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Autore: finnicksahero    19/12/2014    0 recensioni
Chi era la madre di Katniss? Come ha conosciuto il signor Everdeen?
Io ho provato a rispondere a queste domande.
Dal testo:
'Le strade del giacimento erano deserte, si sentivano i canti dei bambini e qualche rumore di stoviglia, ma per il resto il silenzio era assordante, neanche gli uccellini cantavano, il cielo da azzurro era diventato nuvoloso. Rendendo l'ambiente ancora più grigio, i miei stivali alzavano la cenere argentea per aria, creando delle piccole nuvole che stancamente si riposava a terra. Era così folle alzarla, dargli della speranza, facendogli credere di poter volare, quando in realtà si sarebbe schiantata al suo suolo da li a poco. Mi ritrovai a pensare che prima o poi tutti diventavamo polvere.
Polvere alla polvere.
Cenere alla cenere.'
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Maysilee Donner, Mr. Everdeen, Mr. Mellark, Mrs. Everdeen, Mrs. Undersee
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'I'm in love with you ...'
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Capitolo sedici.


 
Il soffitto della camera da letto del mio migliore amico era semplicemente un’identica riproduzione del cielo notturno, con tutte le costellazioni, quei piccoli puntini bianchi; qui non troppo lontani per essere toccati.

Guardai in un angolo, c’era un stellina, fatta in maniera infantile, con cinque punte. Sorrisi, mi tirai su con i gomiti e lo guardai. Aveva le mani sporche di colore così come i vestiti e il viso. Perfino i capelli avevano delle ciocche azzurre. Stava facendo il ritratto del tramonto. Lui sapeva quanto amassi l’arancione del tramonto. Con le sue sfumature rosse, e le venature di colore che lasciava il sole con i suoi raggi.

Mi appoggiai al fianco. E sorrisi, guardai il viso del mio amico, che veniva accarezzato con dolcezza dalle luci del tramonto, aveva la lingua fra i denti, e un’espressione attenta sul volto, un cipiglio gli incrostava la fronte.

Adoravo guardarlo disegnare, era come John con il canto. Si estraniavano completamente dal mondo, come se così potessero essere felici. Forse da bambini avevano anche sperato in questo, che le loro canzoni, che i loro disegni diventassero realtà, che li salvassero dalla fame e dalla fatica.

E ancora forse in fondo al loro cuore d’oro ci credevano, come quei bambini che ogni anno aspettano la neve, sapendo che non porterà niente di buono, ma loro l’aspettano, perché è la cosa più bella che abbiano mai visto e che mai vedranno.

Mi alzai dal letto e gli andai vicino, sorrisi vedendo l’opera che stava per essere finita, e rimasi senza fiato, appoggiai la mia testa sulla sua spalla piegandola di lato –E’ una meraviglia- sussurrai, lui fece una mezza risatina –Eo, è una mia opera- disse, sorrisi e scossi la testa.

Per un momento tutto fu perfetto, fuori il vento soffiava leggero, la gente rideva, e noi eravamo solo due ragazzi e un quadro.

Ma poi la terra tremò.

Fu un delicatissimo tremolio del terreno, come se avessimo avuto un capogiro. Per un attimo sperai fosse solo la mia immaginazione, un calo di zucchero o qualcosa del genere. Guardai Alus negli occhi, con una speranza che andava morendo.

Mi morsi un labbro e lui annui, lo fissai impotente, non sapevo che fare, avevo il cuore che batteva a mille. Continuai a fissare Alus. Respirai affannosamente –Anse, tesoro, sai cos’è stato vero?- chiese, mi uscii un gemito di  frustrazione.

La terra tremò di nuovo.

Questa volta scattai subito verso la porta. Tutto ancora tremava, ma non aveva importanza. A breve sarebbe arrivata l’esplosione. E io dovevo essere là. Per i feriti, e anche per le persone in lutto.

Dovevo aiutare.

Scesi le scale due gradini alla volta, Alus mi seguiva, lui non aveva le mani da guaritore, non sapeva come toccare le persone. Ma in quelle situazioni ogni aiuto era necessario, anche semplicemente per abbracciare chi aveva i perso tutto in quell’esplosione.

Corremmo alla farmacia, mio fratello stava  preparando i tavoli e i medicinali più comuni, gli accarezzai velocemente i capelli e lui mi sorrise. Aveva il classico sorrido da bimbo, sincero e puro. Come se neanche il male più cattivo potesse toccarlo.

-Mamma e papà?- chiesi, raccogliendo tutti i medicinali possibili per poi metterli nella borsa. Alus stava facendo lo stesso –Sono partiti poco prima di te- disse, annui chiudendo la porta, presi il camice da infermiera. Almeno mi avrebbero lasciato passare.

Corremmo entrambi, le mani si sfioravano, i miei capelli si muovevano a ritmo del mio passo, il mio seno benché piccolo rimbalzava e faceva male. I polmoni bruciavano. La cenere era alta. Ogni passo la rendeva dannatamente bella, la luce la colpiva e scintillava in aria, come se fosse la protagonista di qualche gioco di ombre.

All’orizzonte solo le stelle che stavano prendendo il posto del caldo cielo azzurro. Non c’era traccia dell’esplosione. Iniziai a mettermi il camice, tenendo la borsa con una mano.

Per le strade nessuno, solo noi due. Due ragazzini che correvano a perdifiato verso una vecchia miniera, le nostre ombre danzavano sul terreno, mentre la fuliggine creava un sottofondo perfetto.

Eravamo le ombre cinesi che servivano per far divertire un pubblico che non poteva essere eguagliato da nessuno.

Il terreno tremò di nuovo. Sempre più forte, Alus accanto a me mi prese il gomito, mi voltai verso di lui, aveva il viso preoccupato. Lo vedevo nella penombra, poi si illuminò; feci appena in tempo a girarmi che il cielo si tinse di rosso.

Urlai, caddi in ginocchio e urlai.

Tutti si riversarono nelle strade e si coprirono le bocche. Quella non era una normale esplosione.

Era qualcosa di peggio.

Illuminò tutti i nostri volti.

Urlai e piansi, non sapevo che fare, non potevo aiutare tutte quelle persone. Delle mani mi tirano su, erano sporche di colore –Dobbiamo correre- mimò con le labbra, annui, frastornata. Non capivo molto. Ero troppo confusa.

Quando arrivammo alla miniera mi dovetti reggere io al gomito del mio amico. Tutto era in fiamme, le persone correvano fuori dalla miniera urlanti. L’allarme era fortissimo, mia madre stava cercando di salvare un uomo cercava di far smettere di urlare una donna con il corpo completamente ustionato.
Era un caos.


I rumori erano assordanti.

L’odore era soffocante.

Chiusi gli occhi e sentii la folla arrivare, con i  loro sussurri e le loro grida.

Riaprii gli occhi e corsi davanti alla miniera, volevo portare in salvo più gente possibile.

Feci appena in tempo ad arrivare a metà distanza che un’altra esplosione arrivò, fu talmente forte da buttarmi a terra. Qualcosa, non riuscivo a identificare il sesso, venne fuori urlando, stava bruciando vivo, mi svenne vicino. Era morto.

Inizia a tremare. Dovevo aiutare. Ma non riuscivo a capire più niente.

Gli urli erano troppo acuti, i singhiozzi troppo disperati, mi guardai attorno ansimando.

E fu quando lo  vidi che capii che non potevo crollare. John era in mezzo alla folla. Immobile fra gli spintoni della gente.

Fissava le fiamme come io fissavo le persone. In modo vuoto e vacuo.

Mi alzai in piedi di corsa, andai da Alus e gli diedi metà delle bende, lui fece un passo indietro.

-Alus- dissi determinata, guardandolo negli occhi –Prendile- lui tremante le prese.

Chiusi gli occhi.

Quella sarebbe stata una lunghissima notte.
  
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