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Autore: yelle    01/02/2005    4 recensioni
"Cosa credi che faccia ogni domenica mentre ti guardo impegnarti per vincere ogni volta? Penso a quell’angelo e a quel diavolo che convivono in ogni circuito, e prego… prego che sia l’angelo a sorriderti, prego che tu possa tornare a casa sano e salvo, e che continui ad essere felice, senza dovertene mai pentire!"
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Lasciai l’ospedale qualche giorno dopo, costretto a trascinarmi con delle stupide stampelle. Le avrei gettate via immediatamente, ma Kira non me lo permise e, anzi, sembrò arrabbiarsi quando solo accennai alla cosa. Così lasciai perdere e utilizzai quello che secondo me era uno strumento di tortura. Kira, arrivati a casa, mi dedicò mille attenzioni mentre mi guardava con quegli occhi che emanavano una tristezza infinita, spiazzante e disarmante. La osservai con attenzione mentre cucinava per me: notai che la sua postura si era appesantita, come se sulle sue spalle fosse stato posto un altro peso che si aggiungeva a quelli che già portava. Era diventata più adulta di come la ricordassi.
Mi alzai per andare a baciarla, a godere di nuovo di lei, ma mi accorsi che qualcosa in me non andava… la mia gamba destra non sosteneva il mio peso… non so come, ma mi ritrovai disteso sul pavimento. Kira mi soccorse immediatamente con uno sguardo spaventato.
- Rei… che cos’ hai? -
- Non lo so… non sento più l gambe… non mi sorreggono più… -
Lei dolcemente mi tirò in piedi e mi sorresse sino al letto, dove mi buttai completamente vestito e mi addormentai.
Al mio risveglio mi accorsi immediatamente che avevo riacquistato sensibilità alle gambe. Kira dormiva seduta sul pavimento con la testa appoggiata sul letto. La mia mano stringeva la sua. La strinsi dolcemente e quel piccolo contatto la svegliò da qual sonno leggero in cui si era rifugiata.
- Buongiorno – mi sorrise – Come stai oggi? -
- Ragazza mia, non potrei stare meglio!- e con uno scatto repentino mi sollevai e la presi in braccio per poi sdraiarla sul letto.
- Allora, mia adorata moglie, cosa vuoi fare per iniziare bene questa giornata? – La mia era una domanda ironica in quanto mi aspettavo un’unica risposta, ma Kira non colpì il bersaglio.
- Sicuramente una bella colazione! – esclamò sgusciando via dal mio abbraccio – E tu faresti bene a farti una bella doccia: non la fai da almeno due settimane!- Mi fece l’occhiolino.
- E con questo cosa vorresti dire?- le chiesi mentre cercavo di afferrarla. Lei si rifugiò in cucina, ridendo. - A proposito – mi gridò – Ieri sera ho telefonato al dottore e mi ha spiegato che il tuo attacco è abbastanza frequente in un ragazzo abituato a fare sport e appena uscito dal coma. Non dovresti averne più -
Rimasi stupito dalla solerzia di mia moglie, dall’affetto che mi dimostrava. Davvero l’avevo fatta preoccupare così tanto?
- Mi ha anche chiesto – continuò poi, sempre urlando – della tua memoria. Come va? -
Già, la mia memoria. – Non lo so… non riesco a ricordare, ma il peggio è che non so cosa devo ricordare… - Lei tornò dalla cucina per guardarmi dritto negli occhi: - Non preoccuparti, vedrai che tornerà- Il suo tono era rassicurante, e questa volta ero certo che avesse ragione.

Quando uscii dalla doccia subito mi colpì il forte odore di bruciato.
- Kira! Cosa stai combinando con quella colazione? -
Mi vestii e seguii la puzza, entrando in cucina.
- Kira! – chiamai mia moglie con un filo di disperazione nella voce. Kira era sdraiata sul pavimento della cucina, priva di sensi. Il bacon stava bruciando nella pentola e le uova erano cadute, sporcando parte della cucina. Corsi da mia moglie e la presi in braccio. Continuai a chiamarla mentre la adagiavo sul letto. Le diedi dei bufetti sulle guance per cercare di farla rinvenire, ma invano. Il colorito del suo volto era pallido, cereo. Tornai in cucina a prendere i sali per farla rinvenire, ma qualcosa mi bloccò. Sul primo ripiano, perfettamente visibile, c’era un test di gravidanza che una scatola di sciroppo non riusciva a nascondere. Sembrava gettato lì di fretta, quasi a nasconderlo. Lo presi insieme ai sali e corsi in camera. Stavo per cercare di farla rinvenire ma, non so come né perché, guardai prima il test. Mi ci volle il foglietto d’istruzioni per scoprire che era positivo. Chiunque l’avesse fatto, era incinta. Non era difficile capire chi avesse comprato e fatto quel test. Mi immaginai Kira, la mia Kira tanto timida e impacciata, entrare in farmacia e chiedere un test di gravidanza. Mi misi quasi a ridere al pensiero della scena, ma mi fermai immediatamente. La mia Kira aspettava un bambino. Noi avremmo avuto un figlio. Ero perplesso.
Un gemito soffocato mi distolse da quei pensieri. Kira si svegliò e mi guardò. Aveva lo sguardo spento, fragile. L’impulso fu quello di abbracciarla, ma riuscii solo a sussurrarle: - Sei incinta… - Non era una domanda. Lei sgranò quei suoi occhi dolci, aprì la bocca e la richiuse subito dopo. Una lacrima amara e innocente… la vidi scendere lungo la sua guancia sinistra.
- Ehi… - cercai di rassicurarla – ehi, non preoccuparti… non devi aver paura… cresceremo nostro figlio, gli daremo un’educazione… crescerà felice con il nostro amore… -
Inspiegabilmente,lei scoppiò in un piano irrefrenabile che mi gelò il cuore e a cui non sapevo dare una spiegazione logica.
- Rei… - un sussurro impercettibile… altrettanto inspiegabilmente fu il mio nome sussurrato a bagnare le mie guance: mi scoprii a piangere nel vedere la sua espressione di disperata tristezza spegnerle il volto. La abbracciai e cercai di consolarla, ma invano: il pianto non accennava a spegnersi.
- Rei… - sentì la sua voce mormorare tra i singulti – ricordi la sera dell’incidente? -
- No… - le risposi triste.
- Quella sera te lo avevo confidato… -
- Che cosa? -
- La mia gravidanza. Te ne avevo parlato quello stesso giorno, ma la tua reazione è stata ben diversa… quella sera abbiamo litigato. – Capii che parlava a fatica, ma la lasciai continuare. Volevo, avevo il bisogno di sapere! – Quella sera mi feci arrabbiare e uscii sbattendo la porta. Vagai per la città con la mente non più lucida… quando arrivò la macchina non mi scansai e mi prese in pieno - I singhiozzi si facevano sempre più forti mentre una tremenda verità iniziava a far capolino nella mia testa, straziandomi il cuore.
- Sono rimasta in ospedale 5 giorni.. ma non c’è stato nulla da fare… -
Si staccò dolcemente da me, mentre con quegli occhi rossi di pianto mi rivelò: - Ho perso il bambino – concluse. La sua voce tradiva la disperazione che aveva nel cuore. La abbracciai di nuovo.
Non avevo la percezione del tempo. Rimanemmo immobili per diversi minuti, due anime ferite lontane dalla realtà e dal quel mondo che in quel momento ci sembrava così gelido. - E’ la più strana – sussurrò debolmente Kira – e la più pura delle cose, la sofferenza -
Non seppi rispondere.

Quella notte sognai di nuovo l’incidente che già avevo sognato qualche giorno prima. Kira stava attraversando la strada quando sopraggiunse una moto. Io, spettatore inerme, non potei far altro che guardarla essere travolta da quel motociclista. Vidi sopraggiungere una macchina a folle velocità dalla stessa direzione da cui proveniva la moto, il cui proprietario venne travolto dall’auto. Quando l’uomo scese dalla macchina e tolse il casco alla sua vittima vidi chiaramente quel profilo… quel ragazzo in moto ero io.
Madido di sudore mi risvegliai nel mio letto in una giornata splendente di sole. Kira dormiva accanto a me con un’espressione che sembrava quasi serena. Mi alzai, mi vestii e uscii di corsa. Vidi il profilo della mia moto, ma per la prima volta non ne volli sapere di usarla. Non dopo quello che era successo.

Ero stato io. Avevo ucciso io nostro figlio. Dio, perché era capitato proprio a noi? Non avevamo già sofferto abbastanza?
Vagavo per la città senza meta, con le lacrime agli occhi, mentre i passanti si voltavano a guardarmi, forse spaventati. Non me ne importava. I miei pensieri, il mio sguardo, il mio essere… il mio vivere erano solo per lei, la mia Kira. La mia Kira che continuava ad amarmi nonostante ciò che le avevo fatto. Non avevo dubbi: lei sapeva. E nonostante ciò i suoi sguardi per me erano d’amore, mai di dolore o di rimprovero. Ed io l’amavo. L’amavo per questo come solo un prigioniero poteva amare la libertà, come solo un condannato poteva amare la vita.

Raggiunsi il parco e vi entrai. Mi sedetti sulla panchina e lì vi rimasi, immobile, per tutto il giorno. Verso sera Kira arrivò, trafelata, ma felice nel vedermi.
- Rei! – mi gridò da lontano – Rei, cosa ci fai qui? Perché non sei tornato a casa? E’ tutto il giorno che ti cerco, ero preoccupata! -
- Perché mi ami? - Le chiesi quando fu vicina. Avevo bisogno di quella risposta, avevo bisogno di saperlo...
Lei mi guardò stranamente: non capiva la mia domanda. – Ti prego, rispondimi… -
Seppur sorpresa, mi rispose: - Ti amo per come sei, Rei. Così pieno di vita, allegro anche ferito nel profondo. E poi… mi hai accettata come sono… non ti aspetti nulla da me, ti basta amarmi. E per questo io ti amo. Lo sai perché sei l’unico uomo che non ho mai immaginato di uccidere? - La guardai.
- Perché conosci la disperazione. Conosci il dolore di una ferita che non può rimarginarsi – La fissai, grato di quelle parole. Non meritavo quell’amore così puro che Kira era disposta a donarmi, sempre e comunque. Le presi il viso tra le mani e le baciai la fronte.
- E lo sai io perché ti amo? –le chiesi – Perché il tuo è un amore sincero, puro. Mi ami per ciò che sono, nonostante tu conosca il mio passato. Non sono perfetto… anzi! Ho un sacco di difetti, ma tu mi ami per ciò che di bello c’è in me… e un giorno dovrai spiegarmi cos’è… -
Lei sorrise con un sorriso sincero come il suo affetto. - Riuscirai a perdonarmi? – le chiesi.
- Sai… avevo fatto un patto con te, due settimane fa: ti avrei perdonato se tu ti fossi svegliato…direi che il problema non sussiste più…. -
Tornammo a casa insieme, abbracciati mentre passeggiavamo per le strade della città. Molti si giravano a guardarci, ma a nessuno importava nulla di noi, e a noi non importava niente di loro.

Quella sera bruciammo la nostra passione. Incominciò una nuova pagina della nostra vita, e mentre la cullavo tra le mie braccia giurai a me stesso che quella stessa sera le avrei ridato ciò che le avevo portato via. Poche settimane dopo Kira mi avrebbe rivelato che avevo tenuto fede alla promessa.


   
 
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