Eh
già, eccola qui, la ficcy che ho promesso alla mia
collega su una coppia che non avevo mai preso in considerazione ma che, devo
ammetterlo, mi piace un sacco!
Non
è venuta proprio come avrei voluto, ma spero ti piaccia lo stesso!!!
Un bacione, collega!
Temperance
Breakfast at Tiffany’s
The greatest thing you could ever learn
Is just to love and be loved in return.
(da Moulin Rouge)
Caitlyn
si sedette, come ogni mattina, sulla panchina davanti alla gioielleria Tiffany,
la schiena voltata verso la strada e le braccia appoggiate sullo schienale, in
modo da poter vedere la vetrina, poi estrasse la brioche al cioccolato dal suo
cartoccio ed iniziò a mangiare.
Sì,
lo sapeva.
Sapeva
che andare a fare colazione da Tiffany era qualcosa di estremamente cliché e anche
che, se i suoi amici l’avessero saputo, l’avrebbero presa in giro a vita,
probabilmente compresa quell’anima romantica di Mitchie.
Lei
non era una da Tiffany, proprio no, gli unici gioielli che indossava erano
coloratissimi e fatti della più pregiata plastica in commercio e non aveva mai
provato il desiderio di cambiare quest’aspetto di sé.
Caitlyn
Gellar si piaceva così com’era, nella sua semplicità, con le sue stranezze e le
sue magliette leopardate in viola. Era unica e lo sapeva bene, ma a rinunciare
alla sua colazione proprio non ce la faceva: quel posto la faceva sentire bene,
proprio come succedeva a Holly in quel bellissimo film che si era rivista
almeno venti volte.
Ebbene
sì, altra cosa di cui vergognarsi: Caitlyn Gellar semplicemente adorava i vecchi film romantici e
chissà, forse la sua speranza nel continuare a fossilizzarsi davanti a quel
negozio in cui non poteva nemmeno permettersi l’ingresso era proprio trovare un
Fred/Paul che passasse di lì e che fosse disposto a baciarla sotto la pioggia
dopo aver chiamato a squarciagola un gatto di nome Gatto.
Beh,
lei un gatto non ce l’aveva… aveva un cane di nome Lady e di perderlo non se ne
parlava nemmeno, dato che era un alano arlecchino di cinquanta chili, ma lì
importante era l’uomo, non l’animale, no? Già trovare quello sarebbe stato un
evento più impossibile che improbabile, ma sognare era il suo passatempo
preferito, quindi…
Con
occhi sognanti si leccò dalle dita gli ultimi rimasugli di crema al cioccolato,
puntando, nel frattempo, un collier di brillanti che, ne era sicura, al collo
di sua madre avrebbe fatto un figurone, anche se il suo portafoglio non sarebbe
mai stato d’accordo.
“Perché
stai seduta a rovescio?”
Una
giovane voce maschile giunse ad interrompere le sue peregrinazioni mentali.
“Io
sto seduta come mi pare e piace, ok?” Rispose, stizzita, prima di voltarsi e
trovarsi davanti, contro ogni aspettativa, un viso molto più che familiare.
“Ehi, io ti conosco!”
“Anche
io!!” Esclamò lui, soffiando poi verso l’alto per levarsi un ciuffo perfettamente
stirato da davanti agli occhi. “Tu sei quella che suona il piano come se fosse
la sua ragione di vita!”
“Ehm…
Caitlyn.” Rispose lei, sorpresa. “Mi chiamo Caitlyn.”
“Lo
so. Quando stavamo a Camp Rock, l’estate scorsa, tu eri la mia preferita. Non
scherzo, sai?” Specificò, notando l’espressione scettica di lei. “Mi è piaciuto
un sacco come hai suonato quando ha cantato la ragazza di Shane. Sei stata
forte, per me meritavate voi di vincere.”
“Grazie…”
Caitlyn era senza parole.
Non
le capitava mai di restare senza
parole.
Insomma,
l’ultima volta che era ammutolita era stato quando, a sette anni, i suoi
genitori le avevano regalato il suo primo pianoforte.
Quella,
però, proprio non se l’aspettava.
Jason
Green, dei famosi Connect 3, le stava facendo i complimenti per come lei aveva suonato.
Nessuno
notava mai come suonava, soprattutto quando accanto a lei c’era la bella e
brava Mitchie che monopolizzava l’attenzione.
E,
doveva ammettere, rimanere un po’nell’ombra non le dispiaceva affatto.
“Senti,
ma tu come mai sei qui?”
Jason
si strinse nelle spalle.
“Concerto
tra due giorni. Tu?”
“Scuola
dalla prossima settimana.”
Entrambi
annuirono in silenzio per qualche istante.
Surreale.
Caitlyn non avrebbe mai saputo trovare un aggettivo che descrivesse meglio quella
conversazione.
Per
un attimo, la ragazza ebbe una fugace visione di se stessa come una
giovanissima Audrey Hepburn e di Jason come un affascinante George Peppard a
girovagare senza meta per la gioielleria e a rubare maschere in un grande
magazzino, ma la scacciò subito.
Lui
non era George Peppard e lei decisamente non era Audrey Hepburn.
E
poi non poteva starsene lì a parlare con lui: il suo principe azzurro sarebbe
potuto arrivare da un momento all’altro!
Come
le avesse letto nel pensiero, Jason si infilò le mani in tasca e si lasciò
ricadere sul naso gli occhiali da sole che portava in testa.
“Allora
ci vediamo, magari…sai, io e i ragazzi ci fermiamo qui per un po’…”
“Già,
magari…”
Jason
la salutò con un gesto del capo e scomparve dietro l’angolo appena oltre la
gioielleria, mentre lei se ne stava lì a guardare il punto in cui si era
trovato fino a poco prima, chiedendosi se, per caso, non era stato tutto una
specie di sogno ad occhi aperti.
Quel
magari, tuttavia, ci aveva messo ben poco a trasformarsi in un sicuramente,
dato che, da quella mattina in poi, quando Caitlyn arrivava alla panchina,
Jason era già seduto lì, nella sua stessa posizione, libro alla mano e
croissant tra i denti.
Le
prime volte le aveva dato fastidio: come si permetteva quello lì di entrare
nella sua vita a quel modo, senza nemmeno bussare? La colazione davanti a
Tiffany era qualcosa solo suo…suo e di Audrey e non le andava giù l’idea di
doverla condividere con un perfetto sconosciuto.
Quando
glielo aveva comunicato, Jason le aveva risposto con un’alzata di spalle.
“Conosciamoci,
allora, così non ti darò più fastidio.”
E
il giorno dopo si era presentato con un foglio di quaderno e un libro e glieli
aveva piantati in mano.
“Questo”
aveva spiegato “è il mio libro preferito.”
Caitlyn
lanciò un’occhiata veloce al titolo: Uccelli di rovo. Non proprio la tipica
lettura di un ventenne americano, doveva ammettere.
“L’ho
comprato perché pensavo fosse una guida di ornitologia o qualcosa di simile, ma
poi mi sono innamorato della storia e l’ho riletto cinque volte.”
“Io
ho… ho visto il film.” Balbettò lei, passando ad aprire il foglio ripiegato,
non senza un minimo di apprensione nei riguardi di ciò che vi avrebbe trovato
scritto.
“Quella,
invece, è una lista di cose che mi descrivono: nome e cognome, la mia famiglia,
la musica e film che mi piacciono, i miei cibi preferiti, cose così…”
“Ehm…wow…
grazie… Nessuno aveva mai fatto una… lista per me.”
E
così si erano conosciuti.
Caitlyn
aveva ricambiato, naturalmente, con un’altra lista che avevano letto insieme,
stupendosi di avere in comune così tanto, litigando come due buoni amici su
quello in cui non erano d’accordo, ridendo come idioti, rendendosi conto di
quanto stupidi fossero i motivi dei loro battibecchi, finché non arrivò la sera
del concerto e, per Jason, il momento di ripartire con il tour e di lasciarsi
Caitlyn e Tiffany alle spalle, come tutte le cose buone della sua vita,
esclusi, ovviamente, Nate e Shane.
Ci
era abituato, ma quella volta doveva essere diverso, quella volta non sarebbe
semplicemente andato via senza lasciare nulla dietro di sé.
Aveva
trovato una persona speciale che lo faceva sentire come nessun altro e, per la
prima volta, poteva davvero capire il perché della dolcezza che inondava ogni
parola di Shane quando l’oggetto dei suoi pensieri era Mitchie.
Caitlyn
era tutto ciò che aveva sempre cercato: non lo prendeva in giro per la sua
grande passione per gli uccelli, né per il suo insano romanticismo e gli aveva
anche detto che, a suo parere, i suoi giochi con la chitarra erano ciò che
rendeva grande i Connect 3.
Non
poteva lasciarla senza essere più che sicuro che si sarebbe ricordata di lui.
Quella
mattina sarebbe stata l’ultima e lei lo sapeva bene.
Per
questo quel cielo azzurro non riusciva a farla sentire bene e non era nemmeno
felice del fatto che di lì a poco avrebbe finalmente rivisto i suoi compagni di
classe che, durante l’estate, le mancavano sempre da morire.
Un
anno era più lungo di due mesi ed era più che certa che lui le sarebbe mancato
almeno il doppio.
Capiva
di essere un’illusa, capiva che lui era famoso e aveva un sacco di ragazze
molto più belle di lei che gli facevano la corte, ma per quella settimana lui
era stato il suo Fred/Paul personale e non l’avrebbe lasciato andare via senza
ringraziarlo a dovere.
Quando
giunse a quella che, oramai, era diventata la loro panchina, però, la trovò
terribilmente vuota.
Perché
lui non era lì?
Il
panico la colse al pensiero che lui potesse essere partito senza salutarla,
oppure che si fosse proprio dimenticato del loro appuntamento quotidiano ma,
nell’esatto momento in cui un insolente gruppo di lacrime ribelli iniziava ad
affacciarsi ai suoi occhi, notò un cofanetto di velluto nero, accompagnato da
un biglietto minuscolo sul quale stava scritto il suo nome.
Il
suo nome e nient’altro, non una firma, non un’altra parola.
Appoggiata
la brioche sui listelli di legno verde della panchina, la giovane raccolse lo
scatolino e lo aprì. Dentro, il paio di orecchini più belli che avesse mai
visto e un talloncino che ne garantiva la provenienza da Tiffany.
Non
fece in tempo a chiedersi chi avesse potuto farle un regalo del genere –un
regalo che lei non avrebbe potuto permettersi nemmeno tra un milione di anni-,
quando si sentì circondare la vita da un paio di braccia decisamente più grandi
e più forti delle sue, mentre un leggerissimo respiro le sfiorava il collo,
ricoprendolo di una piacevole pelle d’oca.
“Sono
cigni.” Spiegò Jason, chiaramente riferito ai minuscoli uccelli di brillanti
contenuti nel cofanetto.
“Sono
belli.” Rispose Caitlyn, senza osare muoversi di un millimetro per paura di
spezzare quel piccolo incantesimo che si era creato.
“Sai
che cos’hanno i cigni di speciale?” La ragazza scosse appena il capo e lui si
chinò a posarle un bacio più leggero di un alito di vento sulla guancia.
“Quando due di loro fanno coppia, restano insieme per tutta la vita. Magari si
trovano a dover stare lontani per tanto tempo, anche anni, ma non si tradiscono
mai. Mi piacciono i cigni.”
“É…
romantico.” Balbettò Caitlyn, ancora troppo concentrata sulle sensazioni che
quel bacio bambino le aveva dato per fare qualsiasi altra cosa.
“È
la verità. Credi che noi possiamo…” Jason esitò, prendendo un profondo respiro:
non aveva mai detto niente del genere ad una ragazza… anche perché nessuna
ragazza era mai stata così importante per lui. “Credi che anche per noi possa
funzionare? Oppure hai paura che quando sarò lontano io…”
Caitlyn
lo zittì, voltandosi di scatto e posandogli una mano sulla bocca.
Non
disse niente, nemmeno una singola parola.
Non
credeva davvero che potessero esisterne di appropriate.
Senza
smettere un secondo di guardare negli occhi quel suo strano, ingenuo e
dolcissimo principe azzurro, la ragazza si alzò in punta di piedi, sostituendo
alla mano le proprie labbra in un bacio timido come i suoi sentimenti.
Non
durò più di un paio di secondi… o, almeno, così avrebbe dovuto essere secondo
le sue intenzioni, ma, quando fece per ritrarsi, Jason la trattenne, portando
una mano dietro alla sua testa e l’altra proprio in centro alla sua schiena,
baciandola con molto più trasporto di quanto lei immaginava potesse metterci.
Quando,
finalmente, si separarono, il sorriso di Jason era quanto di più dolce Caitlyn
avesse mai visto e non poté trattenersi dal gettargli le braccia al collo,
stringendolo forse e nascondendo il viso nell’incavo della sua spalla.
D’accordo,
non era esattamente George Peppard e Gatto non c’era ma, dopotutto, quella
ridicola abitudine della colazione da Tiffany a qualcosa le era servita.
The End