gli sguardi comprensivi di Shailene e Axel e incoraggiati
dalle
grida e dai fischi dei compagni di casa che, in quel momento, li
circondavano.
Alzarono le mani e le
portarono verso il calice. E Lily Luna Potter lasciò cadere
il bigliettino
nello stesso momento in cui Hugo Weasley aprì la mano.
E le fiamme del calice
diventarono azzurre.
Roxanne Weasley era un
maschiaccio. L’unica cosa femminile che possedeva, causa di
suo grande
rammarico, era l’aspetto.
Roxanne Weasley aveva sempre
pensato che sarebbe dovuta nascere maschio e questa era
l’idea più popolare
anche nella scuola. Non fraintendete, a lei piacevano i ragazzi, ma
questo era
tutto.
Orientamento sessuale,
lunghi capelli castano scuro, viso delicato e corpo niente male era
tutto ciò
di femminile che poteva vantare.
Roxanne indossava vestiti
troppo larghi per la sua taglia, si divertiva a fare gare di alcol (e,
perché
no?, di rutti) con i suoi compagni grifondoro, era interessata alle
scommesse,
non sopportava il colore rosa, il Quidditch era una parte fondamentale
della
sua vita e odiava, lo odiava davvero,
sprecare il suo tempo a pettegolare e a parlare di ragazzi. Era per
questo che
Roxanne era stata accolta a braccia aperte da tutti gli studenti
grifondoro del
suo anno, ma anche dagli amici del fratello e da quelli dei cugini.
La consideravano una di
loro, un amico con cui passare le giornate a chiacchierare, con cui
poter
essere volgari senza essere rimbeccati ogni volta e con cui poter anche
scambiare qualche schiaffo perché Roxanne era
incredibilmente forte. Non per
niente era la migliore battitrice della scuola, un ruolo che,
solitamente, le
ragazze nemmeno prendevano in considerazione.
Ma, nonostante tutto,
Roxanne era una ragazza. E per
quanto
le costasse ammetterlo e per quanto non lo sopportasse, a volte si
sentiva
fuori posto.
Non l’avrebbe mai detto
ad
alta voce, ma si sentiva offesa quando tutti scherzavano sul fatto che
non
avrebbe mai avuto un ragazzo o quando, ad ogni uscita ad Hogsmade,
durante le
quali tutti, o quasi, avevano un appuntamento, lei era
l’unica a rimanere da
sola.
Roxanne Weasley aveva
sedici anni e, per quanto volesse negarlo, voleva qualcuno con cui
condividerli. E non un amico, ma qualcuno con cui condividere
un’intimità
speciale. Voleva innamorarsi.
Ma non l’avrebbe mai
ammesso.
Fred Weasley non era suo
padre. E no, non era neanche suo zio, di cui, purtroppo, aveva solo il
nome.
Non era casinista, non era
simpatico, non aveva poi tutto questo successo con le ragazze e, ci
teneva a
sottolineare che no, non era bianco, ma non era neanche nero. Non che
poi il
colore della sua pelle fosse determinante per la sua
personalità e per
l’atteggiamento che gli altri avevano nei suoi confronti, ma
era sicuro che il
suo colore indefinito fosse lì solo per ricordargli che
nella sua vita niente
era deciso.
Fred Weasley non si
sentiva né carne né pesce.
Non sapeva chi fosse e
semplicemente non riusciva a spiegarsi perché quel maledetto
cappello lo avesse
smistato nella grande casata dei Grifondoro, considerando che lui non
era
orgoglioso, coraggioso né tantomeno esibizionista. Si
sarebbe visto bene vicino
a Louis nell’anonimo tavolo dei Tassorosso, circondato da
gentilezza e fedeltà.
Mettiamola così, Fred
Weasley II era fermamente convinto che quando il Cappello Parlante si
era
posato sulla sua testa e aveva urlato a gran voce
‘Grifondoro’, fosse stato
decisamente confuso o sotto l’incantesimo Imperius di suo
padre o, peggio
ancora, maledettamente ubriaco.
Perché no, no e ancora
no,
Fred non aveva niente del grifondoro. Ed aveva ancora di meno della
famiglia
Weasley. A cominciare dal suo aspetto.
Ma forse, stava
cominciando a pensare ultimamente, le famose caratteristiche Weasley
erano
state inventate di sana pianta, basandosi sui loro genitori,
perché dando
un’occhiata a questa nuova generazione non si potevano certo
catalogare le
persone secondo determinati parametri.
Un Louis decisamente
normale.
Una Dominique altezzosa.
Una Roxanne poco, per non
dire affatto, femminile.
Uno James chiuso in se
stesso.
Una Rose poco loquace (era
piuttosto evidente che la maggior parte dei suoi geni fosse firmato
Granger).
Un Albus poco incline a
dimostrazioni di coraggio in tutti i campi (sentimentale, scolastico e
ci più
ne ha più ne metta).
Una Lucy che, beh, era
Lucy.
Gli unici che sembravano
essere Weasley erano Lily e Hugo.
Una cosa però i Weasley
ce
l’avevano in comune. Chissà come si facevano
trasportare ogni santissima volta
negli scherzi organizzati dai due pazzi sopracitati e, dopotutto, a
nessuno di
loro dispiaceva più di tanto.
Li faceva sentire una
famiglia, male assortita ma sempre una famiglia. Con alcune eccezioni
ovvio,
come per esempio Louis e James. Gli unici a restare sempre per conto
loro e a
non partecipare mai alle famose riunioni Weasley. Quelle riunioni erano
sacre.
Per non parlare poi dei
cugini fuori da Hogwarts (ma quanti ne erano?). Molly e Victoire erano
quanto
di meno Weasley esistesse sulla terra.
La prima magano e la
seconda con un’intelligenza tanto grande quanto la sua
inaspettata passione per
la babbanologia. Di fatti poi aveva trovato lavoro nel mondo babbano.
Ma Fred una cosa simile al
padre ce l’aveva.
Voleva partecipare a quel
dannatissimo torneo.
<< Roxanne, hai
sedici anni >> ribadì Rose alla cugina,
continuando imperterrita a
leggere un libro.
La ragazza annuì e
sorrise.
<< Lo so Rosie, ma
ho fatto una scommessa con papà >>
<< Scommessa che
perderai >> si intromise Fred nel discorso.
La sorella gli fece una
linguaccia e sorrise di nuovo.
<<
Nient’affatto
>>
<< Che scommessa?
>> chiese ancora Rosie.
La rossa alzò finalmente
lo sguardo dal suo libro, guardando insistentemente i cugini che
stavano in
piedi vicino al cerchio magico che circondava il calice.
Fred era già con un
piede
dentro di esso e si apprestava ad aggiungere il suo nome agli altri che
già
erano presenti. Roxanne era poco distante con e mani dietro la schiena,
vestita
alla babbana, mentre stringeva in una mano un pezzettino di pergamena e
nell’altra una pozione non meglio identificata.
<< La pozione
l’ha
fatta Albus, il che vuol dire che funzionerà >>
Rose sbuffò ancora
attirando l’attenzione del più grande che intanto
aveva fatto cadere il suo
nome nel calice.
<< Papà ci
ha
raccontato la storia di quando lui e lo zio hanno provato a partecipare
al
torneo nonostante non fossero abbastanza grandi e Roxanne ha scommesso,
quando
ha saputo che ci sarebbe stato quest’anno, che lei ci sarebbe
riuscita >>
poi sbuffò, sedendosi vicino alla cugina <<
Secondo me si ritroverà
semplicemente con i viso coperto da barba e i capelli tendenti al
bianco
>>
Rose rise, annuendo e
scatenando l’irritazione della mora che strinse le labbra.
<< Siete dei
malfidati >> mostrò la pozione
<< Questa non è una semplice pozione
invecchiante. Albus ha modificato la ricetta, non so in quale strana
maniera, e
funzionerà >>
Mandò giù
l’intero
contenuto.
Sorrise ancora ed entrò
nel cerchio magico che non la respinse. Guardò con
soddisfazione i due e lasciò
cadere la pergamena nel calice. Questa però non cadde mai
tra le fiamme.
Si alzò in volo,
frantumandosi in mille pezzi colorati e rilasciando delle scintille.
Roxanne sbuffò.
<< Quanto meno il
mio dolce viso da donzella non sarà ricoperto da folta e
canuta barba >>
I due la guardarono
accigliati ed anche il viso di Roxanne prese una sfumatura quasi
impaurita.
<< Roxie, ma come
parli? >> chiese Fred, mentre Rose scoppiò a
ridere, consapevole
dell’accaduto.
<< Hai detto che
Albus ha modificato la pozione? >> chiese tra le risate.
La grifondoro annuì e la
consapevolezza la colse all’improvviso. Non avrebbe
più potuto parlare come una
persona normale. Dannato cugino, aveva fatto in modo da farle
pronunciare
parole appartenute a chissà quanti secoli addietro.
<< Oh, Merlino, lo
sfiderò a duello. Gli trafiggerò il petto con la
mia bacchetta >>
Roxanne andò via
tra le
risate dei cugini, blaterando minacce in vecchio stile, su giostre,
cavalli e
giovani donzelle.