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Autore: ManuFury    21/12/2014    8 recensioni
[Serapion!Centric] [Sery & Anatolij Friendship] [VassilijXAl'bert]
Un'altra storiella sui miei militari preferiti! ^^
Dal testo...
"Serapion non aveva mai sopportato quel bambino: non che fosse troppo vivace o invadente, ma semplicemente perché lo invidiava… invidiava la sua felicità, lo stupore con cui guardava il mondo e soprattutto la meraviglia che vedeva riflessa nei suoi occhi."
(Terza Classificata al Contest: "Autumn winds" indetto originalmente da Chaotic Alaska e giudicata da DarkElf13)
(Nona Classificata al Contest: "Slice of life contest!" indetto originalmente da MistyEye e giudicato da RoseDust)
Genere: Fluff, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Fratres in Armis'
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“Hai dei grandi occhi.” Mormorò titubante Jack Frost, rigirandosi il piccolo bambino di legno tra le lunghe dita bianche.
“Sì! – Esultò Babbo Natale, spalancando gli occhi azzurri. – Grandi occhi. Molto grandi, perché sono pieni di meraviglia. Quello è il mio centro, perché è così che sono nato: con occhi che hanno sempre percepito la meraviglia in ogni cosa. Occhi che vedevano luci negli alberi e magia nell’aria. Questa meraviglia è ciò che io porto nel mondo ed è quello che proteggo nei bambini, ed è ciò che fa di me un Guardiano. Questo è il mio centro.” [1]
Serapion sbuffò sonoramente lasciando cadere la testa indietro, contro lo schienale del divano, passandosi poi le mani sugli occhi, domandandosi per l’ennesima volta chi glielo aveva fatto fare. Quel cartone demente per bambini scemi era iniziato da nemmeno venti minuti e lui aveva già voglia di sparare al televisore per zittire quelle voci petulanti.
Chiuse gli occhi grigi, passandosi le mani sulle palpebre, massaggiandole appena e sospirando annoiato. Al suo fianco avvertì un movimento e poi qualcuno che gli tirava timidamente una manica della maglietta.
“Serapion.” Lo chiamò piano una vocetta acuta. Il ragazzo sospirò, aprendo gli occhi e voltandosi in quella direzione: immediatamente il suo sguardo argentato si puntò in quello luminoso e verdissimo di Anatolij mentre sul suo visetto innocente si apriva un largo sorriso, di quelli grandi e puri che avevano solo i bambini.
“Che vuoi creatura?” Chiese scontroso. Belicov l’aveva obbligato, o per meglio dire minacciato, a passare il pomeriggio a badare al suo marmocchio mentre lui era a un corso di aggiornamento: che aggiornamenti dovessero fare i tiratori scelti restava un bel mistero[2]. Serapion eseguiva l’ordine come ogni buon militare, ma di certo non era contento della cosa… e si vedeva.
Il bambino, sette anni alla fine del mese, se ben ricordava, non badò al suo tono brusco e continuò con quel sorriso innocente.
“Sai, anch’io vedo le luci negli alberi!” Affermò con tanta ingenuità ed enfasi da far alzare lentamente un sopraciglio al ragazzo: quel bambino doveva essere più disturbato di quel che sembrava.
“Ahn… - fu il suo primo commento, seguito poi da un – buon per te!” Detto con tanta antipatia da voler lasciar intendere di chiudere lì la neonata discussione.
Anatolij, però, non sembrava voler demordere, tant’era che aveva perso completamente interesse per il film, dedicandosi interamente al militare che era con lui.
“Tu le vedi le luci negli alberi, Serapion?” Domandò con tatto, facendo ben attenzione a non storpiargli il nome, non sapeva perché, ma al ragazzo dava fastidio.
“No.” Rispose lapidario quello.
“Perché no?”
“Sono grande ormai. Non credo più a certe cose.” Una nota infastidita turbò la fluidità della sua voce, a far capire al piccolo di smetterla di porre domande.
“Ma… ma non c’è un’età per smetterla di credere in questa cose, sai? Papà le vede le luci negli alberi e anche Ste e Ili e Al…” E sembrava ben propenso a continuare con quella lista di nomi tutti storpiati.
Serapion batté con forza un pugno sul bracciolo del piccolo divano, voltandosi furioso verso il bambino al suo fianco, incenerendolo con lo sguardo; la sua famosa pazienza era già giunta al termine e in tempi record.
“La vogliamo finire?! Siamo a metà settembre e non ci sono luci negli alberi, quelle ci sono solo a Natale, chiaro? Hai rotto tanto per guardare questo film con me e non fai altro che parlare, parlare e parlare. Stai zitto e guarda la tv!” Ringhiò con forza, sicuramente più tardi, quando avrebbe dovuto fare i conti col padre della creatura, si sarebbe pentito di quelle parole, ma in quel momento non aveva trovato la forza di trattenersi.
Serapion non aveva mai sopportato quel bambino: non che fosse troppo vivace o invadente, ma semplicemente perché lo invidiava… invidiava la sua felicità, lo stupore con cui guardava il mondo e soprattutto la meraviglia che vedeva riflessa nei suoi occhi. Era geloso della sua capacità di essere sempre così felice, di saper sorridere così spesso e così ingenuamente e, soprattutto, invidiava la sua capacità di credere che il mondo fosse davvero un bel posto dove vivere.
Anatolij si strinse nelle spalle magre, sperando di farsi più piccolo di quanto in realtà già non fosse, gli occhi grandi e verdi si fecero lucidi mentre si abbassavano e il sorriso scompariva dal viso, per lasciare posto a un’espressione mesta e dispiaciuta.
“S-scusa. No-non lo faccio più.” Promise con un filo di voce.
Serapion lo guardò un attimo, sembrava un altro bambino con quell’espressione rattristata sul viso, un po’ gli ricordava Kapiton[3], ma per poco; Kapiton ora era grande e non aveva più bisogno di lui. Scrollò le spalle e sprofondò nel divano, tornando a seguire le vicende delle Cinque Leggende, alle prese con il recupero dei dentini dei bambini rubati dall’Uomo Nero, pensando ancora a quella fesseria riguardante le luci negli alberi. In qualche modo si sentiva trascinato indietro, attratto dai ricordi di una persona che aveva gli orizzonti molto più aperti dei suoi e che, benché l’età quasi al pari della sua, credeva ancora in certe cose: nella magia, nella meraviglia e in tutte quelle piccole cose che sapevano migliorare l’esistenza a tutti, non perché fossero vere, ma perché, semplicemente, ti davano speranza, voglia di continuare a vivere benché il grigio e l’incertezza che ti circondavano come un esercito nemico.
Scosse la testa e tornò a concentrarsi sul film con un nuovo sbuffo.
Tanto lui sapeva come funzionava il mondo e sapeva che non c’era posto per quelle scemenze da bambini: non c’era posto per la magia, la meraviglia, la speranza e le luci negli alberi.
 
*
 
Un’ora e mezza dopo, Serapion era riuscito ad affidare Anatolij alle cure di persone molto più esperte di lui in fatto di bambini ed era uscito dalla “Sala Ricreazione” a guardare il paesaggio autunnale che gli si presentava davanti. Non c’erano molti alberi al campo, ma quei pochi che sopravvivevano e che servivano per qualche esercitazione, avevano le foglie tutte arrossate e rinsecchite, pronte a cadere al primo soffio di vento. Qualcuna era già scivolata a terra e lì si decomponeva lentamente, rilasciando quell’odore dolciastro di marcio che, mischiato alla nebbia che si alzava di prima mattina, ti prendeva alla bocca dello stomaco con forza, nel tentativo di strozzarla.
A Serapion ricordava i rifiuti dietro casa sua e quelli di quel vicolo maledetto: la puzza se la ricordava bene ed era proprio la stessa, era l’odore di oggetti buttati a terra e di materiale in decomposizione; era odore di morte, anche se, all’epoca, ancora non lo sapeva.
Sospirò, appoggiando le braccia conserte al corrimano della scaletta e osservando il paesaggio con occhi grigi che si facevano vuoti: tutto era sempre così calmo in autunno, così fermo, in attesa della fine. Tutto si attenuava in quella stagione: la luce era meno forte, i colori meno vivi e ogni creatura, soprattutto i vegetali, se ne stava lì, in bilico tra la vita rappresentata dalla primavera e la morte dell’inverno. Era un periodo di transizione, come quello che il giovane viveva da qualche tempo, sulla sua pelle: da quando era uscito di prigione per lui era perennemente autunno, era costantemente in bilico tra i ricordi di ieri e l’incertezza del domani.
Abbassò il viso, guardando a terra con occhi velati e oscurati da ombre del passato che ancora non volevano lasciarlo in pace benché il prezzo da lui pagato sino ad allora: perché c’era il sangue a inondare le sue notti, le risate ormai perse di quella ragazza che amava e che non aveva mai più visto, c’erano poi i giorni della prigione con i soprusi subiti e l’umiliazione di doversi inginocchiare di fronte ad altri uomini. E c’era anche il futuro, ovviamente, ma era un qualcosa di troppo sfocato e lontano per poterlo credere davvero reale, qualcosa che gli sembrava troppo astratto per appartenergli davvero e che gli scivolava via dalle dita ogni volta che cercava di afferrarlo, che si sgretolava sotto i suoi polpastrelli come una foglia secca in autunno.
Per questo se ne stava lì: in attesa come gli alberi, aspettando la morte dovuta all’inverno del suo passato oppure la rinascita, a quella primavera del suo futuro che sembrava non voler arrivare mai.
Alzò un sopraciglio, sbuffando. Sono proprio un poeta del cazzo. Commentò mentalmente.
“Sai… quest’atteggiamento da Emo – Depresso non ti si addice molto.” Ridacchiò una voce alle sue spalle, troppo conosciuta per non farlo scattare immediatamente in piedi e piroettare sul posto, per incenerire il collega con lo sguardo.
“Non dovevi badare al marmocchio, tu?” Ringhiò Serapion a poche spanne dal viso dell’altro militare, che ridacchiava di gusto alle sue reazioni.
“Nah, c’è Al’bert con lui. Disegnano i personaggi del cartone di oggi e, come ben sai, io non so disegnare.”
“Certo. Ammettilo che sei venuto qua fuori solo per guardarmi il culo. Tanto lo so, è da quella volta in mensa che me lo consumi a furia di fissarlo![4]” Continuò l’altro con il suo tono più aggressivo.
Vassilij non badò alle sue parole e avanzò fino a trovarsi al suo fianco, appoggiandosi con noncuranza alla ringhiera e guardando a sua volta il campo.
“Ti dirò che non è il culo la cosa che più mi piace di te. – Sorrise divertito, guardando il compagno di squadra assottigliare gli occhi incollerito. – Ma non è per questo che sono qui.” E si voltò verso di lui. Serapion credeva di odiarlo: non tanto per il fatto che fosse gay, a quello ci aveva fatto il callo, ma per quella sua dannatissima calma che ostentava sempre, in qualsiasi situazione; era l’unico oltre a Stepan, il loro Sergente Maggiore, che fosse in grado di gettare acqua fredda sul fuoco che lo avvolgeva sempre. La cosa brutta era che lo faceva con così tanta spontaneità da essere estremamente irritante.
“E allora perché sei qui, di grazia?” Domandò alla fine.
“Beh, un po’ sono qui per Anatolij, mi era parso molto giù prima, quando siamo arrivati. Sai, non dovresti trattarlo così male… gli piaci.” Affermò Vassilij senza nemmeno guardarlo, continuando a fissare il paesaggio. Dall’altro solo una scrollata di spalle e gli occhi che si alzavano al cielo.
“Lui non piace a me, fine.”
“Non ci hai mai nemmeno provato, in verità. – Gli riservò un sorriso furbetto, mentre guardava nella sua direzione. – Dovresti iniziare a fare un po’ più come l’autunno.”
Quella frase fece alzare con lentezza esasperante un sopraciglio a Serapion: da quando quel finocchio di Vassilij era poeta? Che voleva fare, rubargli il lavoro?
“Come l’autunno?” Gli fece eco il giovane, guardando obliquamente il compagno che solo sorrise, misterioso.
“Certamente! È una stagione stupenda: è piena di trasformazioni, di cambiamenti, di vita-“
“E di morte.” Lo interruppe l’altro, appoggiando di nuovo le braccia conserte alla ringhiera della scaletta. Vassilij annuì paziente, come un fratello maggiore intento a spiegare qualcosa di particolarmente importante al minore.
“Non lo metto in dubbio. Le foglie degli alberi muoiono, seccano e cadono, ma tu pensa a questo, Serapion. – Affermò, toccandogli la fronte con un dito inguantato. – Non può esserci la vita senza la morte, giusto? Immagina che casino pazzesco se niente a questo mondo morisse. E poi, quelle foglie morte hanno un loro ruolo: serviranno da magazzino per la vita in primavera.”
“Bah! Passi troppo tempo con Cheslav e le sue stronzate da naturalista.” Borbottò, dandogli un colpetto alla mano per scostarla, detestava essere toccato, da Vassilij in particolare, chissà che ci faceva con quelle manacce, non voleva nemmeno pensarci.
Dall’altro militare solo uno sbuffo irritato, mentre gli occhi neri si alzavano al cielo, parlare con Serapion era sempre un’impresa, altro che le Dodici Fatiche di Ercole.
“D’accordo. Pensala come vuoi, di certo non sarò io a obbligarti a vedere il mondo sotto una luce un po’ più positiva di quella con cui lo guardi adesso. – Fece una breve pausa, forse per trovare le parole adatte, forse solo per creare suspense. – Però, se posso darti un consiglio da amico, non vedere la tua vita come le foglie che cadono in autunno; vedila piuttosto come se tu fossi quell’albero.” Sorrise ancora, indicandogli prima un grosso acero che si stagliava come un gigante davanti a loro e dandogli poi una pacca sulla spalla.
Uno sbuffo, ancora più irritato dei precedenti che avevano fatto sembrare Serapion una piccola locomotiva a vapore, di quelle di una volta, solo in un secondo tempo si decise ad annuire, non con molta convinzione, però annuì ed era già un bel passo avanti con lui.
“Bravo ragazzo!” Esclamò Vassilij, staccandosi dal corrimano ed eseguendo un gesto tanto veloce che l’altro non poté evitare in alcun modo: alzò un braccio e gli tirò una pacca, dritta sul sedere.
Serapion scattò in piedi, voltandosi iracondo verso il collega.
“Ecco! Lo sapevo! Lo sapevo che era a quello che miravi, cazzo di un frocio di merda!” Sbottò, scatenando una risata sinceramente divertita dell’altro.
“Era giusto per capire se avevo ragione o meno. In effetti, hai un bel culo, ma non da lode.” Sghignazzò ancora, strizzandogli complice l’occhio, sparendo subito dopo all’interno della struttura alle loro spalle, prima che Serapion avesse il tempo di acchiapparlo e suonargliele di santa ragione. A un’analisi un po’ più calma del pensiero, il giovane fu contento di non averlo fatto: magari pure gli piaceva essere malmenato e messo sotto, anche se dubitava, tra lui e Al’bert, era Vassilij che comandava; o almeno, così pareva e così pensavano tutti al campo.
Il militare si limitò a sospirare e abbassare di nuovo il viso, tornando a guardare il paesaggio davanti a lui: non ci vedeva la vita nell’autunno, vedeva solo una lenta e inesorabile morte, una decomposizione continua che toglieva colore e vita a ogni cosa, che rendeva tutto amorfo e omogeneo. Scosse il capo, passandosi una mano sulla testa rasata sulla quale, lentamente, iniziavano a crescere di nuovo i capelli.
“No… non esistono le luci negli alberi.” Commentò tristemente, guardandosi attorno con occhi spenti pensando di essere completamente solo.
 
*
 
Come quasi ogni notte da qualche tempo a quella parte, Serapion si era alzato di scatto dal letto, trattenendo un urlo di terrore che batteva con forza contro i denti per uscire e stringendosi le coperte sudate attorno al corpo atletico.
Prese un profondo respiro e si passò le mani madide di sudore sul capo, sfiorando con i polpastrelli i capelli neri e cortissimi, chiudendo per qualche secondo gli occhi grigi. L’incubo era sempre lo stesso: c’erano lui, la sua pistola, quel vicolo della malora e quei due uomini che gli avevano rovinato la vita, non solo a lui, ma anche a tutta la sua famiglia; il dettaglio che cambiava era che questa volta c’erano delle foglie d’acero arrossate che cadevano tutto attorno a loro, invece della solita pioggerellina lenta e continua. Doveva essere un effetto collaterale dei discorsi di quel pomeriggio.
Il giovane si coprì gli occhi con le mani mentre con respiri lenti e profondi gonfiava e sgonfiava i suoi polmoni. Un suono gli lasciò le labbra fino ad allora serrate, a metà tra un sospiro seccato e un singhiozzo disperato: perché le sue notti non potevano essere tranquille? Perché il rosso del sangue doveva inondare i suoi incubi? Perché doveva essere sempre tormentato dal rimorso per quello che aveva fatto e dopo il prezzo che aveva pagato e che continuava a pagare?
Perché gli toccava continuare a soffrire dopo tutto quello che aveva subìto?
Senza aver trovato risposta alle sue domande, riaprì gli occhi lentamente, nemmeno avesse paura della realtà che lo circondava, come se temesse gli sguardi inquisitori dei suoi compagni di stanza cui rovinava il sonno da quando era lì e lasciò naufragare lo sguardo per il dormitorio a loro assegnato: le brande di Stepan, Yustin e di Ivanov[5] erano, come sempre, vuote, i primi perché dormivano a casa con le proprie famiglie e il secondo perché proprio non dormiva, come lui; anche quella di Belicov era libera, sarebbe tornato solo l’indomani dal suo fottuto corso di aggiornamento. Anatolij, invece, lo aveva informato timidamente quello stesso pomeriggio che avrebbe preferito passare la notte da Vassilij e Al’bert, a suo rischio e pericolo… in poche parole era solo.
Completamente solo.
Raggiunta quella consapevolezza, Serapion abbassò le mani, stringendo con più forza le coperte e lasciandosi andare in un urlo liberatorio che non soffocò con un cuscino come ogni tanto gli capitava quando i suoi compagni erano al dormitorio con lui. Il suo grido racchiudeva molte cose: era di terrore per il sangue che non lo lasciava mai, che era ovunque, sopra e dentro di lui, era di paura, perché quella maledetta notte sarebbe riapparsa nei suoi incubi per sempre. Ed era di solitudine perché non c’era nessuno che gli stesse accanto, che lo confortasse e che gli dicesse che andava tutto bene.
Si fermò solo quando un colpo di tosse gli stroncò i suoni con una certa violenza, come se avesse la gola foderata di carta vetrata, che grattava così forte da procurargli dolore.
Provò a calmarsi in fretta, com’era abituato a fare dai tempi della prigione; con respiri lenti e controllati, facendo navigare lo sguardo per la stanza per distrarsi, per trovare oggetti famigliari che potessero ancorarlo alla realtà che, per quanto oscura e grigia potesse essere, era meglio dei suoi incubi. Solo allora, dopo aver passato in rassegna le brandine vuote dei camerati, si accorse di qualcosa che, prima, non aveva notato: da sotto la porta del dormitorio arrivava una tenue luce rossastra come se ci fosse un incendio ormai sul punto di morire.
Restando questa volta in silenzio, Serapion si alzò lentamente dal letto, infilandosi solo gli anfibi e uscendo poi dalla stanza: curiosità, un difetto che l’avrebbe portato prima o poi alla tomba, ne era certo.
Il freddo dell’esterno lo colse impreparato, pungendogli le braccia nude con aghi di ghiaccio che s’infilavano in profondità nella carne, ma non ci badò più di tanto, non dopo aver messo a fuoco quello che aveva di fronte.
L’acero più grande del campo, quello che stava proprio al centro e che Vassilij gli aveva indicato solo quel pomeriggio, brillava di luce propria, come incendiato, mandando bagliori rossastri tutt’attorno, come lunghe dita di fuoco che si stendono a terra, ma senza violenza, private dell’intento di far del male. Attorno alla grossa pianta stavano delle figure sfocate che il ragazzo, ancora abbagliato da quella visione, non riusciva a identificare.
Rimase fermo giusto qualche istante, a metabolizzare quello spettacolo: gli occhi grigi fissi, il respiro bloccato e la pelle d’oca che era sparita delle sue braccia, assorbita dal calore di quella luce lontana che avvolgeva l’albero quasi con dolcezza.
Fu distolto dai suoi pensieri da un movimento, dita piccole e fredde per le temperature proibitive si attorcigliarono delicatamente al suo polso, a volerlo tirare leggermente in avanti. Il militare fece per scostarsi bruscamente mentre abbassava lo sguardo, scorgendo due occhi verdissimi e allegri e un sorriso altrettanto solare che voleva a tutti i costi contagiarlo.
“Dai, Serapion, vieni!” Lo incoraggiò Anatolij, tirandolo appena per un braccio con la presa che si faceva più salda, obbligandolo così ad avanzare verso l’acero di qualche passo. Lui, stupito da tutta quella faccenda, si fece trascinare fino al cono di luce dove riconobbe le figure sorridenti di Vassilij e Al’bert.
Avrebbe voluto commentare la loro presenza, immaginava che ci fosse il loro zampino in tutto quello, ma era ancora preso dall’albero: tra i rami più grandi e robusti, tra le foglie arrossate e pronte a cadere, erano state avvolte tante lucine, come quelle che si usano per decorare gli alberi a Natale, solo che queste erano tutte rosse e arancioni e mandavano una luce tenue, delicata come una carezza e calda come il fuoco, che ne incendiava la chioma.
“Hai visto, Serapion?” Chiese in quel momento Anatolij, tirandolo un po’ per la mano.
“Visto cosa?” Domandò sovrappensiero il ragazzo.
“Che esistono davvero le luci negli alberi!” Esclamò con enfasi come se stesse specificando una verità più che sacrosanta e guardandolo attentamente per decifrarne la reazione. Anche Serapion si prese il lusso di guardarlo: il suo sorriso vivo e bellissimo, innocente e puro come quello di tutti i bambini che credono davvero in qualcosa, che credono nella meraviglia e nelle luci negli alberi; ma soprattutto, quello che lo rapiva per davvero su quel visetto innocente, erano i suoi occhi, brillavano di luce propria e sembrava che si fossero fatti più grandi per contenere tutta la meraviglia che sperava di aver portato in quel momento, proprio come i Guardiani de “Le Cinque Leggende”.
“Quindi tu… hai fatto tutto questo… solo per me?” Domandò il militare sorpreso e anche un po’ scandalizzato: nessuno aveva mai fatto una cosa simile per lui, per convincerlo a tutti i costi di qualcosa. Il bambino annuì, sorridendogli ancora e guardandolo, se possibile, anche più intensamente.
Fu a quegli occhi che il ragazzo si arrese e un sorriso debole ma sincero, incurvò le sue labbra; il primo che avesse esibito in pubblico da lungo, lunghissimo tempo.
“Grazie.” Si abbassò al fianco di Anatolij, passandogli scherzosamente una mano tra i capelli castani, per scompigliarli tutti. Quello rise, divertito.
“Allora, adesso ci credi?”
“Alle luci negli alberi? – Fece una pausa a guardare quell’acero che adesso sembrava così vivo benché l’autunno alle porte, ma forse, aveva davvero ragione Vassilij, quella non era una stagione che portava solo morte, perché nascondeva in sé la meraviglia del cambiamento. – Certamente. Avevi ragione tu: esistono davvero le luci negli alberi e non c’è un’età per smetterla di credere a queste cose.” Affermò alla fine, facendo esultare con gioia il piccolo che di slancio lo abbracciò. Serapion s’irrigidì completamente, disabituato a quei gesti di tutti i giorni; ma fu la tensione di un momento, prima che sorridesse ancora, con un po’ più di convinzione, e ricambiasse.
Alzò gli occhi di nuovo verso l’acero e sorrise: sì, le luci negli alberi esistevano anche per lui.
Si ritrovò a pensare che tutti avevano ragione su Anatolij: aveva gli occhi pieni di meraviglia, come Babbo Natale, e proprio come il vecchio Guardiano, era la meraviglia ciò che portava nel mondo, era quello il suo centro, il motivo per cui era nato… e adesso, anche Serapion, aveva la possibilità di vedere tutto ciò che c’era di bello e di meraviglioso al mondo.
 
 
***
 
HOLA! ^_^
 
Eccomi tornata con un’altra storia su Serapion! ^^
*Balle d’erba che rotolano*
Un po’ alla volta scopriremo sempre qualcosa di più profondo sul suo passato, spero che piaccia a tutti questo lento scoprire di lui, a me fa impazzire come cosa! *Q*
Ma passando alle note serie… u_u
Prima di tutto, l’idea di questa storia è nata dal Contest: “Autumn winds” indetto da Chaotic Alaska, che, come spesso accade, mi ha dato quell’imput necessario per iniziare a scrivere, o almeno, a plottare l’idea. Poi il cartone animato della DreamWorks “Le Cinque Leggende” ha fatto il resto, dandomi la scossa per trasformare questa storia, in origine abbastanza Angst, in un Fluff finale che apre le porte per un’amicizia che non vedo l’ora di mettere per iscritto.
Spero che possa essere piaciuta a tutti voi, fatemelo sapere con un commentino, ok? :P
Oltre a questo, la storia partecipa anche:
 
> Alla Challenge: “La sfida dei duecento prompt” indetta da msp17 con il Prompt 163) Luce.
> Al Contest: "Slice of life contest" indetto originalmente da MistyEye e giudicato in seguito da RoseDust (9° Classificata)
> Alla Challenge: "The Seasons Challenge" indetta da Jadis_ > Stagione: Autunno > Prompt: Scelta libera (Autunno! XD)
 
Direi basta… queste ragazze sono sempre una grande fonte d’ispirazione per me e mi consentono di scrivere cose che, altrimenti, resterebbero nelle più oscure paludi del mio subconscio! XD
 

Ultima cosa… per le immagini di Serapion e Anatolij vorrei ringraziare LunAngel, che si è pazientemente messa a disegnarli per me e che, anche se ormai non facciamo altro che litigare, io ancora adoro.
 
Bene, ho detto davvero tutto.
Alla prossima, ;)
ByeBye
 
ManuFury! ^_^
 
 
 
[1]  Questo passaggio è stato tratto dal Film d’animazione della DreamWorks “Le Cinque Leggende
 
[2]  Roman D. Belicov è il padre di Anatolij e fa il tiratore scelto di professione; Serapion lo chiama sempre per cognome perché “Roman” era il nome dell’amico che gli aveva dato la pistola con cui ha ucciso uno degli usurai.
 
[3]  Kapiton è il fratellino di Serapion.
 
[4]  Questo passaggio è in riferimento a un’altra mia storia su loro due in cui, a causa di una caduta, Serapion ha baciato Vassilij (gay dichiarato e fidanzato da anni con Al’bert); da allora Serapion è convinto che Vassilij si sia fissato con lui; cosa in parte vera, ma solo perché Vassilij si diverte a istigare. XD ... La storia in questione è QUESTA!
 
[5] Ivan Ivanov è un altro compagno di Serapion, lo chiamano tutti per cognome perché, come è risaputo, Ivan è uno dei nomi più diffusi in Russia (mi pare il terzo più diffuso) e per evitare di confondersi con altri militari preferiscono il cognome. Il fatto che non dorme mai è spiegato in un’altra mia storia… a fine frase c’è un “come lui” a indicare che anche Ivan Ivanov ha frequenti incubi che gli impediscono di riposare bene.
  
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