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Autore: thembra    21/12/2014    3 recensioni
...Quella corolla era l’amore che c’era stato e che tutt’ora esisteva fra la donna più insolente e indifferente che lui avesse mai conosciuto e suo padre...
Sia lui che Inuyasha non avrebbero mai più potuto dimenticare le ultime parole esalate dalle labbra del loro fiero padre morente.
Tre, e tutte uguali.
Rin…Rin…rin
Genere: Erotico, Malinconico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Inuyasha, Rin, Sesshoumaru
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: nessuno
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-ALWAYS WITH YOU-
 
 
 
TONF
 
 
L’oscurità lo avvolse non appena la spessa porta blindata si richiuse alle sue spalle con un netto stacco.
Era buio.
Fresco.
E silenzioso.
Inspirò staccandosi appena dalla porta controllando i dintorni.
C’era un odore denso e forte ma non di stantio come si era aspettato dal momento che erano quasi due anni che nessuno ci metteva piede e nemmeno di polvere o muffa. Sembrava che suo padre sarebbe potuto rientrare da un momento all’altro, se l’avesse trovato lì…
Gli venne l’istinto di uscire ma poi si ricordò che non sarebbe successo, che il brivido che gli stava nascendo nel cuore era dettato dalla sua sciocca speranza, da un minuscolo frammento di anima che continuava a sopravvivere giorno dopo giorno nonostante il suo freddo carattere sapesse benissimo che dal mondo dei morti non si faceva ritorno.
Mosse alcuni passi decidendo da che parte andare; non era pratico di quel posto.
Taisho era molto geloso dei suoi spazi e se con la villa fuori città dove abitavano tutti era permissivo e dava loro massima libertà il discorso cambiava quando si trattava del suo rifugio, l’appartamento che si era comperato in città ancora prima di conoscere Izayoi.
 
Era enorme e che doveva essere molto luminoso lo si capiva dalle grandi finestre poste in cucina, nell’ampio salotto e sicuramente anche nelle stanze, nonostante ora fossero oscurate dalle spesse tende color beige.
Si trovava in una bella zona residenziale vicina al centro all’ultimo piano di una palazzina nel cui quartiere, lo aveva visto arrivando, erano presenti piccoli supermarket panetterie e negozi raffinati.
C’era un parco attorno ad ogni palazzina e tanti alberi piantati ordinatamente offrivano ombra d’estate a chiunque si sedesse sulle panchine messe vicine, alcuni giochi per bambini e fontanelle rendevano il complesso adatto anche alle famiglie.
Dall’ultimo piano dov’era situata la proprietà si godeva poi di una vista molto piacevole.
 
Muovendosi lasciò scivolare le chiavi lungo il palmo della mano destra e queste finirono dentro ad un cesto in ceramica nera posto sopra il pass che separava la cucina dall’atrio.
Entrò passando per un bellissimo arco rivestito di pietra grezza esplorando la stanza, le mensole erano laccate di nero, lucide e lineari, i piani cottura ad induzione e gli elettrodomestici in acciaio inox.
Una grande finestra percorreva quasi tutta la lunghezza della parete e dei faretti illuminavano la zona dell’isola e del lavandino.
Aprì le credenze rimanendoci quasi male nel trovarle vuote ma prive comunque di polvere.
Qualcuno doveva passare regolarmente a dare una pulita ma ignorava chi fosse, diamine, aveva trovato le chiavi di quella casa per puro miracolo quando l’avvocato di famiglia gli aveva presentato le carte di tutte le proprietà fra le quali aveva trovato l’indirizzo di quella casa.
Le chiavi erano state per mesi dentro al sacchetto trasparente che conteneva gli oggetti personali che l’ospedale nel quale era stato ricoverato Taisho aveva consegnato a lui e Inuyasha dopo la sua morte.
C’erano il portafoglio con dentro le foto di tutti, da Inukimi, a Izayoi, la sua e quella di Inuyasha e in un angolino la foto tessera di una sorridente Rin.
C’erano la sua collana d’oro fino col ciondolo dello stemma di famiglia, l’anello d’oro rosso che portava all’anulare, un braccialetto di cuoio molto ben fatto, le chiavi della macchina ed un mazzo con un portachiavi di peluche che non entrava in nessuna serratura a loro conosciuta.
Aveva collegato le due cose solo dopo aver ricevuto le carte dall’avvocato, trovato l’indirizzo a soprattutto il coraggio per recarsi in quella casa.
Coraggio che dopo mesi gli era venuto quel pomeriggio.
 
Gironzolò per il salotto dove stavano due divani in pelle scura completi di cuscini, un tavolino in vetro basso sopra un tappeto chiaro dalla trama semplice.
Appoggiato alla parete un mobile da soggiorno ospitava un vecchio giradischi una lampada e la pila di innumerevoli 45 giri che suo padre tanto amava.
Diceva sempre che la grezza melodia data dalla punta del giradischi contro la superficie del vinile era il segreto che completava la bellezza della musica. Più volte li aveva esortati a lasciar perdere lettori cd e mp3 in favore del vinile ma senza successo e così aveva finito per portare via i suoi vecchi apparecchi per concedersi quel piacere in solitudine; o chissà, magari a Rin piaceva.
Sapeva con certezza che l’aveva portata lì più di una volta, era ovvio.
Dal momento che alla villa le scenate si sprecavano non se ne stupiva, quello e il piccolo appartamento di lei dovevano essere stati gli unici posti dove potevano stare tranquilli.
 
Lì vicino c’era l’interruttore, lo pigiò e di colpo una luce soffusa e calda illuminò gli spazi gettando ombre sulle pareti delineando meglio lo stacco fra la cornice delle molte fotografie appese e la chiara parete.
Si avvicinò per poter vedere chi vi era raffigurato.
Erano tutte di Rin.
Tutte quante.
Rin che assorta leggeva un libro all’ombra di un albero al parco del tempio che si vedeva alle spalle.
Rin che lo guardava sorridendo all’obiettivo
Rin indecisa davanti alla vetrina di un negozio di dolci.
Rin vestita da clown nel reparto di pediatria e tanti sorrisi e occhi vispi attorno a lei.
Rin, sempre al tempio seduta sulla riva dello stagno che con le dita sfiora la superficie, e quella libellula ripresa per caso che aleggia sopra il dorso della sua mano.
Rin che lo abbraccia.
Rin che lo bacia.
Rin che dorme nel suo letto.
Rin che-
 
Gli venne un senso di vertigine quando iniziò a sentire i suoni e le voci che avevano accompagnato quegli scatti.
 
Guardava la prima foto e sentiva il vento fra le fronde e il sommesso canto degli uccelli.
Sentiva la voce di suo padre chiamarla d’improvviso e scattare non appena il sorriso di lei era inquadrato.
Sentiva le risa dei bambini dell’ospedale accompagnare la buffa voce impacciata che faceva.
Sentiva la sua voce chiamarlo mentre lo stringeva e il suo fiato sotto all’orecchio.
Sentiva un esplosione nel cuore mentre l’immortalava addormentata fra le sue lenzuola con le labbra rosse e il fiatone. Lo sentiva diventargli duro perché sapeva cos’avevano fatto, diamine, i suoi gemiti acuti e le unghie piantate nella schiena, il tremore delle sue palpebre mentre le chiudeva sopraffatta dal piacere, i suo gemiti languidi che gli facevano capire che quello che le stava facendo le piaceva eccome, che non doveva fermarsi e che…
 
E poi la scena cambiava d’improvviso trasferendosi sul pianerottolo del piccolo appartamento di lei.
 
“Torna con me Rin”
“M-ma i tuoi figli…”
“…non m’importa se a loro non sta bene…”
 
Poteva vederla dalla prospettiva di suo padre piccola e confusa mentre lo guardava con quegli occhi nocciola grandi e lucidi.
Sentiva l’impazienza di stringerla e il prurito nelle vene dove il suo sangue di demone pulsava di passione e voglia e desiderio.
Sentiva l’amore di quel grande demone verso la debole umana, provava la fatica che stava facendo suo padre  per resistere e darle il tempo di decidere anche se dubitava che un suo rifiuto sarebbe stato in grado di fermarlo.
Lei lo amava e lo capiva da ogni respiro che le sue labbra emettevano, ogni luce nelle iridi di lei erano profondo sentimento, ogni movimento delle sue mani era tic dal quale s’imponeva di resistere per non abbracciarlo…e quelle sue gambe chiare e sode erano la porta per il paradiso, portavano alla fonte del piacere assoluto.
Ricordava gli spasmi dei suoi fianchi nell’averle strette intorno.
Erano due settimane che l’aveva lasciato e non sarebbe resistito un minuto di più senza di lei.
 
“Non posso saperti viva e lontana da me Rin…non posso… e non è giusto che a pagare per i capricci di due sciocchi  siamo noi…Rin!”
 
Mosse un passo in avanti stringendo fra le mani lo stipite del portone d’entrata.
Era stata saggia lei a non farlo entrare perché sapeva a cosa andava incontro.
Lì, esposti agli sguardi e alle orecchie dei vicini erano costretti a trattenersi, se l’avesse fatto entrare sarebbe stata la sua condanna.
 
“Ti…ti prego T-Taisho io non ce la faccio…” si morse le labbra e gli occhi le divennero lucidi. “Mi guardano come se fossi una pezzente, umiliano ogni mio tentativo di…di- e io non so nemmeno perché ci ho provato per tutto questo tempo, non pretendevo chissà cosa, solo la risposta ad un saluto, l’accenno di un sorriso magari…ma perché mi odiano così tanto? Cosa diavolo credono che voglia farti?”
 
Scoppiò in lacrime contro il suo petto.
O per meglio dire, al primo accenno di un suo cedimento suo padre la strinse a sé soffocandole il pianto fra le pieghe dei suoi eleganti vestiti.
Approfittando di ciò spinse entrambi oltre la porta richiudendola alle proprie spalle.
Poi aspettò che lei si calmasse, carezzandole la nuca, la schiena e stringendola forte per farle capire che c’era sempre lui con lei, anche quando tutto il mondo le voltava le spalle.
 
“Capiranno Rin, e allora vedrai che non sapranno più cosa inventarsi per fare ammenda…abbi pazienza amore mio…resisti con me…”
“Sigh…due anni…resisto da due anni ma anziché cambiare quegli… stronzi peggiorano!”
“Mpfh…”
“Che c’è da ridere?”
“Questa è la prima volta che ti sento insultarli…”
“…già…mpfh… heh…sigh…però è vero…sono degli stronzi!”
“I più stronzi di tutti gli stronzi esistenti al mondo…”
“Concordo...”
 
Fu lei a stringerlo stavolta, e sentì il tremore scuotere i suoi muscoli per lo sforzo.
In quel momento, guardandola mentre con braccia e corpo non suoi la stringeva si rese conto di quanto fosse esile e fragile quella piccola umana.
 
“Ti amo Taisho…non voglio stare senza di te…ti amo!!”
“Ti amo anche io Rin…sei la mia gioia, la mia resurrezione. Sei la mia pace e non intendo rinunciare a te per nessuna ragione al mondo…chiaro?”
“Nhm”
 
Bene.
Appurato ciò rimaneva solamente una cosa da fare.
Lanciò un occhiata all’appartamento verso il corridoio dove sapeva ci fosse la sua camera da letto.
La sentì ridere.
 
“Sei incredibile…ci vediamo ora dopo giorni e l’unica cosa a cui pensi veramente è…”
 
Insinuò una gamba fra quelle di lei piegandola in modo da incastrarla bene all’inguine.
La sentì fremere e ridere quando il contatto con la sua erezione prigioniera dei jeans la fecero sussultare.
Inspirò e sentì anche qualcos’altro.
 
“Vuoi davvero metterti a fare la moralista?”
“Non vale però…non fosse per i tuoi sensi non ti saresti accorto di niente…”
“Tu dici?” Strusciò la gamba facendola gemere ancora, il picco di piacere che le stava causando la faceva profumare di buono, di passione. “Ho visto come mi guardavi Rin…a frenarti c’era solo la paura per quei due…stronzi!”
“Mpfh…vero…ma adesso che non c’è più?”
“Mi chiedo perché stiamo ancora parlando…”
“…”
 
Smorzò la sua risposta con un bacio affamato.
Le aggredì le labbra insinuandoci dentro la lingua facendolo diventare dolce solo verso la fine, quando si erano saziati, quando non c’era più l’ansia del distacco sofferto.
Spingendola all’indietro la diresse verso l’isola della sua piccola cucina e premendole le dita sulle natiche la issò a sedere sul freddo piano di marmo.
Non sarebbe resistito fino alla camera da letto.
Si nutrì dei suoi respiri e dei suoi singhiozzi di piacere dedicandosi poi a solleticarle il collo fin dove questi si univa alla spalla che le sue mani avevano sapientemente liberato dai larghi indumenti che indossava.
Si posizionò fra le sue gambe attirandola a sé, premendo forte il su bacino a quello morbido e piatto di lei, non vedeva l’ora di…
 
“Taisho…”
 
Si lasciò andare completamente e la fece sua con ardente foga contro quel mobile poi senza staccarsi si diresse in camera da letto prendendola con dolce passione poi e con rilassata calma infine.
Se la strinse forte al petto posando il suo grande e rovente palmo sopra il piccolo dorso della mano che lei gli aveva posato sul cuore.
 
“Sempre con te.”
 
Lei gli fece eco con voce sussurrata donandogli un pigro bacio sul petto.
 
“Sempre con te…”
 
Finì tutto in un istante; così com’era incominciato, quel flashback terminò riportandolo all’interno dell’appartamento vuoto di suo padre.
Chiuse le dita contro il muro contro il quale si era appoggiato per non cadere.
Si odiò.
Si odiò come non aveva mai odiato nessuno.
Si diede del bastardo, del vigliacco della bestia, dello stronzo.
Mentre la schiena scivolava contro la parete verso il basso continuava a ripetersi quella parola come un mantra.
Stronzo stronzo stronzo.
 
Ne avevano combinate troppe lui ed Inuyasha e non c’erano scuse o rimedi che avrebbero espiato la loro crudeltà.
Lui, che era uno che portava rancore a vita per delle sciocchezze come poteva pretendere il perdono di una ragazza buona che non gli aveva mai fatto niente e che lui di rimando aveva tormentato per mesi? Come poteva anche solo aver pensato di avvicinarla?
Non l’avevano coinvolta quando c’era stato l’incidente, non le avevano comunicato la morte di Taisho non le avevano permesso di stare nei primi banchi della cattedrale e neanche di mettere la sua piccola corona di fiori bianchi vicino a quelle sfarzose dei soci dell’azienda e delle varie associazioni.
Non si erano più preoccupati della sua esistenza dimenticandola come se mai fosse esistita, con una facilità mostruosa, degna dei demoni che erano.
 
Lei invece, piccola fragile debole triste e sola aveva sopportato e si era pure presa in carico il cucciolo di volpe salvato da Taisho.
Loro due neanche si erano degnati di sapere chi fosse, lei lo aveva adottato.
Shippo era della stirpe dei demoni e loro gli avevano voltato le spalle.
Lei che era umana lo amava come fosse figlio suo.
 
Che schifo!
 
Aveva soffocato la purezza e la bontà dell’animo di Rin col fango della crudeltà e del suo egoismo.
Come poteva anche solo guardarsi allo specchio senza provare vergogna?
 
….
 
“Lo senti?”
“!?”
“Questo è ciò che era lei quando la conobbi.”
“Nh?”

“Un grumo denso e umido di gelo e orrore, di solitudine e paura; di tristezza, angoscia e tremenda, assoluta disperazione.”
 
…..
 
Ripensò alle parole della sacerdotessa, riprovò quell’atroce sensazione di totale abbandono e terrore.
Com’era riuscita quella fragile creatura ad andare avanti?
 
Alzò le ginocchia poggiandoci sopra i gomiti, le mani gli nascondevano il viso, la lunga frangia scendeva a solleticargli le dita, i capelli ricadevano in avanti schermandolo dal mondo e dalla vergogna.
 
Si rese conto d’essere impotente.
L’unico modo per rimediare alle sue azioni tremende sarebbe stato quello di tornare indietro nel tempo e cancellare tutto, d’essere consapevole che quella buffa ragazzina non avrebbe rappresentato alcun pericolo né per loro, né per Taisho men che meno per il ricordo che avevano delle loro madri.
Ma se era vero che dal regno dei morti non si tornava, lo era altrettanto il fatto che le azioni ed il tempo trascorso non potevano essere cancellate.
Non vedeva via d’uscita.
 
Improvvisamente il cellulare incominciò a vibrargli nel taschino della camicia.
Preso alla sprovvista sussultò raggiungendo l’apparecchio per vedere chi lo chiamava.
 
INUYASHA
 
“Si?”
“Dove diavolo sei finito?”
“Sono in città, avevo bisogno di muovermi…”
“Ah…senti, so che potrebbe sembrarti scemo ma, ho appena visto una reclame alla tv, fanno una raccolta fondi per il reparto oncologico dell’ospedale dove siamo stati l’altra settimana, pensavo che potremmo fare una donazione…no? ”
 
Sorrise internamente all’indecisione del fratello. Inuyasha era sempre stato una testa calda, istintivo e passionale, quello che doveva avere l’ultima parola su tutto eppure quando si trattava di lui, suo fratello maggiore perdeva tutta  la spocchia e diventava insicuro, quasi avesse paura di fare qualche mossa sbagliata e perdere la sua fiducia, perdere lui.
Da quando era morto loro padre quell’insicurezza nel rivolgersi a lui si era moltiplicata. Erano rimasti soli ed era lui, Sesshomaru il solitario della famiglia, quello che non badava troppo alle relazioni famigliari, quello che se c’eri o non c’eri non faceva differenza mentre Inuyasha amava stare in compagnia anche se non era necessario chiacchierare a qualsiasi costo.
Un film a casa, una cena in famiglia, le vacanze passate insieme.
Tutto pur di non rimanere da solo, per questo forse non si era mai arreso da piccolo quando le tentava tutte per farsi accettare dal suo terribile glaciale e schivo fratellone.
Ce l’aveva fatta e anche se non lo avrebbe mai ammesso neanche sotto tortura non avrebbe mai rinunciato a lui. Inuyasha era suo fratello, punto. Un testa di cazzo si, ma gli voleva bene.
 
“-oh ci sei?”
“Nh? Si…si ci sono…”
“…allora? Che te ne pare?”
“Ottima idea ‘Yasha”
“Davvero?”
“Si, e dato che è stata un’idea tua lascerò che sia tu ad occuparti di tutto compresa la parte delle scartoffie…”
“Hey hey heeeey! Tropp faci-”
“Ci vediamo a cena, ciao!”
 
Riattaccò levandosi in piedi, dirigendosi verso il fondo della casa, dove dovevano esserci le stanze da letto, i bagni il ripostiglio.
Entrò nel grande bagno piastrellato di nero marmo i cui minuscoli cristalli brillavano reagendo alla luce.
C’erano due lavandini in tinta con le piastrelle, gli armadietti e lo specchio lucidi e puliti nel bicchiere due spazzolini, uno elettrico che riconosceva essere di suo padre e uno col manico colorato di rosa.
La grande vasca idromassaggio era contornata di candele, di vasi contenenti essenze sali da bagno e petali di rosa, sui ganci due tuniche, una enorme, una minuscola in confronto, ambedue candide e perfettamente stirate.
 
Vivevano insieme?
 
Uscì svoltando a destra, entrando nell’enorme suite che era la stanza la letto dai mobili lineari con un enorme porta finestra che dava su un terrazzo ampio e pieno di vasi di piante verdi e fiori perfettamente curati, c’erano delle sedie in vimini molto eleganti ed un dondolo, ed un piccolo barbecue e un caminetto e la balaustra che recintava il terrazzo aveva dei piloni alla cui base stavano dei grandi vasi in legno dai quali nascevano verdi e rigogliose viti che risalendo i fili del pergolato creavano una tettoia verde e fitta sotto alla quale erano stati appunto posizionati i mobili da guardino.
In un vaso di terracotta crescevano poi un glicine e in un altro ancora più grande un olivo dal tronco grigio come le pietre dei fossi e dalla fitta chioma.
Piccole piantine di fragole e viole ornavano la parete della casa o le ringhiere dando un tocco femminile.
 
Alzò le tende ed uscendo inspirò l’aria e i profumi che aleggiavano lì immergendosi in un mondo a parte fatto di silenzio e profumi.
 
Si era costruito proprio un paradiso e non si stupiva più del motivo per cui ne fosse stato così geloso.
Se solo glielo avesse detto avrebbero rovinato anche quel mondo di pace.
 
Si sedette su di una poltrona sentendola scricchiolare sotto al proprio peso, dalla tasca del giaccone estrasse un pacchetto di sigarette e ne accese una, c’era un posacenere sul tavolino basso da giardino e sapeva che suo padre fumava, non gli avrebbe dato alcun fastidio.
 
Inspirò un paio di boccate schiudendo gli occhi, levandoli al cielo che incominciava a tingersi dei colori del tramonto…si era fatta sera oramai ed era lì dentro a cercare chissà cosa da ore.
Si concentrò sui colori, sui profumi e sulle leggere ondate di brezza lasciando che il senso di colpa se ne andasse via.
Sembrava così vicina la pace dei sensi che…
 
“Taisho-kun?”
 
La mano che stava per portargli la sigaretta alla bocca si bloccò a mezz’aria.
Un tuffo al cuore e il sangue smise di essere plasma trasformandosi in ghiaccio appuntito e viscido che ad ogni pulsazione lambiva ogni parte del suo essere.
Due parole ed il suo mondo si fermò.
Non osò girarsi.
 
“Ta-Taisho-kun?”
 
Stavolta la voce vibrava di pianto e speranza.
Sentì qualcosa cadere a terra ed un tintinnio, probabilmente erano la sua borsa e le chiavi, la porta finestra che lui aveva lasciato semichiusa venne sbattuta e aperta completamente.
 
“Taisho-kun?”
 
Lo chiamò di nuovo ma lui non si voltò.
Non era pronto per guardarla negli occhi, non era pronto ad accettare la sconfitta quando questi, vedendo di chi si trattava realmente, si sarebbero riempiti di terrore e angoscia.
La sigaretta si era consumata del tutto e il cilindro di cenere gli cadde sulle ginocchia sfumando via.
 
Sentì la sua voce chiamarlo nuovamente, stavolta fra i singhiozzi, la sentì andargli sempre più vicino finchè una piccola mano gli si posò sulla spalla.
Appena avvenne quel contatto come un fulmine si alzò e voltandosi velocemente la strinse al proprio petto chiudendosi su di lei che piangeva e si disperava impedendole di guardarlo in faccia
.
Rimasero così fin quando il pianto si placò, poi dolcemente mentre la allontanava da sé le chiese di chiudere gli occhi.
Lei obbedì e coi pollici portò via le lacrime dai suoi occhi tremanti.
Non riuscì a resistere e con un dolce tocco le sfiorò la fronte.
Qualcosa poi in lui scattò e un attimo dopo erano le labbra di lei ad essere fra le sue, non più quella pallida liscia e morbida fronte, ma due labbra impazzite ed una lingua che sapeva di succo al mirtillo.
 
Gemette lui e con l’aiuto dei palmi le alzò il viso angolandolo nel modo più comodo per poterla baciare più a fondo.
Gli parve di impazzire, più assaggiava e più voleva, ogni bacio ne chiedeva un altro e un altro ancora e non gli importava se incominciava a mancargli il respiro, niente al mondo l’avrebbe convinto a staccarsi da quelle labbra.
 
“Mhg”
 
Niente a parte un peso morto che gli cadeva addosso.
Ricevendola ondeggiò un poco indietro scostandole dal viso i neri capelli che le ricoprivano la fronte e parte della guancia.
Chinandosi appena la prese in braccio catturandole le ginocchia poi rientrò adagiandola sul letto le cui sottili lenzuola s’incresparono  non appena subirono il suo peso.
 
Era bella da togliere il fiato.
Uguale a come se la ricordava.
Rimase con lei fino ai primi sintomi di risveglio, poi sparì uscendo da quell’appartamento senza fare alcun rumore.
Se aveva un po’ di fortuna lei avrebbe scambiato tutto per un sogno.
E poco importava che invece lui non avrebbe fatto altro che ripensare alla dolcezza delle sue labbra, al calore del suo piccolo corpo tremante, alla foga con cui di rimando, Rin, credendolo qualcun altro, aveva risposto a quel bacio.
 
Sul terrazzo, oltre la porta che si era richiuso alle spalle, celato dalle tende calate c’era l’angolo coi mobili da giardino, un tavolino e sopra un posacenere.
Dentro un mozzicone.
 
 
 
 
 
 
È un’eternità che  non aggiorno questa storia.
Tuttavia in molti mi avete scritto per chiedere se la continuavo,
per farmi i complimenti e dirmi cosa ne pensavate.
Vi ringrazio.
Ultimamente ho davvero poco tempo per scrivere,
 spesso mi mancano le idee, la voglia…l’entusiasmo che avevo un tempo
quando in una sera scrivevo 10 pagine di word senza nemmeno rendermene
conto.
Sono cresciuta, non ho più 17 anni come quando incominciai a provare a scrivere all’epoca di Manga.it (scoperto fra l’altro durante l’ora di informatica all’alberghiero) tuffandomi dentro questo meraviglioso universo fatto di parole
idee trame personaggi fantastici e lettori stramitici.
Adesso ho quasi trent’anni…
Ho perso parte della mia spudoratezza che mi spingeva a scrivere tutto quello che volevo e guadagnato troppi blocchi troppi limiti,
costrizioni e freni.
Forse adesso ho paura perché quando scrivo metto molte cose, forse troppo di me.
Quello che penso, come vedo il mondo come sono io e credo che sia sbagliato perché finisco per imporre la mia visione del mondo ad un personaggio che non mi appartiene, che è totalmente opposto a come sono io, che dovrebbe essere trattato con rispetto e coerenza.
Ho paura di finire per confondere la mia realtà con la trama della storia e per rovinarla.
O forse semplicemente così come ho smesso da anni di impazzire per i manga…
(Inuyasha finito One piece decaduto e Naruto una delusione [ovviamente parlo per me Nda]) ho finito per non appassionarmi più così tanto alla scrittura preferendo di gran lunga leggere le meravigliose storie che voialtri pubblicate.
E si, leggo ma non recensisco…maleditemi!!!
 
Detto ciò, semmai ci fosse ancora qualcuno qui, a tenere d’occhio i miei aggiornamenti
eccone uno, il primo di tanti spero perché ogni storia che ho scritto, che abbia 10 6 o 3 anni è un pezzo di me, di com’ero quando la iniziai e non intendo lasciarne incompiuta nemmeno una.
Perciò abbiate tanta, tanta…tanterrima pazienza e chissà, forse domani forse l’anno prossimo ci sarà un altro aggiornamento.
A voi ragazzi, di nuovo GRAZIE e Buon Natale, Buone Feste e giorni felici.
 
TH
  
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