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Autore: M4RT1    22/12/2014    5 recensioni
SPOILER 6x06 | Post Finale | Peter PoV
― Avrei voluto chiamarlo Alexander, sai? Come il giocatore degli Yankees.
― E invece?
― E invece l’ho chiamato Neal. Neal Burke ― mormorò. Avrebbe voluto fermarsi, ma non lo fece. ― Mozzie gli racconta spesso di te, quando deve addormentarsi. Gli dice che eri un eroe. Non racconta com’è che è finita la storia.
Genere: Angst, Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Neal Caffrey, Peter Burke
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Will you come home and stop this pain tonight?
["I miss you" - Blink 182] 



La prima cosa che Peter notò, entrando al numero ventiquattro di Rue Hugo, fu la totale assenza di fotografie. Come se chi ci abitasse fosse troppo impegnato per arredare la casa, o fosse così solo da non saper cosa incorniciare. Ne fu sorpreso, all’inizio, mentre si guardava intorno e prendeva posto a una delle quattro sedie dell’elegante tavolo di mogano – poi, osservando quei quadri tanto dozzinali, si rese conto che era studiato. Anche quello, come il fingersi morto e il fargli trovare casualmente quella chiave.

Entrando, Peter non avrebbe mai detto che quella fosse la casa di Neal Caffrey: era ben arredata, certo, e lussuosa – il quartiere era uno dei più altolocati, d’altronde. Ma mancavano tutti quei particolari (i quadri, il cavalletto, il vino) che, ai suoi occhi, sarebbero apparsi come l’evidente prova che era lì che viveva. Dopotutto, sparire era sempre stata la sua più grande dote.

Non ce n’era nemmeno una, di fotografia. Peter si chiese se facesse parte del piano oppure, semplicemente, in dodici mesi il suo consulente – no, non più – non fosse stato in grado di trovare nessuno con cui cenare o ridere come faceva con Mozzie. Con una punta di sensi di colpa, l’agente si ritrovò a sperare che fosse andata così – che Neal fosse stato solo, per un intero anno, magari a rimpiangere quello che aveva lasciato a New York. A rimpiangere le nottate nel furgone, la casa di June, il Central Park con Mozzie e, perché no?, magari a rimpiangere anche quel Peter Burke che per due volte l’aveva trovato.

Per tre, adesso, pensò con orgoglio.

Non c’erano vetrate, in quell’appartamento. Era al secondo piano di un bellissimo palazzo antico, sicuramente in uno stile particolare che non era in grado di riconoscere ma che Neal, ne era certo, adorava. Una casa poco più grande di quella in cui aveva vissuto fino a un anno prima, dalle pareti bianco latte e dall’aspetto ordinato: libri, cuscini e completi eleganti facevano bella mostra di sé in molti degli angoli dell’abitazione – segni occulti della presenza di quello che, una volta, era stato davvero il suo migliore amico.

E che poi l’aveva abbandonato. No, protetto. Ecco, sì: Mozzie gliel’aveva detto, dopotutto, che era solo per proteggerlo se Neal era fuggito – ma come faceva a esserne sicuro, lui che era stato abbandonato non meno dell’altro?

 
Peter Burke non era una persona sentimentale: non aveva pianto al suo matrimonio, non lo aveva fatto alla nascita di suo figlio. Aveva pianto quando credeva che Neal fosse morto, certo, ma quello era stato un dolore troppo grande per essere semplicemente ricacciato dentro.
Eppure, pur tendendo a nascondere le sue emozioni, quel giorno di fine settembre si ritrovò a tamburellare nervosamente sul tavolo, le dita sudate impegnate a distrarsi dal pensiero di cosa sarebbe successo.

Aveva pensato tante volte a quel momento, nel corso della sua vita: dal primo arresto, la soddisfazione aveva sempre superato l’ansia, la paura, la rabbia, la frustrazione di quelle nottate in cui non riusciva a venire a capo di quell’enigma chiamato Caffrey. Quella volta, però, era diverso.

Certo, Neal sapeva che l’avrebbe trovato – l’aveva sempre fatto, dopotutto. Gliel’aveva inviata lui quella bottiglia, quel vetro identico al vino del secondo arresto. Come se volesse essere trovato, in effetti – oppure no? Forse voleva solo fargli sapere che era vivo, che stava bene, che Peter non avrebbe più dovuto consolare El. D’altronde, aveva lasciato che passasse un anno per far perdere bene le proprie tracce.
Ma aveva lasciato anche quel giornale.

E non poteva essere una coincidenza se il suo volto era apparso due volte nelle telecamere di sorveglianza del Louvre, proprio quattro giorni dopo l’arrivo del vino a casa di Burke. Peter aveva fissato quei frame della telecamera per minuti interi: aveva fissato la capigliatura dell’amico, il suo sguardo – non era diverso, non era cupo – e la bocca leggermente piegata all’insù, come se lo stesse sfidando.

Provalo. Aveva sibilato quella parola quando Peter aveva cominciato a non fidarsi di lui.

In quel momento, era come se volesse sfidarlo di nuovo ad acchiapparello, invitandolo a cogliere quei pochi ma precisi indizi disseminati per il mondo. Come se lo avesse guidato passo passo fino all’appartamento di Edward McDonald, critico d’arte americano con un prestigioso curriculum universitario alle spalle e varie collaborazioni con Gallerie Nazionali oltreoceano.

E fu in quel momento, seduto su una sedia in una casa di una via parigina, per la terza volta sul punto di catturare Neal Caffrey, che Peter Burke si rese conto di non essere pronto. Non essere pronto a riaccoglierlo, né a mettergli le manette. Dopotutto, era stata una ricerca privata, la sua. Certo, i suoi collaboratori più stretti lo sapevano, ovviamente, ma come spiegarlo agli altri? Come evitargli la galera?

Avrebbe trovato un modo, forse. Ma se Neal non fosse voluto tornare?

Ed eccolo lì, pensiero che si era insinuato centinaia di volte in quei quattro mesi di ricerche. In forme e momenti diversi, qualche volta senza importanza e altre volte, come in quell’istante, fondamentale. Perché, alla fine, lui aveva sempre trovato un modo per salvarlo – ma era stato Neal a permettergli di farlo. A permettergli di trovarlo, di chiudergli le manette ai polsi (se non le avesse volute, avrebbe semplicemente potuto toglierle).

 
E poi Neal entrò.

Colse Peter di sorpresa, come sempre. Aprì la porta silenziosamente, canticchiando un motivetto poco noto e facendo tintinnare le chiavi nel palmo della mano – sembrava felice, notò Peter, e ancora una volta si chiese se avesse voluto averlo lì.

Quando, poi, la figura a lui ben nota si stagliò sulla soglia, Peter non poté fare a meno di sorridere – lo stesso sorriso di trionfo che aveva ogni volta che l’aveva trovato. Neal era proprio lì, vivo: occhi chiari, carnagione rosea, barba appena accennata, vestito elegante. Senza cavigliera, senza cappello. Sì, poteva esserne felice, ma un tarlo dentro di lui, una goccia cinese che si ostinava a non lasciarlo, gli ricordava costantemente di cosa avesse fatto pochi mesi prima. Di come l’avesse lasciato nello sconforto più totale. Fu per questo che, quando Neal sgranò gli occhi e mormorò il suo nome, Peter non sorrise più.

 
― Peter!

Neal Caffrey avanzò piano, l’espressione più che sorpresa.

― Ciao, Neal ― rispose l’agente, alzandosi.

Era strano come non si sentisse più a suo agio e, nel contempo, quell’ultimo anno sembrasse non essere mai esistito: dopotutto era lì, di fronte a lui, intento a rimproverarlo per l’ennesimo guaio in cui si era cacciato. Come se il fingersi morto fosse un crimine come gli altri, solo una truffa ai danni di qualcuno.

― Non ti aspettavo ― mormorò il ragazzo ― Non così presto ― aggiunse, con un’alzata di sopracciglia. Peter si trattenne a stento dal ghignare, soddisfatto. Assottigliò gli occhi e lo fissò.

― Ti trovi bene, vedo ― disse solo. Dopotutto, come si comincia una conversazione con una persona come lui? ― Credevo che avresti invitato il tuo migliore amico, una volta sistemato.

Fu un colpo basso, ma la rabbia che cresceva dentro Peter era troppa per essere semplicemente ignorata. Mesi di pianti, il funerale, le indagini terminate subito, le lacrime di El e di Mozzie – di Mozzie! Tutto cominciò a cadergli addosso come una cascata di lava e l’unico modo per non scottarsi era dirigerla verso il diretto interessato.

Neal non sembrò sorpreso dalla sua reazione. Come sempre, aveva già intuito tutto, già programmato ogni cosa. Forse perfino l’entrare in casa in quel preciso istante faceva parte di un piano più grande. Peter lo fissò, in attesa, ma non successe nulla.

― E allora? ― incalzò. ― Credevo che avessimo un contratto.

― Non sarebbe mai stato davvero così. Le Pantere mi avrebbero trovato, loro- loro avrebbero fatto del male a te e ad El ― sussurrò il ragazzo. La sua voce era roca, in quel momento, aveva perso un po’ della sfacciataggine che lo aveva sempre caratterizzato.

― Già, è vero ― annuì Peter. ― Ma al male che hai fatto tu non ci pensi?

― Tu avresti fatto lo stesso al mio posto.

Il silenzio tornò a cadere, pesante. Peter lottava contro l’impulso di urlare fino a farlo diventare sordo e quello di abbracciarlo. Entrambi forti, entrambi irrazionali.

― Sai che non è così ― disse infine. ― C’è sempre un altro modo. Magari, se ci avessi pensato bene, ne avresti trovato uno che non comprendeva il fingerti morto. Avresti potuto far da padrino a mio figlio, sai?

Nel sentire quella frase, Neal spalancò i suoi occhi azzurri.

― È nato? ― esclamò. Per un momento Peter lo immaginò fuori alla sala parto, a stringergli spasmodicamente la mano mentre le urla di El irrompevano nel corridoio. ― Com’è?

Peter avrebbe voluto dirgli che non meritava di saperlo. Che aveva avuto il suo momento e aveva fatto la scelta sbagliata, come in tutti i grandi momenti della sua vita. Che avrebbe potuto tenerlo tra le braccia e invece aveva scelto di non guardarlo mai negli occhi. Che avrebbe potuto passare a casa sua e di El, al ritorno dal lavoro, ma aveva deciso di dimenticare quella parte così pulita della sua vita. Invece, tutto quello che disse fu:

― Avrei voluto chiamarlo Alexander, sai? Come il giocatore degli Yankees.

― E invece?

― E invece l’ho chiamato Neal. Neal Burke ― mormorò. Avrebbe voluto fermarsi, ma non lo fece. ― Mozzie gli racconta spesso di te, quando deve addormentarsi. Gli dice che eri un eroe. Non racconta com’è che è finita la storia.

Si stava facendo tardi. Le ombre dei due si allungavano sulle pareti.

― Neal ― mormorò l’altro. ― Come me.

Qualcosa si mosse, in fondo. Qualcosa brillò negli occhi di Caffrey mentre annuiva, quasi soddisfatto – come quella volta in cui aveva scoperto che, all’università, studiavano le sue truffe. Come se non avesse mai saputo quanto importava davvero all’altro e se ne fosse reso conto solo in quel momento, a migliaia di chilometri da casa e con una falsa identità di copertura.

― Sì, come te.

E Peter, che aveva viaggiato in aereo per davvero troppe ore in uno scomodo sedile di seconda classe, non si sarebbe lasciato sfuggire l’opportunità che gli si era aperta.

― Usa ancora la mia bavetta?

― Sì, adesso mangia da solo ― sorrise, al pensiero del piccolo che lo attendeva a casa. Poi capì che era arrivato il momento. ― Ti andrebbe di conoscerlo?

Neal tentennò. Prese un grosso respiro, poi rilasciò l’aria a poco a poco. Era a disagio e non faceva nulla per evitare di mostrarlo, come se, anzi, volesse che fosse Peter a scegliere per lui. Non sarebbe stata la prima volta.

― Io sono morto, ricordi? ― disse infine, accennando un sorriso.

Peter annuì.

― Sai che troverei un modo ― disse solo. ― L’ho sempre trovato, no?

Erano vicini alla fine, alla verità. Se Neal si fosse rifiutato, sarebbe finito tutto. Come quella volta sull’isola, quando ci fu quell’ultima telefonata che, invece, si rivelò essere solo una delle tante. Ma non ci sarebbero state seconde occasioni, quel giorno.

― Andiamo! ― esclamò. ― Se non vuoi farlo per il piccolo, fallo per El! Per Mozzie! Per- ― si interruppe, incerto.

― Per te?

Annuì, in silenzio.

E poi annuì anche Neal.
 
― Dove dormi, stanotte?

― Oh, sai, l’FBI mi paga una suite in un lussuoso albergo che-

― Davvero?

― Ovviamente no, Neal. Credi che sia qui per conto dell’FBI?

― Ovviamente no, Peter. Ti andrebbe di restare da me? Ho un divano comodo.

― Sì, l’ho visto. Sicuro che non disturbo? Il signor McDonald non ha donne da intrattenere?

― No, non stasera.



― Peter?

― Sì, Neal?

― Indossi di nuovo lo stesso vestito.

― I classici non passano mai di moda.
 

N.d.A.: un ringraziamento speciale a Night Sins e alla sua idea su come concludere questa storia U_U

 
  
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