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Autore: Silvar tales    20/12/2014    5 recensioni
«Cosa ti ha portato qui, Thorin Scudodiquercia? La nostalgia...»
Il Re elfico cominciò ad accarezzare le sbarre con la mano, mentre camminava fluente e adagio avanti e indietro di fronte al loculo dove il regale Nano era rinchiuso.
«...la vendetta, la brama, la follia...» continuò, sempre più incalzante, «oppure, tutte e quattro le cose?»
Genere: Angst, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Thorin Scudodiquercia, Thranduil
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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Il Signore delle Argentee fonti


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«Ogni singola moneta di questo tempio profanato vale più dei miei congiunti, più del mio onore, più della mia vita».



L'Uomo del Lago teneva l'Archepietra stretta in pugno, in alto sopra la testa.
«È un adeguato pegno, in cambio dell'oro che ci è dovuto, mio signore Thorin Scudodiquercia?» gridò sufficientemente forte perché il Re sotto la Montagna, dall'alto del suo presidio, potesse udirlo. Ma Thorin non udiva più alcunché.
Come fosse stregoneria, l'antico bagliore del Cuore della Montagna ingabbiava i suoi cinque sensi, essi tutti quanti si prostravano agli occhi, che bramosi e famelici rincorrevano la luce di quella stella caduta. La perduta gloria dei suoi padri.
«Ladri! Non avete alcun diritto sul cimelio della nostra casata!» tuonò Kili infuriato.
«Per questo intendiamo rendervelo, ma a condizione che il tuo Re onori le promesse fatte». Detto questo, Bard nascose nuovamente l'Archepietra all'interno della casacca, e Thorin riprese a respirare.
«Inganno, inganno, inganno, inganno, inganno...» ripeteva febbrilmente tra sé, stringendosi una mano alla gola come se dovesse soffocare.
«È una menzogna! L'Archepietra è nella Montagna!»
Ce l'ha uno di loro... uno di loro me la tiene nascosta... traditori... traditori del loro stesso sangue!
I suoi occhi velati di follia incontrarono per un secondo quelli alteri del Re degli Elfi.



*



«Cento anni sono un mero battito di ciglia per un Elfo. Sono paziente, posso aspettare».

Thorin Scudodiquercia dormiva con la fronte appoggiata contro le sbarre della cella, e persino nei suoi sogni i giorni scorrevano inarrestabili dietro le sue palpebre chiuse.
Nei suoi sogni, Erebor crollava su sé stessa, e le sue mani, callose e nere di polvere, cercavano disperatamente di raccattare ogni sasso che rotolava a valle, e di riporlo in cima.
Ma il suo istinto non ancora sopraffatto dal logorante torpore della prigionia interruppe di botto quell'insofferente evocazione onirica.
Seppur leggeri, come solo quelli di un Elfo potevano esserlo, sentì comunque i suoi passi avvicinarsi, accompagnati da un fruscio di vesti leggere come l'aria.
Thranduil si fermò davanti alle sue sbarre, e lo guardò con sufficienza, con lo sguardo distaccato di chi vive in un mondo senza tempo.
«Cosa ti ha portato qui, Thorin Scudodiquercia? La nostalgia...»
Il Re elfico cominciò ad accarezzare le sbarre con la mano, mentre camminava fluente e adagio avanti e indietro di fronte al loculo dove il regale Nano era rinchiuso.
«...la vendetta, la brama, la follia...» continuò, sempre più incalzante, «oppure, tutte e quattro le cose?»
Thorin sorrise divertito, e sostenne il suo sguardo a lungo. Con tutta probabilità, sostenere lo sguardo di Thranduil del Reame boscoso era cosa più ardua che piantargli una spada in petto.
Ma Thorin aveva ormai imparato a non lasciarsi intimidire dai suoi occhi penetranti, che parevano poter scavare la dura scorza della pelle ed arrivare a toccare le corde dell'anima.
«E cosa invece ti ha portato quaggiù, stanotte, Thranduil, Signore degli Elfi silvani?»
Thranduil si piegò sulle ginocchia, e ora guardava Thorin come suo pari, e i suoi occhi brillavano ora di una luce diversa, l'ombra della cupidigia.
Thorin sapeva a cosa stava pensando, ed era uno stupido se pensava che si fosse inginocchiato per portargli rispetto.
Anch'egli bramava i bianchi gioielli nascosti nel ventre di Erebor, ma che Erebor non avrebbe mai rigurgitato spontaneamente, nemmeno fossero passati altri mille anni.
Egli catturò le sue labbra con le proprie, e il bagliore dei suoi occhi scomparve dietro le sue palpebre. Thorin inspirò profondamente, e appoggiò tutto quanto il suo peso contro la grata.
«La nostra amicizia», gli sussurrò Thranduil a fior di labbra. Le sue labbra erano gelide come neve.
«La nostra amicizia è morta da tempo, assieme alla mia fiducia nella tua gente», ringhiò il Nano di rimando. C'era solo collera nella sua voce, nel suo sguardo.
«Un vero peccato», fece l'Elfo risentito, e si rialzò in piedi. Ora lo guardava nuovamente dall'alto al basso.
«In verità una cella buia e umida non è una sistemazione che si addice a un figlio di Durin. I miei appartamenti sono vuoti, e anche non lo fossero, lo spazio per un Nano si trova sempre.
Sono pentito, Erede della Montagna, per il trattamento che ti riserbai la scorsa luna. Ora voglio fare ammenda». E mentre diceva queste umili parole, la sua espressione di superiorità e il suo sorriso schernitorio a tutto facevano pensare fuorché a un pentimento.
«Io so che cosa vuoi», Thorin si addossò alle sbarre come se volesse passarvi attraverso. Lo fissò con occhi truci, e non poteva fare a meno di tremare di rabbia quando si rivolgeva al Signore elfico.
«Le bianche gemme, sono esse che ammorbano il tuo cuore di desiderio, esse e il bagliore lunare che in esse è imprigionato, ma se credi che cederò alle lusinghe...»
«Ma la mia non è una lusinga...», in un baleno, il Re mise mano alla serratura, e spalancò la porta della cella. Per poco Thorin non cadde in avanti. Lo guardò freddo e intransigente, e quando aprì bocca, stavolta la sua voce autoritaria non ammetteva proteste, nemmeno quelle di un Nano testardo.
«...il mio è un ordine».
Gli diede le spalle e prese a salire le scale che portavano ai grandi saloni superiori.
E stavolta Thorin lo seguì.



*





«Una malattia, una malattia che ha nome di bramosia ammorba il Re dei Nani. Egli non è più il Signore delle Argentee fonti, ma un usurpatore cieco e corrotto. Questa gemma prodigiosa gli si addice meno di quella corona che indebitamente gli cinge la testa. La sua codardia e la sua slealtà sono tali che non mi stupirò se ora vorrà colpirmi con una freccia alle spalle».
Dopo queste altezzose e irate parole, Thranduil voltò il capo dell'enorme palco che cavalcava, e galoppò alla volta di Dale.
Bard, infuriato e impotente, indugiò un poco, ma infine si arrese a seguirlo.
Thorin, dall'alto della sua barricata, tornò a rifugiarsi all'interno della Montagna. Ignorò le domande e le proteste degli altri Nani, ormai non sentiva più le loro voci.
Corse sempre più in basso, finché non giunse alle grandi aule del tesoro di Thrór.
Vi erano delle sale laterali più piccole e più basse, anch’esse stipate di preziosi, e il Re entrò in una di queste. Su un alto piedistallo di pietra, vi era un antico e preziosissimo monile forgiato dai Nani, incastonato di Gemme della Luna, le Gemme Bianche, le stesse che fecero da ancelle al Silmaril nella collana di Nauglamír, che non aveva eguali in splendore, grazia e lucentezza.
Strinse in pugno il bianco gioiello con una rabbia incontrollabile. Corse verso le scale delle forgie e, arrivato sull’orlo dell’abisso, lo scagliò in aria.
E mai udì il sottile rumore delle gemme che si frantumavano sul fondo.
   
 
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