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Autore: past_zonk    18/12/2014    0 recensioni
Il suono di un’ocarina, il respiro tuo caldo sulle mie palpebre, i dieci minuti in cui il sudore si raffredda sulla pelle, un nodo allo stomaco, l’eco dei fruscii. Le scapole schioccano all’indietro, le costole sporgono, per una volta, le dita dei piedi piano si curvano, le pupille si dilatano, la bocca si secca, il respiro si accavalla rumorosamente sulle corde vocali, le ginocchia tremano.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Uno scatto di muscoli che agisce prima del pensiero stesso, un salto nel vuoto più denso e presente, un attimo di nulla per poi ritrovarsi ancor di più se stessi.
Il suono di un’ocarina, il respiro tuo caldo sulle mie palpebre, i dieci minuti in cui il sudore si raffredda sulla pelle, un nodo allo stomaco, l’eco dei fruscii. Le scapole schioccano all’indietro, le costole sporgono, per una volta, le dita dei piedi piano si curvano, le pupille si dilatano, la bocca si secca, il respiro si accavalla rumorosamente sulle corde vocali, le ginocchia tremano. Abbraccio il vuoto di fronte il mio corpo nudo e mi rendo conto di quanto ci sei comunque più degli altri, mio amante invisibile. Di quanto il tuo peso pesi su di me, di quanto i miei occhi che osservano il buio stiano in realtà osservando una foresta vergine, un mondo nuovo, la lussuria di una giungla colorata, le stelle e le galassie, e il senso di morte che il tuo amore porta con sé: ed ho la sensazione di morire ogni volta che vengo e mi risveglio in un letto che non è il tuo.
A bocca aperta i tuoi baci sul mio volto lasciano una dolce condensa e parte di te ora mi appartiene, mia luce e vita.
A chi parlerò d’amore se non a te? Come potrò amare di nuovo dopo così tanto? Come potrà il mio corpo adattarsi ad un altro uomo, le mie parole avere lo stesso valore e veridicità? Sei l’inizio e la fine del mio continente; dopo di te, un profondo immenso infinito burrone di indefinito silenzio; sei la linea demarcata della mia esistenza, le colonne d’ercole della mia percezione, il sacro tempio in cui lavo le mie membra e riposo i miei fianchi stanchi. Sei i fiori con cui adorno i miei capelli, e il sangue che mi sporca le mani, la mano che mi trascina nell’abisso azzurro per la caviglia e la bocca che mi dona l’aria che conserva. Con te vita e morte, amore e dolore si avvicendano maestosamente. Non hai fine, non hai limiti: farò sì che tu non ne avrai mai, ti plasmerò con ogni parola e tocco, ti renderò un dio, levigherò la tua vita con cura e perizia e farò di te ciò che tutti ammireranno. Ti porterò così su nel cielo che non sarai più in grado di scendere senza scivolare su di me, senza che io ti tenda la mia mano e sciolga le mie vertebre a mo’ di scala. Per te, mi dissolvo. Nello scopo di assistere alla tua vita, sarò un gatto ai tuoi piedi, libera di osservarti in silenzio e lentamente alzare il collo e essere la tua sola regina.
Sarò l’unica in grado di dissetarti in un mondo di siccità, l’unica a inondarti e salvarti poco prima del tuo naufragio, e mi beerò ogni giorno della mia potenza, ogni giorno del mio ascendente su di te.
E sarò silenziosamente cosciente di quanto io ti appartenga, di quanto io sia poca cosa in realtà, da sola, di quanto poco la mia esistenza abbia valore se non nelle tue mani. Farò finta di non sapere di vivere solo nella tua luce, di crescere solo sotto le tue carezze e spinte e morsi. Mentirò a me stessa ogni giorno, convincendomi di essere la tua regina quando in realtà non sono altro che una tua più che umile adepta; e le mie ginocchia sanguinano per tutti i secondi e gli istanti di preghiera. La santità del tuo e del mio nome. E ogni momento tirerò la corda al tuo collo verso di me senza in realtà ammettere che il centro del mio corpo ha un corrispettivo nella calamita del tuo, senza gemere o urlare il tuo nome.










 

   
 
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