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Autore: Herm_periwinkle    17/12/2014    5 recensioni
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I pensieri di Ran in un pomeriggio d'autunno, mentre vede un ragazzo estremamente simile a Shinichi passeggiare per strada. Conan riuscirà ad aiutarla a superare la tristezza?
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ran Mori, Shinichi Kudo/Conan Edogawa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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RICORDI IRRAGIUNGIBILI

 
Cupe nuvole grigie si ammassavano nel cielo color cobalto, mentre la luce del  giorno andava ad affievolirsi, lasciando spazio all’oscurità della sera che avanzava.
Gli alberi che costeggiavano il vialetto erano ormai spogli e Ran sentiva scricchiolare sotto i suoi piedi le foglie secche. Un’acuta malinconia si era impossessata di lei, come le accadeva spesso da quando Shinichi era sparito. Erano sei mesi che non lo vedeva più. Ogni tanto qualche sua apparizione fugace, tanto per ricordarle che non ce l’avrebbe mai fatta a dimenticarlo.
Ran camminava con gli occhi puntati a terra, non aveva voglia di vedere tante coppiette felici, quando lei non poteva far altro che aspettare, aspettare inutilmente un ragazzo sparito nel nulla, troppo preso dai casi a cui si dedicava.
“Ehi, ciao Ran!”
Una voce allegra e infantile la riscosse dai suoi pensieri e le fece alzare di scatto la testa. C’era Conan davanti a lei, quel simpatico ragazzino, intelligentissimo per la sua età.
“Oh, ciao Conan” sospirò.
Il bambino le chiese qualcosa, ma lei sembrò non sentire nulla. Guardava fisso un punto davanti a sé, più precisamente il ragazzo alto che distava pochi metri da lei. Non poteva essere lui. Gli corse incontro, incredula.
“Shinichi” sussurrò toccandogli una spalla. Non ci poteva ancora credere. Lo aveva trovato. Il ragazzo si girò verso di lei, con uno sguardo confuso “Mi dispiace, non sono chi stai cercando. Se posso darti una mano, magari a…”
Ran non gli diede il tempo di finire di parlare, scappò, senza pensare a Conan che la guardava spaesato o al ragazzo che le aveva offerto aiuto. Cominciò a piovere e si accasciò su una panchina del parco, incurante delle gocce che le si insinuavano tra i capelli, bagnandola tutta.
Era stata una stupida, lo sapeva benissimo che quel ragazzo non era Shinichi, ora che ci ripensava non gli assomigliava nemmeno tanto, aveva i capelli più chiari ed era leggermente più basso.
Ran era stufa di stare male per un ragazzo, stufa di pensare ogni singolo giorno a lui, stufa di non riuscire a dimenticarlo. Ma dei maledettissimi ricordi continuavano a tormentarla, a riaffiorare nella sua memoria.
Spesso la sera, quando si sentiva al sicuro sotto le coperte, addormentata ma non del tutto, rivedeva i mille momenti passati insieme, dai più belli ai più brutti. Ce ne era uno, il più tremendo, che spesso la faceva svegliare a causa di incubi atroci. Il ricordo del ragazzo che la salutava e che l’aveva lasciata sola al Tropical Land, mentre correva incontro a uno dei misteri che risolveva, si mischiava a terribili incubi, in cui vedeva il ragazzo riverso a terra, con la felpa verde intrisa di sangue. In quei sogni lo scuoteva incredula, cercando di non curarsi dello sguardo vuoto e del corpo gelido come un pezzo di marmo. Poi cambiava la scena e suo padre dichiarava che il ragazzo non era stato vittima di nessun assassinio, ma che si era tolto la vita da solo. La scena cambiava di nuovo e lo spirito del ragazzo chiedeva a Ran di vendicarlo, perché lui era stato ucciso da qualcuno che si fingeva suo amico.
Ran si svegliava sempre da questi incubi con il fiato corto e un terrore freddo che le si condensava sulla pelle, come una cappa che le impediva di liberarsi.
Scosse la testa, per scacciare di nuovo quel pensiero, non poteva assolutamente pensare alla morte di Shinichi, quest’ultima non poteva assolutamente avvenire.
Senza rendersene conto scoppiò a piangere, frustrata da tutto quello che le accadeva. Avrebbe tanto voluto perdere la memoria, dimenticare tutti i bei momenti passati insieme, tutte le litigate e le risate, dimenticarsi di lui. Non se ne faceva nulla di quei maledetti ricordi che non potevano essere raggiunti.
Le lacrime si mischiarono presto alla pioggia, inzuppando il viso della bella ragazza seduta sulla panchina sotto ad un albero spoglio. Nessuno la degnava di uno sguardo, nessuno cercava un modo per aiutarla. Tutti continuavano per la loro strada, senza nemmeno chiedersi perché quella ragazza fosse tanto triste.
Il telefono squillò e lei lo prese, piena di una speranza che sapeva già sarebbe stata delusa. E infatti fu così. Sullo schermo brillava luminoso il nome di suo padre, non il nome che avrebbe desiderato tanto vedere. La pioggia bagnò anche il cellulare, ma Ran non fece nulla per ripararlo, né sembrava intenzionata a rispondere. Lasciò che la vista le si offuscasse, continuando a fissare quello schermo che si illuminava e si spegneva continuamente, come una piccola lucciola spaventata.
Poi, improvvisamente, la pioggia smise di bagnarla con le sue pesanti gocce cariche di tristezza. Alzò lo sguardo al cielo, ma questo fu bloccato dai colori sgargianti di un ombrello che la riparava.
Conan stava sulle punte e si tendeva più che poteva per coprire la ragazza che piangeva.
“Perché piangi?” chiese guardando gli occhi colmi di lacrime di Ran. Lei se li asciugò in fretta strofinandoli con una mano “Per colpa dei ricordi. A volte possono essere taglienti come lame” rispose triste, sicura che non avrebbe mai trovato una via di scampo da essi.
“Ma non pensi che possono essere anche dolci e belli? Sei sicura che non hai nemmeno un bel ricordo della persona a cui stai pensando?” chiese ancora, sapendo di essere la causa della tristezza della ragazza che amava.
Lei sembrò pensarci su, poi sorrise al bambino, sistemando gli occhiali che gli cadevano storti sul naso “Forse hai ragione tu, alcuni sono belli”
“Torniamo a casa?” chiese Conan porgendole la mano. Ran la afferrò, nuovamente pronta per superare i giorni che avrebbe dovuto passare sola senza Shinichi. Aveva capito che probabilmente non sarebbe mai riuscita a sbarazzarsi dei suoi ricordi, ma era certa che avrebbe imparato a conviverci, aspettando colui che amava. Ringraziò mentalmente quel bambino che riusciva sempre ad aiutarla e che inspiegabilmente sembrava capire quello che provava, poi si alzò e si avviò insieme a lui verso casa, con i vestiti zuppi di pioggia, ma con un nuovo sorriso sulle labbra.

 
 
 
 
   
 
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