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Autore: BlueButterfly93    18/12/2014    5 recensioni
(REVISIONE STORIA COMPLETATA)
MIKI: ragazza che, come il passato le ha insegnato, indossa ogni giorno la maschera della perfezione; minigonna e tacchi a spillo. È irraggiungibile, contro gli uomini e l'amore. Pensa di non essere in grado di provare sentimenti, perché infondo non sa neanche cosa siano. Ma sarà il trasferimento in un altro Stato a mettere tutta la sua vita in discussione. Già da quando salirà sull'aereo per Parigi, l'incontro con il ragazzo dai capelli rossi le stravolgerà l'esistenza e non le farà più dormire sogni tranquilli.
CASTIEL: ragazzo apatico, arrogante, sfacciato, menefreghista ma infondo solamente deluso e ferito da un'infanzia trascorsa in solitudine, e da una storia che ha segnato profondamente gli anni della sua adolescenza. Sarà l'incontro con la ragazza dai capelli ramati a far sorgere in lui il dubbio di possedere ancora un cuore capace di battere per qualcuno, e non solo..
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Lo scontro di due mondi apparentemente opposti, ma in fondo incredibilmente simili. Le facce di una medaglia, l'odio e l'amore, che sotto sotto finiranno per completarsi a vicenda.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ubriaca d'amore, ti odio!'
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Capitolo 16

Due ipotetici rivali








Mentre il cuore e la mente combattevano, i due respiri pian piano si unirono. Si avvicinarono sempre più. Non riuscii a controllare i movimenti, il cuore sussultò quando le mie labbra baciarono le guance all'estremità della bocca del mio ex migliore amico. Già, dovevo definirlo così oramai. Il mio cuore era stato sin troppo lieto di accogliere le parole di Ciak, troppo per considerarle, semplicemente, le parole di un amico. A causa della bellezza dei suoi occhi, che continuavano ininterrottamente a fissarmi, mi sentivo leggermente frastornata. Non riuscivo a capire cosa fosse diventato quel ragazzo ed il legame che mi spingesse a lui. Non capivo più nulla. Tutto intorno era diventato come una foto modificata con effetto sfocatura, e l'unica immagine nitida di quella foto erano gli occhi di quel ragazzo. Erano tremendamente belli e profondi, non riuscivo a staccarne lo sguardo. Erano di un colore strano e nello stesso tempo attraente, tra il verde e l'azzurro. Quel colore che non poteva essere paragonato a niente per quanto fosse bello. 

Lui non si muoveva, assecondava ogni mio movimento, era curioso di scoprire dove sarei arrivata. Nonostante lo avessi quasi baciato pochi secondi prima, lui non cercò di avvicinarsi alle labbra, anzi, restò immobile anche se nei suoi occhi percepivo la sua voglia di andare oltre. Dopo aver memorizzato per bene ogni punto dei suoi occhi, passai alla bocca. A quella poca distanza la si poteva vedere ancora più carnosa di come fosse ad una distanza normale. Soltanto in quel momento compresi perchè era riuscito a stregare così tante ragazze... La sua bellezza era ancor più perfetta da vicino. D'istinto posai due dita sul suo labbro inferiore, l'accarezzai e chiusi gli occhi. Era giunto il momento. Le gambe cominciarono a tremare, le braccia anche. Sembrava stessi per affrontare un importante interrogazione a scuola. Non sapevo, in realtà, chi tra la mente e il cuore stava per vincere il duello, in quell'istante avevo solamente voglia delle sue labbra rosse e carnose. Così senza pensare un minuto di più, con dei movimenti veloci in netto contrasto con quelli lenti di qualche istante prima, posai le labbra sul ragazzo. Non chiusi gli occhi, come invece mi veniva spontaneo fare con Castiel, e quando la lingua di Ciak voleva farsi spazio per approfondire quel bacio, mi resi conto di cosa avevo combinato.

«M-Ma cosa sto facendo?!? Oddio, no... Non può essere. I-io n-non...» guardai Ciak con gli occhi sgranati come se mi fossi appena resa conto di chi avessi davanti.

Posai la mano sulla mia bocca e cominciai a strofinarmici su -avevo la tinta labbra e per fortuna non sbavai il rossetto evitando un disastro- come se quella bocca avesse commesso uno dei peccati mortali. Durante il bacio, quando la mia mente aveva pensato il nome del rosso, mi si accese come una lampadina nella testa. Castiel in qualche modo mi aveva portato a contatto con la realtà, e per una volta almeno, risultò di aiuto. Così pronunciando una frase indecifrabile mi staccai da Ciak. Sapevo bene di averlo ferito e di averlo ucciso con i miei comportamenti contrastanti, ma lui per me era il mio migliore amico, non poteva girarmi nella testa di baciarlo. Non riuscivo a capire cosa mi fosse girato nella testa nei minuti precedenti. 

Da quel momento, su quel ponte, era salita la tensione tra di noi, si percepiva nell'aria. Eppure lui non diede a vedere di essere ferito, attendeva solamente con ansia una mia reazione ed io di risposta non riuscii più a guardarlo negli occhi. L'unica soluzione risultò quella di fuggire da lui. Ero una codarda, lo sapevo bene. Infatti tenendomi il vestito per evitare d'inciampare, scappai a gambe levate verso l'entrata del ristorante, ma sbattei contro qualcuno...

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CASTIEL

Dopo esser stato protagonista della scena che sconvolse Miki, decisi di seguirla. Volevo evitare che combinasse guai. Quel provino mi serviva, ed anche se lei non voleva entrare in quel mondo, anche se lei non voleva stare a stretto contatto con me, io non potevo farci nulla, lei avrebbe dovuto presentarsi quel sette Gennaio. Non potevo perdere quell'opportunità dopo anni. Rabanne per qualche strano motivo si era convinto che io e lei stessimo bene insieme. A dir la verità, se fossi stato uno stilista non avrei mai associato un volto come il mio con quello di Miki, lei era così innocente ed io così dannato... Tanto da sembrare l'angelo e il diavolo insieme. E se Rabanne avesse pensato proprio questo di noi? Da uno come lui ci si sarebbe dovuti aspettare di tutto. 

Seguivo Miki, scansando la gente brutalmente, mentre la mia testa ne pensava tante per il futuro provino. Ma quando vidi che lei fosse diretta da quello, il cervello si scollegò. Sicuramente era corsa da lui per rivelargli dell'accaduto, evidentemente dovevano avere un rapporto così intimo da raccontarsi ogni cosa. Quando Miki lo vide tra le grazie di alcune modelle ci restò male, sembrava gelosa. Da lì purtroppo intuii tutto. Stavano davvero insieme. E allora perché non mi aveva detto di avere un ragazzo, sin dal principio? Perché continuava a dire di volerci provare con Nathaniel? Perché assecondava le mie carezze o i miei baci? Una strana consapevolezza mista a delusione si fece padrone del mio corpo. Miki era come tutte le altre. Il suo modo di vestire rifletteva realmente sulla sua personalità, sul suo essere, non aveva mentito come più volte avevo creduto. Miki era come Ambra o come qualsiasi ragazza facile. Non volevo crederci, ma l'evidenza era giunta come uno schiaffo in pieno viso. 

Nonostante quella consapevolezza, mi nascosi dietro le siepi di quel giardino quando il suo ragazzo di plastica la portò su un ponte di legno -la parte più sdolcinata di quel posto- ci sapeva fare il ragazzo, doveva farsi perdonare evidentemente.

Ingoiai rumorosamente la saliva quando vidi le labbra di Miki posarsi su quelle del modello. Lo aveva già perdonato, dopotutto lei aveva fatto di peggio in quei mesi. Lo aveva tradito con me e forse anche con Nathaniel. Ed io che fino all'ultimo pensavo di avere il coltello dalla parte del manico, non avrei mai potuto immaginare che invece tra le mani avevo solo la lama. Non mi capacitai su quale fosse il motivo, ma quello che stava accadendo tra i due non mi piaceva affatto, mi generò sin troppo fastidio quella scena, per i miei gusti. Quelle labbra erano state mie in più occasioni e vederla ora essere di un altro, forse migliore di me, mi fece stringere le mani e tirare un pugno ad un albero che mi ritrovai affianco. Ero nervoso, troppo, senza motivo. Ma lei non era mai stata così con me, non aveva mai preso l'iniziativa. Solitamente ero io a fare il primo passo. Forse fu quello che mi fece avere quei gesti e quelle reazioni. 

Certo, se prima avessi avuto dei dubbi su quello che legasse quei due, con quel bacio non ne ebbi più. Quella scena, quella verità mi fecero sentire un peso tra il cuore e lo stomaco. Non sapevo cosa mi legasse realmente a quella ragazza, ma era qualcosa che non doveva uscire proprio ora. Lei aveva trovato il suo amore ed io il mio, quindi dove stava il problema? Se due ore prima mi torturavo per trovare una risposta, ora l'avevo trovata. Non c'era nulla da scegliere. Miki avrebbe continuavo a vivere la sua vita a ed io la mia. I baci, i momenti vissuti insieme sarebbero finiti nel dimenticatoio, com'era giusto accadesse. 

Dopo quel bacio mi convinsi che non serviva più torturarsi con i miei dubbi su Debrah. Il destino aveva già scelto al posto mio. Ormai, il mio ruolo nella vita di Miki era stato eliminato da tutte le scene, non avevo più nulla da fare dietro quelle siepi. Miki non aveva bisogno di essere controllata, lei aveva già un altro che potesse proteggerla. Il mio tempo, il nostro tempo era finito.

Rassegnato abbassai la testa e feci per tornare dentro, ma quando stavo per voltare le spalle eccola di nuovo tra le mie braccia. Un filo invisibile ci legava, dove c'ero io, c'era lei da qualche mese ormai. Ma non sarebbe più accaduto da quella sera in poi. Lei aveva il suo ragazzo ed io la mia. Anche se... Per qualche motivo era scappata dopo il bacio con il suo ragazzo e sfortunatamente non avevo sentito cosa si erano detti, cosa era accaduto. Quando i due si trovavano sul ponte, ero ad una distanza dalla quale potevo intravedere solo i loro gesti ma non potevo udirne le voci. 

«Ma è possibile che sbuchi dappertutto?!» sbuffò infastidita allontanandosi dal mio corpo. Non sopportava più la mia presenza ed era stata solamente colpa mia, ma ormai non importava più.

Per una volta decisi di non risponderle. Non avevo voglia di litigare con lei. Mi appoggiai all'albero che cinque minuti prima avevo preso a pugni ed accesi una sigaretta, mentre lei se ne stava immobile con le braccia incrociate sotto il seno a fissarmi. Era inquietante e m'irritava sapere che mi avesse mentito per tutto quel tempo. 

«Dato che t'infastidisce così tanto la mia presenza perché stai ancora lì impalata?!» la canzonai. 

Sapevo che avrebbe risposto a breve, non era solita a farsi mettere i piedi in testa e mi attirava parecchio quel suo aspetto.

«Ho litigato con il mio ragazzo» rispose dopo un po'. 

Davanti le sue parole, la stessa fitta che mi aveva colpito qualche minuto prima a causa del suo bacio con il modello, mi colpì lo stomaco. Senza capire il perchè, per la sorpresa, mi cadde la sigaretta. Dal nervoso la pestai -per evitare l'incendio di quel prato- e ne accesi subito un'altra. 

Cosa voleva? Essere consolata da me, per caso? Aveva sbagliato persona.

«Sono in servizio. Non ho tempo per le tue pene d'amore!» freddo, coinciso e forse scontroso, non avevo più neanche voglia di provocarla o stuzzicarla come facevo invece sempre, non volevo proprio vederla in quel momento. 

«Oh ma quindi è vero? Tu fai parte dello staff di Rabanne? E chi lo avrebbe mai detto... Non sembri il tipo» rise incredula. 

Ma io non avevo intenzione di raccontarle i fatti della mia vita. Non ad una bugiarda come lei. La guardai di sbieco, lei capì, senza aggiungere altro mi fece un cenno di saluto e mi lasciò solo. Aveva dimostrato ancora una volta di capirmi. Sapeva quando fosse momento di non disturbare, lei aveva sempre capito tutto di me. Non come Debrah, che invece non faceva altro che torturarmi con la sua pesantezza e tartassarmi di messaggi sebbene io non la calcolassi.

Quel fastidio provato nei confronti di Debrah era troppo strano. Non avevo desiderato nient'altro che un suo ritorno, fino a quel momento. Mi aveva persino chiesto di perdonarla in parecchie occasioni e stava facendo di tutto per dimostrarmi quanto ci tenesse a riacquistare la mia fiducia. Mi voleva di nuovo, ma io non ero felice come avrei dovuto. Continuavo a fondermi la mente per un'altra ragazza...

Miki

Eppure Miki... Lei non era niente per me, lei non doveva essere niente per me, lei non era la ragazza giusta per me ed io non ero quello giusto per lei. Già, un tempo lei non era niente per me. E ora? Allora cosa mi stava succedendo? Era realmente solamente il fatto di non averla ancora fatta mia totalmente?

Quella specie di scioglilingua e quelle domande continuavano a ripetersi ininterrottamente nella mia mente, senza giungere però, mai, ad una risposta sicura. Finii la sigaretta e tornai all'interno del ristorante a svolgere il mio maledetto ruolo, rimandando le mie torture mentali ad un altro momento.

-



MIKI

Il bacio era stato un errore, un qualcosa che non doveva accadere. Mi ero lasciata trasportare dalle emozioni del momento, dalle dolci ed importanti parole che mai nessuno mi aveva sussurrato prima d'allora, ma non avrei dovuto. Ciak era il mio migliore amico e non potevo rischiare di perderlo. C'erano già tanti problemi tra noi, avevo notato in lui un evidente cambiamento dal suo arrivo a Parigi, in più provava qualcosa per me ed io l'avevo illuso con quel mio bacio. Ero stata una stronza.  Quelle immagini, quei momenti rigiravano nella mia testa insieme ai sensi di colpa mentre scappavo da lui. Poi sbattei contro Castiel, non fu una cosa buona incontrarlo a quella festa, ma perlomeno mi aveva fatto sorridere. I modi che aveva, anche se scorbutici, mi fecero intravedere il vecchio Castiel, quello che conoscevo al mio arrivo al Dolce Amoris, quello che era lui senza Debrah. Non avrei dovuto rivolgergli la parola, avrei dovuto continuare ad essere arrogante, ma dialogare con lui per un istante non avrebbe cambiato le carte in tavola. Non ci saremmo rivolti la parola nei giorni seguenti nonostante il nostro piccolo scambio di battute e tutto sarebbe tornato alla normalità. O quasi... l'imminente provino incombeva sulla mia testa.

Quando entrai nuovamente in sala, da sola, senza nessuno dei due ragazzi, tutti gli occhi erano puntati sulla mia figura senza capirne il motivo. Poi un'illuminazione. Tutti avevano assistito alla scena di Rabanne che mi comunicava di dover fare un provino con Castiel. Eppure era un misero provino, perché se lo si doveva fare con Rabanne era considerato qualcosa di diverso? Quel velo di mistero che rendeva Rabanne un Dio, volevo si celasse. Volevo scoprire per quale motivo tutti pendevano dalle sue labbra, per quale motivo era così famoso ed importante. Era un semplice stilista eppure sembrava ci fosse qualcosa sotto. 

«Fatti guardare... Oddio che vestito! Non sai quanto t'invidio, sei fortunatissima a possederlo» corrugai la fronte davanti alle parole di una signora che mi raggiunse toccando e onorando il vestito che avevo indosso. 

Non conoscevo quella donna, non l'avevo mai vista. Era molto alta con capelli ed occhi neri, i lineamenti sottili, doveva avere all'incirca cinquant'anni. 

«Già, è da una vita che desidero un abito così» replicai con aria trasognante «ma non capisco perché tutti continuano a fissarlo. Insomma.. è un abito, bellissimo ed elegantissimo, ma pur sempre un abito comune a tutti gli a-» 

La signora non mi fece concludere la frase che m'interruppe poggiando le sue mani sulle mie spalle e spostando l'attenzione dall'abito al mio viso «Come? Sul serio, non lo sai? Quest'abito è stato cucito personalmente da Paco, è un pezzo unico. Ed è raro vedere un suo abito, lui è più concentrato su altro solitamente...» mi parlò come se mi stesse rivelando uno dei più grandi segreti. 

Su cosa era concentrato solitamente? Più rivelazioni avevo quella sera e più restavo confusa. Ma non sapevo se quella donna avesse detto o meno la verità, all'interno dell'abito non vi era alcun marchio. Eppure in quell'istante mi venne in mente la frase di Rabanne non appena mi aveva incontrato su quelle scale. E non ebbi più dubbi. Ciak aveva indicato allo stilista i miei gusti, le mie misure e lui aveva fatto il resto del lavoro. Ma perché? Paco Rabanne non mi conosceva e valutando i suoi comportamenti non doveva essere un uomo dai regali facili. Voleva qualcosa in cambio di qualcos'altro. 

Senza curarmi della signora che ancora ammirava il mio vestito -senza salutarla- camminai alla ricerca di Ciak. Mettendo da parte l'imbarazzo dovevo chiarire con lui, non avrei potuto rimandare quel momento a vita, e poi dovevo ringraziarlo per quel vestito, non lo avevo ancora fatto abbastanza. 

Ma quando lo trovai, al centro della sala, la voce che animava la serata avvisò al microfono gli invitati e fermò momentaneamente le mie intenzioni di parlare al mio migliore amico. 

«I Signori sono pregati di prendere posto ai rispettivi tavoli assegnati. Trovate i vostri nomi e posti all'entrata principale. Grazie e buona cena!»

«Miki vieni, conosco già i nostri posti» la voce dolce di Ciak richiamò la mia attenzione. Dopo neanche un secondo mi prese la mano e mi guidò fino al tavolo. 

Sembrava essere rassegnato, non deluso. Fortunatamente non se l'era presa per la mia fuga, anzi, da ragazzo maturo aveva accettato il mio intontimento. Per un attimo mi venne spontaneo paragonarlo a Castiel. Lui non avrebbe mai reagito allo stesso modo, lui mi avrebbe evitata o al massimo mi avrebbe inveito contro, al contrario. Non seppi il motivo ma classificai il carattere di Castiel come migliore. 

«Cia... Francois dobbiamo parlare, aspetta» tentai inutilmente di bloccare la sua camminata verso il tavolo, ma non mi diede ascolto.

Ciak non aveva alcuna voglia di chiarire, di venire a contatto con la verità, forse la mia verità lo avrebbe ferito, ma io necessitavo di fargli presente alcune cose sul bacio di poco prima e sui miei comportamenti. Non ero mai stata così incoerente come quella sera, non era da me. 

«Non possiamo evitare il discorso per sempre, per favore» insistei ma lui voltandosi nella mia direzione mi lanciò un'occhiata di ammonimento come per incitarmi a stare in silenzio. E siccome quei generi di discorsi non potevano essere dei monologhi, feci come preferiva. Rimandai il discorso ad un momento successivo.

Cercando di pensare alla location in cui mi trovavo e cercando di evitare le mie torture mentali, mi guardai intorno per capire quale tavolo ci fosse stato assegnato. Scoprii essere al centro della sala e tra i nostri vicini di posto c'era nientemeno che Paco Rabanne. Era diventato una persecuzione quello stilista per me. In molti avrebbero pagato anche solo per incontrarlo, mentre io lo stavo odiando ogni secondo di più. Il suo posto era libero ancora, mentre gli altri posti accanto a lui erano occupati da un ragazzo e da una ragazza, che vista la loro evidente bellezza e forma fisica classificai come modelli. Il padrone di casa doveva ancora degnarci della sua presenza. Ciak -da vero gentiluomo- spostò la sedia dove mi sarei dovuta accomodare e mi fece sedere, successivamente si accomodò anche lui accanto a me e proprio difronte a Rabanne. In quella sala ogni elemento era stato studiato alla perfezione per non far mancare niente ai commensali, Rabanne aveva assunto un cameriere per ogni tavolo in modo da essere serviti tutti allo stesso istante. 

Mi voltai per vedere il cameriere che avrebbe servito il nostro tavolo e mi affogai con la mia stessa saliva quando incontrai i suoi occhi. Tossii diventando addirittura rossa in viso. Qualcuno si stava divertendo a giocare con la mia sfortuna, quella sera evidentemente, perché Castiel sarebbe stato il nostro cameriere. Con più di cento persone facenti parte dello staff di Rabanne proprio lui doveva capitare al mio tavolo. Da quel momento iniziai però a pensare che quello non era stato proprio un caso, ma che lo stilista lo avesse fatto di proposito a metterlo lì; ogni azione era misurata e studiata da parte sua, per come tutti dicevano. 

Castiel si limitò a sorridermi arrogantemente, come al suo solito, mentre Ciak continuava a non capire quella mia reazione esagerata e -dopo avermi versato l'acqua in un bicchiere per farmi riprendere dalla tosse- si voltò nella direzione del mio sguardo comprendendo poi tutto, dopodiché mostrando un sorriso amaro si voltò di scatto dando le spalle al rosso. Anch'io gli diedi le spalle, era stato scontroso con me poco prima e non meritava la mia attenzione sebbene mi stesse simpatico, a volte

«Salve ragazzi, perdonate l'attesa. Ma dovevo terminare i saluti ai miei invitati.»

Lo stilista fece la sua entrata trionfale interrompendo finalmente il silenzio imbarazzante di quel tavolo. Nessuno si era presentato a me ed io di conseguenza non avevo iniziato a chiacchierare con gli altri, i due modelli seduti a qualche centimetro di distanza da me non sembravano poi così tanto cordiali. Nessuno rispose al grande Rabanne, i tre modelli presenti compreso Ciak si limitarono a sorridere fintamente verso di lui, tutti tranne io. 

«Mikì, qualcosa non va?» e Rabanne se ne accorse. 

Mi aveva chiamata per nome ma facendo cadere l'accento sulla "i", accento tipicamente francese. Non lo corressi, dopotutto non suonava male.

«NO! Tutto benissimo!» scandii bene le lettere per far capire che invece andava tutto fuorché che bene. 

Io non ero come gli altri suoi modelli, non avrei obbedito ai suoi ordini né tantomeno gli avrei sorriso, mi stava tremendamente antipatico e glielo avrei fatto capire ad ogni costo. Se non avessi potuto rifiutare quel provino, allora avrei fatto di tutto per non essere scelta. Comportarsi da maleducata con lui, sicuramente, era la mia prima carta da giocare.

Quella sera imparai un'altra caratteristica: Rabanne doveva avere sempre l'ultima parola, un'altra sua regola stupida. 

«Benissimo!» ripeté la stessa parola pronunciata da me qualche secondo prima, con lo stesso tono «Che la cena abbia inizio!» ordinò con un cenno ai camerieri. 

Tutti pendevano dalle sue labbra, perfino Castiel, assurdo! Il rosso cominciò a servirci l'antipasto. Quella che vidi quella sera fu un'altra sua sfumatura. Rabbrividii. Finalmente capii per quale motivo aveva apparecchiato divinamente la tavola a casa mia durante il pranzo di Natale. Quel ragazzo aveva tante doti nascose, eppure mi aspettavo di vedere un disastro mentre spostava il cibo dal vassoio che aveva in mano al piatto di ognuno. Restai ammaliata e stregata da ogni suo gesto e Rabanne parve accorgersene visto che mi rivolse un sorrisetto furbo. Maledizione! Dovevo sabotare il provino non dargli la prova di quanto Castiel mi attraesse realmente. Mi diedi della stupida mentalmente ma non potei fare a meno di continuare a pensare a quel ragazzo. In quei mesi mi aveva mostrato tante sue sfumature totalmente contrapposte alla sua personalità. Avevo compreso che qualunque cosa dovesse fare, ci teneva a portarla al termine in modo brillante. Sembrava quasi si stesse impegnando così tanto per poter raggiungere un obiettivo, avrei tanto voluto sapere di più sul suo conto ma non era facile leggergli dentro. Era un ragazzo così chiuso... 

Quando porse l'antipasto a Ciak vennero meno i modi garbati mostrati con Rabanne e gli altri due modelli.

«Attenzione signore, potrebbe affogarsi» gli sussurrò beffandosi di lui dandogli l'appellativo di "signore". 

Quando poi servì il cibo alla sottoscritta continuò: «No, ma forse dovrebbe fare più attenzione a qualcos'altro. Alla sua ragazza, ad esempio... Qualcuno gliela potrebbe portare via»

Per far comprendere al meglio l'utilizzo delle sue parole, per una dimostrazione pratica, si abbassò arrivando a livello del mio viso, mi guardò fisso negli occhi facendo aumentare a dismisura il battito del mio cuore e mi lasciò del tutto interdetta quando mi diede un piccolo bacio sulla guancia, terminò poi quel siparietto con un'occhiata di competizione verso Ciak. Il volto avvampò quando mi accorsi degli otto occhi puntati su di noi. 

Castiel non aveva mai avuto quei comportamenti prima d'allora, ma soprattutto non era stato così loquace mezz'ora prima quando mi aveva esplicitamente chiesto di lasciarlo solo, quando mi aveva liquidata con il suo solito modo arrogante in giardino. A quel punto, quindi, vi era solo una spiegazione plausibile. Castiel aveva avuto di proposito quel comportamento, al tavolo, per quel provino. Voleva a tutti i costi attirare l'attenzione di Rabanne e convincerlo di aver fatto la scelta giusta nel selezionare me e lui per chissà cosa. Capii di avere più di un rivale e sarebbe stato maggiormente difficoltoso sabotare quel provino. Ma se uno come Castiel si era abbassato a così tanto voleva dire che per lui quell'ingaggio era davvero importante e volevo capirne il motivo. 

Fui distratta da una risata proveniente dal mio fianco, era Ciak. «Chi dovrebbe fare attenzione, io?!» si mostrò vanitosamente. «E chi potrebbe portarmi via Miki, tu?!» mostrò prima me e poi Castiel. «Uno come te non potrebbe mai piacere ad una come lei, rassegnati pellerossa!» lo derise affibbiando un appellativo al rosso niente male.

Quel gioco era stato iniziato da me, e Ciak lo stava continuando, applaudii mentalmente. Il mio migliore amico stava fingendo di stare insieme a me, di essere il mio ragazzo davanti al rosso. Sapevo di dover porre fine a quella farsa prima o poi, ma per una volta Castiel aveva avute tornate indietro l'umiliazione e le cattiverie versate su di me cinque giorni prima. Senza volerlo, Ciak aveva utilizzato proprio lo stesso significato dei discorsi di Castiel, avrei tanto voluto abbracciare il mio migliore amico in quel momento. Ritrovai un pezzo del ragazzo che avevo lasciato in Italia, quel ragazzo che mi salvava sempre da qualsiasi situazione senza badare al fatto che magari ne sarebbe rimasto ferito lui stesso.

Sembrava quasi stessero giocando una battaglia quei due, e in quel momento erano pari. Così sollevai il volto in direzione di Castiel, lo guardai sorridendo quasi con aria di sfida anch'io, ovviamente non ero sua compagna di squadra. Ma sul suo viso non trovai l'espressione che mi aspettavo di trovare, non era offeso o demoralizzato anzi era pensieroso e pronto ad attaccare con il successivo colpo. Non si arrendeva facilmente, lo sapevo bene.

Cominciammo a cenare in silenzio. Nessuno era intervenuto in quei battibecchi, i presenti si limitarono a guardare divertiti la scena, soprattutto Rabanne al quale mi parve d'intravedere uno scintillio di eccitazione negli occhi. Stava sicuramente apprezzando e pensando a qualche idea malsana sul provino.

Il cibo era di ottima qualità, almeno in quello Rabanne ci aveva azzeccato. L'antipasto era molto sofisticato, era composto da vari tipi di insalata con al centro un gambero gigante. Quando terminammo di mangiarlo, Castiel tolse i piatti. Di sicuro il suo cervello aveva architettato una risposta...

E infatti fu così:

«Bada a come parli quando ti rivolgi a me, altrimenti, alla prossima portata invece del piatto ti sparecchio la faccia!» 

Si rivolse a Ciak con uno sguardo di rabbia, di sfida e a denti stretti. Il suo cervellino aveva lavorato parecchio per trovare una risposta degna dopo l'affronto di Ciak. Con quella frase Castiel si era guadagnato l'ultima battuta, risultando vincitore per quella manche. Quella sorta di rivalità tra i due era nata quella sera, non si erano mai conosciuti prima d'allora. Non avevano conti in sospeso, non erano amici di vecchia data. Non capivo perché Castiel si fosse accanito così tanto contro Ciak. In realtà il tutto era partito proprio da Castiel, quindi il vero problema stava in lui, ma non capivo davvero, non capivo il motivo. Forse c'era stata antipatia a pelle, forse stava usando lui per far colpo su Rabanne, per far capire che io e lui potevamo funzionare insieme, ma secondo il mio umile parere non era quello il modo adatto per approcciarsi. 

Quando finì di sparecchiare, il rosso, portò i primi piatti in tavola. Continuava a non sentirsi volare neanche una mosca. Ciak voleva rispondere a Castiel ma per fargli capire che non avrebbe dovuto, gli mollai un calcio sul polpaccio e lui per poco non urlò dal dolore, ma perlomeno evitò di continuare quei battibecchi. Ero già contenta così, Castiel aveva avuto la battuta che si meritava, non c'era bisogno di continuare, temevo in un evolversi disastroso della discussione. 

Ripensai all'accanimento eccessivo di Castiel nei confronti di Ciak e mi venne in mente una questione, così prendendo il menù e portandolo davanti alla bocca -per non rendere partecipi gli altri della mia domanda- sussurrai a Ciak: «Sei sicuro di non conoscere una certa Debrah? E' una ragazza con parecchi tatuaggi sulle braccia, occhi grandi e celesti, capelli lunghi e castani, è un po-»

Bloccò la mia descrizione tappandomi la bocca «Ti ho detto che non la conosco. Ma possibile? Sei così sciocca da non capire il reale motivo per il quale pellerossa si comporta così?!»

Per essere sicuri che nessuno potesse ascoltare i nostri discorsi stavamo parlando nuovamente in italiano. La cosa ci veniva molto naturale quindi non ci pesò. Comunque anche dopo quelle frasi di Ciak, continuavo a non capire il motivo per il quale Castiel era così scontroso verso il mio migliore amico. Ad un certo punto avevo pensato che per uno strano caso Ciak avesse conosciuto Debrah, ci fosse finito a letto e che Castiel lo avesse scoperto. Perché negli occhi del rosso stavo leggendo gelosia, fastidio e rabbia, non stava fingendo solo per ottenere l'ingaggio, nel suo sguardo sembrava esserci qualcosa di reale e Ciak sembrava averlo capito. 

«Allora visto che sei così bravo a capire la gente, sai dirmi tu per quale motivo continua ad avere quegli atteggiamenti?» scocciata e leggermente irritata levai il menù dal mio viso e parlai apertamente, nessuno conosceva l'italiano. 

«Sarebbe troppo facile così. Queste sono cose che dovrai capire da sola!»

Sbuffai davanti a quella risposta così vaga, cominciai a mangiare senza fiatare e parecchio irritata. Avevo perso la pazienza e non avevo più nessuna intenzione d'interrogarmi sul ragazzo dai capelli rossi. Erano troppo complicati da comprendere i suoi pensieri. I vicini di tavolo guardarono in modo strano me e Ciak, come se avessimo tre teste, a causa della lingua con la quale avevamo parlato in quei minuti, ma per fortuna non dissero niente.

Il primo piatto era composto da un risotto a base di pesci, la presentazione era molto particolare. Il riso era stato posto nel piatto a forma di cubo e affianco dei pesci enormi e rossi gli davano colore. Ma, mentre ero intenta a fissare la pietanza, qualcuno mi aveva disturbata. Qualcuno stava battendo le mani. Alzai la testa con la fronte corrugata e capii che quel qualcuno era proprio di fronte a me. Era lo stilista bizzarro. Paco Rabanne. Persino i modelli cominciarono a guardarlo straniti, persino Ciak e Castiel. Nessuno fiatava da qualche minuto, il suo battito di mani era del tutto fuori luogo. Tutti gli invitati seduti ai tavoli vicini si voltarono verso noi. Che vergogna! 

«Bravi, bravi, bravissimi!» continuò ad applaudire. «Adoro tutta questa tensione, tutta questa rivalità tra voi due» si rivolse a Ciak e Castiel. «Potrei trovare un ruolo perfetto per voi tre all'interno di una pubblicità. Sarà qualcosa di eccezionale!» finì con il toccarsi la barba pensieroso ed emozionato all'idea appena avuta.

Ma a mio parere lo stilista stava dando letteralmente i numeri. Aveva sbagliato a contare, prima parlava di due persone e poi di tre. Si era rivolto a Castiel e Ciak, quindi doveva per forza rivolgersi a loro, così glielo feci presente.

«Mi scusi per l'intromissione, ma Ciak... ehm Francois e Castiel -se la matematica non è un'opinione- sono due, non tre» sapevo di aver fatto fin troppo la saccente, ma il mio obiettivo era quello di farmi odiare da lui, non il contrario.  

«Sciocchina» rise per poi rendere partecipe anche me del suo divertimento «voi siete tre, nel trio sei compresa anche tu, ovviamente, Mikì».

Di male in peggio. Lo stilista non aveva ancora capito cosa potessero provocare quei due ragazzi vicini, ma io sì, e non era per nulla un'idea geniale. 

«Io invece credo che sarebbe meglio evitare di fare il provino. Loro due litigherebbero quasi sicuramente, potrebbe essere addirittura pericoloso per l'incolumità di qualcuno tenere tutti e tre in una sola stanza..» drammatica cercai di peggiorare la situazione e finii con un sorriso fintamente dispiaciuto. Ovviamente inserii anche me stessa nel possibile caos che un nostro provino avrebbe potuto generare, in quel modo mi sarei potuta sollevare dall'ingaggio. 

Castiel e Ciak mi guardarono ammonendomi, evidentemente nessuno dei due doveva pensarla come me o meglio entrambi avevano la necessità di fare quel maledetto provino. Alzai gli occhi al cielo; ero sola nel combattere quella battaglia contro lo stilista. Nonostante ciò con un giro di parole ero convinta di esser riuscita a mettere i bastoni tra le ruote a quel nuovo progetto di Paco, ma non fu così ovviamente.

«Oh non si preoccupi di questo, Mikì» mi rivolse nuovamente un tono formale «ho un'ottima squadra alle mie spalle e sicuramente prenderò le giuste precauzioni affinché non ci sia alcun dispiacere sul set. Questo progetto me gusta mucho e verrà portato a termine, che le piaccia o no!» 

Odiavo quel suo modo di rivolgersi a me. Un minuto mi parlava in tono informale e l'attimo dopo in quello formale, faceva un po' tutto a suo piacimento senza interrogarsi su cosa avessero potuto pensare gli altri. Mi era stato appena posto un altro ordine da quel vecchio decrepito. Una sera mi era bastata per odiarlo. Non riuscivo a comprendere come facessero tutti gli altri ad assecondarlo in ogni sua richiesta o capriccio, comprimendo i loro stessi pensieri. Persino Castiel assecondò la sua richiesta, non fiatò. Tutti si erano inchinati davanti al loro nuovo Dio. Sbuffai infastidita ed evitai di rispondere ulteriormente, tanto sarebbe stata guerra persa a prescindere.

La cena proseguì in un borbottio generale, io evitai di fiatare. 

«Signori e Signore, siamo giunti a metà serata. Ed ora è proprio arrivato uno dei momenti più attesi: il ballo di coppia. I cavalieri e le loro rispettive dame sono pregati a scendere in pista e dare il via alle danze...» c'informò la solita voce al microfono. 

«Lei, splendida fanciulla, mi concede l'onore di questo ballo?» il suono della voce di Ciak mi fece voltare verso di lui.

Senza esitazione o vergogna si alzò dalla sedia e s'inchinò proprio come avrebbe fatto un vero principe. Arrossii per la scena e per l'imbarazzo, molte persone ci stavano fissando. Accettai senza proferire parola poggiando semplicemente le mani sul suo palmo. Mi alzai dalla sedia, ero stata seduta per più di un'ora, avevo proprio bisogno di sgranchirmi le gambe. Quando passammo affianco a Castiel, Ciak lo guardò vittorioso cercando d'imitare il sorriso arrogante del rosso. Mi dispiacque per lui, ma il sorriso di Castiel era inimitabile. Era il suo marchio di fabbrica, faceva parte della sua personalità, la caratteristica che da sempre lo contraddistingueva dal resto del mondo maschile. 

-



CASTIEL

Da quella sera aggiunsi ufficialmente l'ennesimo nome alla lista delle persone da me odiate, Francois o Ciak, come diavolo si chiamava lui... Era il deficiente più arrogante, più spavaldo, più coglione che avessi mai incontrato. Non potevo permettere a qualcuno di superarmi a livello di stronzaggine, non se ti chiamavi Castiel Black. Il primato di tutti quei difetti -classificati dalle donne come attraenti- spettava da sempre al sottoscritto e nessuno poteva rubarmi quel titolo. Quei dati di fatto giravano nella mia mente e pian piano stavano cominciando a fuoriuscire con le mie solite pessime battute ed i miei malumori. Non mi fregava in quale luogo ci trovassimo e con quanti pezzi grossi, quanta gente dello spettacolo fosse presente, se quello lì avesse continuato a comportarsi da superiore del cazzo senza neanche esserlo, mi sarei gettato su di lui provocando anche una rissa se necessario. A causa di quel modello da quattro soldi avevo fatto una pessima figura sia con Rabanne che con Miki. Due a uno per lui; Stavo perdendo la battaglia che mentalmente entrambi avevamo iniziato a combattere, e Castiel Black non era abituato alle sconfitte. Castiel Black avrebbe vinto, ad ogni costo, sempre.

Era appena giunto il momento del ballo di coppia, il cretino avrebbe ballato con Miki. Si era inchinato per chiederle di danzare insieme, e per poco non vomitai a causa della scena schifosamente dolce a cui avevo assistito. Mi passarono, poi, vicini mano nella mano. Perché lei ovviamente aveva accettato di ballare insieme al suo ragazzo. Lei era una mia amica o meglio ex amica, eppure non sopportavo la loro vicinanza. Ma non feci niente, non lo diedi a vedere, restai immobile a fissarli con la mascella serrata e i pugni chiusi. 

Cominciò il primo ballo. Era un valzer. La sorte giocò a mio sfavore. Era lo stesso valzer che io e Miki avevamo ballato cinque giorni prima. Sentii uno strano formicolio allo stomaco mentre cominciai a guardare intensamente negli occhi quella ragazza. Eravamo lontani, ma non troppo. Lei mi guardava anche, sembrava quasi che stessimo ballando insieme, sembrava che le distanze tra noi si fossero ridotte in un baleno. Le mie braccia circondavano il suo busto, la mia mano destra stringeva la sua, il mio corpo sfiorava il suo nella mia immaginazione. Non sapevo cosa stesse accadendo tra noi, ma fu come rivivere quegli istanti, fu strano, quasi magico oserei dire, d'altronde essere affianco a lei era il mio unico desiderio espresso segretamente, ma mai realizzato. 

Fui costretto a distogliere lo sguardo da quello di Miki quando qualcuno afferrò un mio braccio. Urlai contro alla persona che mi distrasse «Ma che diamine?!? Lasciami stare, stronzo!» strappai il braccio dalla sua presa e lo guardai con sguardo furente. Ma quando vidi l'autore del gesto proprio davanti a me, per poco non mi scavai una fossa per sotterrarmi. 

«Smettila di essere sempre così tanto irriverente e seguimi...» Rabanne tralasciò quel mio modo di rapportarmi al mondo e mi fece segno di seguirlo, lo feci.

Mi portò proprio davanti alla coppia che dall'inizio stava ballando e che aveva attirato da subito la mia attenzione. 

«Ho bisogno di vedervi insieme mentre ballate, è importante che io scopra se c'è o meno feeling tra voi due, prima del provino» indicò me e Miki. «Francois, tu vieni con me. Conosco un'altra dama giusta per te!»

Senza accorgermene, il mio compagno di squadra era divenuto Rabanne -o forse lo era sempre stato sin dal principio- e grazie a lui avevo appena ottenuto un altro punto nella battaglia contro il modello. Eravamo pari, due a due ed armi al centro. Eppure in quel momento percepii di esser appena passato in vantaggio.

Miki ora era mia.

 -



MIKI

In un batter d'occhio mi ritrovai in coppia con Castiel. Il potente Rabanne aveva deciso così. Eseguii l'ordine soltanto perchè alla fin dei conti volevo passare un po' di tempo con il rosso, sebbene volessi nascondere quella piccola verità.

Era stato carino ballare per la prima volta con Ciak, ma non potevo dire la stessa cosa per il rosso. Perchè ballare con lui non fu semplicemente carino, lo fu mille volte di più. Era la seconda volta che altre persone avevano deciso di unirci nello stesso e identico ballo. Cominciai a credere che qualcuno avesse fatto patti con un'entità superiore. Quando Castiel mi strinse a se, tra le sue braccia possenti, ad un tratto mi sentii le gambe, le mani, le braccia, lo stomaco... Insomma tutto cominciò a tremare. Mi sembrò di tornare a cinque giorni prima, quando non esisteva Debrah, quando si era creato un rapporto particolare tra me e lui. Il destino aveva voluto -stranamente e giusto per torturarmi maggiormente- che capitasse lo stesso valzer del ballo di Natale. Persino il fato si divertiva a prendersi gioco di me.

Come la prima volta anche quella sera, al gala di Rabanne, fu Castiel a guidarmi. Ci guardammo dritti negli occhi, e per quei tre minuti svanirono tutte le nostre incomprensioni, i nostri litigi, le nostre verità nascoste. Eravamo in perfetta sintonia, che, credetti di non aver mai raggiunto con nessun altro prima d'allora. Con lui era stato sin dall'inizio tutto strano, il nostro rapporto era pieno di alti e bassi, più bassi che alti, ma era sempre bastato un semplice gesto e l'uno si dimenticava il torto che aveva subìto dall'altra e viceversa. Il ballo sarebbe potuto durare un'intera vita e non me ne sarebbe importato, non avrei provato stanchezza o fastidio, perchè al mio fianco c'era quel Castiel. Mi stringeva a se con il braccio destro, mentre con l'altro, quello sinistro, mi teneva la mano, ma lo faceva dolcemente. Sembrava totalmente un altro. Non era più il bullo del Dolce Amoris, il ragazzo scorbutico e di poche parole, quello scontroso ed arrogante, ma -quello tra le mie braccia- era tutt'altra persona; incredibile ma vero!

Chiusi gli occhi e finalmente trovai la pace. Mi feci guidare dal mio cavaliere e per un attimo mi sentii quasi sospesa in aria. Grazie al fascino di quel ragazzo, davanti a me si aprì una seconda realtà totalmente diversa dalla prima e di gran lunga migliore da quella vera e propria. Castiel era l'ala che mi permetteva di volare ed io ero il corpo. Stavo imparando a volare insieme e grazie a lui. Apparimmo come quelle coppie in cui l'una era la complementare dell'altro, l'uno il respiro dell'altra. 

Intanto continuando a tenere gli occhi chiusi navigai con la mente, venni trasportata dal rosso -con passi da ballerino- per tutta la sala, mentre mi sentivo leggera come una piuma sospesa in aria. 

Peccato che tutto terminò dopo quelli che mi sembrarono solamente pochi attimi.

La musica finì di suonare e si creò uno strano silenzio. Aprii gli occhi e sentii l'improvviso bisogno di piangere per la delusione di non riuscire a percepire più le stesse emozioni provate durante quel valzer. Venendo a contatto con la realtà, mi accorsi di esser rimasta sola in pista, io e Castiel, nessuna coppia oltre noi, avevamo solamente mille occhi puntati addosso. Arrossii di colpo per non essermene accorta prima; il rosso mi aveva totalmente stregata con le sue doti da ballerino. 

 Partì un solo applauso che si udì in lontananza, e guarda caso era quello di Rabanne. Aveva costretto gli altri invitati a non ballare per guardare noi. Oltre alla pazzia dello stilista cominciai a pensare che in quella realtà, io e Castiel eravamo nemici, non dovevo rivolgergli la parola, gli avevo mentito facendogli credere di stare con Ciak, anche se lui non era da meno... stava con Debrah, con l'unica differenza che lui ci stava insieme per davvero. Dopo aver ripensato a tutti i problemi della vita vera, classificai la seconda realtà -quella della mia immaginazione- come la migliore. Lì, in quella realtà, non esisteva nessun Ciak, nessun Nathaniel, nessuna Debrah, nessuna Ambra... nella seconda realtà io e Castiel stavamo insieme, volavamo danzando, lui mi proteggeva da ogni cosa, e soprattutto lui mi dimostrava il suo affetto. 

Ma considerando gli accaduti di pochi giorni prima, quei tre minuti di ballo non erano stati nient'altro che illusione. Ero stata una stupida a farmi ammaliare da lui, dalle sue doti, non dovevo. Lui amava Debrah, solo lei, non si sarebbe mai affezionato ad una come me né come amica né come qualcosa di più.

Colpita dalla delusione della realtà, senza guardare il rosso un secondo di più, mentre tutti gli occhi erano puntati su di noi, corsi in direzione di Ciak. Senza pensare alle conseguenze, senza collegare i muscoli volontari con il cervello, giunta da Ciak lo baciai. Il brutto fu che non lo baciai in fronte o alla guancia, ma sulla bocca. Quella volta non fu un segreto custodito soltanto da noi due, quella volta il bacio fu ripreso dalle telecamere di un canale francese, e visto dagli occhi curiosi di tutti i presenti al gala. Forse stavo dando adito a pettegolezzi o a nuovi film mentali di Rabanne, ma non m'importava. Con tutta me stessa volevo far fare la più grande figuraccia della sua vita a Castiel Black, e quella volta fui sicura di esserci riuscita. Dentro di se avrebbe dovuto recepire il mio rifiuto e un maschio alfa come lui sarebbe rimasto ferito nell'orgoglio, avevo imparato a conoscerlo bene. 

Vero, i miei sentimenti erano altri e le mie intenzioni anche, ma in quel momento non riuscii ad essere razionale. Non sapevo fino a che punto Ciak capisse i miei gesti, fino a che punto avrebbe accettato quella situazione paranormale ma non fece domande, mi assecondò semplicemente dandomi addirittura un secondo bacio a stampo anche se i suoi occhi non erano tranquilli, mi trasmisero risentimento. 

Non sapevo cosa mi fosse preso, non ero mai stata una tipa vendicativa eppure con Castiel venivano fuori tutti i lati del mio carattere nascosti, quelli che non sapevo neanch'io di possedere. Più male mi faceva e più gliene volevo ritornare. Anche con quel ballo mi aveva provocato dolore interiore. Mi aveva fatto immaginare realtà inesistenti, un Castiel che non esisteva, e questo non potevo accettarlo. 

L'intrattenitore della serata c'informò di accomodarci nuovamente ai propri rispettivi tavoli in modo da proseguire la cena. Come un robot, eseguii i comandi senza fiatare, e lo stesso fecero Castiel e Ciak. Ci sedemmo e la cena proseguì. Dopo il mio comportamento la tensione regnava, anche Ciak dapprima mio complice, cercava di evitarmi, ma non lo biasimai. Non avevo avuto un comportamento del tutto corretto nei suoi confronti e sicuramente doveva sentirsi un oggetto, ero stata una stupida. Perlomeno avevo posto fine alle battute di Castiel, che improvvisamente assunse il ruolo che gli spettava -quello di cameriere- e lo svolse diligentemente.

Quando la cena giunse al termine, l'orologio segnava le ventitré e cinquanta.

La solita voce al microfono annunciò: «Cavalieri, per il prossimo ballo scegliete per bene le vostre dame. La tradizione vuole che ogni coppia formatasi durante i dieci minuti prima della mezzanotte, si scambierà un dolce bacio sotto i fuochi d'artificio della tour Eiffel».

Se quella era la tradizione per quel genere di gala, per me invece non lo sarebbe stato, io non facevo parte di quel mondo. E poi... avevo già provocato sin troppi guai e per quella sera bastavano e avanzarono. Così approfittando dell'attimo di distrazione che ebbe Ciak -mentre chiacchierava con l'altro modello del nostro tavolo- mi alzai intenzionata a nascondermi. Non avevo alcuna voglia di altri baci, ne avevo già dati più del necessario. 

Mi recai nel giardino, nel punto in cui ero stata nella prima parte della serata con Ciak e mi poggiai di spalle alla ringhiera di quel ponte. Esausta feci scivolare la schiena e mi sedetti per terra. Non m'importava di sporcare il vestito, non m'importava del suo valore, lo avrei portato in lavanderia e sarebbe tornato come nuovo. 

Non mi riconoscevo più, ero in totale ira con me stessa. Per tutta la serata mi ero comportata da tipica stronza, avevo usato Ciak per dare una lezione a Castiel, come se non bastasse avevo avuto mille dubbi mai provati prima d'allora sul mio migliore amico. Non sapevo cosa mi stesse prendendo, ero stata infantile e per nulla razionale. Una stupida! Dovevo darmi una svegliata. 

Dopo essermi schiaffeggiata mentalmente alzai la testa verso il cielo per cercare un minimo di tranquillità. Era una bella serata, di quelle che ti permettevano di sognare. C'era la luna piena e le stelle intorno, senza presenza di nuvole. Le nubi erano state risucchiate tutte all'interno della mia vita, dove non intravedevo -da un bel pezzo- neanche un po' di sereno. Mentre ammiravo il cielo mi venne in mente un brano italiano di una cantante molto conosciuta nel mio vecchio Stato, iniziai a canticchiarla spontaneamente, si addiceva molto alla mia situazione attuale.

"La luna è un cerchio

ci vuole poco a disegnarla,

ha un'aria nobile 

e un cielo intero ad ammirarla.

E tra le stelle 

i mille sogni della gente 

che pensa a vivere 

mentre io penso a te.

E mi ero affezionata... 

mi sono incasinata.

Parlami, parlami adesso 

che io ti sento che non sei più lo stesso,

che me ne frega di esserti amica? Una tua amica! 

mi sembra assurdo solo a pensarci... cosa che vuoi che dica?" 

Cantare era l'altra mia valvola di sfogo oltre lo shopping. Cantavo quando ero particolarmente nervosa, o quando c'erano situazioni che potevano essere raccontate solo tramite le canzoni. Spesso mi era capitato di riuscire ad associare situazioni vissute con alcuni brani, la stessa cosa mi era capitata quella sera. Quel pezzo di canzone mi faceva pensare a lui. All'unico ragazzo che mi aveva fatto soffrire, all'unico che mi aveva fatto battere realmente il cuore, all'unico capace di farmi perdere la ragione, di farmi perdere me stessa, i miei valori, principi, capace di farmi commettere azioni che prima non avrei mai compiuto. Era dedicata al mio primo bacio. Di sicuro quello che era accaduto tra noi, per lui non aveva avuto alcun significato. Lui era abituato a ben altre cose. Lui baciava chiunque, lui era abituato alle storie di una notte, ma non io, non la vera me, al contrario di come mi piaceva far credere alla gente. Nonostante i nostri baci, il nostro guardarci negli occhi e le nostre confessioni, lui voleva che fossimo semplici amici e quel piccolo aspetto non ero sicura di riuscirlo ad accettare. Se avessi dovuto essergli amica, fare da candela a lui e al suo vecchio nuovo amore, avrei preferito non parlarlo proprio. E così stava accadendo. Non rivolgergli la parola o ritornargli tutto il male che mi aveva provocato, era l'unica soluzione per smaltire, per farmi passare la mia sottospecie d'infatuazione nei suoi confronti. Eravamo due estranei a partire da ieri, -o meglio da cinque giorni prima- proprio come il titolo della canzone che avevo canticchiato fino a poco prima.

Dopo lo sfogo, chiusi gli occhi e cercai di rilassarmi. Ma il mio momento di solitudine non durò per molto. Sentii dei passi venire verso la mia direzione, non aprii gli occhi per vedere chi fosse, non ne avevo voglia. Ma considerando che il soggetto si sedette accanto a me, intuii subito che fosse Ciak. Nessuno si sarebbe presa quella confidenza con la sottoscritta, solo lui. Senza aspettare che parlasse per assicurarmi che fosse lui, poggiai la testa sulla sua spalla e il braccio destra intorno alla sua vita, sperai non fraintendesse.

«Scusa per tutto Ciak, ma volevo chiederti un'ultima cosa, poi giuro di smetterla con lui... Visto che prima hai detto di averlo capito, dimmi perché Castiel si comporta in quel modo, ti prego! Non ne posso più...» sbuffai alla fine della frase.

«Perché anche se sei una stronza di alti livelli, lui non vuole perderti!»

Sussultai per il tono di quella voce che avrei riconosciuto tra mille, lui se ne accorse ghignando di risposta.

Perché a rispondere alla mia domanda, non fu la voce di Ciak, ma quella di Castiel. La mia testa e le mie braccia erano intorno al corpo di Castiel e non di Ciak, avevo appena mostrato preoccupazione per quella situazione assurda a Castiel e non a Ciak. Cosa ci faceva accanto a me? Non doveva pensare a servire il dolce o qualcosa del genere? Maledizione! 

In quella serata come in tutta la mia vita ogni cosa era stata un errore. Continuavo a sbagliare, e sbagliare ancora nonostante ci sbattessi la testa mille volte. E per l'ennesima volta avevo sbattuto la testa sull'errore più grande: Castiel

Eppure nonostante riconobbi la sua voce, non mi spostai dalle sue spalle, non aprii gli occhi, ma tolsi solamente le mani dal suo busto. Non risposi alla sua affermazione, al suo "lui non vuole perderti!", sapevo si trattasse solo di un'altra illusione, di un'altra frase dettata dal momento, tanto per farmi ricadere nella sua rete di seduzione. 

Ero attorniata dalla sua fragranza, e non mi dispiacque purtroppo. Sentire il suo profumo era veleno e antidoto allo stesso tempo. 

-



CASTIEL

Miki mi aveva umiliato lasciandomi lì impalato, dopo il nostro ballo, e correndo invece dal suo ragazzo. L'aveva baciato dopo esser stata tra le mie braccia, l'affronto peggiore che una ragazza mi avesse mai fatto. Quasi come se io non le bastassi, come se fossi qualcuno di facilmente rimpiazzabile. Mi sentii ferito nell'orgoglio dopo quel suo gesto eppure non esitai un attimo a seguirla. Come precedentemente, ad inizio serata, si recò nel lato del giardino disgustosamente romantico ma quella volta era sola su quel ponte. Chiuse gli occhi, si sedette contro la ringhiera di legno e dopo aver alzato gli occhi verso il cielo, li chiuse iniziando a cantare. Restai impietrito, a qualche metro lontano da lei, senza nascondermi... volevo mi vedesse. Non si accorse di niente, cantò con una voce dolce e intonata, capii persino le parole. Lei non ne era a conoscenza, probabilmente, ma il sottoscritto sapeva parlare e capire la lingua italiana discretamente. 

Miki non aveva una voce particolare, da cantante, ma quelle parole erano state cantate con una tale convinzione e con un tale sentimento da farmi rabbrividire. Erano dedicate sicuramente al suo ragazzo, sebbene io non conoscessi la loro storia avevo intuito avessero dei problemi. Da tale stupido qual ero mi avvicinai per consolarla, nutrivo uno strano senso di protezione nei suoi confronti. Quando poggiò la testa sulla mia spalla il cuore aumentò i suoi battiti e ancor di più quando rivolse al suo amato un interrogativo indirizzato a me. Lei pensava fossi Ciak. D'istinto le dissi di non volerla perdere e la mia coscienza non poteva suggerirmi niente di più sbagliato. Non dovevo espormi così tanto con lei, non potevo illuderla, solo cinque giorni prima avevo ripreso la mia storia con Debrah. E poi... Miki non era così tanto importante per me come le avevo fatto credere con quelle mie parole, giusto? Maledetta coscienza che mi aveva messo in quella situazione. 

Mi alzai di scatto senza preavviso e Miki -dapprima con la testa poggiata sulla mia spalla- cadde sulla pavimentazione di legno di quel ponte. Si alzò mettendosi nuovamente seduta e senza guardarmi negli occhi prese ad ammirare il cielo. Non mi sbraitò contro per essermi alzato all'improvviso, non rispose neanche alla mia precedente affermazione, a quando stupidamente le rivelai di non volerla perdere. Niente sembrava toccarla. Era infrangibile a differenza del solito. E questo mi diede fastidio, a lei non importava di me. Ed io non potevo inscenare il ruolo dello scemo di turno, non potevo farle intuire cose sbagliate. 

«Con questo non pensare che io sbavi dietro a te. Io amo Debrah, giusto per chiarire, non farti strane illusioni come al tuo solito!» le dissi una volta per tutte l'evidenza di come le cose sarebbero dovute rimanere. Mi ricollegai alla risposta che le avevo dato, a quel "non vuole perderti".

«Mi dispiace distruggere i tuoi film mentali ma io ho un ragazzo da molto più tempo di quanto tu creda, caro Castiel Black, e le illusioni romantiche con te sono proprio il mio ultimo pensiero».

Pronunciò quelle parole lentamente, senza alcun apparente nervosismo, senza guardarmi negli occhi ma continuando a guardare il cielo.

Me l'aveva ammesso. Amava Francois. Stava insieme a lui anche prima di conoscerci, prima di avvicinarci, prima dei nostri baci. Fino a quel momento avevo pensato di esser stato io il furbo, di aver esagerato con i giochi, ma non avevo ancora fatto i conti con la realtà. Miki non era ingenua come avevo creduto, forse era realmente come voleva far vedere agli altri... ed io che pensavo che quella fosse stata solamente apparenza, mi sbagliavo. Era riuscita ad ingannare anche me. Eppure non avrebbe dovuto importarmi, io avevo Debrah, entrambi avevamo giocato ad armi pari, entrambi eravamo impegnati, quella rivelazione avrebbe dovuto sollevarmi da ogni senso di colpa o situazione. Ma allora perché continuavo a sentire un senso di frustrazione impadronirsi di me? Perché continuavo a sentire un peso sul cuore?

«Perfetto! Discorso chiuso allora!» le risposi, alla fine.

Decisi di non pormi più domande. Chiusi quelle mie torture mentali. Non aveva senso interrogarmi su questioni che neanche mi riguardavano. Io non ero il tipo di ragazzo da rimanerci male dopo una presa in giro da parte di una ragazza e Miki non doveva essere l'eccezione. Non doveva importarmi.

Quelle furono le nostre ultime parole. Alla mia frase non rispose, d'altronde non c'era niente da replicare. Ma nonostante i nostri discorsi restammo ai nostri posti, stranamente lei non scappò ed io neanche. Mi poggiai alla ringhiera di legno senza sedermi, mentre lei continuava ad ammirare il cielo nella stessa posizione assunta inizialmente. 

Dopo qualche minuto cominciarono i fuochi d'artificio. Anche dal giardino, dov'eravamo noi, potevano essere ammirati, ma nessuno dei due ne aveva voglia. Io mi girai dalla parte opposta della direzione dei fuochi, ammirando invece il laghetto dove le luci colorate degli spari si riflettevano, mentre Miki, anche se avrebbe potuto guardarli lasciando semplicemente gli occhi aperti, non lo fece. Non appena si udì il primo sparo chiuse gli occhi. Quella ragazza era davvero unica nel suo genere, strana e contorta, ma proprio quello era uno dei motivi per cui m'incuriosiva sempre di più conoscerla. Perché lo sapevo bene, lei ancora aveva tanto da mostrarmi di sé. Se solo avessimo messo da parte l'orgoglio forse...

-



MIKI

Non avrei mai immaginato di esser capace di cambiare così di continuo umore. In quella sera avevo provato tutte le emozioni che si potevano provare contemporaneamente. Rabbia, paura, confusione, frustrazione, gioia, affetto e molte altre ancora. Ogni minuto era più doloroso o gioioso dell'altro. In quel momento però stavo provando lo stesso dolore sofferto cinque giorni prima, la stessa e identica rabbia nei confronti di Castiel. E in quel caso non potevo prendermela con Debrah. L'artefice di tutto era stato lui, il pomodoro secco. 

I fuochi d'artificio cominciarono ad emanare suoni, ma io chiusi gli occhi per non guardarli, restai immobile contro la ringhiera di legno di quel ponte apparentemente romantico per le persone normali. Era mezzanotte, si era aperto ufficialmente il nuovo anno. Per la prima volta nella vita, restai inerme allo spettacolo che si stava presentando davanti ai miei occhi. I fuochi erano da sempre la mia parte preferita delle feste, ne ponevano la fine, ma nello stesso tempo l'inizio di un qualcosa di bello. Solitamente quello era l'unico momento di felicità dei momenti della mia infanzia, ora non lo era più. Ad ogni botto il mio cuore emetteva un lamento. Nella mia testa risuonava la frase che aveva pronunciato Castiel poco prima: "Con questo non pensare che io sbavi dietro a te. Io amo Debrah, giusto per chiarire, non farti strane illusioni come al tuo solito!" le avevo imparate a memoria, erano impresse nella mia mente e nel mio cuore sebbene le avesse pronunciate solo una volta. Quelle poche parole erano bastate per porre fine alla dolce illusione di vedermi insieme a Castiel. Delle parole simili mi erano state dette già cinque giorni prima, ma dette una seconda volta avevano fatto ancora più male. Con quel ballo, con quei modi, mi ero illusa di poter ancora intravedere il vecchio Castiel, pensavo volesse chiedermi scusa per il male provocatomi. E invece no, quelle parole le pensava realmente, e non avrebbero dovuto neanche stupirmi eppure eccomi di nuovo lì a soffrire per i suoi modi burberi. Era convinto che io sbavassi per lui, ma non mi conosceva. Dopo le sue parole non mi ero mostrata debole, anzi al contrario, gli avevo sbattuto in faccia una menzogna pur di uscire vincitrice da quello scontro e forse in quell'occasione passai addirittura in vantaggio. 

Prima che finissero i fuochi mi alzai da terra e ricominciai a combattere per chiudere in bellezza ogni tipo di rapporto esistente ancora tra noi. Mi avvicinai a Castiel anche troppo vicino di quanto avrei dovuto. I tacchi mi permisero di poterlo guardare dritto negli occhi senza alzarmi sulle punte. Così, con lo sguardo duro, con lo sguardo da guerriera lo guardai fisso. Davanti ai miei occhi pieni di rabbia lo sentii sussultare. Lui l'avrebbe pagata cara per tutte le volte che mi aveva fatto sentire piccola come una formica, per tutte le volte che mi aveva illusa, per tutti i baci che mi aveva rubato.. gliel'avrei fatta pagare a nome di tutte le ragazze che aveva usato e gettato come bambole. Ero stanca dei suoi cambi d'umore, del suo perduto amore verso Debrah e del suo continuo spiattellarmelo in faccia ogni tre per due, stanca dei suoi insulti. Ero persino stanca dei suoi capelli. Non li sopportavo più. Erano brutti e avrei pagato oro per avere la possibilità di strapparglieli uno ad uno. Quella volta l'avrebbe pagata cara. Avrei combattuto anche a costo di ferirmi.

«Castiel Black tu da oggi non esisti più! Non abbiamo più niente da dirci e questa volta sul serio. Addio!» 

Pronunciando quelle parole, gli puntai il dito contro il petto e con odio profondo mi voltai di scatto incamminandomi senza lasciargli facoltà di risposta.

Ero uscita di scena come le più grandi dive, come le più grandi attrici, proprio nel momento in cui i fuochi d'artificio finirono. Ero stanca di piangere, di essere vista come la depressa di turno, ma soprattutto ero stanca di correre dietro a chi non lo meritava. Non sarei mai stata un giocattolo di un ragazzo e tanto meno quello di Castiel Black. Non doveva permettersi più a calpestarmi. Lo aveva fatto sin troppe volte ed io sin troppe volte lo avevo perdonato ed ero soccorsa in suo aiuto. 

Giunta nuovamente dentro, incrociai Ciak, arrivava proprio al momento giusto. Dovevo assolutamente abbandonare quella festa.

«Oh finalmente! Sono tre ore che ti chiamo.. Dove caspita hai messo il cel... Ehi ma come hai fatto a ridurre in queste condizioni il vestito? E dai però Miki, avresti dovuto tenerci più cura, è un pezzo uni-»

Lo bloccai prendendo la parola «Sta' tranquillo, lo porterò in lavanderia, tornerà come nuovo. Questo vestito è importante anche per me» gli sorrisi.

Senza perdere ulteriore tempo, sebbene sapessi che forse lo avrei ferito, mi venne spontaneo raccontargli dello scontro con il rosso. Avevo giurato a me stessa che non avrei avuto più segreti con lui e, anche se, non sapevo perfettamente se potessi o meno definirlo ancora mio migliore amico decisi di non tralasciare nulla essendo totalmente sincera con lui.

«Che stronzo di pellerossa! Lo torcerei volentieri come si strappa un vecchio copione ormai inutilizzabile.» 

Ciak aveva dei modi e dei termini del tutto personali da utilizzare in caso di forte rabbia o nervosismo. Per un attimo mi fece sorridere.

La serata era quasi giunta al termine, ci sarebbero stati altri pochi balli e il sogno del grand gala si sarebbe concluso. Quasi tutti gli invitati -unendosi in coppia- continuarono a ballare, io preferii restare sola. Non me la sentii di chiedere a Ciak di abbandonare la festa, dopotutto quello era il suo giorno e sarebbe stato giusto se se lo fosse goduto fino alla fine. Tornai a sedermi al tavolo mentre Ciak venne chiamato a ballare con la modella che era stata seduta accanto a noi durante la cena. Di sicuro avrebbero fatto coppia in qualche clip. Insieme erano una visione per gli occhi. Aveva i capelli biondi dello stesso colore di Nathaniel, occhi celesti, ed alta quasi quanto Ciak. Non sapevo come si chiamasse, non avevamo avuto modo di chiacchierare, ma era molto bella... anche se troppo magra per i miei gusti. Da come avevo potuto capire era invaghita di Ciak, ma lui ovviamente l'aveva rifiutata. Infatti durante tutta la serata mi lanciò occhiatacce, pensando che il motivo del rifiuto del mio amico fossi stata io. 

Mentre ero seduta ancora ad ammirare gli altri ballare in pista, Castiel con la sua arroganza tipica della sua persona e senza calcolarmi minimamente, sparecchiò il tavolo continuando a passarmi affianco infinite volte ma ignorandomi, io feci lo stesso. D'altronde eravamo diventati due estranei a partire da ieri, da prima dello scoccare della mezzanotte.

«Andiamo via... Sei molto stanca!» la voce armoniosa di Ciak mi solleticò l'orecchio ed io sussultai per la sorpresa. L'ultima volta che avevo guardato dove fosse, si trovava ancora in pista.

«Certo che no! Questa è la tua festa, è il tuo primo giorno di fama. Goditelo finché puoi... Ciak davvero, sto bene dove sono, tranquillo!» stampai un sorriso rassicurante sul viso.

Fece come se le mie parole non fossero mai uscite dalla mia bocca che afferrò la mia mano e senza salutare nessuno, mi trascinò verso l'uscita del locale. Con quel gesto mi aveva ancora una volta stupita. Non aveva salutato neanche Rabanne che, considerando il tipo, la mancanza di saluto doveva ritenerla una mancanza di rispetto. Ma a Ciak non importò in quell'istante.

Ad aspettarci oltre il tappeto rosso c'era la Limousine. Ma quella volta non scese nessuno ad aprirci, a fare tutto fu Ciak.

«I festeggiamenti d'inizio carriera sono belli solo fin quando ci sei tu al mio fianco. Buon anno nuovo Mikì» mi confessò guardandomi negli occhi quando l'auto partì. 

«Ti prego» emisi un lamento allungando le vocali «non chiamarmi anche tu come quello lì, me lo ricordi altrimenti, ed io non voglio!» feci riferimento ovviamente a Rabanne che aveva francesizzato il mio soprannome. «Comunque grazie Ciak, buon anno nuovo anche a te!» mi avvicinai al suo volto schiacciando un bacio sulla sua guancia. «Ora è arrivato il momento di parlare degli accaduti di questa sera, ora che siamo soli voglio che tu sappia che non era mia int-»

Interruppe il mio monologo prendendo la parola «A proposito... Non ti avevo, per caso, avvertita poco prima della festa di chiamarmi Francois davanti a tutta quella gente famosa?» mi rimproverò ma con il sorriso sulle labbra.

Evidentemente non avrebbe voluto affrontare il discorso "bacio", ma era necessario per me e per la nostra amicizia.

«Oh sì, perdonami per questo, però devi capire che... tu per dieci anni sei sempre e solo stato Ciak. Non potevo cambiare le mie abitudini in un solo giorno. Ma pian piano mi abituerò, promesso!» cercai, poi, di prendere nuovamente quel discorso: «per quanto riguarda ciò che è accaduto oggi, ecco i-»

Non mi fece finire di parlare che attaccò lui a parlarmi di sopra, di nuovo:

«Smettila di essere paranoica, Mikì» sbuffò ma poi sorrise per il nome pronunciato male «Già so cosa vorresti dirmi. Tra noi non potrà mai esserci nulla, ti vedo come un amico o addirittura quasi un fratello. Questa sera mi son lasciata trasportare dal momento e dalle parole magnifiche che mi hai sussurrato. Le altre volte che ti ho baciato volevo solo dar una lezione a pellerossa, e bla bla bla... Ti conosco Mikì, basta, relax!» alzò gli occhi e le mani al cielo. 

Anche se sembrava lo dicesse con sarcasmo, aveva indovinato ogni cosa, aveva capito i miei reali sentimenti e finalmente potei emettere un sospiro di sollievo. Forse qualche ora prima avevo sbagliato le previsioni, la nostra amicizia si sarebbe salvata, lui si sarebbe rassegnato al mio rifiuto e avrebbe trovato una ragazza che meritasse e ricambiasse il suo amore.

«Non ti nascondo di esserci rimasto male inizialmente, di aver sperato fino all'ultimo che tu ti accorgessi del sottoscritto, di quanto io sia migliore di pellerossa. Ho sperato che dopo il bacio qualcosa dentro te cambiasse, ma non è stato così e va bene... Non posso obbligarti a cambiare idea. E' tutto okay, sul serio!» tornò serio per un attimo guardando coi suoi occhi limpidi dentro ai miei.

Non risposi a quella sua confessione, accennai solo un segno di assenso con la testa, ero stanca. 

Forse per il troppo sonno, forse per la pazzia, ma all'improvviso riuscii ad avere una premonizione del futuro. Ciak avrebbe trovato una donna adatta a lui, magari del suo stesso mondo; Castiel sarebbe rimasto alle dipendenze di Debrah, si sarebbero sposati o avrebbero convissuto; Nathaniel si sarebbe sposato con Melody e avrebbe avuto tanti figli con lei. Rosalya si sarebbe sposata con Leigh dopo esser diventata una stilista famosa. Tutti avrebbero avuto una vita privata entusiasmante, persino zia Kate con Pinocchio magari, tutti tranne io. Avevo scelto così, di stare sola perché incapace di amare, di distinguere e scindere i vari sentimenti. Ero una frana in quel genere di cose ed una come me poteva solamente stare da sola. La sera del gala ne era stata una conferma, ero stata capace solo di provocare guai.

Stavo immaginando, quindi, la vita come poteva essere tra dieci anni, la vedevo luminosa per gli altri e cupa per me. D'altronde ero destinata a soffrire sin dalla nascita. Con i brutti pensieri mi appoggiai sulla testa di Ciak e ci restai, forse, fino al mio arrivo a casa.

-

«Ehi?!? Miki siamo arrivati a casa tua, sveglia, devi scendere!» mi solleticò la voce dolce di Ciak.

Mi ero addormentata come una bimba sulle spalle del proprio padre o fratello, un privilegio che non avevo mai avuto occasione di provare. Già...

«E?! S-sì... S-sono sveglia. Ci vediamo presto. Ciao amico, ciao!» pronunciando quelle frasi sconnesse, mi alzai di scatto da dove ero accomodata dimenticandomi totalmente di essere all'interno di un auto e finendo, quindi, per sbattere la testa contro il tettuccio.

«Avevo dimenticato quanto tu fossi rincoglionita appena sveglia!» rise riferendosi alla mia incapacità di dialogare e di connettere anche dopo un semplice sonnellino.

Alzai gli occhi al cielo e lo guardai con un espressione rassegnata, ma non risi come invece si divertiva a fare lui. Scesi a braccia conserte da quella sottospecie di casa mobile e feci per salutarlo, ma lui mi bloccò poggiando la mano sul mio braccio e confessandomi:

«Ciò che sto per dirti ho deciso di tenerlo per me fino ad ora. Volevo fosse la sorpresa di fine serata, spero ti faccia piacere. Ecco, beh... Dal sette Gennaio inizierò a frequentare la tua stessa scuola, Mikì, sarò alunno a tutti gli effetti del liceo Dolce Amoris!»

  
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