Un bagliore
di luce estiva emerse all’orizzonte ed iniziò ad
infastidire le guance di un
ragazzo alquanto assonnato, con la fronte sulla tastiera e lo sguardo
perso nel
vuoto, il ticchettio di un computer parecchio surriscaldato che
riecheggiava
nella buia stanza. Nel sentire lo scottante contatto, Eugene Sims si
alzò
prontamente e corse verso il bagno, ricominciando così
l’ordinaria routine che
tanto odiava. La scuola non era male, non era il tipico ragazzo
iperattivo che
non riesce a rimanere zitto per qualche ora, più che altro
non sopportava le
giornate in cui i bulli lo prendevano di mira e lo picchiavano per
divertimento. Bhe, per giornate intendeva proprio tutti i giorni.
Questa vita
malsana iniziò solo dopo il cambiamento di istituto. Eh, le
scuole superiori.
Luoghi in cui la maggior parte degli studenti soffre per tante ragioni,
chi per
il troppo studio e chi per l’aggressività dei
coetanei. Eugene, fin dai primi
giorni del nuovo anno scolastico, si ritrovò a far parte
della seconda
categoria. La madre, che non era mai presente a causa del proprio
lavoro, non
aveva mai visto il proprio figlio tornare a casa con il viso sfigurato
e la
rabbia soffocata in gola. Eugene non avrebbe sopportato
l’idea di mostrarsi
come un fallito davanti all’unica persona rimasta nella sua
famiglia dopo la
scomparsa del padre. Probabilmente anche per questa mancanza di
conforto da
parte di una figura adulta, il ragazzo decise di trascorrere la maggior
parte
del suo tempo chiuso nella propria camera, con la compagnia di un
computer e di
alcuni giocatori online. L’unica soddisfazione della sua vita
era infatti un
tale gioco chiamato “Heaven's Hellfire”. In questa
realtà virtuale era
considerato un protettore, un angelo dalle strabilianti
abilità e dal grande
coraggio. Passava intere notti a compiacersi della propria forza,
diventando
sempre più appassionato, ma allo stesso tempo sempre
più solo e chiuso in se
stesso.
Per questo
motivo, sfoggiò per l’ennesimo giorno delle enormi
borse nere sul viso.
Il ragazzo era ora pulito e vestito, infermo davanti alla credenza
vuota e con
uno stomaco brontolante. Anche oggi non avrebbe potuto fare colazione,
dopotutto ieri preferì tornare subito a casa piuttosto che
sprecare un’ora per
andare in centro città e comprare dei viveri.
Con
un’espressione insoddisfatta ed un sospiro, avanzò
a passo spedito verso la
porta. Adesso che si avvicinava la fine della scuola, molte persone
tendevano
ad arrivare in ritardo.. Se si fosse presentato in anticipo, forse
avrebbe
potuto evitare il branco di prepotenti. Zaino sulle spalle, cappuccio
in testa,
Eugene percorse in tutta fretta la desolata via, occupata
principalmente da
appartamenti e case in costruzione. Gli unici lati positivi dei nuovi
quartieri
erano la tranquillità del mattino e il poco traffico. Dopo
essere arrivato alla
stazione, socchiuse gli occhi e sonnecchiò sulla metro,
quasi dimenticandosi di
dover scendere. Per fortuna l’altoparlante gli
trapassò l’orecchio,
impedendogli così di perdere la propria tappa.
Dopo un paio di minuti arrivò di fronte
all’istituto, circondato dai
mattinieri e dai tipici ragazzi diligenti fino all’ultimo.
Sentì un grande
compiacimento verso se stesso dopo aver notato che il piano era andato
a buon
fine. O forse..
“Maledizione..”
Mugugnò a denti stretti, il cuore che iniziava ad accelerare
il proprio ritmo.
Con tutte le
persone che avrebbe potuto incontrare, davanti alla porta
d’entrata sostava
Fetch, o per meglio dire Abigail Walker. Quella tipa era una pazza; una
furia
se si trattava di farla pagare a qualcuno e un demone inferocito se
doveva far
tacere qualcun altro. Eugene aveva commesso l’errore di aver
visto troppo, di
essere presente per caso durante uno degli scambi di droga, una
questione di
secondi e avrebbe potuto evitare un intero anno di fiato al collo e
percussioni
da parte della ragazza. Bhe, inutile piangere sul latte versato ormai.
Era
sicuro che si sarebbe trovato un pugno piantato nel fianco o una
sigaretta
spenta sulle braccia se fosse passato da quella porta, si stava
già preparando
psicologicamente mentre camminava a testa bassa. Giusto il tempo di
salire
qualche scalino ed appoggiare la mano sulla maniglia, lo sguardo
assente ed un
sospiro. Gli occhi socchiusi mentre spinse il portone, un fischio nelle
orecchie che lo innervosì..
Riuscì ad entrare con grande stupore, quasi sgranava gli
occhi mentre una
risatina gli scappò dalle labbra. Troppo presto per
festeggiare: il violento
spintone fece capolino comunque, forse causato dallo sghignazzare di
Eugene. L’inaspettato
impatto lo scagliò contro la porta di chissà
quale classe, provocando un
frastuono terribile. Un colpo ben assestato, si accasciò
contro il duro legno,
con la vista tremolante, la visione offuscata della perfida ragazza dai
capelli
violacei che lo osservava con sguardo truce. Ma non era
l’unica persona
presente nella scena, un intruso comparse in quei secondi di panico, in
cui
Eugene cercò invano di riprendere il controllo di
sé.
“Tutto
a
posto, biondino?” Lo sconosciuto gli rivolse la parola e si
abbassò per
testargli il polso, con un fare alquanto protettivo. Il sussurrio dolce
e
rincuorante delle sue parole tramise una sensazione rincuorante,
facendogli
riprendere un minimo di sanità mentale.
Eugene non
osò
aprire bocca se non prima di un accurato controllo alla ricerca della
causa dei
suoi mali. L’altro ragazzo era ancora davanti a lui,
probabilmente era la prima
volta che qualcuno gli donava delle attenzioni diverse da dei pugni o
cose del
genere..
“U-uh..
Sto
bene, grazie.” Accennò un sorriso, la timidezza
gli impediva di ricompensare “il
salvatore” in modo diverso, ma nel profondo ne era veramente
grato. Osservò lo
strano modo di vestire dell’altro, scrutandolo in ogni
dettaglio. Dai capelli
mori che spuntavano da un copricapo rosso, fino alle cinghie metalliche
che sporgevano
dalla cintura.
“Amico,
devi
imparare a fare il culo a quelli che cercano di
sottometterti.” Il moro interruppe
l’imbarazzante silenzio. “Io, Delsin il grande,
posso darti qualche dritta se
vuoi.”
Il sorriso
di Eugene si sfasò, ripensando a tutte le volte in cui aveva
tentato di
ribellarsi e aveva miserabilmente fallito. Sapeva bene di non essere in
una
situazione gradevole, non servivano le ramanzine di altri per metterlo
al
corrente del suo stato. In quel momento avrebbe voluto solamente andare
in
classe e sedersi al proprio posto in tranquillità, non aveva
intenzione di
parlare con altri dei propri problemi. Così si
alzò in tutta fretta, scostando
delicatamente Delsin, o come diavolo aveva detto di chiamarsi. Era
stato tutto
così improvviso e senza parole che, nel giro di venti
secondi, il malcapitato sparì
dentro a qualche classe, lasciando l’altro a bocca aperta.
Dopo aver
trovato posto, ovviamente nei banchi isolati in fondo alla classe,
Eugene
estrasse il libro di geometria ed iniziò a sfogliarlo senza
interesse, con la
testa da tutt’altra parte. Pochi minuti dopo, la campanella
suonò
insistentemente ad intermittenza, costringendo tutti i ragazzi ed i
professori
ad entrare. Fortunatamente, né Abigail, né gli
altri bulli, si trovavano in
quell’aula. All’inizio della lezione ci fu subito
un annuncio eclatante,
seguito da numerosi bisbigli e confusione: un nuovo studente,
trasferitosi
dalla lontana Seattle, fu inserito proprio nella loro classe. Molte
persone
reagiscono con eccitazione a nuovi eventi che distruggono la
quotidianità, ma
per Eugene non sarebbe stata così. Lui avrebbe solamente
aggiunto un’altra
persona alla lista di tutti quelli che gli stavano alla larga. Stava
quasi per
tornare a sfogliare il libro con noia, quando il nuovo studente
entrò e lo
lasciò a bocca aperta.
Senza dubbio, si trattava del tizio del salvataggio, ecco svelato il
mistero
della troppa gentilezza. Gli studenti trasferiti, di solito, impiegano
un po’
di tempo prima di ambientarsi ed unirsi ai gruppi dei
“pecoroni”. Nel mentre di
questi pensieri, il docente aveva già assegnato un posto al
caro nuovo
arrivato. Delsin esibì la sua camminata autoritaria, fino a
sedersi proprio
davanti a Eugene, senza nemmeno contenersi mentre esprimeva la sua
gioia nel
rivederlo
“Woah
amico!
Che caso, nella stessa classe, eh?”
Un sospiro e
qualche imprecazione silenziosa da parte del biondino.
“Eh
si,
nella stessa classe..”