Non c’è nulla di male nell’essere tristi.
Nonostante la stizza che gli ha fatto rompere con i denti il nastro argentato
che avvolgeva il pacchetto, John Watson
non riesce a trattenere un sorriso. I titoli dei manuali di aiuto-aiuto sono
pessimi. Negli ultimi tre anni Molly glie ne ha fatti trovare un infinità nella
cassetta delle lettere e ognuno di essi era un trionfo del banale, una serenata
ai luoghi comuni.
Sono
passati tre anni dalla morte di Sherlock e la cura a base di Alprazolam e Stilnox(*) è servita
solo a fargli prendere otto chilogrammi. Gli incubi sono ancora lì, dietro le
palpebre, in attesa di uscire fuori e ricordargli cosa ha fatto.
Ha lasciato che Sherlock si uccidesse. Non l’ha salvato. Proprio come non ha salvato quella donna.
Donna, Dio che parola grossa. Glie l’hanno presentata come tale, quando nel suo
letto di ospedale cercava di venire a patti con la vita e con il mondo aldilà
dei suoi cari libri, ma aveva solo diciotto anni e un viso ancora tondo e
infantile. Se chiude gli occhi John può ancora vederla mentre gli punta contro
quel fucile più grande di lei e cerca di
farsi forza e sparare mordendosi le labbra.
Voglio aiutarti, voglio solo aiutarti.
Metti giù il fucile tesoro, sono un dottore. Sono state le ultime parole di
John a quella bambina nata in un modo all’incontrario, prima che il sangue
diventasse tutto e la sua vita mutasse in una lunga sequenza di tic più o meno
nascosti.
Londra a Natale
sembra una puttana pronta per una notte di lavoro.
Troppe luci, troppi sorrisi, troppo trucco a coprire le ferite e gli sguardi
stanchi. Fra i pacchetti e le coccarde,
John scorge il marcio che c’è sotto. Un marcio ignorato, volutamente o
chissà, per quasi quarant’anni. Che gli fa male, che gli rivolta lo stomaco e
gli fa sentire il sapore della bile in bocca.
Vede anche se non vorrebbe quell’uomo onesto e per bene, quello che tutte
vorrebbero come marito, che si fa incartare due capi identici di lingerie e
poi, come se niente fosse, lascia cadere
l’occhio nella scollatura della commessa che ha l’età per essere sua figlia.
Vede l’espressione spenta di quella donna che risale la via carica di buste
della spesa, il suo stringere i denti per non crollare, completamente dimentica
di quando, un tempo, amava cucinare per la famiglia e sentirsi importante e al
centro dell’attenzione per il bel lavoro fatto.
John sa
che Mary vorrebbe qualcosa di più da lui, che non le basta più passare qualche notte assieme e
quei baci rubati a lavoro. Più di una
volta, durante le pause fra un turno e l’altro, l’ha sorpresa a sbirciare con sguardo
sognante abiti da sposa su internet e ogni volta che passano di fronte ad una
gioielleria, sono gli anelli di fidanzamento gli unici gioielli che ammira.
John vorrebbe accontentala, chiudere l’affare per così dire e darsi una vita
tranquilla e lontana dalle ombre, ma non riesce a chiudere completamente con
quel passato che ogni notte torna a salutarlo.
Non riesce a chiudere con quella razza con gli occhi spalancati sul niente e
con la sagoma lontana di Sherlock contro quel cielo assurdamente azzurro.
Sarebbe come metterci una pietra sopra e su entrambi, ha già messo un pugno
della terra e un mazzo di fiori.
-Cosa
vorresti per Natale?-
John è infastidito. Distoglie dopo diversi secondi lo sguardo dal televisore
infondo al pub e quasi nascosto dagli altri clienti, per lanciare un occhiata a
Greg Lestrade seduto accanto a lui al bancone. Greg
dovrebbe sapere ormai che il Natale non fa più per lui. Dovrebbe averlo
accettato e invece, come Molly, continua ad insistere.
-Nulla, grazie.-
La mano di John si chiude a scatto accanto al boccale di birra e Lastrade la osserva per alcuni secondi. Il movimento si
ripete, ancora, nonostante John sia tornato a guardare la partita e sembri
tornato tranquillo.
-Non hai nemmeno un desiderio?-
John sorride -Ne avevo uno, ma non si è avverato. - si chiude nelle spalle,
sorridendo di sé stesso e del suo infantilismo - Forse perché l’ho detto ad
alta voce o forse perché non era proprio un desiderio…-
" Per favore, c'è un ultima cosa. Un ultimo miracolo
Sherlock, per me. Non essere morto. Puoi farlo? Solo per me." (**)
La
vigilia di Natale John la passa da solo. Mary ha provato a convincerlo in tutti
i modi che i suoi amici sono persone socievoli e che sarebbero state
felicissime di conoscerlo finalmente, ma non ha voluto sentire ragioni. Il Natale
lo odia, ma pensa ancora che sia ancora un momento da passare con chi si ama, e
non con un tappabuchi e con una manica di sconosciuti.
Si reca quindi al cimitero e come negli ultimi tre anni, posa un pacchetto
sulla lapide di Sherlock. Non ha idea di che fine abbiano fatto gli altri due
regali che gli ha fatto, probabilmente qualcuno li ha visti passando e se li è
presi, o qualche giornalista si è fatto quattro risate alle sue spalle.
-Buon Natale, Sherlock.-
John è a metà strada fra il vialetto che conduce alluscita e la tomba di
pietra nera alle sue spalle che un
rumore di carta che viene strappata lo sorprende e lo fa trasalire. John si
volta di scatto, è buio e qualche fiocco di neve scende su di lui, bagnandogli
il naso e gli zigomi.
Sherlock è accanto alla sua lapide e sta scartando a testa bassa il pacchetto
che ha lasciato per lui - Lo Hobbit.- esclama -Nonostante
io sia inglese non l’ho mai letto.-
John si
sente come Ebenezer Scrooge di fronte al fantasma del
Natale Passato, ma Sherlock non è un fantasma. E’ fottutamente vero . E’ fiato condensato quella nuvoletta bianca
che sfugge dalle sue labbra ad ogni respiro e le sue mani tremano leggermente
per il freddo mentre appallottola la carta da regalo e se la infila in tasca.
-Questo
perché non sei mai stato una persona normale, nemmeno da piccolo.-
-La normalità è noiosa.-
- Lo Hobbit fa parte della cultura nazionale. Tutti lo
hanno letto almeno una volta.-
-Da piccolo avevo di meglio da fare che leggere di ometti paffutelli con i
piedi pelosi.-
John sa benissimo che non è per un libro che sente la rabbia montare, però non
riesce a trattenersi e ad indirizzarla verso il giusto binario -Sei mai stato
un bambino vero o ti hanno creato da un pezzo di legno?-
-Ho sempre pensato che sia assurdo raccontare
favole ai bambini. Sono solo contenitori per metafore sessuali. Dovresti
proprio leggerlo quel saggio sui fratelli Grimm che ti ho regalato per il compleanno.-
John lo
carica a testa bassa e Sherlock non fa nulla per difendersi. Piombano
assieme sull’erba rinsecchita e prima di
poter collegare braccio e cervello, John ha già piantato un pugno sulla
mascella di Sherlock.
Il dolore alla mano è forte, ma John è quasi folle per la rabbia che sente
pulsare nella testa come un tamburo da guerra, da percepirlo solo come un
lontano fastidio. Tira di nuovo indietro
il braccio e Sherlock sputa un grumo di sangue sul suo giaccone bianco.
John segue quel rivolo rosso sulla tela
cerata e come per magia si calma. Allenta la stretta del pugno, lascia cadere
il braccio. Si sgonfia come un palloncino sotto lo sguardo di Sherlock che si
pulisce la bocca sporca di sangue con il dorso di una mano.
-Buon Natale
a te, John.-
John si arriccia sul petto del consulente investigativo che gli accarezza
delicatamente i capelli con le dita gelate, la fronte contro la sua spalla e
inspira ed espira profondamente il suo odore.
Natale, la festa del consumismo.
Natale, la festa dove tutti sono più buoni.
Natale, la festa in cui si festeggia una nascita.
John alza
la testa osservando Sherlock sdraiato sotto di lui. Questa notte per lui non rinasce
come una benedizione il Santo Bambino , ma la vita che aveva lasciato in
stand-bay nell’appartamento deserto del 221b di Baker Street -Andiamo a casa
Sherlock.-
Nella speranza che questa piccola one shot sia di vostro gradimento, vi faccio tantissimi auguri di Natale.
Ino chan.
(*)[Farmaci per la cura dell’insonnia cronica]
(**) [Citazione tratta dall’ultimo episodio della seconda stagione]
(***)
Ci sono tantissime fan art che ritraggono incontri di John e Sherlock sulla
tomba di quest’ultimo o di John che lascia regali sulla sua lapide. Non posso
citarle tutte purtroppo.