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Autore: cuore di carta    19/12/2014    4 recensioni
Gwendolyn è una ragazza di sedici anni fisicamente nella norma, ama leggere e guardare film strappalacrime in compagnia della sua migliore amica Audrey Hepburn, una yorkshire. Ma non tutto è come sembra. Dall'età di nove anni soffre di una grave malattia che le ha impedito di vivere una normale vita, ed è proprio a causa di questo male che è costretta a trasferirsi nella grande città di Londra. La sua sola preoccupazione è quella di non far soffrire chi le sta intorno allontanando chiunque possa avvicinarsi al suo essere così distruttiva. Ma qualcosa cambierà, nel momento per lei più difficile, dove quel poco di felicità rimasta verrà messa a dura prova, avrà al suo fianco una piccola luce che la aiuterà regalandole un po' di quella vita che non ha mai potuto godere.
Riuscirà ad aprirsi mostrandosi in tutta la sua bellezza?
Ha messo un lucchetto nel suo cuore, chi sarà in grado di aprirlo?
A chiunque decida di immergersi nelle pagine della mia storia: buona lettura!
Tratto dalla storia.
[...] Vuoi sapere cosa sei Gwendolyn? Sei la debole e fragile margherita fiorita in un campo di rose rosse, così tanto invisibile, così tanto spettacolare.
COMPLETA.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Castiel, Dolcetta, Nuovo personaggio
Note: OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Chiunque voglia sinceramente la verità è sempre spaventosamente forte

-Fedor Michajlovic Dostoevskij.

CAPITOLO SEI.

Mia madre ha deciso di accompagnarmi da Caren, devo fare la mia iniezione di etanolo, chissà se ha qualche novità sull'organo. Amo stare in sua compagnia, mettiamo nel lettore CD della radio le nostre amate canzoni di Lucio Battisti e le cantiamo a squarciagola. Se mai avrò un bambino, voglio essere una madre proprio come lei. 
Arriviamo allo studio tutto giallo della dottoressa, saluta mia madre e poi mi abbraccia, quasi soffocandomi, urlandomi "Tesooro" nel timpano destro, finite le manifestazioni di affetto ci fa accomodare, io mi siedo sulla mia sedia preferita, la più morbida di tutte.
-Allora amore mio, come stai oggi? - Mi domanda Caren, fissandomi con quei suoi occhi color verde intenso.
-Bene, grazie. - Rispondo gentilmente.
-C'è qualche novità? - Chiede mia madre alla dottoressa, ovviamente si riferisce alla disponibilità di un fegato per il trapianto.
Dallo sguardo di Caren capisco già tutto.
-Ancora niente cara - continua guardandomi - è arrivato qualcosa, ma nulla che sia compatibile con te. - Conclude.
Me lo sentivo... ma c'è una cosa che voglio sapere con certezza.
-Se non mi opero, quanto tempo mi resta? - Le domando velocemente, come se non volessi essere sentita da nessuno mentre pronuncio tali parole, la verità è che non voglio conoscere la risposta, qualunque sia.
-Bhè... difficile a dirsi. Il fegato è operabile e grazie alle iniezioni giornaliere lo manteniamo tale, ma dai tuoi esami tra un anno e mezzo, due non potrà più essere toccato. In quel momento non ci sarà più niente da fare. Ma non temere, sono sicura che l'organo non tarderà. - Mi risponde Caren.
-Lo spero - dico.
Mi fa accomodare sul lettino ed inizia a cercare il punto giusto dove fare l'iniezione attraverso l'ecografia, anche se da ieri è rimasto un gran livido nero. Non mi abituerò mai a questo dolore, ovvio ne ho passate di peggiori ai tempi delle chemioterapia, ma non scherza lo stesso. A volte ricordo quei giorni con tristezza e mi prende allo stomaco un dolore inspiegabile. Soffrivo ogni qual volta dovevo sottopormi ad un iniezione, la perdita di capelli... non andai a scuola nemmeno una volta. Stavo troppo male ed inoltre mi vergognavo, mi sentivo così brutta, lì ho desiderato di sparire, non morire attenzione, ma rinascere senza tumore. Non ho mai desiderato la morte, la vita è un profondo dono, ma non capisco il motivo di queste malattie, perché vivere male? Perché dobbiamo essere condizionati da tutto questo? La gente un dolore di questo genere causato dal proprio corpo non dovrebbe neanche conoscerlo. I capelli sono ricresciuti nel corso degli anni, ora mi arrivano alla schiena, non li ho più tagliati. Non mi priverò mai più di loro.
Un giorno, quando avevo otto anni, vidi un film con mia madre dove il protagonista era un bambino malato di leucemia, ne rimasi molto colpita e rattristita, pensai che una cosa del genere non mi sarebbe mai potuta accadere, ero una persona normale che viveva una vita tranquilla, credevo che certi avvenimenti capitavano soltanto a persone "diverse", ma per sicurezza chiesi a mia madre se la malattia che colpì il mio coetaneo all'interno dello schermo della televisione potesse colpire anche me, lei rispose di no. Chi l'avrebbe mai detto che a distanza di un anno mi sarei ritrovata in quelle stesse condizioni? 
I miei genitori, da quando il mio tumore fu scoperto, cercarono di essere forti, di non mostrarsi mai tristi o deboli in mia presenza, ma di notte in notte, quando non riuscivo a dormire a causa di incubi creati dal mio subconscio, andavo nella loro camera e prima di bussare li sentivo piangere, erano così piccoli ai miei occhi in quel momento, abbracciati l'un l'altro cercando di soffocare i gemiti per non farsi sentire da me, a rassicurarsi a vicenda che nulla mi avrebbe mai portato via da loro. A volte non volevo sentire e me ne ritornavo subito in camera mia, nel calore del mio letto a coprirmi le orecchie con il cuscino, abbracciata a Audrey, pensavo a tutto ciò che potesse rallegrarmi, i fiori, il mare, il Natale. Altre invece mi sdraiavo sull'uscio e li ascoltavo, "mi amano così profondamente" pensavo. Avrei voluto così tanto entrare nella loro camera e abbracciarli... ma mi sono sempre mancate le forze di fare quei cinque passi sino al loro letto matrimoniale, con le coperte così perfettamente stirate. Ero solo una bambina su cui si erano abbattute troppe cose tutte insieme, che non capiva cosa la malattia avrebbe fatto al suo corpo, che l'unica cosa a cui doveva pensare era con quale gioco si sarebbe divertita durante la giornata, e non a quanto dolore sentirà domani. Non meritavo tutto questo, non lo merito tutt'ora, nessuno lo merita.
Salutiamo la dottoressa Smith e torniamo a casa, mi preparo per andare al club, dove sarei andata con Castiel. Mi cambio la maglietta e noto sulla parte alta dell'addome l'enorme cerotto che copre il punto dell'iniezione, credo resterà lì ancora per molto.
Non ho idea a che ora arrivi Cass, meglio se gli mando un messaggio.
"A che ora è approssimato il suo arrivo?" Cerco di essere la solita Gwendolyn. Poco dopo arriva la sua risposta.
"Sono già qui!" Com'è cordiale (certo).
Mi affaccio dalla finestra della mansarda che dà sulla strada e noto che è già là, vestito come sempre, ha lo sguardo fisso sul cellulare.
-Oh Romeo, Romeo, perché sei tu Romeo? - Dico a voce alta, per attirare la sua attenzione, in modo teatrale. 
Mi nota e si gira verso di me ridendo.
-E' una storia che mi ha fatto sempre cagare - risponde.
-Non offendere il grande Shakespeare in mia presenza! - Dico - perché non entri? E' ancora presto! - Gli chiedo guardando l'orologio, inoltre a mia madre farebbe molto piacere rivederlo, ovviamente questo particolare non glielo dirò.
-D'accordo, solo dieci minuti però! Non dobbiamo fare tardi. - Acconsente.
Scendo di corsa avvertendo mia madre e Audrey che sta per entrare il loro amato Castiel. Apro la porta e mi saluta normalmente, mia madre lo abbraccia. Lo faccio accomodare nel salotto e subito Audrey gli salta addosso, a lui non sembra dispiacere, infatti continua ad accarezzarla tranquillamente. 
-Ti piacciono i cani vero? - Gli domando sedendomi accanto a lui.
-Oh sì, io ho un dobermann, si chiama Demon - mi risponde.
-Demon? Nome originale, mi piacerebbe conoscerlo. - Dico.
-Stasera avevo intenzione di invitare tutti gli altri a casa mia, si mangia e si beve qualcosa, vieni anche tu? Oggi finiamo prima, di solito il venerdì proviamo soltanto. - Dice.
Perché no? Infondo stiamo in compagnia, ovviamente non berrò e mangerò nulla, altrimenti il mio fegato abbandona il mio corpo e va direttamente a scavarsi la fossa.
-Okay - rispondo - ma posso venire solo dopo mangiato. - Concludo.
-Perché? - Mi domanda perplesso.
Non userò la scusa della dieta.
-Stasera arrivano i miei nonni dall'Italia e mi sembra il minimo cenare con loro. - Non è vero, l'arrivo dei miei nonni è stimato fra due settimane. 
Non so cosa sto facendo. Dovrei dirgli della mia malattia, o no? Da quando sono diventata così cattiva ed egoista? Ho sempre allontanato le persone tranquillamente, perché adesso non ci riesco? Lo reputo davvero mio amico? Se è così glielo devo dire, il punto è che non so se ne avrò mai il coraggio. E poi c'è la possibilità che io sopravviva all'operazione... sono orribile e lo so.
-Ho capito - dice - ma se ti do le indicazioni riuscirai, con il tuo senso dell'orientamento, a trovare casa mia? - Mi domanda.
-Cosa stai insinuando, Castiel? - Chiedo inarcando un sopracciglio.
-Chi? Io? Assolutamente nulla. - Dice alzando le braccia, come in segno di resa.
-Ecco. Ora dimmi come arrivarci e io ci arriverò! - Dico, forse troppo sicura di me.
Castiel spiega e spiega, ma io non capisco nulla. Troppo giri, prima vai di qua, poi vai di là. Ogni tanto si ferma e mi chiede "Ci sei fino a qui?" E io come una stupida rispondo "Sì , sì, continua." Sono troppo orgogliosa, me ne rendo conto. Alla fine decido di barare.
-In che via e che numero abiti precisamente? Sai per capire meglio... quando arrivo. - Dico ammucchiando parole.
-Via Carolis n' 19 - risponde.
Ovviamente userò il TomTom, non giudicatemi.
-Benissimo! Vengo appena finito di mangiare. - Confermo.
Castiel guarda l'orologio sopra la credenza e si alza velocemente.
-Dobbiamo andare, è tardi! - Dice.
Salutiamo mia madre e usciamo. Mi porge il casco e salgo con lui sulla moto, chissà se da occhi esterni sembriamo una coppia di amici, o fidanzati, sono curiosa di saperlo.
Arriviamo velocemente, entriamo in cortile e sono tutti già là.
-Ehy Cass, Gwen, siete in ritardo! - Ci sgrida Armin.
-Sì Armin, di 5 minuti, ma finiscila! - Gli dice suo fratello Alexy.
-Alle prove non si arriva mai in ritardo! Armin ha ragione, è una regola d'onore. - Dice Kentin, guardando dolcemente Alexy, mmm, non sono una esperta in amore è vero, ma sono una lettrice di romanzi rosa e mi piacciono anche molto i film romantici e qui gatta ci cova.
-Ken, perché non sei venuto oggi? - Chiede Castiel all'amico.
-Ho avuto da fare, non ti preoccupare. - Risponde in tono rassicurante Kentin.
-Va bene, va bene, ora non è importante, andiamo? - Domanda Lysandro. 
Acconsentiamo tutti e scendiamo al piano di sotto. Rosalya si avvicina a me e cammiamo l'una accanto all'altra, non diciamo una parola, ma non mi sento a disagio.
Oggi provano, quindi io, Alexy e Rosa ci sediamo sulle sedie lontane dal palco, mentre gli altri ragazzi si sistemano agli strumenti: Lysandro al microfono, Castiel alla chitarra, Armin alla tastiera e Kentin alla batteria. Iniziano a suonare e rimango completamente stupita, sono davvero bravi. Non me l'aspettavo. Lysandro ha una bellissima voce, ma anche i ragazzi suonano bene, completando il tutto. Non capisco bene il testo della canzone, poiché Lysandro la trasforma in melodia troppo velocemente. Finché l'inglese è parlato lo comprendo facilmente, soprattutto perché appena decidemmo di partire, io e i mei genitori frequentammo un corso accelerato di inglese da un professore madrelingua che mi ha fatto diventare davvero brava. Ma come ho già detto, le canzoni mi creano ancora un po' di problemi. Migliorerò.
Dopo un'ora di incessanti prove fanno una pausa e Castiel viene verso di me, accomodandosi sulla sedia accanto, fa un sorriso e alza un sopracciglio.
-Allora che te ne sembra? - Mi chiede.
-Siete molto bravi. - Gli sorrido.
-Lo so! Un giorno suoneremo nei più grandi teatri del mondo, fidati. - E' felice ed elettrizzato, ha gli occhi che si illuminano, non li avevo mai notati, adesso sono così sono belli, sarà la felicità che prova in questo momento, mentre suona, è anche più di quando corre con la sua amata moto.
-Lo spero, lo meritate. - Gli rispondo.
-Ehy Cass, ricominciamo! - Dice Lysandro. 
-Okay - Castiel si alza e torna alla sua chitarra. 
Continuano ancora per un po' poi smettono, hanno finito. 
-Basta così per oggi ragazzi - dice Armin.
-Sì basta - acconsente Kentin.
-Okay - continua Lys.
Vedo Castiel posare la sua chitarra con tristezza, avrebbe voluto continuare a suonare ancora.
-Allora ci vediamo da me? - Domanda, poi.
-Io vengo con Leigh appena finisce il turno di lavoro. - Dice Rosalya, ma chi è Leigh?
-Vengo prima io, Cass. - Afferma Lysandro.
-Io e Armin appena nostro padre torna da lavoro, così ci prendiamo la macchina - dice Alexy - ti passiamo a prendere Kentin? - Domanda al moro.
-Va bene, allora io inizio ad andare, ci vediamo dopo! - Dice salutandoci con la mano, soffermando il suo sguardo su Alexy.
Devo andare anche io.
-Allora io vado anche, ci vediamo più tardi. - Dico prendendo il mio giubbotto.
-Ma stai tornando a piedi? - Mi domanda Lysandro.
-Sì, ma tanto abito qui vicino. - Rispondo.
-Ho la macchina, perché non vieni con me? C'è anche Rosa - propone.
Mi dispiace rifiutare.
-Okay - rispondo infine.
Salutiamo tutti ed andiamo verso la macchina del ragazzo dagli occhi bicolore, Rosalya si siede davanti insieme a lui, io dietro. Non parliamo granché durante il tragitto, sia perché abito a due passi dalla scuola e anche perché non ho fatto altro che dare indicazioni tutto il tempo. Arriviamo velocemente, li saluto ringraziandoli ed entro a casa. Vado subito alla ricerca di mia madre per informarla dei miei programmi serali. La trovo in cucina, quando non ha nulla da fare prepara dolci di tutti i tipi, anche se poi non li mangia nessuno. Mi siedo sulla sedia del tavolo e la osservo per un po'. 
-Mamma devo dirti una cosa - dico.
-Cosa, tesoro? - Mi domanda.
-Stasera, dopo mangiato, posso andare a casa di Castiel? Ci saranno anche gli altri ragazzi del club di musica. - Rispondo.
Vedo un grande sorriso formarsi sul suo volto.
-E me lo chiedi? Certo! Ti accompagno io. - Dice, felicissima.
Sorrido anche io. Guardo l'ora sul telefono e sono ancora le 19:00, noi non mangiamo mai prima delle 20:30/21:00, quindi mi lavo pulendomi accuratamente i capelli e inventando canzoni improponibili. Mi asciugo i capelli e mi passo la piastra. Voglio essere un po' più carina stasera, frugo fra i trucchi di mia madre e mi metto il suo eyeliner nero e un po' di rossetto rosso, anche se mangiando si sarebbe tolto tutto. Non sono abituata a vedermi così, mi sento abbastanza strana, però felice. Scelgo accuratamente anche i vestiti: jeans, camicia e cardigan, a completare il tutto scarpe alla parigina con poco tacco. So di non essere granché, ma mi sento comunque diversa dal solito, e anche più alta. 
-Gwen, amore è pronto! - E' stato mio padre a parlare.
Finisco di mettermi il mascara e scendo giù, saluto mio padre abbracciandolo, è appena tornato da lavoro, e mi siedo a tavola. Mia madre mi fa i complimenti per come mi sono truccata e vestita, quasi piange per la commozione. Poi smettiamo di parlare perché in televisione stanno trasmettendo il programma preferito dai miei genitori. Guardo l'ora, sono quasi le 22:00. Invio un messaggio a Castiel.
"Sto arrivando", nessuna risposta.
Mi vuole accompagnare anche mio padre, quindi tutti e quattro, compresa Audrey, ci dirigiamo verso la casa del Rosso, ovviamente grazie al GPS. Arriviamo quasi subito, senza fare tutti quei giri di cui mi aveva parlato qualche ora prima, mi aveva presa in giro! Scendo dall'auto salutando i miei genitori e la mia piccola cagnolina. La casa da fuori non è niente male, è tutta gialla, il mio colore preferito, ed è molto grande. Suono il campanello con il cognome  Smith e aspetto. Dopo un po' mi viene ad aprire Lysandro.
-Ehy Gwen, forse è meglio che vai, sai non è serata. - Dice preoccupato.
-Perché? Cos'è successo? - Domando perplessa.
Lys non ha il tempo di rispondermi, si sente un rumore, qualcosa di vetro che cade al suolo rompendosi. Entriamo di corsa, e lo vedo. C'è Castiel con una bottiglia, sicuramente qualche alcolico, nella mano destra e una rivista in quella sinistra. Ha gli occhi color cenere gonfi di lacrime. 
-Cass? - Domando piano.
Mi nota subito.
-Perché non sei lei? - Mi sussurra con lo sguardo più triste che abbia mai visto, poi si accascia esausto sul divano.
 
  
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