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Autore: The Writer Of The Stars    21/12/2014    4 recensioni
“Kazuha, so che non è così. Capisco che sei ancora sconvolta, è stato un brutto colpo … come ti senti?” azzardò quasi con timore. A quelle parole, Kazuha strinse i pugni con forza, quasi con rabbia. Heiji la vide tremare vistosamente, e subito dopo Kazuha alzò lo sguardo, puntando le proprie iridi su quelle del ragazzo. Ad Heiji mancò un battito. Erano colme di lacrime malcelate, ma soprattutto, erano cariche di un qualcosa che mai avrebbe associato a Kazuha. Rancore.
“Tu – tu non hai il diritto di chiedermi come mi sento …” soffiò Kazuha con voce rotta, e al sentirla, Heiji temette di svenire. In quel momento, Heiji pensò che quando fosse morto, quelle parole sarebbero state incise sulla sua lapide, tanto erano state forti e dure ..."
One shot su Heiji e Kazuha, ambientata dopo l'episodio "Prigionieri in soffitta". ;)
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Heiji Hattori, Kazuha Toyama | Coppie: Heiji Hattori/Kazuha Toyama
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nota: La seguente storia è ambientata subito dopo l’episodio 349 di Detective Conan, “Prigionieri in soffitta.” Consigliò perciò la visione di quest’ultimo, ai fini di comprendere al meglio quanto scritto.
 
Heiji si passò stancamente una mano sul viso. Quella giornata che ormai volgeva finalmente al termine, era stata indescrivibile. Non era la prima volta che si trovava faccia a faccia con la morte, ma quel giorno era stato diverso. Solitamente, quando si metteva nei guai, era sempre a causa della sua smania di fare il grande detective e di dimostrare a tutti di essere in grado di risolvere uno stupido caso, e, cosa non meno importante, alla fine sapeva sempre come cavarsela. Stavolta invece, non ci aveva capito niente. C’era stato un attimo in cui, con quella pistola nera puntata alla tempia, aveva davvero creduto fosse arrivata la sua ora. E a dire la verità, non si era preoccupato tanto per sé stesso, perché infondo un po’ se l’era cercata. Ciò che lo faceva davvero star male, era sapere che dopo di lui, anche Kazuha avrebbe fatto la sua stessa fine. E questo non poteva sopportarlo. Era stato forse proprio in quel frangente che si era reso conto di amare Kazuha. Non l’amore fraterno che li aveva sempre legati indissolubilmente, ma un amore diverso, un amore … strano. Non sapeva come spiegarlo, ma sapeva solo che per lei avrebbe anche dato la sua vita. Da bravo idiota quale era, l’aveva scoperto solo allora, accasciato in terra, minacciato da una revolver nera e con il corpo tremante di lei alle spalle, a ricordargli che forse, quella volta non ce l’avrebbero fatta. E ci aveva anche provato a dirglielo, a Kazuha. Con il viso a contatto con il pavimento pieno di polvere di quella soffitta, aveva balbettato qualcosa che al principio doveva sembrare quasi una dichiarazione d’amore, ma che si era poi trasformata in una scusa per poter prendere tempo e permettere a quel tizio di afferrare la pistola. Ci aveva rinunciato, perché a pensarci bene, non era nemmeno lui ben sicuro di cosa provasse per Kazuha. Avvolti dalle tenebre di quella soffitta e minacciati di morte, si era scoperto spaventato dal pensiero di perdere Kazuha, e che prima di morire, doveva dirgli quelle tre paroline, perché poi non ne avrebbe più avuto l’occasione. E nel momento in cui era ad un passo da dirle tutto, le parole gli erano morte in gola. Aveva sentito uno strano nodo alla trachea e si era scoperto impossibilitato dal parlare. Per lui quei termini erano nuovi, quelle sette lettere non le aveva mai dette a nessuna, e forse perché non le aveva mai provate in vita sua. Ma con Kazuha tremante e singhiozzante alle spalle, le paroline erano risalite dal cuore, dove erano state segregate da troppo tempo. Ma non avevano mai raggiunto la bocca, quell’aria non era entrata in vibrazione con le corde vocali, come avrebbe voluto. Ci mancava tanto così che lo dicesse, che finalmente desse fiato alle sue emozioni. Ed invece non ci era riuscito. In un primo momento aveva dato la colpa alla loro rapitrice, che aveva interrotto il momento nell’attimo in cui si era resa conto che quel tizio era ancora vivo. Poi invece, nel momento in cui gli avevano concesso di alzarsi e di uscire da quella prigione per andare verso la banca, aveva incontrato gli occhi smeraldini di Kazuha oscurati dalle lacrime, e aveva capito. Aveva capito che non aveva bisogno di scuse, che forse se quella donna non li avesse interrotti, non sarebbe comunque riuscito a confessare i suoi sentimenti. Che la colpa non era di una tempistica sbagliata, ma solo ed unicamente sua. Perché nel momento in cui era affogato nelle iridi di smeraldo di Kazuha rese lucide dal pianto, aveva capito che lui quelle cose le provava veramente. Sentiva quelle tre paroline lì, al centro dell’epiglottide, che cercavano invano di risalire la trachea e di raggiungere le corde vocali. Sapeva perfettamente di amare Kazuha. Ma forse, la stoltezza aveva colpito anche la sua geniale mente da detective. Lui amava Kazuha, ma aveva paura di dirglielo.


Heiji scosse la testa, confuso da quei pensieri. Non ci aveva capito niente. Era tutto così … strano. Lui e Kazuha erano sopravvissuti entrambi, e forse non vi era stato momento migliore quel giorno che vederla uscire dalla casa che era stata la loro cella per quelle ore, corrergli incontro e saltargli addosso, abbracciandolo come mai aveva fatto. In un primo momento gli era sembrata estremamente lucida, ma si era reso conto che le sue erano solo sciocche supposizioni nel momento in cui, stretta al suo petto, Kazuha aveva preso a piangere silenziosamente. Non singhiozzava, cercava di non farsi scoprire, ma Heiji aveva capito benissimo che stava piangendo.

“H – Heiji …” Kazuha aveva tentato di parlare, ma lui l’aveva zittita subito, stringendola di più a sé.

“Shh, piccola. È tutto finito … è tutto finito …” aveva ripetuto con il capo affondato tra i capelli color nocciola di Kazuha. Della solita coda ordinata non restava che un vago ricordo ormai, e Heiji tirò delicatamente il nastro rosso che teneva legate le ultime ciocche di capelli, sciogliendo la chioma scura della ragazza. Era strano vederla con i capelli sciolti, ma era ancora più strano sentire quella morsa atroce al petto stringersi di più ad ogni singhiozzo di Kazuha …

Ora stavano camminando verso la stazione, dove un treno per Osaka li attendeva. Kazuha stava avanti a lui, e nel vederla così distante, Heiji si rabbuiò. Kazuha era solita stargli appiccicata, riempirlo di parole di cui spesso non capiva nemmeno la metà,ma non gli importava, perché infondo adorava averla al suo fianco. Adesso invece era diversa. Kazuha non parlava, non si era aggrappata al suo braccio,  non si guardava intorno con i soliti occhioni spalancati da bambina. Kazuha stava in silenzio, camminava distante da lui e aveva lo sguardo puntato al terreno. Heiji sentì la morsa nel petto tornare a tediarlo,perciò aumentò la sua andatura, avvicinandosi a Kazuha. Aveva bisogno di sentirla vicina. Kazuha non alzò minimamente lo sguardo, continuando a camminare con spasso spedito. Anzi, accelerò anche la velocità, cercando di distanziare nuovamente il ragazzo. Spazientito, Heiji si riavvicinò a Kazuha, non comprendendo il perché di un tale comportamento. “Kazuha …” la richiamò, ma lei non rispose. “Kazuha …” ripetè leggermente spazientito. “Kazuha!” disse infine a voce un po’ più alta, afferrando la ragazza per un braccio, costringendola a voltarsi.

“Si può sapere che ti prende?” chiese, cercando disperatamente gli occhi di Kazuha, non trovandoli, poiché la ragazza continuava a tenere lo sguardo basso.

“Non mi prende niente, Heiji.” Rispose freddamente lei, evitando il suo sguardo.
Heiji non si arrese, perché sapeva che c’era eccome qualcosa.

“Kazuha, so che non è così. Capisco che sei ancora sconvolta, è stato un brutto colpo … come ti senti?” azzardò quasi con timore. A quelle parole, Kazuha strinse i pugni con forza, quasi con rabbia. Heiji la vide tremare vistosamente, e subito dopo Kazuha alzò lo sguardo, puntando le proprie iridi su quelle del ragazzo. Ad Heiji mancò un battito. Erano colme di lacrime malcelate, ma soprattutto, erano cariche di un qualcosa che mai avrebbe associato a Kazuha. Rancore.

“Tu – tu non hai il diritto di chiedermi come mi sento …” soffiò Kazuha con voce rotta, e al sentirla, Heiji temette di svenire.
In quel momento, Heiji pensò che quando fosse morto, quelle parole sarebbero state incise sulla sua lapide, tanto erano state forti e dure. Il detective dell’ovest sentì quella morsa farsi talmente stretta, che credette che entro pochi secondi sarebbe morto. Le parole di Kazuha celavano un rancore e una verità straziante. Kazuha aveva ragione, lui non aveva il diritto di chiederle come si sentiva. Non era giusto, perché era stato per colpa sua se il confine tra vita e morte si era fatto quasi inesistente quel giorno. Perché quella mattina Kazuha glielo aveva detto di andare via di lì, quando, dopo aver suonato diverse volte il campanello della casa dell’avvocatessa, non avevano ricevuto alcuna risposta. Lui però come sempre aveva voluto fare di testa sua, e sordo ai richiami di Kazuha, era entrato a forza nell’abitazione. E lei come sempre lo aveva seguito, perché tanto andava sempre così; lui era il capo, lei la dipendente. Lui faceva una cosa, e lei lo seguiva. E quella volta, erano andati insieme verso la morte. Kazuha aveva ragione ad odiarlo adesso; per colpa sua, avevano rischiato di non rivedere la luce del sole. Ma sentire la sua piccola vomitargli addosso quelle parole, con tutto quel disprezzo, gli aveva spezzato il cuore. Lui la amava, mentre adesso lei lo odiava.

“Piccola …” balbettò, cercando di carezzarle il viso.

“Non chiamarmi piccola.” Ribatté Kazuha con freddezza, scansando bruscamente la mano che Heiji aveva accostato al suo volto. Heiji si sentì soffocare. Kazuha amava essere chiamata piccola, e Heiji adorava vederla arrossire quando le affibbiava quel nomignolo affettuoso.

“Kazuha … mi dispiace … Io …”

“Lascia stare, Heiji.” Lo interruppe lei, sorridendo amaramente. Heiji la guardò confuso, non comprendendo questo suo sbalzo d’umore.

“Non è colpa tua … io … scusa, non so cosa mi sia preso.” Balbettò, portandosi il viso tra le mani e scuotendolo leggermente. Pochi secondi dopo, alzò di nuovo lo sguardo, guardando Heiji, e stavolta i suoi occhi erano tornati i soliti smeraldi di Kazuha, senza odio o altro, solo un po’  più lucidi per le
lacrime.

“Allora? Andiamo, o perderemo il treno!” disse sorridendo, con il solito tono di voce argentino. Heiji la guardò ad occhi spalancati, riuscendo solo ad annuire, guardandola riprendere la strada verso la stazione. Non si mosse, continuando a fissarla incantato, osservando la coda di cavallo muoversi al ritmo dei suoi passi. Quasi senza accorgersene, si ritrovò a chiamarla.

“Kazuha!” urlò, e lei si voltò, scrutandolo con un’espressione incuriosita.

“Dimmi, cosa c’è?” gli chiese, curiosa. Heiji la guardò, boccheggiando diverse volte, nel tentativo di parlare. Voleva dirglielo, voleva dirgli quelle tre paroline, ora che erano usciti vivi da quell’avventura. Provò a parlare, ma non riuscì ad articolare non una singola parola.

“Io – io …” balbettò. Abbassò poi lo sguardo, sorridendo leggermente. Infondo c’era tempo per chiarire i propri sentimenti.

“Niente, non era importante.” Disse, alzando lo sguardo e sorridendo un poco verso Kazuha. La ragazza alzò le spalle confusa.

“Okay, come vuoi … sbrigati, però, forza!” lo richiamò all’ordine, riprendendo la sua corsa. Heiji la guardò, sorridendo tra sé.

“Tre parole, sette lettere. Un giorno riuscirò a dirtele, Kazuha. Te lo prometto …” sussurrò tra sé e sé, prima di prendere anche lui a correre dietro la sua migliore amica. Infondo, avevano ancora tempo …


Nota autrice:
ed ecco un’altra Heiji/Kazuha! La mia seconda storia su questo fandom, che emozione … *-* Allora, vorrei precisare che questa storia mi è venuta in mente questo pomeriggio mentre ripassavo greco, perciò non so quanto senso possa avere … comprendetemi, sto impazzendo … -_-  Come spiegato sopra, è ambientata subito dopo l’episodio “Prigionieri in soffitta” (altro episodio MUST per questa coppia.) E niente, appena ho potuto l’ho buttata giù e l’ho pubblicata. Non è niente di che, e forse è anche un po’ banale, ma lascio a voi l’arduo compito di giudicare questa storia. ;) Spero che vi sia piaciuta, e in tal caso, vi invito a lasciare una piccola recensione, mi farebbe piacere sapere le vostre opinioni. Ovviamente sono aperta anche a qualunque tipo di critica costruttiva, perciò non preoccupatevi di dirmi se la storia manca di qualcosa o non vi è piaciuta … le critiche servono sempre a migliorare. ;) Bene, vi lascio.
 Buonanotte a tutti, alla prossima!
Baci
TWOTS

Ps: ah, la frase “Tu non hai il diritto di chiedermi come mi sento” è una citazione ad un verso di una stupenda canzone di Phil Collins (*-*) “Separate lives”. Se avete tempo, vi consiglio di ascoltarla, è davvero stupenda. ;)
 
 
 
 
   
 
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