Poteva
correre, ruggire, saltare, arrampicarsi, era libera, selvaggia e senza
limiti…
I
Islanda salutò suo
fratello e sua madre prima di uscire, con la solita scusa di andare a fare un
giro al mercato. Ogni mattina a Elven
si svolgeva un mercato, che rallegrava le altrimenti tristi giornate del
piccolo villaggio. Il paesino, infatti, non era molto movimentato e sorgeva ai
piedi della montagna Castar, un’antica montagna di
cui si onorava la divinità Setris, quasi isolato
dagli altri villaggi ai piedi del monte. Il mercato mattutino era appunto
l’unico avvenimento che aveva ancora il potere di risvegliare il villaggio e i
suoi abitanti; era fortemente voluto da tutti:
giovani, vecchi e quei pochi visitatori che ogni tanto giungevano dai villaggi
vicini, ma soprattutto da Amio, il capo del
villaggio, un uomo molto vecchio e parecchio scorbutico, oltre che sgradevole
alla vista; passava il suo tempo a coltivare il suo campetto di zucche dietro casa
sua e per questo alle spalle tutti lo chiamavano Amio-lo-spacca-zucche.
Una delle poche questioni amministrative di cui si occupava era il mercato, per
il resto non gli importava un granché del villaggio.
Anche quel mattino le numerose
bancarelle occupavano la piazza centrale del villaggio, donandole svariate
sfaccettature colorate. Ce n’erano molte, come sempre, e che vendevano tutte le
merci possibili e immaginabili; bancarelle con generi alimentari, che andavano
dai cibi più semplici che si potevano trovare tutti i giorni sulle tavole dei
poveri contadini, a quelli più strani e raffinati, esotici anche, che con il
loro profumo riempivano l’aria della piazza e delle vie più vicine ad essa. C’erano poi bancarelle con stoffe multicolori,
pregiate sete che compravano solo poche donne privilegiate ma anche stoffe più
rozze che andavano praticamente a ruba tra le anziane
donne del paese. C’era anche una bancarella che solitamente attirava di più
l’attenzione di Islanda; era una semplice tenda tenuta
da un vecchio che viveva solitario ai margini del villaggio. Non parlava quasi
mai con nessuno, si limitava solo a vendere la sua strana merce e, quando
qualcuno gli chiedeva dove se la fosse procurata, non
rispondeva mai. Vendeva le cose più assurde che
Islanda avesse mai visto in vita sua: c’erano vasi strani con tanti bracci in
varie direzioni che all’apparenza non servivano a nulla, libri interamente
ricoperti di caratteri che non conosceva e di strani disegni al margine,
dipinti di creature fantastiche che non sapeva se esistessero o no e numerose
altre cose stupende. Ma quel giorno la sua attenzione
fu stranamente attirata da una bancarella di stoffe pregiate. Aveva da parte
solo pochi spiccioli e non si sarebbe potuta comprare abbastanza stoffa per farsi un vestito, ma forse abbastanza per una semplice
cintura. Si avvicinò piano alla bancarella, quasi incantata dalla bellezza
delle stoffe, e prese ad ammirare i diversi campioni che c’erano; una in
particolare la colpiva: era dello stesso blu intenso dei suoi occhi, ma con
alcuni riflessi dorati che la incantavano come se fosse stata una stoffa
stregata.
Il mercante aveva notato
l’interesse della ragazza.
-È una gran bella stoffa, si intona perfettamente con i tuoi occhi. Ma
sei sicura di potertela permettere? È molto cara.
-Non ho abbastanza denaro
per un vestito intero, ma credo di averne a sufficienza per una semplice
cintura.
-Sì, una cintura della tua
misura costa poco. Ti taglio una striscia che possa
andare bene.
Islanda era una ragazza
alta e slanciata e aveva una vita snella e sottile, per una cintura della sua
misura sarebbe bastata ben poca stoffa. Il mercante un
attimo dopo ricomparì da dietro la tenda con una striscia di quella stoffa
stupenda, tagliata perfettamente per la sua misura.
-Ecco, dovrebbe bastarti.
-Grazie.
Prese la stoffa, pagò e se
ne andò per la sua strada con la sua nuova stoffa in
mano. Uscì dal villaggio per recarsi al suo solito posto, sulle rive del lago Bloth. Non era molto distante dal villaggio e, percorrendo
un sentiero che aveva scoperto da poco, ci arrivò in pochissimo tempo. Le
piaceva particolarmente quel posto, in quanto amava
stare sola e lì non incontrava mai nessuno. Tutti avevano paura del lago Bloth, tranne Islanda; si narrava, infatti, che nelle acque
più profonde del lago si nascondesse una potente fata malvagia, che se
risvegliata avrebbe cercato di distruggere tutto ciò che la circondava.
Ovviamente era solo una leggenda, ma nei piccoli villaggi certe cose vengono date per vere. Islanda non ci credeva e poi non pensava
che avrebbe svegliato la fata, se per caso fosse esistita sul serio, perché non
faceva nulla di male nel lago.
Arrivata al lago, si
sedette sulla riva e si specchiò nel lago. Poteva chiaramente vedere riflesso
il suo viso, incorniciato da lunghi capelli neri, lisci come la seta che aveva
appena comprato, che le arrivavano fino alla vita; le guance rosee simili a due
petali di rosa, le labbra fini e delicate ma rosse come il sangue. La cosa più
impressionante di tutte nel suo viso erano gli occhi; dei profondi occhi blu,
che avevano qualcosa di animalesco, quasi di feroce a
volte. Sottraendo dallo sguardo il suo viso riflesso, si alzò in piedi e si
legò in vita la stoffa, le stava davvero molto bene, sembrava fatta a posta per
dare eleganza ai suoi semplici pantaloni azzurri e alla camicia intonata ad essi, che le cadeva larga sui fianchi. Si sentiva come una
principessa e il laghetto in cui si specchiava era il suo regno.
Dopo aver fatto un paio di
giravolte mentre canticchiava allegra, si acquattò a quattro zampe e vide il
suo riflesso cambiare. Si stava trasformando. Adesso non era più Islanda, ma
semplicemente la Tigre. Una bellissima tigre con il manto bianco
come la neve appena caduta, striato di nero. Era totalmente
irriconoscibile, nessuno avrebbe mai pensato che quella tigre potesse essere in
realtà un essere umano, l’unica cosa che si poteva riconoscere di Islanda erano gli occhi. Quegli occhi non potevano essere
confusi con quelli di nessun altro. Nemmeno il carattere di Islanda
era più lo stesso. Anche se ormai si era abituata a
vedere il suo aspetto cambiare, era sempre sconvolgente guardare il suo nuovo
riflesso e specchiarsi nell’immagine di una tigre bianca. Sotto quelle
sembianze non si sentiva più lei, si sentiva totalmente libera; poteva correre
più veloce del vento, poteva spiccare balzi e arrampicarsi sugli alberi con gli
artigli. Poteva fare quello che voleva. A volte però le capitava di
dimenticarsi le sue azioni sotto le sembianze di una tigre e spesso si lasciava
troppo trasportare e rischiava di fare danni. Solitamente quando non si
ricordava le sue azioni era appunto perché aveva esagerato troppo.
Quel giorno non stava
esagerando però, anzi era tranquilla, molto più mansueta del solito. Se ne
stava con le zampe a mollo e ogni tanto si bagnava
anche il candido muso per rinfrescarsi. Era particolarmente felice di aver
comprato la stoffa che le stava così bene… era talmente persa però nei suoi
pensieri, che abbassò la guardia per circa un’ora e
non si accorse che qualcuno la stava fissando, in modo poco amichevole, dal
fitto degli alberi.