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Autore: bookorlife    21/12/2014    3 recensioni
Questa storia l'avevo scritta per un compito di italiano ma la prof non me l'ha mai corretta. Mi sono divertita a scriverla, mi è venuta l'ispirazione mentre mio fratello giocava alla play station.
Qui Ross e Laura si conosceranno in un contesto particolare, ma sta a voi scegliere se leggere o no.
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Dal testo:
guardò il proprio riflesso: una ragazza dai capelli perfettamente pettinati, un filo di eyeliner e un lucidalabbra alla fragola la guardava, ma non le sorrideva, affatto, ma la guardava triste. Le labbra erano leggermente livide, e gli occhi color cioccolato avevano perso ormai da tempo la luce che vi risiedeva continuamente, anni prima. Laura chiuse le palpebre e tentò di reprimere le lacrime che minacciavano di uscire, iniziando a ricordare ciò che si era imposta di sognare solo di notte, quando nessuno poteva sentirla o vederla.
Genere: Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Laura Marano, Ross Lynch
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Quando Laura entrò nella sua nuova camera, la sua maestosità, la sua grandezza, il suo tutto l’abbagliarono come il sole ti abbaglia in una giornata d’estate: due grandi porte-finestre davano su un grazioso balconcino, il letto a baldacchino coperto da un piumone rosso era più di quello che si fosse mai immaginata; i costosi mobili in legno erano lucidi e ben oliati, mentre la porta era dipinta di un bel bianco opaco e i cardini erano dorati. Il tappeto, anch’esso rosso, aveva delle graziose fantasie disegnate sopra. La ragazza che l’aveva accompagnata, una donna sulla trentina dai capelli ricci e biondi e dagli occhi neri, vestita di bianco, le chiese gentilmente:
-come ti sembra?-
Laura esitò un po’ prima di rispondere, poi disse, semplicemente:
-ehm... rossa-. La donna sorrise e le portò le valigie in camera, poi si congedò:
-ti lascio sola. Alle sette noi ceniamo, solitamente. Cosa desideri per cena?-
-ehm... non saprei, della pasta andrebbe benissimo. Fa lo stesso-                                        -come desideri-
La lasciò sola, e Laura si sdraiò sul letto, osservando ulteriormente la camera: alle pareti erano appesi dei ritratti di persone, in testa quelle parrucche che si usavano nel 1800, se non prima. La carta da parati, anch’essa rossa, era segnata da delle striscioline dorate. A Laura ricordò molto la sala comune di Grifondoro, Harry Potter. Si alzò a sedere, per poi notare una porta confusa col muro. Si alzò lentamente dal materasso, quasi troppo morbido per i suoi gusti, e percorse lentamente quei quattro metri che la separavano da quella stanza nascosta. Afferrò con forza la maniglia e la girò senza tante cerimonie, trovandosi davanti un bagno completamente in marmo, dalla pavimentazione alla vasca che si trovava nell’angolo. Si diresse verso lo specchio, un enorme specchio rettangolare più grosso di lei, e guardò il proprio riflesso: una ragazza dai capelli perfettamente pettinati, un filo di eyeliner e un lucidalabbra alla fragola la guardava, ma non le sorrideva, affatto, ma la guardava triste. Le labbra erano leggermente livide, e gli occhi color cioccolato avevano perso ormai da tempo la luce che vi risiedeva continuamente, anni prima. Laura chiuse le palpebre e tentò di reprimere le lacrime che minacciavano di uscire, iniziando a ricordare ciò che si era imposta di sognare solo di notte, quando nessuno poteva sentirla o vederla.

Un SUV nero correva lungo la strada piena di curve, silenzioso come una pantera nella giungla, mentre le ruote scivolavano sull’asfalto. Due bambine guardavano preoccupate i genitori, che litigavano per uno stupido motivo che laura non ricordava. La più piccola era anche scoppiata a piangere, mentre la maggiore tentava di consolarla. Damiano Marano era alla guida, e litigava con la moglie, Ellen, sul fatto che avessero preso la strada sbagliata. Poi il nero totale, uno stridio, e nulla. Laura si era trovata due settimane dopo con un ago infilato nel braccio e un insistente bip nell’aria, proveniente da una strana macchina. Si era messa a strillare e a urlare come una forsennata, avendo solo 4 anni. Un gruppo di infermieri l’aveva guardata sollevata e le avevano offerto un pezzo di cioccolato lei lo aveva mangiato subito, subito dopo che le ebbero tolto l’ago dal braccio. Sua sorella vanessa era entrata nella camera bianca, vestita come lei, vestito strano verde-acqua. I capelli neri le ricadevano ordinatamente sulle spalle, ma la bambina era triste. E poi la portarono in uno strano posto, assieme alla sorella maggiore, dove non vide mai piu i suoi genitori, dove c’erano le suore, di quelle che ti trattavano malissimo quasi per dispetto e di quelle che pur di non vederti affamata ti davano il loro pranzo. Suor Costanza era una di quest’ultime e le aveva regalato tutti i libri più belli: Harry Potter, Percy Jackson, Hunger Games... tutto. Poi era arrivato il cancro. Non per lei, ma per sua sorella Vanessa. E in quel giorno di Dicembre, stranamente soleggiato, quasi a prendersi gioco di lei, il suo unico supporto era svanito, come la felicità di Laura. Poi, qualche giorno prima, i signori Lynch l’avevano adottata, con enorme stupore da parte di tutti. E ora si trovava lì.

Laura riaprì gli occhi, le lacrime che cadevano sulle guance. Tornò di corsa in camera, e si sdraiò sul letto, singhiozzando. Prese una foto della sorella, dalla valigia, e iniziò a parlarle, come se fosse una persona reale e non solo una fotografia.
–Ehi, Vanessa... come va lassù?! Qui tutto bene, almeno per ora... camera mia sembra il dormitorio dei Grifondoro. Mi manchi... come al solito, naturalmente. Le pareti sono rosse e dorate... tu volevi vivere in una stanza così. Forse senza quei tizi appesi al muro... fanno quasi spavento-
-anch’io ho sempre odiato quei quadri- disse una voce alle spalle della ragazza, che sobbalzò dallo spavento. Si girò di scatto, vedendo un biondino, alto, occhi color nocciola. Indossava dei jeans strappati al ginocchio, delle converse nere, una camicia a quadri sopra una maglietta bianca ed era appoggiato al muro con fare leggermente menefreghista.
-da... da quanto tempo sei qui?!- chiese Laura, leggermente irata contro quel ragazzo che l’aveva trovata così impreparata.
-abbastanza da capire che la tua è una storia della quale non vuoi parlare e che non ami i quadri antichi- rispose lui semplicemente. Laura esultò dentro di se, finalmente qualcuno che non voleva conoscere la sua storia.
–quindi qui sei la novellina. Una sorellastra, in pratica. Una sorella in teoria.- cercò di chiarire il biondo, anche se riuscì solo a confondere la mora.
–sono Ross, comunque.- disse, porgendole la mano. Laura la strinse vigorosamente. Le mani di Ross erano callose, come se lavorasse o suonasse la chitarra. Decise di chiederglielo, cosa aveva da perdere?!
-suoni qualche strumento?!-
-chitarra, basso, pianoforte, batteria e violino- 
-non ti ci vedo a suonare il violino- 
-posso suonare per un’ora, se voglio- 
-scommettiamo- 
-scommettiamo- sorrise lui. Si ri-strinsero la mano, e Laura fu certa, in quel momento, di aver trovato un amico.
Ross se ne andò, salutandola, e lei si stese sul letto, con un sorriso sulle labbra. 
Non avrebbe mai immaginato che quel ragazzo sarebbe stato la svolta, la risoluzione di tutti i suoi problemi, la fine delle persecuzioni da parte dei fantasmi del suo passato. No, non lo sapeva. Sapeva solo che quel ragazzo sarebbe stato suo amico, l’unico vero amico che avesse mai avuto. E non sapeva che quel ragazzo dagli occhi color miele sarebbe stato la sua unica salvezza. Ancora ignorava. Ma non avrebbe ignorato per molto altro tempo.
–Vanessa, hai visto? Ho un amico finalmente-

Ehm... Salve!! Questa è la mia prima fan fiction, e l'ho scritta mentre mio fratello giocava alla play. Non sono del tutto soddisfatta, specialmente quando parlano degli strumenti, ma spero vi piaccia. Accetto critiche costruttive. Se ci sono errori è il cellulare, questo correttore mi fa impazzire. Grazie se siete arrivati fino a qui ;)
   
 
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