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Autore: teabox    21/12/2014    5 recensioni
Dove un contrattempo prende una forma curiosa, perché lei è dove dovrebbe essere e lui...beh, lui, non esattamente. (Almeno secondo lei).
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nota: tutto quello che segue è solo fantasia, frutto di una mente idiota, un'idea che non mi dava pace da un po', una giornata di pioggia e troppo, troppo tempo libero. 

A chi si ferma a leggere, grazie mille. 

 

 

Aveva gli occhi dello stesso colore di un cielo estivo e lunghi capelli biondi che le sfioravano  la schiena come onde eleganti. Il suo naso era piccolo e perfetto nell’ovale armonioso del viso. Era delicata e piena di grazia, un luminoso esempio di femminilità. 

Ed era - inoltre - vecchia di quasi cinquecento anni, fatta soprattutto di tempera d’uovo e legno, e in quel momento nel luogo sbagliato. Uno schizzo preparatorio su tavola per la Venere della Primavera di Botticelli, ecco cos’era - niente di più di una manciata di linee e colori quasi del tutto svaniti, e nonostante ciò un lavoro pieno di bellezza - che era finito dove non avrebbe dovuto, perché il proprietario precedente aveva fatto una cosa davvero stupida.

 

Olive sospirò. Dal lato di una strada in un angolo residenziale molto costoso di Londra, la ragazza abbassò un po’ gli occhiali da sole e osservò una delle finestre dell’appartamento in cui quell’inestimabile oggetto d’arte stava al momento - con tutta probabilità - raccogliendo polvere appoggiato a qualche muro. Olive sospirò di nuovo e spinse gli occhiali da sole al loro posto. Se non altro, pensò distendendo un po’ i muscoli del collo, la situazione cambierà presto.

 

Spostò lo sguardo sulla sinistra e lo fissò su di una palazzina georgiana leggermente più bassa, accanto a quella che aveva appena osservato. La sua via d’ingresso - anche se “scalata”, probabilmente, sarebbe stato il termine più corretto.

Non le era stato dato molto tempo per preparasi - e la finestra di tempo per agire era anche più ridotta - quindi aveva passato le due settimane a sua disposizione osservando, calcolando, domandando e girando. Aveva formulato un piano. Lo aveva discusso con il suo capo. M aveva suggerito un paio di modifiche, le aveva poi fatto il solito discorso - “sii consapevole di tutto, non dimenticare nulla” - e le aveva alla fine dato semaforo verde. 

 

I pensieri di Olive si fermarono per un attimo sull’uomo dietro all’incarico, Lord Qualcosa-o-qualcos’altro, e la sua - per mancanza di parole migliori - naiveté. Scosse appena la testa, ma non si spinse più in là con un’opinione.

Dopotutto lei non era esattamente nella posizione di giudicare.

Perché, dopotutto, lei era una ladra.

Ma c’erano, comunque, occupazioni ben peggiori a Londra.

 

*

 

La prima cosa che Olive aveva imparato quando era diventata una ladra professionista era che non importava quanto ti preparassi per tutto, la verità era che non ti eri davvero preparata per tutto. C’era sempre qualcosa, un fattore o una circostanza che non avevi calcolato e che puntualmente ti metteva nei casini.

 

Quindi quella notte, quando Olive aveva afferrato la balaustra del balcone del suo bersaglio e aveva cominciato a tirarsi sù, e qualcuno da qualche parte sotto di lei aveva detto: «Hai meno di trenta secondi per dirmi cosa stai facendo prima che chiami la polizia», la prima cosa che era passata per la testa di Olive era stata “merda”. 

Tutto ciò perché M si era sempre raccomandata di non cominciare mai - «davvero, chérie, mai e poi mai» - una storia con una parolaccia. Altrimenti Olive avrebbe probabilmente cominciato esattamente da lì, da quel “merda”.

 

Si girò lentamente e guardò in basso, verso l’altro balcone che aveva scalato un minuto prima e che faceva parte dell’appartamento che doveva essere vuoto - perché il vicino del bersaglio doveva essere di ritorno solo il giorno dopo, ma evidentemente aveva deciso di rientrare un giorno prima - e osservò con attenzione Tom Hiddleston, cercando di calcolare velocemente cosa fare e cosa dire.

«Buona…sera?»

Lui alzò un sopracciglio. «Quindici secondi.»

Olive lasciò andare la presa sulla balaustra, atterrando con un movimento fluido nel balcone di Tom. Lui fece un passo indietro con una prontezza che Olive trovò piuttosto interessante. 

«Posso spiegare, ma mi servono decisamente più di quindici secondi.»

Lui non rispose immediatamente, ma sembrò invece soppesarla per qualche istante, prima di lanciare uno sguardo al cellulare, il pollice pronto a sfiorare il pulsante della chiamata. «Sei una fan? O una persona mentalmente squilibrata?»

Olive incrociò le braccia. «Non una fan. E posso sottolineare che se fossi davvero una persona mentalmente squilibrata, non mi piacerebbe sentirmelo dire e che con tutta probabilità non lo ammetterei comunque?»

«Quindi lo sei.»

Olive alzò gli occhi al cielo. «No, non lo sono.»

Tom la guardò per un momento di più - una certa durezza negli occhi - quindi fece un passo verso di lei. «Allora potresti cortesemente dirmi chi cazzo sei?»

 

Olive sospirò. «Bene, osserviamo i fatti, sì? Sono quasi le quattro di mattina e io mi stavo arrampicando dentro un balcone di un’appartamento che sai non essere mio, completamente vestita di nero e cercando di fare meno rumore possibile.»

Tom raddrizzò la schiena e sembrò soppesarla di nuovo, ma in maniera diversa. «Sei una…una ladra

«Tecnicamente.»

«Che diavolo significa tecnicamente

«Dunque», rispose Olive sedendosi sulla balaustra del balcone di Tom, «significa che sì, di fatti rubo certe cose, ma lo faccio solo perché ho una buona ragione per farlo. Un ragione eccellete, spesso.»

Lui sorrise sarcastico. «Posso immaginare.»

Olive alzò un sopracciglio. «E va bene. Prendi lei, la tua Graziosa Vicina, il mio bersaglio.»

«Chi, Stina?»

«Nessun nome», rispose lei con una nota di nervosismo. «Comunque sì, lei. La tua Graziosa Vicina sa di essere molto graziosa e recentemente ha deciso di usare le sue qualità per vantaggi personali, mettendo qualcun altro nei guai.»

Tom incrociò le braccia e Olive - abituata istintivamente ad osservare tutto - cercò di ignorare i muscoli dei suoi avambracci, concentrandosi invece sull’evidente incredulità dipinta sul volto di Tom.

«Giusto. E questo dovrebbe convincermi, immagino. Voglio sapere chi ha messo nei guai e come.»

«Non faccio gossip.»

Tom alzò il cellulare.

«Davvero. Sai, ci sono numerose giovani donne là fuori che apparentemente hanno questa impressione che tu sia davvero una brava persona. Lasciami solo dire che con tutta probabilità sarebbero molto, molto deluse se potessero vederti ora.»

«Per quanto mi riguarda», ripose lui scuotendo appena le spalle, «sto ancora facendo la cosa giusta.»

Olive alzò le mani. «Va bene, va bene. Ma non faccio nomi.» Prese a parlare velocemente, non lasciandogli spazio per replicare. «Qualche tempo fa la tua Graziosa Vicina ha fatto in modo di trovarsi intimamente coinvolta con una Persona Molto Importante ed è stata abbastanza pronta da documentare il tutto con foto e messaggi. Ha quindi poi passato gli ultimi cinque mesi ricattando felicemente questa Persona Molto Importante - soprattutto richiedendo soldi, regali e alcuni favori - o almeno fino a poco tempo fa, quando ha deciso che voleva di più. O, per dirla chiaramente, è il suo nuovo fidanzato che ha deciso che volevano di più.»

Tom la guardò diviso tra la sorpresa e il dubbio. «E?»

«E la tua vicina ha deciso allora di chiedere alla Persona Molto Importante un grazioso oggettino d’arte - che, tra l’altro, è anche pressoché inestimabile. E lui», Olive alzò gli occhi al cielo, «ha acconsentito. Soprattutto perché pensava che lei non sarebbe riuscita a piazzarlo tanto facilmente e lui sarebbe stato in grado di convincerla a rivenderglielo. Invece il nuovo fidanzato si sta organizzando per venderlo ad un collezionista privato, che è particolarmente interessato a comprarlo. O quanto meno, interessato abbastanza da non fare domande su provenance e documentazione.»

 

Tom non rispose immediatamente. «Porca miseria.»

«Porca miseria, davvero», concordò Olive sopprimendo una risata e mettendosi cautamente in piedi sulla balaustra. «Anche se M non approverebbe la tua scelta di linguaggio.»

«Chi è M?», domandò Tom guardandola con un certo nervosismo, come se si aspettasse di vederla scivolare da un momento all’altro.

«Il mio capo. Non crede nell’uso scontato di parolacce. Ora, niente mi farebbe più piacere che continuare a chiacchierare con te, ma come puoi capire ho del lavoro da fare.»

«Aspetta un attimo», la fermò lui. «Come posso essere sicuro che tutto quello che mi hai detto non è una grossa bugia, e che invece tutto quello che stai solo cercando di fare è entrare nell’appartamento di Stina per derubarlo?»

Olive si schiarì la voce. «Non è generalmente il mio stile sottolineare l’ovvio, ma de facto l’idea è entrare nel suo appartamento e rubare qualcosa.» Alzò una mano per fermare la protesta di Tom. «Stavo facendo dell’umorismo, so cosa intendevi. Per quello che vale, quello che ti ho detto non è una bugia. Non sono una bugiarda. La maggior parte del tempo.»

«Ma sei una ladra», fece notare lui.

Olive si piegò sulle ginocchia, assomigliando curiosamente per un momento ad un gatto. «Sì, lo sono. Ma questo non vuol dire che mento o che ti ho mentito.»

Tom esitò solo un instante. Poi approfittò dell’attimo per afferrarle un polso e tirarla dentro il balcone. «Non posso lasciartelo fare.»

 

Ora, quando sei una ladra tendono a capitarti situazioni strane e con una frequenza non del tutto sorprendente. E tuttavia Olive, in quell’istante, si trovò in un genere di situazione strana completamente diversa da quelle a cui era abituata ad avere a che fare.

Rimase lì, trattenuta da Tom, non perché la sua presa sul polso fosse particolarmente forte o perché non sapesse come liberarsi. Piuttosto realizzò quasi immediatamente che se era rimasta lì, era semplicemente perché si era improvvisamente trovata troppo vicina a lui. Non era davvero la mano a confinarla, ma era lui. La linea dritta delle sue spalle. Il modo in cui la maglietta si allargava un po’ sul suo petto, come a ricordarle che c’era di più da vedere, da scoprire. I suoi occhi e la curva della sua bocca. Dettagli che l’avevano inchiodata con efficacia.

La gola le si seccò un po’ e per un secondo perse il filo dei suoi pensieri.

E non lo apprezzò. Non lo apprezzò nemmeno un po’.

 

Scosse il braccio, ma Tom non lasciò la presa. Olive lo scosse di nuovo e lui la guardò con un’espressione vagamente divertita. 

«Per l’amor del cielo», gli disse innervosita, «non ti ho detto che vado ad uccidere un gattino. Ti ho detto che devo riprendere qualcosa che è nel posto sbagliato, con la persona sbagliata e sul punto di essere venduto nel modo sbagliato.»

La mano di Tom si allentò un po’ attorno al polso di Olive. Il suo viso, però, rimase mascherato da domande. «Allora…facciamo un accordo.»

Olive fece un passo indietro e lo guardò con curiosità, la testa appena inclinata di lato. «Prosegui.»

«Fammi parlare con il tuo capo. Se lui-»

«Lei. Se lei.»

«Se lei», si corresse Tom con un piccolo sorriso asciutto, «conferma quello che mi hai detto e mi convince che tu e tutto questo non siete solo un effetto secondario del fuso orario e due bicchieri di Jack Daniels di troppo, allora sei libera di andare.»

Olive lo guardò come se Tom avesse improvvisamente cresciuto una seconda testa. «Sei pazzo? Questo non è accordo. Non è nemmeno una buona idea. E’, a dire il vero, una cattiva, terribile, orribile idea. M vorrà la mia testa su di un vassoio d’argento.»

«E perché?»

«Perché non dovrei essere qui, a parlare con te, ora. Dovrei essere là dentro», indicò l’appartamento della Graziosa Vicina, «intenta ad uscirne con il dipinto. Questo», indicò lui, lei e più in generale il balcone, «non sarebbe mai dovuto succedere. Ho fatto un errore. E nel mio campo d’occupazione gli errori si pagano a caro prezzo. M ha un occhio di riguardo per me, ma questo non significa che mi perdonerebbe facilmente se mandassi all’aria questo compito.»

«Mi assicurerò che non se la prenda con te», offrì Tom.

«Come?»

«Sono Tom Hid-»

Olive alzò la mano libera e gli coprì la bocca, soffocando il resto del nome. «So chi sei, ma per favore, niente nomi

Lui rimosse lentamente la mano dalla bocca, rivelando un piccolo sorriso divertito che Olive trovò vagamente irritante.

«Allora limitiamoci a dire che sono un bravo ragazzo. Le spiegherò tutto o troverò qualcosa da dire che ti tolga da possibili guai.»

«Anche solo il fatto di chiamarla perché tu vuoi parlare con lei mi metterà nei guai.»

«Da come la vedo io», sottolineò Tom con franchezza, «sei nei guai a prescindere. O non mi lasci parlare con il tuo capo e io non ti lascio andare e chiamo le autorità, o provi a rischiare e mi lasci parlare con lei, nonostante le possibili ripercussioni. Ma forse potrei convincerla ad essere clemente, e forse lei potrebbe convincere me che quello che hai detto è vero.»

Olive lo guardò incredula. Lui sostenne il suo sguardo con l’alone di un sorriso in un’espressione che sembrava ridicolmente onesta. Imprecò sottovoce, quindi sospirò. «Bastardo.»

Tom sorrise. «Lo prendo come un complimento.»

 

*

 

Era strana.

Certo, si disse Tom, è una ladra. “Strana” non era nemmeno l’inizio di una descrizione appropriata.

La guardò mentre era occupata al telefono, camminando nervosamente lungo il salotto del suo appartamento. Una parte di lui riconsiderò per l’ennesima volta la decisione presa, ma a quel punto sembrava comunque già troppo tardi. 

 

Parlava velocemente soprattutto in inglese, con alcune parole francesi inserite qui e là. Era abbastanza sicuro che avesse usato anche del spagnolo e dell’italiano. E non per la prima volta quella sera, Tom si chiese chi accidenti fosse quella giovane donna e in quale situazione assurda si fosse trovato lui.

 

Le rivolse uno sguardo più paziente e lento, ora che era impegnata in altro. Da quello che poteva vedere delle sue gambe, era decisamente allenata - forse persino una corritrice - ma, di nuovo, nessuna sorpresa. Ci si aspettava una cosa del genere, vista la sua scelta di “professione”.

Ma anche così, quando l’aveva notata sul punto di entrare nel balcone di Stina, non aveva potuto evitare di rimanere lì per un lungo momento, pietrificato in una sorta di assurdo stupore, pur sapendo che quello che lei stava facendo era sbagliato o, nella migliore delle ipotesi, davvero molto strano. Poi era saltata nel suo balcone con una grazia così naturale da far sembrare quella piccola acrobazia un gioco da ragazzi.

 

E tuttavia non c’era nulla in lei che la smascherasse. 

Non che Tom sapesse davvero quali generi di dettagli potessero smascherare un ladro, eppure lei era lì - una ladra, a quasi le quattro di mattina, nel suo appartamento e al telefono con il suo capo - e sembrava una persona del tutto normale, come tante altre ragazze e donne che avrebbe potuto incrociare ogni giorno, in qualsiasi parte del mondo.

Tom la vide lanciargli un’occhiata veloce - qualcosa di leggermente preoccupato negli occhi - perciò pensò di sorriderle. Lei non rispose al sorriso e decise, invece, di dargli le spalle.

Oh, beh.

Forse, dopotutto, quella era l’unica cosa che era in qualche modo diversa in lei. I suoi occhi. Sembravano essere quasi costantemente in movimento, calcolando senza riposo, osservando cose, registrando dettagli, cercando qualcosa. O quanto meno quella era l’impressione di Tom.

 

La vide girarsi di nuovo e coprire velocemente la distanza tra loro due, porgendogli il telefono. 

«Ecco», gli disse incapace di nascondere un po’ di ansia. «Sentiti libero di essere affascinante quanto vuoi.»

Tom si portò il telefono all’orecchio, insicuro su cosa dire. «…salve?»

«Mr Hiddleston», disse la voce di una donna dall’altra parte della linea. «Sono terribilmente dispiaciuta per l’inconveniente.»

Tom rimase per un instante senza parole, sorpreso dalla formalità del tono. Non aveva saputo cosa aspettarsi, ma certo non qualcuno che parlava come la direttrice di una scuola di buone maniere per giovani donne, con una piacevole nota straniera nel tono della voce.

«E’ estremamente raro che la mia giovane agente commetta certi sbagli», M continuò a parlare lentamente, «ma spero che lei possa comprendere come talvolta alcuni errori di valutazione trovino modo di imporsi su tutti.» 

«Sì. Voglio dire, sicuro. Succede. Certo», rispose Tom inciampando con un certo nervosismo sulle parole.

«E credo che la mia agente abbia condiviso alcuni - per così definirli - dettagli del suo compito attuale?»

«Sì. Sì, è stata molto gentile.»

M fece una breve pausa. «Quindi, sono forse in errore nel credere che lei per primo possa capire la particolare delicatezza di questo caso? Perché immagino che anche la sua natura artistica trovi senza dubbio davvero deprecabile l’idea di una rara opera d’arte venduta in maniera così deplorevole.»

Tom appoggiò la mano libera sul collo, massaggiandolo soprappensiero. «Certo. Capisco. O, meglio, immagino come possa esserci un caso…non sono a conoscenza di tutti i dettagli, ovviamente, ma…»

«Mr Hiddleston», lo interruppe M con delicatezza, «non creda che non comprenda i suoi dubbi. Ma le posso assicurare che quello che la mia agente deve fare è per il meglio.»

«No. Voglio dire, sì, ovviamente.» Tom lanciò un’occhiata ad Olive e fu con una certa sorpresa che la trovò intenta a fissarlo con un’espressione divertita. Aggrottò la fronte cercando di capire cosa la intrattenesse a quel modo, quando si rese conto che era lui e il modo in cui stava parlando con M, suonando come un adolescente nervoso.

 

Tom raddrizzò la schiena cercando di recuperare almeno un po’ del suo normale se stesso. Schiarì la voce e si sforzò di suonare più formale. «Senta, non voglio essere scortese, ma in tutta onestà non mi sento a mio agio nel fare parte - anche lontanamente - di qualcosa  di questo genere. Sono disponibile a lasciare la sua agente libera e a non chiamare le autorità, ma solo se mi viene garantito che non cercherà di sgattaiolare nell’appartamento della mia vicina per prendere quello che vorrebbe prendere.»

M, sorprendentemente, gli regalò una piccola risata. «Je n’ai pas de problémes, Mr Hiddleston. Glielo posso assicurare. Verrò personalmente a prenderla. E per quanto riguarda il sgattaiolare - come ha detto lei - le posso promettere che non succederà nemmeno quello. A questo punto è ormai troppo tardi per stanotte.»

Tom rimase in silenzio per un momento. Non si era aspettato che potesse essere così facile. Si schiarì la voce di nuovo. «Bene. Perfetto. Grazie.»

Ed eccolo lì, di nuovo, a parlare con stupido nervosismo. Con la coda degli occhi vide Olive tentare malamente di sopprimere una risata. Si girò a guardarla, parlando chiaramente e lentamente solo per lei. «La aspetteremo qui, allora. Suoni quando è qui sotto e le manderò la sua agente. Sono sicuro che è incredibilmente impaziente di spiegarle questa notte nei dettagli.»

Si sentì spudoratamente soddisfatto nel vedere un po’ di colore lasciare il viso di Olive. La vide cercare di chiedere qualcosa silenziosamente, ma Tom la ignorò e finì la conversazione con M.

«Viene qui?», chiese Olive con una nota di panico, appena Tom chiuse la chiamata. «M viene qui?»

Tom le sorrise sarcastico. «Sì, tesoro. Mammina viene a prenderti tra poco.» 

Per un intero instante lei non disse nulla, né si mosse. Quindi, lo colpì con un pugno sulla spalla. 

«Scusa?!», esclamò Tom massaggiandosi dove lei lo aveva colpito. Non gli aveva davvero fatto male, era stata piuttosto la sorpresa.

«Tu…», disse lei irritata, incrociando le braccia e riducendo per un attimo la bocca ad una linea sottile. «Non posso credere che tu l’abbia davvero fatto. Dovevi aiutarmi, non rendere la situazione peggiore.»

Tom la guardò. Non che si sentisse davvero in colpa, ma una piccola parte di lui - quella che apparentemente era troppo buona - non era completamente felice di sapere che questa strana donna che per una notte era entrata nella sua vita, potesse finire con avere dei problemi. Si passò una mano tra i capelli. «Ascolta.»

 

Olive alzò lo sguardo su di lui e Tom per un momento si dimenticò quello che voleva dire. 

Niente era cambiato - lei era la stessa lei di esattamente un attimo prima - ma in quel momento era improvvisamente comparsa sul suo viso un’espressione semplice e pulita, come se avesse deciso - volontariamente o involontariamente - di lasciare cadere maschere e atteggiamenti. 

Questa è lei, pensò Tom. Ed è graziosa.

Quella semplice ammissione gli fece fare un passo indietro. Il nervosismo richiedeva spazio fisico, apparentemente.

Olive lo guardò confusa. «Sto ascoltando?»

«Sì», replicò Tom guardandosi attorno, cercando qualcosa che non fosse lei da fissare. «Sì. Le parlerò. Con il tuo capo, dico. Non avrai problemi, lo prometto.»

Olive scosse le spalle rassegnata. «Non ti preoccupare. Non è come se lei, sai…» Con il dito si racciò una linea lungo il collo mimando un taglio, e per buona misura tirò fuori la lingua, pretendendo di essere morta. «Andrà tutto bene. M mi farà una severa ramanzina e io ascolterò adeguatamente dispiaciuta. E mi darà alcuni lavori minori e casi noiosi per un po’, ma sopravviverò.»

Raccolse una palla da tennis dimenticata sul tavolino del salotto e cominciò a giocarci. Tom osò guardarla.

«Posso chiederti una cosa?»

Olive non ricambiò lo sguardo, intenta a tenere gli occhi fissi sulla palla da tennis. «Immagino di sì.»

«Se anche fossi stata capace di…recuperare il dipinto, cosa impedirebbe a Stina di usare le foto comunque?»

Olive gli sorrise con una punta di apprezzamento che fece sentire Tom stupidamente orgoglioso di se stesso. Sembrava che avesse fatto una domanda che lei aveva trovato in qualche misura intelligente.

«Vedi, apparentemente la tua vicina è dell’idea che il posto più sicuro dove tenere le foto sia nel suo cellulare, quindi le ha salvate lì e solo lì. E so da fonti sicure che sfortunatamente non è più in possesso del suo telefono.»

«Come fai ad esserne così sicura?»

«Perché l’ho rubato questa sera», rispose lei senza pretese, incapace tuttavia di nascondere un piccolo sorriso soddisfatto. Bilanciò poi la palla da tennis sul dorso di una mano e con piccolo movimento la fece saltare in aria, raccogliendola con il palmo e facendola scorrere velocemente sulla punta di un dito, dove la fece girare velocemente in equilibrio su se stessa. 

Tom scosse la testa. «Mi domando dove tu abbia imparato…»

Lei ridacchiò. «Sono cresciuta in un circo.»

Lui esitò, valutando. «Bugiarda.»

Olive rise apertamente. «Va bene. Lavoravo per una compagnia che controlla e mantiene pali della luce e del telefono. Occupazione rischiosa, ma impari diverse cose.»

Tom aggrottò la fronte. «Stai mentendo di nuovo.»

Olive si girò a guardarlo con una certa curiosità sul volto. Gli passò la palla da tennis. «Come fai a saperlo? E perché vorresti saperlo, ad ogni modo?»

Tom fissò gli occhi sulla palla. «Non è cosa da tutti i giorni incontrare qualcuno che fa quello che fai tu.»

Olive trovò quella frase particolarmente divertente. «Rubare? Davvero. Posso sottolineare che siamo a Londra? La città è infestata da persone che lo fanno.»

Tom si decise finalmente a guardarla. «Anche se così fosse, non sono come te.»

Lei lo fissò per un attimo, equamente confusa e divertita. «Sarebbe forse un modo strano di farmi un complimento?»

Lui alzò le spalle. «Sto solo citando un fatto.»

Olive fece un passo verso di lui, ma si fermò quasi immediatamente. Sembrava esitante. Insicura. Giovane.

 

Tom ovviamente non la conosceva, ma non poté evitare di pensare che non si mostrasse così troppo spesso. E scoprì, anche, che l’insicurezza aveva reso le linee e i tratti del suo volto più delicati, forse più dolci. O forse era solo la luna o la notte stessa che erano particolarmente graziosi su di lei. Non ne poteva essere sicuro.

«Perché quell’espressione?», domandò Olive soppesandolo ancora da una distanza di sicurezza, come se Tom fosse un qualche esemplare di essere vivente raro e possibilmente pericoloso.

«Quale espressione?», domandò lui fissando gli occhi nei suoi.

«Quella che avevi sul viso un minuto fa.»

Lui le lanciò indietro la palla da tennis e lei l’afferrò quasi senza nemmeno guardarla.

«Sono solo stanco. Fuso orario. Jack Daniels. Una combinazione delle due cose.»

Chiuse gli occhi, coprendoli per un momento con una mano. Quando li riaprì, lei era lì, a pochi centimetri da lui.

Tom trasalì e fece un passo indietro, finendo con la schiena contro una delle pareti. «Non dovresti mai fare una cosa del genere a meno di non avere una buona ragione. Mi hai quasi fatto venire un infarto.»

«Ho una buona ragione», rispose Olive lentamente, alzandosi sulle punte dei piedi.

 

Tom la vide catturarsi distrattamente il labbro inferiore e fissargli la bocca. Non c’era stato nulla di calcolato - ne era quasi del tutto sicuro - eppure aveva comunque trovato la cosa stupidamente sensuale. Di conseguenza, anche la sua reazione era stata in qualche misura istintiva e, sotto certi aspetti, persino non voluta. Aveva sentito un brivido - quasi una piccola scarica - attraversagli il corpo e il cuore aveva preso a battere un po’ più velocemente. Ricordò a se stesso che non sapeva nulla di questa donna - a parte il fatto che era una ladra. Eppure, eccolo bloccato in quel punto e il quel momento, la mente improvvisamente invasa da immagini che-

«Il mio telefono», disse lei interrompendo i suoi pensieri.

«Scusa?», domandò Tom vagamente confuso.

«Hai ancora il mio cellulare», lo indicò in una delle mani di Tom. «Potresti restituirmelo?»

«Ah. Certo. Ovviamente. Scusa.» Non si preoccupò nemmeno di chiedersi se avesse parlato - di nuovo - come un’idiota, perché ne era abbastanza certo.

Lei, ad ogni modo, sembrò non farci caso e invece si riprese il telefono, facendo un passo indietro.

 

Tom aprì la bocca, cercando qualcosa di sciocco da dire per scuotersi di dosso un po’ della tensione che aveva improvvisamente accumulato, ma una suoneria bloccò il suo tentativo.

Olive lanciò un’occhiata allo schermo del cellulare prima di mostrarlo a Tom, così che potesse vedere la “M” maiuscola che era apparsa sul display. «Il mio segnale.»

Si diresse verso l’ingresso dell’appartamento e Tom la seguì vagamente sollevato, e allo stesso tempo leggermente a disagio.

«Bene», disse lei esitando un attimo, come se non fosse stata del tutto sicura su cosa dire. «E’ stato…»

Tom disse “un piacere” nello stesso momento in cui lei disse “strano”. Entrambi risero.

«La città è grande abbastanza perché non ci si incontri più - eccetera eccetera», disse Olive con un tono neutrale e un vago gesto della mano. Era tornata al suo tono formale. «Grazie per l’ospitalità.»

«Non c’è di che…credo?», rispose Tom ridendo piano. «Almeno, se non altro, la cosa buona è che non c’é davvero niente di valore che valga la pena di rubare nel mio appartamento.»

Olive alzò appena le sopracciglia, guardandolo incredula - o forse sorpresa. Lui rispose al suo sguardo con un’espressione incerta, la testa appena inclinata di lato. 

E per un lungo instante Olive gli fissò le labbra - non cercando davvero di sottolineare chissà che, ma piuttosto perché non poté evitare di farlo.

«Vedi», disse infine, lentamente e quasi con cautela, «io non ne sarei così sicura.»

 

Tom non trovò nulla con cui rispondere. La fissò sorpreso ed Olive spostò lo sguardo velocemente.

Quando tornò ad appuntare gli occhi su di lui, lo fece sorridendo, accennando un saluto con la testa e allontanandosi subito dopo. Lui la seguì con lo sguardo dalla porta del suo appartamento e solo quando lei aveva ormai raggiunto la metà del corridoio, si trovò a chiamarla.

Olive si girò e lo guardò con una nota di insicurezza.

«Londra non è così grande», disse lui con un sorriso. «Controlla il tuo telefono.»

 

Olive aggrottò la fronte e cercò qualcosa da dire, ma decise invece di rinunciare. Alzò una mano e salutò Tom, prima di correre giù per le scale e fuori, dove M la stava aspettando.

Si fermò solo per un istante nell’atrio del palazzo, dove controllò il suo cellulare. La sua lista di contatti era stata lasciata aperta, ma nulla di più. 

E in quell’istante un messaggio da un numero sconosciuto comparve sullo schermo. Leggeva: “questo é Tom”.

Olive non poté evitare di sorridere.

Non sapeva quando Tom avesse preso il suo numero di cellulare e quello - se non altro - mostrava una certa inaspettata abilità che Olive trovò notevole. E in più, ora lei si trovava con il suo contatto.

 

Non sapeva se lo avrebbe mai utilizzato, quel numero. Sapeva, però, che non l’avrebbe cancellato. E sapeva, più o meno, che con tutta probabilità avrebbe vissuto per pentirsene. 

Perché le sembrava che quell’uomo portasse con sé tutta una serie di problemi di natura particolare. 

Ma anche così, non riusciva a smettere di sorridere.

Forse perché, ammise a se stessa affrettandosi verso la macchina di M, Tom era con tutta probabilità la cosa più strana che avesse mai pensato di rubare.

Se potevi rubare una persona, ovviamente.

Non ne era del tutto sicura, ma forse non sarebbe stata del tutto contraria all’idea di provare a scoprirlo.

Un giorno, forse.

 

 

Fin

  
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