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Autore: Madison Alyssa Johnson    21/12/2014    6 recensioni
Clastian ambientata durante Città del Fuoco Celeste, al momento della visita di Sebastian a casa di Amatis.
Clary sta per fare una scelta che potrebbe cambiare tutto. L'istinto la spinge a un gesto estremo, ma per una volta potrebbe non essere l'odio a unirli.
Clary corrugò le sopracciglia. Si contorse come un pesce fuor d’acqua, ma per quanto si dibattesse non sarebbe mai riuscita a liberarsi dell’incantesimo di Sebastian. Ringhiò e si mise seduta. Si appoggiò alla testiera e incrociò le braccia.
Sebastian rise tra i denti. ‒ Vedi, è questo che mi piace di te. ‒ disse, immobile. ‒ Anche paralizzata e muta, trovi sempre il modo di dire la tua. ‒ Le si fece più vicino e le sganciò la cintura delle armi per sistemarla su una mensola, lontano dalla sua portata. Tornò a sedersi come se avessero tutto il tempo del mondo, più vicino di prima. Il sangue gli ribolliva nelle vene. Ogni cellula gli ordinava di prenderla. Era venuto per quello, in fondo.
Genere: Angst, Guerra, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Clarissa, Jonathan, Sebastian / Jonathan Christopher Morgenstern
Note: What if? | Avvertimenti: Incest, Spoiler!
- Questa storia fa parte della serie 'Anybody capable of love is capable of being saved.'
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So you never felt the attraction that comes from someone who is capable of doing terrible things for some reasons cares only about you?
 
Klaus Mikaelson ~ The Vampire Diaries (4x07)
 
Clary le disse lui, trattenendola per una manica. Stai attenta.
Lei si liberò delicatamente e salì le scale, portandosi la pietra runica di stregaluce per vedere dove metteva i piedi.
Le finestre lungo il corridoio del piano di sopra erano aperte, e lasciavano entrare una brezza fresca, mista allodore di pietra muraria e acqua di canale, che le sollevava i capelli dal viso.
Arrivò in camera sua, spinse la porta per aprirla... e restò di ghiaccio. La pietra runica le pulsava nella mano, emanando intensi raggi di luce in tutta la stanza.
Cera qualcuno seduto sul suo letto. Qualcuno seduto di lato, con i capelli chiarissimi, una spada sulle ginocchia e un braccialetto dargento che, investito dalla stregaluce, mandava scintille di fuoco. «Se non posso muovere i celesti, muoverò gli inferi.» Salve, sorella mia. disse Sebastian.
 
Clary schiuse alle labbra, ma non riuscì a gridare. Non che non volesse, ma le labbra di suo fratello sulle proprie non le diedero il tempo di articolare neanche un sospiro. Sgranò gli occhi e morse alla cieca.
Il sangue di Sebastian le schizzò in bocca insieme al proprio, ma non bastò a fermarlo. Le mani di lui le artigliarono i fianchi e la tennero ferma mentre un gelo strisciante si impossessava di lei.
Tentò di chiedere che diamine le stesse facendo, ma qualcosa di molto più potente di una semplice runa del Silenzio le stritolò la gola. Ansimò, sgranò gli occhi e si dibatté, ma le gambe la tradirono. Crollò a terra, contro la porta chiusa, e ogni tentativo di spingerlo via si rivelò più debole di quanto avrebbe voluto.
Sebastian la prese in braccio come se fosse stata una bambola e la fece stendere sul letto, quindi le sedette al fianco. Sorrideva e i suoi occhi non erano mai stati così colmi, ma di cosa non riusciva a capirlo. Era un lucore febbrile, al confine con il delirio, eppure i tratti erano distesi, privi di rughe. Sebastian era lucido, a dispetto di qualsiasi fermento. Le accarezzò il viso con il dorso della mano. ‒ Non sono venuto per litigare, Clarissa. ‒ disse. ‒ Sono venuto per parlare e tu ascolterai, una volta e per tutte.
Clary rabbrividì e si ritrasse. « Liberami. » scandì, muta e accigliata.
Sebastian scosse la testa. ‒ Se lo facessi, grideresti; o cercheresti di uccidermi.
Clary roteò gli occhi.
‒ D’accordo, forse ne avresti il diritto. ‒ concesse il ragazzo. Le colse una ciocca di capelli e se la rigirò tra le dita. ‒ Ma cambierai idea. ‒ Si leccò le labbra come un gatto. Un ricordo scintillò nell’eco di un sorriso, ma fu solo un istante. ‒ Io e te ci apparteniamo, lo sai. Non potrai tenermi lontano per sempre. Il mio sangue ti chiama come il tuo chiama me.
Clary corrugò le sopracciglia. Si contorse come un pesce fuor d’acqua. Ringhiò e si mise seduta. Si appoggiò alla testiera e incrociò le braccia.
Sebastian rise tra i denti. ‒ Vedi, è questo che mi piace di te. ‒ disse. ‒ Anche paralizzata e muta, trovi sempre il modo di dire la tua. ‒ Le si fece più vicino e le sganciò la cintura delle armi per sistemarla su una mensola, lontano dalla sua portata. Tornò a sedersi come se avessero tutto il tempo del mondo, più vicino di prima. Il sangue gli ribolliva nelle vene. Ogni cellula gli ordinava di prenderla. Era venuto per quello, in fondo. Le sfiorò una gamba. Non poteva farlo. Per quanto la desiderasse, la voleva consenziente. Ancor più del suo corpo, voleva quello sguardo che lei troppe volte aveva rivolto a Jace. ‒ Sai, quando eravamo a Parigi ho pensato davvero che mi stessi dando una possibilità. Credevo ti stessi sciogliendo e che presto avrei potuto rivelarti cosa avevo in mente di fare.
Clary arricciò le labbra e subito se le morse.
‒ Ero certo che mi avresti seguito. Sono stato così vicino a sentirmi felice che... per un momento ho persino pensato che avrei potuto lasciar perdere la Coppa Infernale. Che sciocchezza, eh? Eppure, se tu me l’avessi chiesto, l’avrei fatto.
Clary sgranò gli occhi e scosse la testa.
Sebastian sogghignò e si sporse in avanti con il busto. ‒ Fingere che stia mentendo non mi renderà un bugiardo, sorellina. ‒ sussurrò sulle sue labbra. Le sfiorò con le proprie e si ritrasse prima che Clary potesse morderlo ancora. ‒ Tu hai visto cosa mi ha fatto nostro padre. Sai cosa ha fatto a Jace... e lui era il suo preferito. Puoi davvero farmene una colpa, se non sono il Principe Azzurro? ‒ la incalzò. La prese per i fianchi e le contò le vertebre dalla base alla nuca. La strinse a sé, petto contro petto nonostante le braccia di lei nel mezzo, e piegò la testa nell’incavo della spalla di lei. ‒ Ti voglio. ‒ sussurrò. ‒ E ti avrò, a costo di raccoglierti dalle ceneri del mondo. Non importa quanto ci vorrà. ‒ Si alzò e sciolse i vincoli che aveva stretto intorno a lei. Sarebbe stato più logico portarla via di peso e domarla lontano da occhi indiscreti, ma ciò che lo legava a lei era la parte migliore di sé, quella scintilla di umanità che ancora gli restava e finché fosse esistita non l’avrebbe presa con la forza, in nessun senso.
Clary boccheggiò e si sporse in avanti prima ancora di rendersene conto. ‒ Aspetta. ‒ biascicò. Stringere le dita intorno al suo polso fu un sollievo illogico, ma che le riempì lo stomaco di un calore sufficiente a far impallidire lo stesso fuoco celeste. ‒ Non... non puoi... ‒ tentò di dire, ma il soffocamento che l’aveva costretta a tacere le rendeva difficile articolare i suoni.
Sebastian sentiva che non avrebbe dovuto farlo, ma le sedette accanto. Le accarezzò il viso, la nuca e il collo. Farle un iratze sarebbe servito a poco. Setacciò la stanza con gli occhi e scorse una bottiglia semivuota su un tavolo. Si alzò per prenderla e la porse alla ragazza.
Clary seguì le sue manovre come se appartenessero a qualcun altro, ma accolse l’acqua come una benedizione. Avrebbe dovuto approfittare di quel momento per recuperare Eosforos e infilargliela nella schiena, invece si stava sforzando di dire la più grande sciocchezza della sua vita. Lasciò cadere a terra la bottiglia e si leccò le labbra umide. Sapevano di lui. ‒ Non puoi andartene senza lasciarmi ribattere. ‒ si lasciò scappare e per un momento desiderò di prendersi a schiaffi. Era anche peggio di quello che voleva dire in realtà.
Sebastian le sorrise e la baciò ancora, a lungo, ma senza furia. ‒ Dammi un motivo. ‒ sussurrò, ma non le diede il tempo di replicare, o di reagire. Doveva essere impazzito, per forza; non c’era altra spiegazione per quello che stava facendo. Stava mettendo a rischio il piano solo per quelle labbra più dolci del miele.
Clary ci mise più del necessario, ma premette le mani sulle sue spalle e si ritrasse. ‒ Non puoi avermi così. Non puoi. Sono tua sorella.
Sebastian digrignò i denti. ‒ Con Jace non ti importava. ‒ Si alzò. ‒ Io sono migliore di lui. Posso darti di più. Posso darti il meglio.
Clary scosse la testa. ‒ No. ‒ disse. ‒ Tu puoi darmi solo cenere e morte. Questo non è amore.
Gli occhi di Sebastian fiammeggiarono. ‒ E allora cos’è, per te, l’amore?
Tutto avrebbe potuto aspettarsi, Clary, ma non quella domanda. Si morse il labbro inferiore. Tutte le definizioni che le venivano in mente sembravano sbagliate, forse perché erano pregne di Jace. ‒ Amare è volere il bene dell’altro anche a dispetto del proprio. ‒ decise.
Sebastian grugnì, ma non bastò a trattenere la risata amara che gli sfuggì dalle labbra. ‒ In pratica devo smettere di esistere, così tu e il tuo amato Jace potrete vivere felici e contenti a mie spese. ‒ sbottò. Avrebbe voluto distruggere qualcosa, qualsiasi cosa, per dare sfogo a ciò che si muoveva nel suo stomaco, ma nei paraggi non c’era niente di adatto allo scopo. ‒ Scommetto che tu e lei siete state contente quando sono morto. Avete festeggiato? Brindato?
Clary strinse i pugni. Perché distorceva ciò che stava cercando di dirgli? Caricò lo schiaffo sulla spinta di una disperazione difficile da definire e non si stupì più di tanto quando la mano grande di Sebastian parò il colpo. ‒ Non sono io, la cattiva! ‒ protestò, satura.
‒ Mi hai lasciato solo, come tutti gli altri. Sei colpevole come tutti gli altri. ‒ Sebastian la spinse via. Era stato tutto inutile. Con le buone maniere non si otteneva mai niente. Fece ruotare l’anello dei Morgenstern.

 

Apparve in camera sua e lasciò andare l’aria rimasta nei polmoni. Riaprì gli occhi e si scontrò con qualcosa per cui non era preparato. ‒ Clarissa.
‒ Non puoi scappare nel mezzo di una discussione.
Sebastian rise. La strinse a sé e sentire la carne morbida della donna per cui avrebbe fatto a pezzi tutto sotto le dita rese tutto sfocato e inutile per diversi secondi. ‒ La tua testardaggine è la tua condanna, sorellina. ‒ sibilò. La baciò e la spinse contro il muro.
Clary mugugnò una protesta che si perse nello scontro delle labbra. Gli graffiò le spalle e morse il labbro, ma non aveva bisogno di specchiarsi negli occhi di Sebastian per sapere di non avere affatto l’aspetto di una vittima. ‒ Non hai capito niente, né dell’amore, né di me.
‒ Ti sbagli, sorellina. ‒ Sebastian sorrise. ‒ Ho capito più di quanto credi. ‒ La ingabbiò meglio tra sé e il muro. Poteva sentire il suo cuore battere contro il proprio, al ritmo del respiro che gli inondava la pelle pallida. ‒ Sei qui, con me, e non ti lascerò più andare.
Clary si irrigidì nella sua presa, ma non tentò di sfuggirgli. ‒ Non ho festeggiato la tua morte. ‒ sussurrò. Aveva festeggiato per quella di Valentine, per essere ancora viva, ma non lo odiava abbastanza da gioire della sua dipartita. Se fosse morto in quel preciso istante sarebbe stato diverso, ma questo era meglio non specificarlo.
‒ Però non mi hai nemmeno pianto.
‒ Per colpa tua tutti quelli a cui tengo rischiavano di morire, ti ricordo.
Sebastian annuì e arricciò le labbra in una smorfia. ‒ Ero diverso, allora. O forse sono diverso ora. ‒ Le disegnò le labbra con il pollice e represse l’eco di un pensiero.
Clary dovette ingoiare un sospiro. ‒ Torna ad Alicante con me. Possiamo ancora sistemare le cose.
Sebastian assottigliò le labbra e lo sguardo. ‒ Non servirebbe ad averti.
‒ Non in quel modo, no. ‒ confermò Clary. Gli accarezzò il viso con una mano e per una manciata di secondi le parve di cogliere un velo di pelle d’oca sotto le dita. ‒ Ma posso essere tua sorella.
Sebastian intrecciò lo sguardo al suo. Tremava fino al midollo, eppure non un muscolo si muoveva, come se fosse stato trasformato in pietra. ‒ Sarebbe peggio. Guardarti con un altro sarebbe anche peggio di perdere i marchi e diventare un mondano.
Clary deglutì. La parte di lei che l’aveva portata lì (ovunque fosse lì) ruggiva nel suo ventre e lottava con tutto il resto che si sforzava di restare aggrappato alla realtà. ‒ Jonathan... ‒ sussurrò, ma non riuscì ad aggiungere altro. C’era qualcosa, in quegli occhi neri, che sembrava divorarle l’anima.
Sebastian le strinse le spalle fino a farle scricchiolare le ossa. Aveva le nocche bianche e la mascella contratta. ‒ Il mio non è un capriccio, Clarissa. ‒ disse. ‒ Ho bisogno di te più di quanto abbia mai avuto bisogno di Jace. ‒ La baciò, mai sazio di lei. Assaporò la sua lingua contro la propria, la mascella e la pelle del collo. Succhiò per lasciare una traccia visibile del proprio passaggio e scese sul petto.
A Clary girava la testa. Come era arrivata a quello? Lo aveva seguito per convincerlo a fermare la guerra, invece era lui che stava persuadendo lei. Il suo corpo lo riconosceva, anche se era sbagliato. Annegava proprio come alla tenuta dei Fairchild, ma lo voleva. Gemette.
Il sangue demoniaco ribollì e ringhiò. ‒ Una volta, una soltanto. ‒ gli uscì, come un rantolo.
Clary non avrebbe saputo spiegare perché, ma lo abbracciò. Gli cinse le spalle e gli accarezzò i capelli. Deglutì a vuoto, come se avesse la gola cosparsa di cannella. ‒ Non posso. ‒ bisbigliò. Se solo non fossi vergine... Non osò terminare il pensiero. Non avrebbe dovuto neanche pensare una cosa del genere, eppure era lì, che picchiava al margine della coscienza.
Sebastian si ritrasse. ‒ Allora vattene. Torna ad Alicante, ma sappi che la prossima volta che ti vedrò, ti ucciderò. Se non posso averti io, non ti avrà nessuno.
Clary non si mosse. Quella era la sua migliore occasione per andarsene, non ne avrebbe avuta un’altra, ma non poteva. Sapeva anche che non aveva senso, questa sua apprensione per Sebastian. Era un mostro, l’aveva dimostrato in più di un’occasione e tutti non facevano che ripeterlo, ma lei non riusciva a dimenticare Parigi. Scosse la testa. ‒ Non me ne vado, se prima non mi dici perché. Cosa ci guadagni, a distruggere tutto?
Sebastian fece schioccare la lingua. ‒ Non sono affari tuoi. ‒ ribatté, quasi offeso da quella domanda.
‒ Sì, invece, se mi vuoi con te in questa follia! ‒ rilanciò Clary. Si allontanò dal muro e appoggiò le mani sui fianchi nella migliore imitazione di Jocelyn che la sgridava quando era piccola. ‒ Convincimi e sarò dalla tua parte.
Sebastian sospirò. Si passò una mano tra i capelli chiari e sorrise. ‒ Lo faccio per Lilith. ‒ ammise e il tono quasi disperato con cui sussurrò quelle quattro parole, unito al tremore che gli incrinava la voce, bastò ad aggiungere ciò che non aveva saputo confessare.
‒ Lei non è tua madre, Jonathan. Jocelyn è tua madre e il suo più grande rimpianto è averti lasciato con Valentine. Pensava che i suoi esperimenti avessero distrutto la tua umanità, ma se ti vedesse ora... credi che non ti aiuterebbe?
Sebastian scosse la testa. ‒ Mi infilerebbe una spada angelica nel cuore prima che possa dire “a”. ‒ Le si accostò di nuovo e la strinse a sé. ‒ Ma non mi importa. ‒ disse. ‒ A me basti tu.
Clary affrontò i suoi occhi, immobile. ‒ Non combatterò contro la mia famiglia e i miei amici e non accetterò che bevano dalla Coppa Infernale. ‒ Gli accarezzò le spalle, la nuca, il viso. ‒ Mi hai chiesto se per te può esserci perdono e io dico di sì, se ti dài tu per primo una possibilità.
Sebastian le prese i polsi. La guardò come se volesse dire qualcosa, ma rinunciò, distratto dalle mani sottili di Clary che ricambiavano la stretta e gli esploravano le braccia e la schiena attraverso la stoffa. Un sospiro languido gli scivolò tra le labbra e le distese in un sorriso. ‒ Un mese. Dammi solo un mese per farti innamorare. Se non ci riuscirò, faremo a modo tuo.
Clary sorrise. ‒ Sarò al tuo fianco in ogni caso. ‒ promise e fu lei a baciarlo. Fu delicata, lenta, quasi timida. Esplorò le labbra di suo fratello con le proprie, con la lingua e con i denti. Un brivido caldo le riempì lo stomaco di lava e seppe di essersi imbarcata nella più grande follia della sua vita. Se fosse riuscita a mostrargli ciò che di bello aveva il mondo e a convincerlo a fermare la guerra, le sarebbe bastato. Come sorella o come amante, o come entrambe sarebbe stato da vedere. 

A circa un anno di distanza dalla conclusione di questo progetto, sento il bisogno di revisionarlo e questo è il risultato dell'editing svolto. Spero vi sia piaciuto.
   
 
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